Quel “pasticciaccio brutto” dei provvedimenti emergenziali

FRANCO BOTTEON, I poteri di ordinanza: conflitti tra provvedimenti nell’ordinamento multilivello (dopo l’ordinanza Ministro della Salute 20.3.2020).



FRANCO BOTTEON
(Avvocato)

I poteri di ordinanza: conflitti tra provvedimenti nell’ordinamento
multilivello (dopo l’ordinanza Ministro della Salute 20.3.2020)



Premesso che il coronavirus deve essere il campo non dell’esercizio del conflitto ma della collaborazione a tutti i livelli né può essere il tempo dei sofismi, occorre constatare, al netto dei personalismi soggettivi istituzionali, che l’ordinamento attuale sembra da un lato favorire, dall’altro lato non risolvere adeguatamente alcune possibili situazioni di conflitto normativo o amministrativo, con risvolti pratici rilevanti.

Ci si riferisce al fatto che la normativa emergenziale stratificata (per tipologia di fonte a parità di livello – es. Stato – e tra livelli –Stato/Regioni) che si sta formando in ordine alla drammatica situazione di emergenza, sviluppa un concorso di competenze nell’adozione di importanti atti quali le ordinanze ex art. 32 l. 833/78 sugli stessi temi, senza una chiara e soprattutto automatica e autosufficiente regolamentazione del possibile conflitto tra soluzioni provvedimentali diverse applicabili nello stesso momento e nello stesso luogo alle stesse attività. Ma anche in caso di coincidenza di soluzioni, il cittadino dovrebbe avere chiaro il sistema normativo e individuare con certezza la fonte da conoscere ed applicare.

Si pensi, per sdrammatizzare (o, all’opposto, per sottolineare la direzione sconcertante che può prendere l’attenzione dei media e della collettività in un momento in cui si contano a migliaia i decessi nella sola Italia) al tema dell’attività motoria praticabile in questo periodo nel territorio nazionale (escluse quindi le zone rosse, in cui è evidente che non è legittima).

Il DPCM 8.3.2020, all’art. 5, comma 4, stabilisce: “Resta salvo il potere di ordinanza delle Regioni, di cui all’articolo 3, comma 2, del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6”.

Tale previsione deve ritenersi tuttora pienamente vigente, posto che il disposto dell’art. 2, comma 2, del DPCM 11.3.2020, dispone che “Dalla data di efficacia delle disposizioni del presente decreto cessano di produrre effetti, ove incompatibili con le disposizioni del presente decreto, le misure di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 8 marzo 2020 e del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 9 marzo 2020”, laddove nulla di incompatibile con la disposizione dell’art. 5, comma 4, DPCM 8.3.2020, si rinviene né nel predetto DPCM dell’11.3.2020 né invero nel precedente DPCM del 9.3.2020.

Orbene, l’art. 3, comma 2, d.l. 25.2.2020, n. 6, già convertito con l. 13/20, richiamato dal DPCM 8.3.2020, dispone: “Nelle more dell’adozione dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri di cui al comma 1, nei casi di estrema necessità ed urgenza le misure di cui agli articoli 1 e 2 possono essere adottate ai sensi dell’articolo 32 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, dell’articolo 117 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, e dell’articolo 50 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, approvato con decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267”.

La norma era apprezzabile per il fatto che si limitava a ricordare e legittimare il potere regionale “nelle more” dell’intervento del Presidente del Consiglio”, facendo pensare ad un blocco degli interventi regionali una volta iniziata la sequenza dei decreti centrali.

Da notare che le misure di cui all’art. 1 del d.l. 6/20, consistono in “ogni misura di contenimento e gestione adeguata e proporzionata all’evolversi della situazione epidemiologica”. Regioni e comuni, titolari del potere di ordinanza di cui all’art. 32 l. 833/78 (specificamente le Regioni, oltre al Ministro) e art. 50, d.lgs. 267/00 (Regioni e Comuni) erano quindi legittimate ad intervenire, nell’intertempo, ad ampio raggio, potendo disporre ogni misura pertinente, non solo quelle più definite e puntuali elencate nell’art. 2 del medesimo d.l. 6/20.

