|
|
|
|
Prima pagina | Legislazione | Giurisprudenza | Articoli e note | Forum on line | Weblog |
NICOLA
LAIS
(Avvocato del Foro di Roma)
Il permesso di costruire e la denuncia di inizio attività nel nuovo testo unico dell’edilizia (D.P.R. 6 giugno 2001, 380)
![]()
1. Premessa.
Non si può affrontare l’esame delle problematiche legate ai titoli abilitativi all’attività edilizia, così come disciplinati nel D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di edilizia), senza tenere conto dell’evoluzione normativa che si è avuta dal momento in cui la norma ha visto la luce: dal 6 giugno 2001 ad oggi, infatti, sono intervenute la riforma della carta costituzionale (legge costituzionale 24 ottobre 2001, n. 3), la legge obiettivo (legge 21 dicembre 2001, n. 443), la proroga (se di proroga si può parlare…[1]) dell’entrata in vigore del Testo Unico (art. 5bis della legge 31 dicembre 2001, n. 463, pubblicata sulla G.U. n. 7 del 9 gennaio 2002).
Tutte queste norme non hanno fatto che minare un impianto normativo che oggi, che non è ancora entrato in vigore, appare già vecchio e, per alcuni aspetti, di difficile interpretazione. Ma andiamo per gradi, con la necessaria precisazione che in questa sede non si potrà che fare cenno agli innumerevoli problemi sollevati dalla richiamata evoluzione normativa, senza avere la pretesa di risolverli, cercando di porre particolare attenzione alle novità che hanno o potrebbero modificare la disciplina dei titoli abilitativi all’attività edilizia nel Testo Unico.
2. La genesi del Testo Unico.
Il Testo Unico trova il suo fondamento nella delega conferita al Governo ai sensi dell’articolo 7, commi 1 e 2, della legge 8 marzo 1999, n. 50, come modificato dall’articolo 1 della legge 24 novembre 2000, n. 340, che prevede l’emanazione di testi unici intesi a riordinare, tra le altre, le materie di cui all’art. 20 della legge 15 marzo 1997, n. 59. A sua volta, questo, al comma 8, prevede l’emanazione di regolamenti di delegificazione per la disciplina delle materie e dei procedimenti di cui all’allegato 1, il quale, al n. 105 indica il procedimento per il rilascio delle concessioni edilizie e al n. 112-quinquies il procedimento per il rilascio del certificato di agibilità.
D’altra parte, come ricordato anche nel parere del 29 marzo 2001, n. 3, emesso dall’Adunanza Generale del Consiglio di Stato sullo schema di testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, alla disciplina fondamentale della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (ed alle sue modificazioni) ha fatto seguito “dapprima una riforma radicale (la legge 28 gennaio 1977, n. 10, che ha introdotto l’istituto della concessione edilizia) e, in un secondo tempo, una serie di disposizioni che, spesso in modo incoerente, sono andate sovrapponendosi nel tempo, dettate dalle esigenze di volta in volta avvertite come più urgenti o più meritevoli, non di rado inserite in testi legislativi eterogenei (ad esempio il d.l. 5 ottobre 1993, n. 398, convertito in legge 4 dicembre 1993, n. 493, che, pur avendo quale oggetto principale l'accelerazione degli interventi a favore dell'occupazione, all'art. 4 disciplina contestualmente il procedimento per il rilascio della concessione edilizia, e quello per la denunzia di inizio attività)”.
Il quadro normativo che ne deriva, quindi, non può che essere frammentario, così da rendere estremamente difficile all’interprete la ricostruzione del sistema e l’individuazione della disciplina applicabile alle singole fattispecie. Correttamente, quindi, il Governo ha inteso cercare di riportare chiarezza in una materia essenziale qual è quella dell’edilizia.
Sempre in via preliminare va fatto qualche cenno in ordine ai problemi di costituzionalità del D.P.R. alla luce delle recenti modifiche dell’art. 117 della Costituzione a seguito della recente modifica. Il precedente testo dell’art. 117 statuiva che ogni Regione esercitava “nei limiti dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato” e purché la norma non fosse in contrasto con “l’interesse nazionale”.
Nel nuovo testo sono significativamente scomparsi i predetti riferimenti ed oggi le Regioni hanno un potere concorrente con lo Stato nell’ambito del “governo del territorio” potere che va esercitato “rispetto dei principi fondamentali” la cui determinazione è riservata alla legislazione dello Stato.
Tale diversa articolazione pone dei seri problemi di costituzionalità delle statuizioni del D.P.R. in esame (specie per le norme a carattere regolamentare) per cui sarà necessario attendere l’esito dei prevedibili conflitti che saranno sollevati.
Passando in rassegna la prima parte del Testo Unico ci si avvede che non poche novità sono state introdotte rispetto al passato. Di queste le più rilevanti sono sicuramente da una parte la riduzione dei titoli abilitativi dell’attività edilizia a due soltanto (permesso di costruire e dichiarazione d’inizio attività), con conseguente abrogazione dell’istituto dell’autorizzazione, e dall’altra l’abolizione della Commissione edilizia e la creazione di una nuova struttura, costituita dallo Sportello unico, analogamente a quanto già disposto dal D.P.R. n. 447 del 20 ottobre 1998 (recentemente riformato dal D.P.R. n. 440/2000 ).
Che poi i titoli abilitativi siano soltanto due è argomento che si presta a smentite come si vedrà in prosieguo.
3. Gli interventi edilizi.
L’art. 3 del Testo Unico da una definizione degli interventi edilizi oggetto della normativa in esso contenuta.
Sotto la sua lettera a) sono ricompresi gli “interventi di manutenzione ordinaria” definiti come gli interventi edilizi che riguardano le opere di riparazione, rinnovamento e sostituzione delle finiture degli edifici e quelle necessarie ad integrare o mantenere in efficienza gli impianti tecnologici esistenti.
Alla lettera b) sono individuati gli “interventi di manutenzione straordinaria”, qualificati come le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempre che non alterino i volumi e le superfici delle singole unità immobiliari e non comportino modifiche delle destinazioni di uso.
Alla lettera c) sono classificati gli “interventi di restauro e di risanamento conservativo”, definiti come gli interventi edilizi rivolti a conservare l'organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità mediante un insieme sistematico di opere che, nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell'organismo stesso, ne consentano destinazioni d'uso con essi compatibili. Tali interventi comprendono il consolidamento, il ripristino e il rinnovo degli elementi costitutivi dell'edificio, l'inserimento degli elementi accessori e degli impianti richiesti dalle esigenze dell'uso, l'eliminazione degli elementi estranei all'organismo edilizio.
Alla lettera d) sono definiti gli “interventi di ristrutturazione edilizia”, qualificabili come gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio, nonché l’eliminazione, la modifica e l’inserimento di nuovi elementi ed impianti. Nell’ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella demolizione e successiva fedele ricostruzione di un fabbricato identico, quanto a sagoma, volumi, area di sedime e caratteristiche dei materiali, a quello preesistente, fatte salve le sole innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica.
Si tratta in sostanza di una ripetizione delle definizioni degli interventi edilizi così come definiti nell’art. 31 della L. 457/78. Più interessante è invece il disposto della lettera e) che comprende quelli che sono sicuramente gli interventi di maggiore rilevanza, gli “interventi di nuova costruzione”, qualificabili come quelli di trasformazione edilizia e urbanistica del territorio non rientranti nelle categorie sopra illustrate. In via esemplificativa il legislatore ne elenca alcuni, quelli soprattutto che più dubbi, in vigenza del regime concessorio, avevano ingenerato negli interpreti e quindi:
e.1) la costruzione di manufatti edilizi fuori terra o interrati, ovvero l’ampliamento di quelli esistenti all'esterno della sagoma esistente, fermo restando, per gli interventi pertinenziali, quanto previsto alla lettera e.6);
e.2) gli interventi di urbanizzazione primaria e secondaria realizzati da soggetti diversi dal Comune;
e.3) la realizzazione di infrastrutture e di impianti, anche per pubblici servizi, che comporti la trasformazione in via permanente di suolo inedificato;
e.4) l’installazione di torri e tralicci per impianti radio-ricetrasmittenti e di ripetitori per i servizi di telecomunicazione;
e.5) l’installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee;
e.6) gli interventi pertinenziali che le norme tecniche degli strumenti urbanistici, in relazione alla zonizzazione e al pregio ambientale e paesaggistico delle aree, qualifichino come interventi di nuova costruzione, ovvero che comportino la realizzazione di un volume superiore al 20% del volume dell’edificio principale;
e.7) la realizzazione di depositi di merci o di materiali, la realizzazione di impianti per attività produttive all'aperto ove comportino l’esecuzione di lavori cui consegua la trasformazione permanente del suolo inedificato;
Da ultimo, la lettera f) del primo comma dell’art. 3 dispone che gli “interventi di ristrutturazione urbanistica” sono da intendersi come quelli rivolti a sostituire l’esistente tessuto urbanistico-edilizio con altro diverso, mediante un insieme sistematico di interventi edilizi, anche con la modificazione del disegno dei lotti, degli isolati e della rete stradale.
La finalità espressa del legislatore nel codificare queste categorie era quella di dare certezza, ricollegando ad ogni tipo di intervento un particolare titolo abilitativi. Così, ad esempio, anticipando quanto sarà meglio esposto più avanti, avrebbero dovuto essere sottoposti esclusivamente al permesso di costruire tutti gli interventi di cui alla lettera e) (interventi di nuova costruzione).
Il condizionale in questo caso è però d’obbligo in quanto, come si vedrà, la legge obiettivo, e la sua previsione del ricorso generalizzato alla d.i.a. dà la possibilità di procedere alla realizzazione di nuove costruzioni mediante d.i.a. purché venga dato atto della sussistenza di piani attuativi o strumenti urbanistici diversi contenenti previsioni di dettaglio analoghe a quelle dettate dai primi, con il progetto pienamente conforme alle prescrizioni contenute nei suddetti piani.
4. Attività edilizia libera
Prima di passare all’esame dei titoli abilitativi, è opportuno fare un breve cenno all’attività edilizia libera.
Sono interventi edilizi liberi, ai sensi dell’art. 6 del Testo Unico, e come tale non assoggettati ad alcun controllo, salva diversa disciplina regionale e ferma restando l’applicazione di normative settoriali che regolamentino la relativa fattispecie:
- gli interventi di manutenzione ordinaria di cui alla lettera a) dell’art. 3 del Testo Unico;
- gli interventi volti all’eliminazione di barriere architettoniche che non consistano in rampe o ascensori esterni all’edificio, ovvero in manufatti che alterino la sagoma dell’edificio;
- opere temporanee e provvisorie funzionali alla realizzazione di un’attività di ricerca nel sottosuolo che abbiano carattere geognostico o siano eseguite in aree esterne al centro edificato.
Vanno inoltre segnalate le disposizioni relative all’attività della P.A. (art. 7 T.U.) che viene per la prima volta compiutamente individuata e regolarmentata sottraendola in tal modo al regime del “permesso di costruire”.
Particolare rilievo assume poi il regime dell’attività edilizia in assenza di pianificazione urbanistica (art. 9) in cui il precedente disposto dell’ultimo comma dell’art. 4 L. 10/77 viene sostanzialmente modificato e gli interventi vengono ulteriormente limitati.
Gli interventi sull’esistente vengono limitati alle sole lettera a), b) e c) dell’art. 3 e limitati alle singole unità immobiliari (con esclusione quindi di interventi su interi edifici). Fuori del perimetro dei centri abitati (è sparito il riferimento all’art. 17 L. 765/67 ma il criterio dovrebbe restare quello) è previsto un indice di 0,03 mc./mq. mentre per gli interventi produttivi resta il rapporto di 1/10 di copertura.
Molto interessante (e preoccupante) è il II comma dell’art 9 dove si introduce il concetto di aree dotate di strumento urbanistico primario sfornite di strumento urbanistico secondario ove tale strumento costituisca il presupposto regolamentare per l’edificazione.
Sono quindi, in tale caso, consentiti solo gli interventi sull’esistente (compresa la ristrutturazione) purché riguardino singole unità immobiliari o parte esse. Non è chiaro se sia vietata la nuova edificazione in quanto il testo è ambiguo. Vi è poi la statuizione anomala e punitiva che lega gli interventi di ristrutturazione su interi edifici alla conversione circa il prezzo di vendita e locazione.
Viene poi sancito (pleonasticamente) anche l’obbligo di corrispondere il contributo concessorio.
5. Permesso di costruire.
Il capo II del Titolo II della Parte I del Testo Unico disciplina il permesso di costruire che viene a sostituire la concessione edilizia, con le precisazioni che si vedranno più avanti.
La modifica del nomen juris al titolo abilitativo all’attività edilizia non è una novità nel nostro ordinamento. La licenza di costruire (prima ancora, l’autorizzazione preventiva di cui all’art. 4 del r.d.l. 25 marzo 1935, n. 640), introdotta in via generale nel nostro ordinamento con l’art. 31 della legge 17 agosto 1942, n. 1150 aveva subito lo stesso trattamento quando, con la legge Bucalossi (legge 28 gennaio 1977, n. 10) veniva sostituita dalla concessione onerosa cui doveva essere subordinata “ogni attività comportante trasformazione urbanistica od edilizia del territorio comunale”.
E’ noto che la licenza di costruire aveva natura di autorizzazione e che la ratio che stava dietro alla modifica del nomen juris risiedeva nella volontà del legislatore di scindere lo jus aedificandi dal diritto di proprietà. E’ altresì noto anche che questo tentativo non ebbe successo in quanto da subito la Corte Costituzionale, con la nota sentenza n. 5 del 30 gennaio 1980 affermò che “il diritto di edificare continua ad inerire alla proprietà”, con ciò confermando che il cambio di nomen juris della licenza in concessione altro non era che una innovazione nominalistica e che, pertanto, permaneva in capo all’amministrazione il solo compito di accertare se sussistono i presupposti per il rilascio del titolo abilitativo, senza che in capo a questa residui alcun margine di discrezionalità.
E’ quindi proprio perché il termine concessione ha perduto la sua valenza originaria che l’Adunanza Generale del Consiglio di Stato, nell’esame dello schema di Testo Unico, ha ritenuto opportuno cambiare il nomen juris da dare al titolo abilitativo ed a preferito adottare, quale termine “che lasci intendere che lo ius aedificandi non discende dall’autorità che lo concede, essendo connaturato alla proprietà (o diritto equipollente), ma che al tempo stesso non revochi in dubbio che quel diritto è sottoposto, nell’interesse comune e per la salvaguardia di superiori valori, ad un regime di governo e controllo amministrativo, ancorché significativamente snellito e semplificato dalle riforme introdotte”, al posto della vecchia dizione “concessione onerosa”, il nuovo termine “permesso di costruire” (sulla falsariga del permis de construction ou de batir, mutuato dall’esperienza dell’ordinamento francese).
Con la nuova disposizione vengono tipizzate le attività assentibili prendendo coscienza del fatto che la previsione dell’art. 1 della legge n. 10/77 che subordinava a concessione edilizia tutte le attività comportanti trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio non ha più ragione di essere, individua una serie di “macrointerventi” di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio per i quali è necessario il permesso di costruire e che sono: a) gli interventi di nuova costruzione; b) gli interventi di ristrutturazione urbanistica; c) gli interventi di ristrutturazione edilizia che comportino aumento di unità immobiliari, modifiche del volume, della sagoma, dei prospetti o delle superfici, ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d’uso.
Le Regioni, poi, stabiliscono con legge quali mutamenti dell’uso di immobili o di loro parti, connessi o non connessi a trasformazioni fisiche, sono subordinati a permesso di costruire o a denuncia di nuova attività (e non più ad autorizzazione, come era previsto al comma 4 dell’art. 25 della legge 28 febbraio 1985, n. 47).