Dopo il primo DPCM si poteva pensare ad un testimone passato integralmente allo stato anche considerata la dimensione ultraregionale, fin dall’inizio, dell’emergenza.

Sennonchè, come sopra visto con riguardo al DPCM 8.3.2020, proprio i decreti del presidente del consiglio dei ministri menzionati nella norma di legge come barriera temporale dell’intervento regionale hanno “rilegittimato” il concorso tra fonte (normativa) statale (i DPCM) e fonte (amministrativa, deve ritenersi, trattandosi di provvedimenti, seppure rivolti alla collettività indeterminata, riguardanti situazioni temporanee e aventi durata limitata, anzi molto ridotta – settimane), regionale e invero anche comunale (v. art. 50, comma 4, d.lgs. 267/00).

E del potere “rilegittimato” hanno fatto uso rilevante alcune tutte le regioni (una rassegna si rinviene nel sito della Protezione Civile: http://www.protezionecivile.gov.it/attivita-rischi/rischio-sanitario/emergenze/coronavirus/normativa-emergenza-coronavirus).

Buon ultimo, dopo i predetti, numerosi interventi regionali, è arrivato il Ministro della Salute, che è, in effetti, sicuramente investito di competenza per effetto dell’art. 32, comma 3, l. 833/78, rivitalizzato dai citati art. 3, comma 2, d.l. 6/20, e dall’art. 5, comma 4, DPCM 8.3.2020, il quale Ministro ha adottato l’ordinanza 20 marzo 2020* (in G.U. n. 73 del 20 marzo 2020) – “Ulteriori misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, applicabili sull’intero territorio nazionale”.

L’ordinanza è espressamente testualmente “giustificata” (la giurisprudenza parla di giustificazione dell’atto come individuazione delle fonti legittimanti: Tar Lazio, Roma, sez. III ter, 10 agosto 2007, n. 7754), come risulta dalle premesse o motivazione, in relazione, tra l’altro, all’art. 32, l. 833/78, al d.l. 6/20, al DPCM 8.3.2020, 9.3.2020 e 11.3.2020.

Allo scopo di contrastare e contenere il diffondersi del virus COVID-19”, l’ordinanza ministeriale, anche a fronte di dubbi (più o meno fondati) legati alla portata della normativa emergenziale intervenuta in materia a livello statale, l’ordinanza ministeriale si occupa:

a) di accesso del pubblico ai parchi, alle ville, alle aree gioco e ai giardini pubblici, vietandola;

b) di attività ludica e ricreativa, non consentendola all’aperto,

c) di attività motoria, ammessa solo in prossimità dell’abitazione;

d) dell’attività dei bar posti nelle stazioni ferroviarie e nelle aree di rifornimento di carburante, ammettendola solo presso le autostrade;

e) dell’accesso alle seconde case, preclusa nei giorni festivi e prefestivi.

Sul tema specifico (modesto oggettivamente ma mediaticamente e socialmente rilevante, finora) dell’attività motoria, che consideriamo solo a fini esemplificativi della possibilità di sovrapposizione di ordinanze in senso verticale (regioni, stato), si erano pronunciate il giorno prima almeno quattro ordinanze regionali del giorno prima: Ordinanza contingibile e urgente n°6 del 19.03.2020 del Presidente Regione Siciliana; Ordinanza contingibile e urgente n. 3/PC del Presidente Regione FVG; Ordinanza n. 33/20 del Presidente Regione del Veneto; Decreto Num. 41 del 18/03/2020 “Ulteriore ordinanza ai sensi dell’articolo 32 della legge 23 dicembre 1978, n. 833 in tema di misure per la gestione dell’emergenza sanitaria legata alla diffusione della sindrome da covid-19. contrasto alle forme di assembramento di persone” del Presidente Regione Emilia Romagna.

Le ordinanze si occupano anche di altri temi, in parte trattati in modo uguale a quello usato dal Ministro, altri temi non trattati dal Ministro (es. chiusura delle strutture di vendita di alimentari, esonerate dalla sospensione disposta con il DPCM).

Il cittadino, bombardato dalle informazioni sull’emissione di tutte queste ordinanze e quindi di sicuro a conoscenza dell’adozione di tali atti, giustamente preoccupato, inoltre, dall’applicazione a suo carico delle sanzioni penali notoriamente comminabili in caso di inottemperanza di tali provvedimenti (art. 650 cp.).