Anche questa volta nulla viene detto in merito alla necessarietà o meno di un titolo abilitativo per i mutamenti di destinazioni funzionali, cioè senza opere. In questo caso, come avveniva (avviene) nel regime precedente, tale intervento, se non esiste una normativa regionale che dica altrimenti, non è giuridicamente rilevante se non quando vi sia il passaggio fra due categorie funzionalmente autonome e, quindi, un diverso carico urbanistico.
Le Regioni, inoltre, possono individuare, con legge, ulteriori interventi da sottoporre al preventivo rilascio del permesso di costruire, e ciò tenendo conto dell’incidenza sul territorio e sul carico urbanistico del tipo di intervento. Chiaramente in questo caso la violazione della disposizione regionale non potrà comportare l’applicazione delle sanzioni penali previste dal successivo art. 44 del Testo Unico.
Dal combinato disposto degli artt. 11 e 13 del Testo Unico emerge poi che, così come era previsto per la concessione edilizia, il permesso di costruire è irrevocabile, oneroso e viene rilasciato dal dirigente o responsabile del competente ufficio comunale, nel rispetto delle leggi, dei regolamenti e degli strumenti urbanistici, al proprietario dell’immobile (e non più dell’area, come nell’art. 4, comma 1, della legge n. 10/77) o a chi abbia titolo per richiederlo.
Nulla essendo cambiato rispetto al passato si deve quindi considerare legittimato a presentare la domanda per ottenere il rilascio del permesso di costruire, oltre al proprietario, anche il titolare di altro diritto reale sull’immobile, limitatamente al contenuto del diritto vantato o al tipo di intervento, ovvero il titolare di un diritto di obbligazione che impegni o dia facoltà di eseguire i lavori [2].
Come detto, il permesso di costruire dovrebbe essere rilasciato nel rispetto delle leggi, dei regolamenti e degli strumenti urbanistici. E’ prevista però (art. 14) la possibilità del rilascio del permesso di costruire in deroga agli strumenti urbanistici generali (previo preliminare avviso dell’avvio del procedimento agli interessati) qualora si tratti di edifici ed impianti pubblici o di interesse pubblico, previa deliberazione del consiglio comunale, nel rispetto comunque delle disposizioni contenute nel decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490 e delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia. In questo caso, però, la deroga, nel rispetto delle norme igieniche, sanitarie e di sicurezza, potrà riguardare esclusivamente i limiti di densità edilizia, di altezza e di distanza tra i fabbricati di cui alle norme di attuazione degli strumenti urbanistici generali ed esecutivi, fermo restando in ogni caso il rispetto delle disposizioni di cui agli articoli 7, 8 e 9 del decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444. In questo caso, rispetto al passato, non è più necessario che la possibilità di deroga sia prevista dagli strumenti da derogare ne è più necessario il preventivo nulla osta della Regione.
Viene poi specificato, sempre all’art. 11, quello che prima era specificato solo per la concessione e per l’autorizzazione in sanatoria (cfr. art. 39, comma 2, legge 23 dicembre 1994, n. 724) e che comunque poteva comunque considerarsi principio pacifico, e cioè che il rilascio del permesso di costruire non comporta limitazione dei diritti dei terzi.
Con previsione innovativa viene poi disposto che il permesso di costruire è trasferibile, insieme all’immobile, ai successori o aventi causa. Esso non incide sulla titolarità della proprietà o di altri diritti reali relativi agli immobili realizzati per effetto del suo rilascio.
Il rilascio del permesso di costruire è comunque subordinato, analogamente a quanto era previsto prima per la concessione edilizia, alla esistenza delle opere di urbanizzazione primaria o alla previsione da parte del comune dell'attuazione delle stesse nel successivo triennio, ovvero all'impegno degli interessati di procedere all’attuazione delle medesime contemporaneamente alla realizzazione dell'intervento oggetto del permesso.
Al riguardo va sottolineato che il mantenimento del “contenuto” dell’art. 41 quinques della L. 765/67 e la non menzione della previa esistenza delle “opere di urbanizzazione secondaria” tra i presupposti del “permesso di costruire” pone la necessità di una seria riflessione anche alla luce di alcuni filoni giurisprudenziali.
Allo stesso modo, nulla è mutato per quanto riguarda le misure di salvaguardia: in caso di contrasto dell’intervento oggetto della domanda di permesso di costruire con le previsioni di strumenti urbanistici adottati, è sospesa ogni determinazione in ordine alla domanda. La misura di salvaguardia non ha efficacia decorsi tre anni dalla data di adozione dello strumento urbanistico, ovvero cinque anni nell’ipotesi in cui lo strumento urbanistico sia stato sottoposto all’amministrazione competente all’approvazione entro un anno dalla conclusione della fase di pubblicazione.
Questa statuizione va raccordata con l’attuale ordinamento costituzionale. Quindi il limite di legge ben potrà essere modificato (come è già avvenuto in passato) dalle singole regioni.
Viene poi introdotta la possibilità di un reingresso del sindaco nell’attività edilizia, dopo che le sue competenze in subjecta materia erano state affidate al dirigente dell’ufficio competente. E’ ora previsto che, a richiesta del sindaco, e per lo stesso periodo (si deve ritenere cinque anni, visto il soggetto cui viene fatta la richiesta), il presidente della giunta regionale, con provvedimento motivato da notificare all'interessato, può ordinare la sospensione di interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio che siano tali da compromettere o rendere più onerosa l'attuazione degli strumenti urbanistici.
Nulla è mutato rispetto al passato per quanto riguarda l’efficacia temporale e la decadenza del permesso di costruire. Nel permesso di costruire, così come nella concessione, sono indicati i termini di inizio e di ultimazione dei lavori.
Il termine per l’inizio dei lavori non può essere superiore ad un anno dal rilascio del titolo mentre quello di ultimazione non può superare i tre anni dall’inizio dei lavori. Entrambi i termini possono essere prorogati, con provvedimento motivato, per fatti sopravvenuti estranei alla volontà del titolare del permesso.
Decorsi tali termini il permesso decade di diritto per la parte non eseguita, tranne che, anteriormente alla scadenza venga richiesta una proroga. La proroga può essere accordata, con provvedimento motivato, esclusivamente in considerazione della mole dell’opera da realizzare o delle sue particolari caratteristiche tecnico-costruttive, ovvero quando si tratti di opere pubbliche il cui finanziamento sia previsto in più esercizi finanziari.
Nel caso in cui la proroga non venga concessa, la realizzazione della parte dell’intervento non ultimata nel termine stabilito resta subordinata al rilascio di nuovo permesso per le opere ancora da eseguire, salvo che le stesse non rientrino tra quelle realizzabili mediante denuncia di inizio attività. Se dovuto, si procederà al ricalcolo del contributo di costruzione.
Il permesso, come detto prima è irrevocabile ma decade con l’entrata in vigore di contrastanti previsioni urbanistiche, salvo che i lavori siano già iniziati e vengano completati entro il termine di tre anni dalla data di inizio.
6. Procedimento per il rilascio del permesso di costruire.
Sostanziali novità sono intervenute, come già anticipato, nel procedimento per il rilascio del permesso di costruire, disciplinato ora dagli artt. 20 e 21 del Testo Unico, entrambe norme di rango regolamentare.
L’introduzione dello sportello unico, l’eliminazione dell’obbligatorietà del parere della commissione edilizia (la cui sopravvivenza è peraltro rimessa all’autonoma scelta dei Comuni), la possibilità per il responsabile del procedimento di chiedere modifiche al progetto presentato (purché siano di lieve entità) nonché la previsione di una conferenza di servizi obbligatoria nel caso in cui sia necessario acquisire atti di assenso, comunque denominati, di altre amministrazioni, dovrebbe rendere più snello e veloce il procedimento amministrativo.
La domanda per il rilascio del permesso di costruire, sottoscritta da uno dei soggetti legittimati sopra meglio individuati, deve essere presentata allo sportello unico corredata da un’attestazione concernente il titolo di legittimazione, dagli elaborati progettuali richiesti dal regolamento edilizio, e quando ne ricorrano i presupposti, dagli altri documenti previsti dalla parte II, nonché da un’autocertificazione circa la conformità del progetto alle norme igienico-sanitarie nel caso in cui il progetto riguardi interventi di edilizia residenziale ovvero la verifica in ordine a tale conformità non comporti valutazioni tecnico-discrezionali…..
Entro dieci giorni dalla ricezione della domanda lo sportello unico comunica al richiedente il nominativo del responsabile del procedimento ai sensi degli articoli 4 e 5 della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni.
L’esame delle domande si svolge secondo l’ordine cronologico di presentazione, ma comunque, entro sessanta giorni[3] dalla presentazione della domanda, il responsabile del procedimento è tenuto a curare l’istruttoria, acquisendo, avvalendosi dello sportello unico, i prescritti pareri dagli uffici comunali, nonché i pareri dell’Asl e dei vigili del fuoco, sempre che gli stessi non siano già stati allegati alla domanda del richiedente e, valutata la conformità del progetto alle normativa vigente, formula una proposta di provvedimento, corredata da una dettagliata relazione, con la qualificazione tecnico giuridica dell’intervento richiesto.
In maniera innovativa rispetto al passato (anche se poi nella prassi operativa già si assisteva a questo tipo di richieste) il responsabile del procedimento, qualora ritenga che ai fini del rilascio del permesso di costruire sia necessario apportare modifiche di modesta entità rispetto al progetto originario, può, fino allo scadere dei sessanta giorni previsti per la formulazione della proposta di provvedimento, richiedere tali modifiche, illustrandone le ragioni. L’interessato si pronuncia sulla richiesta di modifica entro il termine fissato e, in caso di adesione, è tenuto ad integrare la documentazione nei successivi quindici giorni. La richiesta di modifica sospende, fino al relativo esito, il decorso del termine di sessanta giorni per la formulazione della proposta di provvedimento.
Il termine di sessanta giorni può essere interrotto una sola volta dal responsabile del procedimento, entro quindici giorni[4] dalla presentazione della domanda, esclusivamente per la motivata richiesta di documenti che integrino o completino la documentazione presentata e che non siano già nella disponibilità dell’amministrazione o che questa non possa acquisire autonomamente. In tal caso, il termine ricomincia a decorrere dalla data di ricezione della documentazione integrativa.
E’ importante che nella versione definitiva del Testo Unico sia stata recepita l’osservazione del Consiglio di Stato di motivare la richiesta, per evitare comportamenti dilatori o richieste indebite.
Il legislatore non ha chiarito se i termini sopra riportati siano o meno da considerare “perentori” però è da ritenere che gli stessi (come già in precedenza) siano da considerare perentori se non altro ai fini del compimento delle procedure per gli interventi abitativi.
Nell’ipotesi in cui, ai fini della realizzazione dell’intervento, sia necessario acquisire atti di assenso, comunque denominati, di altre amministrazioni, diverse da quelle di cui dalla A.S.L. o dai vigili del fuoco (cfr. art. 5, comma 3) il competente ufficio comunale convoca una conferenza di servizi ai sensi degli articoli 14, 14-bis, 14-ter, 14-quater della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni. Qualora si tratti di opere pubbliche incidenti su beni culturali, si applica l’articolo 25 del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490.
Non è specificato quale sia il competente ufficio comunale e, pertanto, resta il dubbio tra lo sportello unico e l’unità tecnica operativa chiamata ad eseguire l’istruttoria ed al rilascio del permesso.
E’ interessante come non sia stato fissato un termine per l’adozione del provvedimento finale da parte della conferenza di servizi. Nel silenzio della norma si deve ritenere che sia applicabile quanto disposto dall’art. 14ter della legge n. 241/90 che disciplina il procedimento della conferenza di servizi e prevede (salva l’ipotesi degli interventi sottoposti a V.I.A.) che la stessa si debba concludere nel termine di 90 giorni dalla sua indizione.
Come già previsto nell’art. 13 del Testo Unico e nel recente Testo Unico sugli Enti Locali (per quanto riguarda le competenze), il provvedimento finale è adottato dal dirigente o dal responsabile dell’ufficio entro quindici giorni dalla proposta del responsabile del procedimento ovvero dall’esito della conferenza di servizi. Il suddetto provvedimento deve essere notificato all’interessato da parte dello sportello unico e, in caso di rilascio ne viene data notizia al pubblico mediante affissione all’albo pretorio.
La dizione del testo ricalca le norme precedenti e quindi nulla innova circa la vecchia diatriba se il titolo in questione abbia o meno natura di atto ricettizio. Personalmente ritengo che l’atto non sia ricettizio e venga a giuridica esistenza al momento della sottoscrizione da parte del responsabile. La questione, come è ben noto agli operatori del diritto risiedenti nel Comune di Roma, non è priva di rilievo pratico atteso il comportamento più volte tenuto degli Uffici Comunali.
Il Testo Unico equipara la proposta del responsabile del procedimento con l’esito della conferenza di servizi; questa equiparazione, però, lascia un po’ perplessi. Nella conferenza di servizi, difatti, vengono assunti tutti gli atti di assenso necessari all’autorizzazione dell’intervento, ma non è escludibile a priori che il responsabile del procedimento possa voler comunque esprimere una propria valutazione negativa in merito alla legittimità dell’intervento proposto.
Qualora decorra inutilmente il termine per l’adozione del provvedimento conclusivo, sulla domanda di permesso di costruire si intende formato il silenzio-rifiuto.
In questo caso l’interessato può, con atto notificato o trasmesso in piego raccomandato con avviso di ricevimento, richiedere allo sportello unico che il dirigente o il responsabile dell’ufficio competente al rilascio del permesso, si pronunci entro quindici giorni dalla ricezione dell’istanza. Di tale istanza viene data notizia al sindaco a cura del responsabile del procedimento.
Resta comunque ferma la facoltà di impugnare in sede giurisdizionale il silenzio-rifiuto formatosi sulla domanda di permesso di costruire.
E’ dubbio se tale silenzio-rifiuto introduca una configurazione attizia del silenzio a fronte della quale l’impugnativa fuoriesca dallo schema dell’articolo 21 bis della legge sul processo amministrativo per assumere la natura di una ordinaria impugnazione di un atto tacito di rigetto.
Qualora lo si configuri come una figura di silenzio inadempimento, alla luce della decisione n. 1 del 9 gennaio 2002 dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, il giudice amministrativo, chiamato a giudicare nelle forme del rito accelerato sul silenzio, potrà dichiarare l’obbligo della P.A. di provvedere sull’istanza del privato che l’ha vista inerte, ma non potrà sostituirsi ad essa nella erogazione del bene della vita richiesto attraverso la mediazione dell’attività provvedimentale pubblica.
Viceversa, qualora lo si qualifichi come atto tacito di rigetto, potrà trovare applicazione quella giurisprudenza formatasi in casi analoghi quali il silenzio formatosi sulla domanda di accertamento di conformità (“sanatoria”) ai sensi dell’articolo 13 della legge 47 del 1985, a mente della quale “il mancato riscontro, entro il termine di sessanta giorni, della domanda di concessione o di autorizzazione edilizia in sanatoria presentata dagli interessati in conformità alle previsioni dell'art. 13 della legge 28 febbraio 1985 n. 47 configura una fattispecie di silenzio-diniego, avendo il legislatore attribuito a tale circostanza di fatto l'effetto legale tipico della risposta negativa, e la detta implicita risposta negativa non si sottrae alla censura di difetto di motivazione, essendo priva di qualsiasi giustificazione e costituendo palese violazione dell’obbligo di provvedere che fa carico al Comune” (tra le tante, cfr. Tar Campania, Napoli, sez. IV, 22 dicembre 2000 n. 4825; id., 12 gennaio 2000 n. 39).