Non certo apprezzabilmente, l’ordinanza ministeriale non si cura affatto di regolare il rapporto con le ordinanze, notissime al Ministro, adottate in precedenza (seppure di poco) dalle Regioni.

Si tenga presente che il problema del concorso tra competenze si produce anche laddove si applichi l’art. 50 d.lgs. 267/00, il quale pure configura una competenza duplice, delle regioni e dei comuni.

La portata pratica è prima di tutto la tutela della salute pubblica, posto che le misure sono funzionali a tale fondamentale interesse; in secondo luogo, è di livello individuale, la violazione delle prescrizioni comportando l’applicazione dell’art. 650 c.p..

Il problema appare pressante con riguardo al rapporto tra ordinanze statali e regionali ex art. 32 l. 833/78; meno pressante ma non del tutto assente nel rapporto tra ordinanze regionali e decreti del presidente del consiglio dei ministri, fonte prevista a partire dal d.l. 6/20 come strumento di introduzione delle misure. I DPCM adottati in parte si occupano del rapporto con le ordinanze.

Non appare rilevante, proprio agli effetti della individuazione dell’ordinanza od ordinanze da applicarsi da parte del singolo, il fatto che ormai il pericolo sia nazionale e quindi pacificamente ultraregionale, il che poteva, in una situazione ordinaria, privare di potere le regioni: è la normativa statale che valorizza, come detto all’inizio, la competenza emergenziale ex art. 32 è riconosciuta tuttora in capo alle regioni, anche a fronte della palese assunzione di una dimensione nazionale dell’emergenza stessa, proprio dalla normativa statale emergenziale.

Né appare giuridicamente supportato da alcuna indicazione positiva, affermare puramente e semplicemente che, trattandosi di emergenza nazionale (ed anzi, mondiale), valgono comunque e solo le previsioni statali, con disapplicazione automatica di tutte le ordinanze regionali, sia nelle parti in cui queste ultime siano più restrittive, sia nelle parti in cui sia eventualmente meno restrittiva (es. apertura domenicale esercizi commerciali).

Appare a questo punto necessario metodologicamente qualificare la natura giuridica delle ordinanze e stabilire in particolare se si tratta di ordinanze con natura di atto amministrativo o di atto normativo.

Ciò rileva, a sua volta, sul piano pratico, posto che, se le ordinanze sono atti amministrativi, in primo luogo, non si applica la regola che vale per le norme, sull’abrogazione tacita del provvedimento precedente incompatibile ad opera del provvedimento di pari forza e valore successivo; in secondo luogo (e ci si ferma qui) l’ordinanza va applicata fino ad annullamento, mentre se si tratta di atto amministrativo di natura normativa e di livello regolamentare, l’atto va disapplicato ove in contrasto con norme di legge.

Secondo recente dottrina, accreditata e argomentata, le ordinanze libere o di necessità sono di natura eventualmente normativa: “la normatività delle ordinanze (o meglio, la eventuale normatività) di una parte della ordinanza è da tempo riconosciuta da autorevole dottrina e dalla giurisprudenza” (Morbidelli G. Delle ordinanze libere a natura normativa, in Diritto Amministrativo, fasc.01-02, 2016, pag. 33 ss). Si tratta, quindi, di valutare in concreto se il contenuto dell’ordinanza presenti i caratteri notori della normatività: generalità, astrattezza, innovatività, ripetitività. La stretta temporaneità non esclude la natura normativa dei provvedimenti (v. Morbidelli, op. cit.).