E’ comunque sintomatico (e la questione merita l’opportuno risalto) che il legislatore non abbia voluto receperire il suggerimento posto al riguardo dall’A.G. del C.S. nel suo parere del 29.3.2001 in cui veniva sottolineato che fosse a favore del privato la possibilità di ricorrere contro il silenzio rifiuto al termine di un procedimento così lungo e complesso comportasse, in sostanza, un peggioramento della tutela sin qui accordata al privato.
L’Adunanza Generale suggeriva di sostituire il silenzio rifiuto con il silenzio assenso salvo i successivi provvedimenti di autotutela. I soliti “borlonici” (absit imini verbo) hanno mantenuto fermo l’impianto originario attribuendo al cittadino una tutela meramente formale.
Nel caso in cui decorra inutilmente il termine fissato nella richiesta di riesame, l’interessato può inoltrare, nei termini e secondo le modalità fissate dalla Regione (così come previsto dall’art. 13, comma 2, T.U.), richiesta di intervento sostitutivo al competente organo regionale, il quale, nei successivi quindici giorni, nominerà un commissario ad acta che provvederà nel termine di sessanta giorni. Trascorso inutilmente anche quest’ultimo termine, sulla domanda di intervento sostitutivo si intende formato il silenzio-rifiuto.
7. Denuncia di inizio attività.
La novità più rilevante, di carattere sostanziale, introdotta dal Testo Unico consiste nella riduzione dei titoli abilitativi all’edificazione a due solamente: permesso di costruire e denuncia di inizio attività, con la conseguente eliminazione della figura dell’autorizzazione edilizia, introdotta dalla legge 5 agosto 1978 n. 457 per gli interventi di manutenzione straordinaria e in seguito estesa ad altri tipi di attività.
Al riguardo va comunque osservato che il disposto della L. 421/201 fa rivivere l’autorizzazione. Sul punto va quindi sollecitato un intervento di chiarificazione e/o collegamento.
Questo “alleggerimento” dei provvedimenti abilitativi all’edificazione è senz’altro da ricondurre a quel trend legislativo iniziato alla fine degli anni ‘70 e volto alla maggiore semplificazione e allo snellimento procedimentale.
Come già evidenziato, il sistema derivante dall’art. 31 della legge n. 1150/42 prima, e dalla legge Bucalossi poi, ove “ogni attività comportante trasformazione urbanistica od edilizia del territorio comunale” era sottoposta a concessione edilizia ha subito, nel corso degli anni, una progressiva erosione.
Non è inutile pertanto riepilogare brevemente quelle che possono considerarsi le tappe principali dello spiegarsi del processo di liberalizzazione degli interventi edilizi minori:
a. l’articolo 48 della legge 5 agosto 1978 n. 457 (norme per l’edilizia residenziale), che realizza uno snellimento delle procedure per l’esecuzione di opere di manutenzione straordinaria (passaggio dalla concessione all’autorizzazione);
b. la legge di conversione 25 marzo 1982 n. 94 del D.L. 23 gennaio 1982 n. 94 che introduce un regime semplificato per il rilascio della concessione edilizia. Il suo articolo 7 assoggetta alla più snella procedura del silenzio assenso o dell’autorizzazione gratuita gli interventi di risanamento conservativo, di restauro, le opere costituenti pertinenze od impianti tecnologici al servizio di impianti già esistenti, le occupazioni di suolo pubblico mediante deposito di materiale, le opere di demolizione etc.;
c. l’articolo 26 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, che consente l’esecuzione di qualsivoglia opera interna – tale da non modificare le sagome, i prospetti, la volumetria, la superficie e il numero di unità immobiliari – con la semplice presentazione di una relazione tecnica asseverata;
d. l’articolo 7 della legge 9 gennaio 1989, n. 13, che estende l’ambito di applicazione dell’art. 7 della citata legge n. 94/82 a quegli interventi volti al superamento ed all’eliminazione di barriere architettoniche negli edifici privati, consistenti in rampe, ascensori e manufatti che alterano la sagoma dell’edificio ed alle operazioni finalizzate alla realizzazione di parcheggi privati da realizzare nei locali siti al piano terreno o nel sottosuolo di fabbricati e destinati a pertinenza delle singole unità immobiliari ai sensi dell’articolo 9, comma 2 della L. n. 112 del 1989;
e. la legge 7 agosto 1990, n. 241, che presenta alcuni aspetti fortemente innovativi proprio sotto l’aspetto della semplificazione procedimentale, con la generalizzazione degli istituti della denuncia, del silenzio-assenso, della partecipazione e dell’accesso. L’articolo 19 della norma in parola, come modificato dall’articolo 2, comma 10 della legge n. 537/93, difatti, riconosce ai privati la facoltà di intraprendere l’esercizio di un’attività sulla base di una mera denuncia, la cd. dichiarazione sostitutiva, senza dover conseguire il prescritto titolo autorizzativo, in tutti i casi in cui l’esercizio dell’attività del privato sia subordinato, sulla base di un mero accertamento di presupposti e requisiti legislativi, ad autorizzazione, licenza, abilitazione, nulla osta, permesso o altro consenso comunque denominato. In tali casi, spetta alla P.A. competente, entro e non oltre sessanta giorni dalla denuncia, verificare d’ufficio la sussistenza dei presupposti e dei requisiti di legge richiesti e, eventualmente, disporre, con provvedimento motivato da notificare all’interessato entro il medesimo termine, il divieto di prosecuzione dei lavori e il ripristino dello status quo ante, salvo che l’interessato provveda a conformare, ove ciò sia possibile, detta attività alla normativa vigente entro il termine fissato dalla P.A. stessa.
L’articolo 20 della legge generale sul procedimento, informato, al pari dell’articolo 19, ad un’ottica di liberalizzazione dell’attività dei privati e di miglioramento del rapporto tra P.A. e cittadini, opera una sostanziale generalizzazione dell’istituto del silenzio assenso, disponendo l’individuazione tramite apposito regolamento, dei casi in cui la domanda di rilascio di un provvedimento autorizzatorio, cui sia subordinato l’esercizio di un’attività privata, si considera accolto qualora la P.A. non comunichi al privato entro un determinato termine il diniego motivato;
f. l’articolo 2, comma 60 della legge 2 dicembre 1996, n. 662 (e successive modifiche),che sottopone ulteriori interventi costruttivi (recinzioni, mura di cinta, cancellate, destinazione di aree ad attività sportive senza creazione di volumetrie, etc.) alla presentazione della semplice denuncia di inizio attività.
Il Testo Unico appare quindi come la naturale prosecuzione di un iter legislativo che vede sempre con maggiore favore la liberalizzazione degli interventi cd. “minori”, lasciando al più oneroso (in tutti i termini) permesso di costruire l’abilitazione degli interventi più rilevanti.
Ed è sempre in quest’ottica che il legislatore ha, come già evidenziato, deciso di passare da un sistema caratterizzato da una tripartizione dei provvedimenti abilitativi all’edificazione (concessione edilizia, autorizzazione edilizia e denuncia inizio attività) ad uno ove i titoli abilitativi sono (o dovrebbero essere) solo due: il permesso di costruire per i cd. “macro interventi” e la denuncia inizio attività per gli interventi minori.
Come si vedrà, tale prospettazione potrebbe essere purtroppo vanificata dalla legge 21 dicembre 2001, n. 443 (c.d. “Legge obiettivo”), che in maniera scoordinata ha innovato marcatamente nella materia disciplinata dal Testo Unico, riutilizzando impropriamente termini quali concessione edilizia ed autorizzazione (che quindi pare essere “resuscitata”), apportando delle modifiche immediate e sostanziali al regime della d.i.a. ed assoggettando ulteriori interventi edilizi a tale procedura.
Per ragioni di chiarezza espositiva, comunque, le due norme verranno esaminate di seguito separatamente, cercando, ove possibile, di fare i dovuti richiami e l’opportuna ricostruzione interpretativa.
8. Gli interventi sottoposti a denuncia inizio attività nel Testo Unico.
Nel Testo Unico l’istituto della d.i.a. è disciplinato nella Parte I, Titolo II, Capo III, agli articoli 22 e 23.