Orbene, pur apparendo presenti tutti i predetti elementi, appare più cauto e solido l’approccio “pragmatico” e non “dogmatico”, il quale valorizza il dato normativo concreto dell’attribuzione del potere in discorso ad autorità amministrative (Ministro, Presidente Regione, Sindaco: art. 32, commi 1 e 3) nonché la circostanza per la quale l’art. 32 non fa riferimento a deroghe all’ordinamento normativo ad opera delle ordinanze in parola (ordinanze di carattere contingibile e urgente, in materia di igiene e sanita’ pubblica e di polizia veterinaria). Sotto tale secondo aspetto, risulta non immediatamente recepibile l’indirizzo di Cons. Stato, Sez. IV, 8 giugno 2011, n. 3502, laddove ha osservato che “le ordinanze del Presidente del Consiglio dei Ministri emanate ai sensi dell’art. 5 della l. 225 del 1992 vanno riguardate quali atti arrecanti disposizioni normative per l’attuazione degli interventi di emergenza disposizioni che, proprio per quanto expressis verbis assumibili ‘in deroga ad ogni disposizione vigente e nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico’, hanno carattere generale ed astratto e assumono valenza innovativa dell’ordinamento”, desumendo, per lo meno anche, dalla portata espressamente prevista come derogatoria delle disposizioni vigenti, la natura normativa delle ordinanze contingibili e urgenti di protezione civile (ora regolate, in termini identici, dall’art. 25, d.lgs. 1/18).

Si deve preferire, pertanto, trattare tali ordinanze, sul piano giuridico, come atti amministrativi.

Ne consegue che non si applicano i principi sulla interpretazione (v. art. 12 disp prel. C.C.) e sull’abrogazione delle norme ad opera di norme successive (v. art. 15 disp. Prel. C.c.).

Si applicano, semmai, le norme di diritto comune sugli atti negoziali quali quelle sull’interpretazione (artt. 1362 e ss. c.c.) e, a nostro avviso, sulla novazione (art. 1230 c.c.).

In base al diritto pubblico, le vicende che incidono sul singolo provvedimento sono (forse non esaustivamente ma sicuramente in via prevalente) indicate negli artt. 21 quinquies, octies e nonies l. 241/90.

Interessa, in questo caso, soprattutto il disposto dell’art. 21 quinquies, che parla della revoca del provvedimento, che presuppone la legittimità dell’atto precedente e la sua sostituzione con altro atto o la sua eliminazione ex nunc per una nuova valutazione del caso. La norma fonda anche la modifica del provvedimento attuata con provvedimento successivo, che integra una revoca parziale e un riesercizio del potere. A tale specifico riguardo, si può ricordare l’art. 1230 c.c., da ritenersi applicabile, come detto, ai provvedimenti amministrativi quali atti negoziali, con conseguente necessità che la “novazione” di un provvedimento richiede una manifestazione esplicita della volontà di modificare l’atto precedente con individuazione chiara dell’atto che si vuole modificare e verosimilmente anche eliminare. Non esiste quindi la abrogazione implicita per incompatibilità della regolamentazione successiva.

Orbene, la norma dispone che l’atto “può essere revocato da parte dell’organo che lo ha emanato ovvero da altro organo previsto dalla legge”.

Nella fattispecie, nessuna norma autorizza una delle autorità di cui all’art. 32 e nemmeno il ministro, a revocare e quindi anche a modificare, esplicitamente o anche tacitamente, le ordinanze di altre autorità.

Ne consegue che le ordinanze di fonte diversa (presidenti e ministro) che si succedono devono trovare tutte applicazione, con in vincolo, comune ad entrambi gli atti (ordinanze ministeriali e regionali o sindacali), del perseguimento del fine della tutela della salute e non in termini negativi rispetto a tale finalità. Tale elemento, la funzione di tutela della salute, sembra costituire l’unico strumento di coordinamento delle misure che possono essere differenziate tra le varie autorità. Un ordinamento deve mettere un ordine e non può tollerare.

Tale criterio applicativo (ottica pro-tutela della salute) sembra comportare l’applicazione della soluzione che in un determinato territorio si può qualificare come più restrittiva, ossia una soluzione che non consente quello che altra ordinanza consente nello stesso momento e nello stesso luogo.

Se quindi un’ordinanza disponesse che si può svolgere attività motoria fino ad 1 km dall’abitazione (e ci sono ordinanze comunali del 17 marzo 2020 in tal senso), essa non potrà che cedere difronte alla soluzione del Ministro che parla di prossimità dall’abitazione o di Regioni (anche la Lombardia con l’ordinanza 21.3.2020) che parlano di vicinanza e comunque non oltre 200 metri.