Il Testo Unico riconduce all’istituto della d.i.a, disciplinato in via generale dall’articolo 19 della legge n. 241/90 e successive modificazioni, le ipotesi di interventi edilizi “minori” .
L’articolo 22 del Testo Unico enumera gli interventi subordinati alla presentazione della d.i.a., distinguendo varie ipotesi.
In primis, il primo comma dispone che sono assoggettati a d.i.a. “gli interventi non riconducibili all’elenco di cui all’articolo 10 e all’articolo 6”. In questa ipotesi, lo schema seguito dal legislatore nella determinazione dell’ambito di operatività della d.i.a non è, quindi, quello dell’enumerazione espressa dei singoli interventi, ma quello della loro individuazione in via residuale: così, risultano realizzabili mediante d.i.a. sia le opere non riconducibili all’articolo 10 (interventi assoggettati al permesso di costruire) sia le opere non riconducibili all’articolo 6 (attività edilizia libera, non subordinata ad alcun titolo abilitativo).
A tal riguardo, è opportuno sottolineare che la legislazione regionale può incidere sugli interventi sia di cui all’articolo 6 (attività edilizia libera, non subordinata ad alcun titolo abilitativo) sia di cui all’articolo 10 (interventi assoggettati al permesso di costruire), sicché la valutazione circa la disciplina applicabile deve, di volta in volta, compiersi in concreto alla luce anche della disciplina regionale vigente.
Possono essere fatti rientrare nell’ipotesi di cui al primo comma dell’art. 22, salvo quanto sopra in tema di legislazione regionale:
- le ipotesi previste dall’articolo 4 del D.L. n. 398 del 1993 (interventi minori);
- gli interventi interni di cui all’articolo 26 della legge n. 47/85;
- gli altri interventi già sottoposti al regime autorizzatorio (pertinenze, impianti tecnologici al servizio di edifici esistenti e così via).
Il secondo comma dell’art. 22 individua, quale ulteriore serie di interventi sottoposti a d.i.a., “le varianti a permessi di costruire che non incidono sui parametri urbanistici e sulle volumetrie, che non modificano la destinazione d’uso e la categoria edilizia, non alterano la sagoma dell’edificio e non violano le eventuali prescrizioni contenute nel permesso di costruire”.
Sono poi sottoposti al regime della d.i.a., ai sensi del comma 3 dell’art. 22, la realizzazione degli interventi indicati nei primi due commi, anche se incidenti su immobili “sottoposti a tutele storico-artistica o paesaggistico-ambientale” purché l’interessato denunciante acquisisca dall’amministrazione competente in via preventiva il parere o l’autorizzazione necessari richiesti dalla normativa relativa.
Ulteriore novità è rappresentata dal comma 4 dell’articolo 22 che introduce la possibilità in capo alle amministrazioni comunali di assoggettare a contributo di costruzione le tipologie di intervento realizzabili con d.i.a.: spetta alle Regioni il compito di individuare con legge le tipologie, definire criteri e parametri per la relativa determinazione.
Nel sistema legislativo precedente all’emanazione del Testo Unico, la questione circa la sottoposizione o meno a contributo di costruzione degli interventi edilizi eseguibili previa d.i.a. era molto controversa. L’articolo 4, comma 10 del D.L. n. 389 del 1993, limitandosi a disporre che “l’esecuzione delle opere per cui sia esercitata la facoltà di d.i.a. ai sensi dell’articolo 7 è subordinata alla medesima disciplina definita dalle norme nazionali e regionali vigenti per le corrispondenti opere eseguite su rilascio di concessione edilizia” , risultava ambiguo e dava luogo a due distinte (rectius, opposte) linee interpretative, l’una propendente per la gratuità, l’altra per l’onerosità degli interventi in questione.
Alla luce del Testo Unico, si può oggi sostenere che gli interventi edilizi sottoposti a d.i.a. siano gratuiti salvo eventuali leggi regionali che dispongano altrimenti. Anche su questo punto va segnalata l’esigenza di un raccordo con le norme sulla “superatia” che invece prevedono l’avversità.
Nulla invece il T.U. dispone circa gli oneri di urbanizzazione.
Il quinto comma dell’articolo 22 introduce il principio secondo il quale il privato può optare per la richiesta del permesso di costruire anche nel caso di intervento assoggettato a d.i.a.. E’ chiaro comunque, e la norma lo prevede espressamente, che se l’interessato decide di chiedere il permesso di costruire in luogo della d.i.a. non subirà per questo l’applicazione del regime sanzionatorio previsto all’articolo 44 del T.U. edilizia. D’altra parte la tipicità del reato penale altro non avrebbe potuto comportare.
La disposizione relativa alla non applicabilità delle sanzioni, di cui all’articolo 44, appare funzionalizzata ad eliminare alla radice incertezze interpretative e ad evitare probabili contrasti giurisprudenziali, statuendo chiaramente il semplice ma non sempre ovvio principio secondo cui il soggetto che esercita la facoltà attribuitagli dalla legge di richiedere il rilascio del permesso edilizio dalla p.a. competente, non è, per questo penalmente perseguibile.
9. Gli interventi sottoposti a d.i.a. nella legge obiettivo (cd. “superdia”)
La d.i.a. codificata con la legge 21 dicembre 2001, n. 443 riprende una impostazione, in precedenza già utilizzata da alcune regioni (Lombardia e Toscana), volta all’allargamento dei casi sottoposti alla procedura di inizio attività.
Trend regionale che in passato aveva subito la reazione della giurisprudenza maggioritaria il cui orientamento era quello di affermare che le regioni non possono limitare il campo d’azione delle concessioni edilizie ed estendere quello delle d.i.a.[5].
L’entrata in vigore della legge obiettivo “consente di superare tutti gli ostacoli giuridici e, conseguentemente, di realizzare concretamente e velocemente i progetti-obiettivo...” (Relazione al disegno di Legge originario presentato il 3 agosto 2001 dal Governo Berlusconi) facilitando il rilancio degli investimenti nel settore delle infrastrutture.
Il governo si propone di deflazionare i procedimenti edilizi: esclusi i procedimenti edilizi più complessi che meritano e necessitano una istruttoria espressa, per gli altri è sufficiente la denuncia inizio attività asseverata dalla dichiarazione di un progettista abilitato, superando lungaggini e ostacoli burocratici.
La legge obiettivo intende, quindi, codificare una denuncia inizio attività che va a coprire anche quegli interventi che sono assoggettati a concessione edilizia (rectius, permesso di costruire) che, di conseguenza vede restringersi il suo ambito di applicazione.
Ai sensi del comma 6 dell’articolo 1 della legge obiettivo, “in alternativa a concessioni e autorizzazioni edilizie, a scelta dell’interessato, possono essere realizzati, in base a semplice denuncia di inizio attività: a) gli interventi edilizi minori, di cui all’articolo 4, comma 7, del citato decreto legge 23 ottobre 1993, n. 398”.
Questa disposizione è confermativa della disciplina previgente, contenuta proprio nel D.L. n. 398/93, relativa a una serie di interventi edilizi minori (opere di manutenzione straordinaria, restauro, risanamento conservativo; interventi volti alla eliminazione delle barriere architettoniche in edifici esistenti consistenti in rampe o ascensori esterni, o manufatti che alterano la sagoma dell’edificio; recinzioni, muri di cinta e cancellate; aree destinate all’attività sportiva senza creazione di volumetria; opere interne di singole unità immobiliari che non comportino modifiche della sagoma e dei prospetti e non rechino pregiudizio alla statica dell’immobile e, limitatamente a determinati immobili, non modifichino la destinazione d’uso; revisione o installazione di impianti tecnologici al servizio di edifici o di attrezzature esistenti e realizzazione di volumi tecnici richiesti come indispensabili da nuove disposizioni; varianti a concessioni edilizie già rilasciate che non incidano su parametri urbanistici e sulle volumetrie, che non cambino la destinazione d’uso e la categoria edilizia e non alterino la sagoma e non violino le prescrizioni dettate nella concessione edilizia stessa; parcheggi di pertinenza nel sottosuolo del lotto su cui insiste il fabbricato).