Il silenzio dell’ordinanza successiva su un determinato punto (es. apertura domenicale) non può essere interpretato come funzionale alla tutela della salute e quindi andrà senz’altro applicata la disposizione positiva ed espressa dell’ordinanza regionale precedente, anche se per l’appunto seguita dall’ordine dell’autorità territorialmente superiore (Ministro).

Si può porre, a questo punto del ragionamento, un problema di carattere penalistico ed insieme amministrativistico.

Posta la ricostruzione quale sopra operata (si applica la soluzione più restrittiva, e cioè quella che consente meno cose rispetto a quello che consente altra ordinanza, e ciò sulla base del fatto notorio che una restrizione è scontatamente orientata ad una più rigorosa tutela della salute), qualora il privato eserciti la facoltà meno restrittiva (es. si allontana per 1 km dall’abitazione nel comune che prevede questa distanza massima) e venga sottoposto a procedimento penale per applicazione dell’art. 650 cp., può in giudizio contestare la natura di effettiva tutela della salute della norma più restrittiva applicata?

Non può fino a che non riesca a dedurne una violazione di legge, tale da consentire al giudice penale di disapplicare l’atto amministrativo.

Non può, a nostro avviso, contestare semplicemente e direttamente la funzione di tutela della salute della misura più restrittiva, contenuta in una ordinanza con cui si esercita il potere di tutela della sanità pubblica e dell’igiene di cui all’art. 32 e che si prefigge per espressa dichiarazione il contenimento della diffusione del virus. Deve dedurne l’illegittimità per violazione di legge, eccesso di potere o incompetenza.

Altra più ardita e complessa ipotesi è che due ordinanze di autori diversi (ovviamente) adottino testualmente un ordine di fare opposto: es. è fatto obbligo di chiudere nella giornata della domenica gli esercizi medi e grandi di vendita di generi alimentari (finalizzata alla tutela della salute sotto il profilo della limitazione della pressione sul personale dell’esercizio commerciale, molto spesso a contatto con soggetti non muniti di mascherina –difficile da recuperare- o a loro volta non muniti del dispositivo, e soprattutto sotto il profilo della prevenzione di afflusso domenicale di persone al supermercato non per effettiva esigenza di approvvigionamento ma per uscire all’aperto) o all’opposto aprirli obbligatoriamente per evitare le code (e quindi sempre a fini di tutela della salute). Si potrebbe anche trattare di un’ordinanza ministeriale relativa esclusivamente ai territori interessati da ordinanze di divieto di apertura con piena coincidenza di luogo di applicazione e opposta prescrizione giuridica.

Si deve trattare, come detto, di ordine espresso e non desumibile da un silenzio.

Prevale la soluzione ministeriale perché “gerarchicamente” più elevata? Prevale quella territoriale? Prevale la successiva? A nostro modesto avviso, premesso che il concorso di competenze vede tutti gli strumenti per il coordinamento delle azioni e che a fronte di una soluzione adottata da un’ordinanza, ad esempio, territoriale, non è ragionevole, per motivi di ordine sistematico, adottare un provvedimento di pari forza e finalità per contrastare una misura precedente, dovendosi affidare la soluzione del conflitto a fonti di forza cogente indiscutibile (es. DPCM o, meglio ancora, decreto legge), un tale conflitto non è risolvibile in termini preventivi, per mancanza di strumenti giuridici positivi: manca nella normativa una chiara indicazione di prevalenza dell’una ordinanza sull’altra, la successione nel tempo non essendo affatto riconosciuta per gli atti amministrativi, come invece nell’ambito della successione delle leggi (art. 15 disp prel), come causa di abrogazione della disposizione (per l’appunto, amministrativa) anteriore, tantomeno se gli atti hanno provenienza diversa.

La soluzione prevalente sarà quella conclamata in concreto, ad esempio, dal giudice penale che dovesse affrontare il giudizio nei confronti dell’esercente denunciato dall’agente di p.g. che accerti la chiusura dell’esercizio (nonostante l’ordine –ad esempio- ministeriale) di apertura, o che all’opposto accerti l’apertura dell’esercizio. Il titolare dello stesso si difenderà dicendo che ha esercitato una facoltà riconosciuta da provvedimenti riconosciuti dall’ordinamento e quindi prospetterà la causa di giustificazione di cui all’art. 51 c.p. “Esercizio di un diritto o adempimento di un dovere”. Dedurrà, inoltre, l’assenza anche semplicemente della colpa oltreché del dolo, posto che nessuno può imputare ad un povero cittadino che si trovi in una siffatta (per fortuna, per il momento solo immaginata ma non tantissimo lontana) condizione, un atteggiamento soggettivo qualificabile come negligenza, imperizia (!) o imprudenza.

Può essere il criterio cronologico (chi arriva per ultimo vince), al di là di un qualsiasi riconoscimento positivo di legge, il criterio di soluzione dei conflitti?

Sotto il profilo del diritto positivo, direi di no: la successione degli atti amministrativi non è governata positivamente dalla predetta regola.

Si è parlato, finora, di contrasto tra dispositivi di ordinanze di diverse autorità, accennando al fatto che l’immaginazione amministrativa non risultava concretizzata in ordinanze mirate a contrastare o neutralizzare una precedente ordinanza di altra autorità.

Si registra ora il fatto che il 22 è stata pubblicata (non sulla gazzetta ufficiale ma sul sito del ministero, il che appare sufficiente ai fini dell’efficacia della stessa, posto che si tratta di altra ordinanza ex art. 32 l. 833/78, soggetta alla pubblicazione sul sito ex art. 42 d.lgs. 33/13) un’ordinanza per l’appunto ex art. 32, del ministro della Salute, di concerto con quello dell’Interno, che dispone: “1. Allo scopo di contrastare e contenere il diffondersi del virus COVID-19, è fatto divieto a tutte le persone fisiche di trasferirsi o spostarsi con mezzi di trasporto pubblici o privati in comune diverso da quello in cui si trovano, salvo che per comprovate esigenze lavorative, di assoluta urgenza ovvero per motivi di salute”.

Con l’espressione genericissima “spostarsi”, laddove “trasferirsi” allude piuttosto chiaramente ad un fenomeno di modifica della condizione stabile di una dimora in un luogo, l’ordinanza sembrava riferirsi a qualsiasi movimento fisico, compresi quelli minimali regolati, per l’appunto, dalla di pochissimo precedente ordinanza dello stesso ministro del 20.3.2020, con la conseguenza che la nuova ordinanza, la quale peraltro si dichiarava destinata alla “autoestinzione” con l’adozione di un successivo DPCM già preannunciato come sottoscritto nella stessa giornata del 22.3.2020, pareva liberalizzare, a contrariis, ogni spostamento all’interno del comune, richiedendo una motivazione solo per l’uscita dallo stesso.

Sennonché, nella stessa giornata del 22.3.2020 è stato pubblicato in G.U. il DPCM a cui accennava la stessa ordinanza (ed invero preannunciato anche da una ormai ben nota dichiarazione su social del Presidente del Consiglio, contenendo importanti misure di blocco di ampi ambiti di attività produttive) e si è capito che l’ordinanza si riferiva al vero e proprio trasferimento e in particolare voleva arginare lo spostamento da regioni con alto tasso di contagio ad altre nelle quali si trova la residenza dello stesso interessato o di familiari, con il rischio di veicolazione a grande raggio del virus.

La cosa si è compresa perché ne DOCM c’è il “pezzo” di norma che mancava nell’ordinanza e che faceva capire chiaramente la portata della nuova disposizione: il “pezzo” che, “abrogando” espressamente, o sopprimendo, o ancora “novando” una disposizione del precedente DPCM 11.3.2020, e cioè quella che legittimava il rientro “a casa” dei soggetti dimoranti lontano dalla residenza per motivi di lavoro e soprattutto studio, vietava lo spostamento stabile e ultragiornaliero, e non qualsiasi movimento.

La memoria dello “spostamento” di cui si parlava nell’ordinanza precedente avrebbe forse indotto ad evitare l’uso dell’espressione ed anzi ad attendere il DPCM pubblicato lo stesso giorno, il quale estingueva automaticamente un’ordinanza durata poche ore.

In questo quadro, non si può non esprimere la massima ammirazione e gratitudine a tutti gli operatori, in primo luogo medici e infermieri ma anche amministratori delle istituzioni territoriali e centrali impegnati incessantemente da tanto tempo in una battaglia difficilissima, che non va complicata ulteriormente.