Sempre ai sensi dell’art. 1, comma 6, della legge obiettivo, possono essere realizzati, in base a semplice denuncia di inizio attività “b) le ristrutturazioni edilizie, comprensive della demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma. Ai fini del calcolo della volumetria non si tiene conto delle innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica; c) gli interventi ora sottoposti a concessione, se sono specificamente disciplinati da piani attuativi che contengano precise disposizioni plano-volumetriche, tipologiche, formali e costruttive, la cui sussistenza sia stata esplicitamente dichiarata dal consiglio comunale in sede di approvazione degli stessi piani o di ricognizione di quelli vigenti. Relativamente ai piani attuativi che sono stati approvati anteriormente all’entrata in vigore della presente legge, l’atto di ricognizione dei piani di attuazione deve avvenire entro trenta giorni dalla richiesta degli interessati; in mancanza si prescinde dall’atto di ricognizione, purché il progetto di costruzione venga accompagnato da apposita relazione tecnica nella quale venga asseverata l’esistenza di piani attuativi con le caratteristiche sopra menzionate”.
La disposizione di cui alla lettera sub c) dell’art. 1, comma 6, assoggetta quindi a mera denuncia di inizio attività tutti gli interventi attualmente sottoposti a regime concessorio, a condizione però che essi siano dettagliatamente disciplinati da piani attuativi contenenti precise disposizioni planovolumetriche, tipologiche, formali e costruttive. La norma richiede, in particolare, che la suddetta condizione venga dichiarata esplicitamente in sede di approvazione o ricognizione dei piani vigenti. Sotto quest’ultimo aspetto, gli atti di ricognizione dei piani attuativi approvati ante legem, devono essere adottati entro il termine massimo di trenta giorni dalla richiesta dell’interessato. In caso di mancata ricognizione, l’intervento è realizzabile egualmente con d.i.a. accompagnata da una relazione tecnica contenente, tra l’altro, un asseverazione della sussistenza dei piani attuativi aventi le predette caratteristiche.
Non è specificato quale sia il soggetto deputato a tale ricognizione ma i primi commentatori[6] si sono orientati nel ritenere che tale atto debba essere compiuto dal consiglio comunale. In tal caso, però, i 30 giorni previsti dalla norma appaiono sinceramente pochi e il meccanismo introdotto dalla norma in esame, funzionalizzato ad aggirare gli ostacoli alla realizzazione dell’opera edilizia eventualmente discendenti dall’inerzia serbata dalla amministrazione, rischia di diventare fonte di abusi edilizi e controversie amministrative. Non è difficile immaginare, ad esempio, un fiorire di d.i.a. e di conseguenti interventi edilizi, con successive richieste di sanatoria ex art. 13 della legge n. 45/87.
Ulteriore ipotesi di interventi sottoposti alla denuncia di inizio attività è contenuta nella lettera d) del più volte citato comma 6 dell’art. 1. Questo dispone che possono essere realizzati, in base a semplice denuncia di inizio attività “i sopralzi, le addizioni, gli ampliamenti e le nuove edificazioni in diretta esecuzione di idonei strumenti urbanistici diversi da quelli indicati alla lettera c), ma recanti analoghe previsioni di dettaglio”.
Si da atto che la poco chiara terminologia usata dal legislatore - “strumenti urbanistici diversi” – con alta probabilità creerà complessi problemi interpretativi circa la portata della previsione.
La legge obiettivo, al comma 7 dell’articolo 1, ribadisce che “nulla è innovato quanto all’obbligo di versare il contributo commisurato agli oneri di urbanizzazione ed al costo di costruzione”. Dalla disposizione chiaramente si evince che a prescindere dal titolo abilitativo, sono sempre dovuti gli oneri se previsti dalla normativa vigente in materia edilizia.
Resta ferma la possibilità di ricorrere alla d.i.a. anche in presenza di imposizione di vincoli, così come era stato previsto d’altra parte anche nel Testo Unico: anche in questo caso la realizzazione degli interventi è subordinata al rilascio del preventivo parere o autorizzazione richiesti dalla vigente normativa, con particolare riferimento alle le disposizioni di cui al decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490.
Infine il comma 11, dell’art. 1 della legge obiettivo dispone l’abrogazione del comma 8 dell'articolo 4 del D.L. 23 ottobre 1993, n. 398 che sottoponeva la facoltà di procedere a d.i.a. solo se ricorrevano determinate condizioni, consistenti nella mancanza di sottoposizione ai vincoli e alle disposizioni di cui alle Leggi 1089/1939 (“Tutela delle cosse di interesse artistico e storico”), 1497/1939 (“Protezione delle bellezze naturali”), 394/1991 (“Legge quadro sulle aree protette”), nella mancata soggezione alle disposizioni di cui all’articolo 1bis del D.L. 312/1985, e nella mancata sottoposizione, a opera degli strumenti urbanistici, a discipline espressamente volte alla tutela delle caratteristiche paesaggistiche, ambientali, storico-archeologiche, storico-artistiche, storico-architettoniche e storico-testimoniali.
Viene meno così un ulteriore limite alla possibilità di ricorrere alla d.i.a., eliminando quelle condizioni – precedentemente previste – che ostacolavano, in molte ipotesi, l’ambito di operatività dell’istituto.
In conclusione, non soltanto le ristrutturazioni edilizie potranno effettuarsi con denuncia, ma anche le nuove edificazioni, a condizione che le loro caratteristiche tipologiche e costruttive siano oggetto di previsioni di dettaglio previste in piani attuativi dello strumento urbanistico generale.
La mera previsione di tali piani attuativi consente di prescindere dalla fase istruttoria volta al rilascio della concessione edilizia, con definitiva conseguente soppressione della necessaria preventiva verifica da parte delle amministrazioni della conformità del progetto edilizio alle previsioni del piano attuativo, rimettendo tale valutazione al privato denunciante, coadiuvato dal progettista, con loro conseguente assunzione delle relative responsabilità, mediante autocertificazione.
10. La procedura della d.i.a. prevista dal Testo Unico e quella prevista dalla legge obiettivo.
Per quanto riguarda la procedura da seguire per la d.i.a., mentre il Testo Unico, sia pur con una disposizione di rango regolamentare (art. 23), disciplina puntualmente i vari passaggi del procedimento, nella legge obiettivo si ignora il problema e si rinvia, evidentemente, alla disciplina prevista dalla legge n. 662/96 (ed a questa si dovrà fare riferimento nel periodo intertemporale tra il 10 aprile 2002 e l’entrata in vigore del Testo Unico, che comunque, in mancanza di provvedimenti normativi “riparatori”, non potrà incidere sul termine di 20 giorni fissato al comma 9 dell’art.1 della legge obiettivo che disciplina l’ipotesi degli interventi su immobili vincolati).
Le conseguenze non sono gravi anche se ciò implica delle spiacevoli disarmonie, soprattutto per quanta riguarda la tempistica.
La disciplina fissata nel Testo Unico prende le mosse dalle previsioni dettate dall’articolo 4, commi 8bis, 9, 11, 14 e 15 del D.L. n. 398 del 1993 e successive modificazioni e riprende la normativa generale di cui alla legge n. 241 del 1990 in materia di conferenza dei servizi.
Ai sensi del comma 1 dell’articolo 23, l’interessato che abbia titolo per effettuare la denuncia, deve presentare almeno 30 gg. prima dell’effettivo inizio dell’attività, denuncia allo sportello unico. L’allungamento del termine rispetto al passato trova spiegazione nel maggior numero di interventi assentibili tramite d.i.a. che richiede, di conseguenza, tempi più lunghi per consentire il controllo dell’amministrazione comunale in ordine alla conformità dell’opera denunciata alla normativa vigente in materia.
In questo arco temporale, il dirigente, o il responsabile del procedimento del ufficio comunale competente, nel caso riscontri l’assenza di una o più condizioni normativamente stabilite, notifica all’interessato denunciante ordine motivato di non iniziare l’intervento; nell’ipotesi, poi di riscontrata falsa attestazione del professionista progettista informa l’autorità giudiziaria competente e il consiglio dell’ordine di appartenenza.
L’ordine di blocco dei lavori può essere comunque superato se la d.i.a. viene ripresentata con le modifiche o le integrazioni necessarie per renderla conforme alla normativa urbanistica e edilizia.
La denuncia deve essere accompagnata dagli opportuni elaborati progettuali e da una dettagliata relazione a firma di un progettista abilitato che asseveri la conformità delle opere da realizzare agli strumenti urbanistici adottati o approvati ed ai regolamenti edilizi vigenti, nonché il rispetto delle norme di sicurezza e di quelle igienico-sanitarie, ed inoltre dall’indicazione dell’impresa a cui si intende affidare i lavori (comma 2 dell’articolo 23).
Il progettista, inoltre, dovrà emettere un certificato di collaudo finale che attesti la conformità dell’intervento realizzato al progetto presentato e tale certificato dovrà essere consegnato allo sportello unico per l’edilizia.
A fronte dello snellimento procedurale ottenuto dall’ampliamento dell’ambito di operatività della d.i.a. il Testo Unico introduce un aggravamento della responsabilità del progettista che assume la qualità di persona esercente un servizio di pubblica necessità, esposto, nel caso di dichiarazioni non veritiere, a responsabilità sia sotto il profilo penale sia sotto quello professionale (artt. 59 e 481 c.p.).
Decorso il termine dei 30 gg., nel silenzio dell’amministrazione comunale competente, si possono iniziare i lavori.
L’interessato ha l’obbligo di comunicare al Comune la data di ultimazione dei lavori.
La denuncia vanta una validità massima di 3 anni ed i lavori non ultimati entro tale termine possono essere eseguiti solo previa ripresentazione di nuova denuncia, se ancora possibile, relativa ai lavori ancora da effettuare.
Se l’intervento incide su immobile sottoposto a vincolo la cui tutela compete alla stessa amministrazione comunale, il termine dei 30 gg. decorre dalla data del rilascio dell’atto di assenso. Di conseguenza, se tale atto è sfavorevole, la denuncia è priva di effetti (articolo 23, comma 3).
Qualora, la tutela del vincolo compete ad altra amministrazione, l’interessato può interpellare preventivamente la P.A. preposta al vincolo ed allegare alla presentazione della d.i.a. il parere favorevole; altrimenti, se manca tale allegazione, è onere del competente ufficio comunale convocare la Conferenza dei servizi (l.241 del 1990); il termine dei 30 gg. decorre dal giorno dall’esito (favorevole) della conferenza. Se l’esito della conferenza è negativo la d.i.a. è priva di effetti (articolo 23, comma 4).
La legge obiettivo, sul punto, riprende la stessa impostazione del Testo Unico ma anziché 30 giorni il termine è ridotto a 20 giorni.
Il comma 5 dell’articolo 23 indica la documentazione che deve ritenersi necessaria e sufficiente a comprovare la sussistenza del titolo alla esecuzione degli interventi edilizi: disposizione diretta, quindi non solo al privato che realizza l’opera edilizia attraverso d.i.a., ma ovviamente anche agli organi di vigilanza sulla legittimazione dei privati a realizzare i lavori di costruzione.
Il comma 6 dell’articolo 23 prevede, nell’ipotesi di riscontrata assenza delle condizioni richieste per la realizzazione dei lavori denunciati, la possibilità per il competente ufficio comunale di notificare al privato denunciante un ordine motivato di non esecuzione dell’intervento stesso (salve le eventuali ulteriori conseguenze sul piano penale e deontologico a carico del professionista che abbia falsamente asseverato la correttezza dei lavori).
La suddetta notifica deve avvenire entro il termine di trenta giorni indicato dal comma 1 dell’articolo 23. Decorso questo termine, si ritiene (alla luce del parere dell’Adunanza generale del Consiglio di Stato 3/2001) che l’amministrazione competente possa agire per inibire l’esecuzione di un’opera “non in regola”, nell’esercizio del proprio potere di autotutela, qualora siano presenti le condizioni elaborate da consolidata giurisprudenza per l’adozione dei provvedimenti di specie. Queste, ad oggi, sono costituite dalla presenza di una illegittimità e di un interesse pubblico specifico e attuale alla rimozione differente dal mero ripristino della legalità.
![]()
[1] Per un primo esame delle problematiche collegate alla proroga si veda Bosetti “Problemi di interferenza temporale tra la legge n. 443 del 2001 (legge obiettivo) e la legge n. 448 del 2001 (legge finanziaria) dopo l'entrata in vigore della legge n. 463 del 2001, di conversione del decreto-legge n. 411 del 2001, che differisce al 30 giugno 2002 l'entrata in vigore del d.P.R. n. 380 del 2001 (Testo unico edilizia) e del d.P.R. n. 327 del 2001 (Testo unico espropri)”, su www.bosettiegatti.com e da ult. CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III PENALE - Sentenza 4 marzo 2002*, in www.lexitalia.it con nota di G. VIRGA, Piccoli (e grandi) pasticci legislativi ed il paradosso del T.U. edilizia.
[2] Cons. Stato, V, 23 giugno 1997, 699, in Cons. Stato, 1997, I, 754; Cass. Pen, III, 16 maggio 1983, in Cass. Pen., 1984, 2034.
[3] Il termine è di 120 giorni nel caso in cui il comune abbia più di 100.000 abitanti o il progetto sia particolarmente complesso, secondo la motivata risoluzione del responsabile del procedimento (art. 20, comma 8, T.U.).
[4] Il termine è di 30 giorni nel caso in cui il comune abbia più di 100.000 abitanti o il progetto sia particolarmente complesso, secondo la motivata risoluzione del responsabile del procedimento (art. 20, comma 8, T.U.).
[5] Cfr. Cass. pen., sez. III, 23 gennaio 2001 n. 204; Cass. pen., sez. III, 25 gennaio 2001 n. 263. Naturalmente queste sentenze sono pre riforma costituzionale.
[6] E. Statizzi, Per costruire basta la denuncia di inizio attività, in Guida al Diritto, 2002, 1, 43; R. Murra, La denuncia di inizio attività, atti al Convegno di studi “Il Testo Unico per l’edilizia. Contributi, interpretazioni e commenti”, Roma, 16 gennaio 2002.
![]()
Sul T.U. edilizia v. in questa Rivista:
G. CICCIÒ, Gli interventi edilizi minori e la semplificazione delle relative procedure.
A. SCOLA, Le sanzioni amministrative e penali nei principali abusi edilizi.
G. SAPORITO, Discrezionalità tecnica e buona amministrazione.
G. DE MARCHI, Prime osservazioni al T.U. in materia di edilizia.
S. GNONI, Risarcimento del danno in materia di edilizia.
D.P.R. 6 giugno
2001, n. 380 (in G.U. n. 245 del 20 ottobre 2001 - Suppl. Ordinario n.
239 - in vigore dal 1° gennaio 2002) - Testo unico delle disposizioni
legislative e regolamentari in materia edilizia. (Testo A).
CONSIGLIO DI STATO, ADUNANZA GENERALE - Parere 29 marzo 2001 n. 3/2001.
LEGGE 31 dicembre 2001, n. 463 (in G.U. n. 7 del 9-1-2002 - testo coordinato) che ha prorogato al 30 giugno 2002 non solo l'entrata in vigore del T.U. espropriazioni per p.u. ma anche quella del T.U. edilizia.
CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III PENALE - Sentenza 4 marzo 2002* (il T.U. edilizia ha avuto vigore dal 1° al 9 gennaio 2002 mentre la L. 463/01 ne ha solo differito l’entrata in vigore al 30 giugno 2002; le disposizioni in materia di denuncia di inizio attività previste dall’art. 1, commi 6-13, della c.d. legge obiettivo entreranno in vigore nelle regioni a statuto ordinario il 12 aprile 2002), con nota di G. VIRGA, Piccoli (e grandi) pasticci legislativi ed il paradosso del T.U. edilizia.