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ROBERTO ECCETTUATO
![]()
In assenza di altri riferimenti, le sentenze e i commenti di seguito citati sono consultabili nella presente rivista.
Vorrei
preliminarmente evidenziare un dato che emerge dalla giurisprudenza e dalla
dottrina che si occupano della risarcibilità del danno deravante dalla lesione
di un interesse legittimo: mi riferisco alla generalizzata tendenza a trascurare
il problema della (possibile ed invero frequente) coesistenza, in capo al
soggetto destinatario di un provvedimento amministrativo, di un diritto
soggettivo e di un interesse legittimo tra loro correlati a fronte dello stesso
potere amministrativo [1]:
come cercherò di dimostrare nel prosieguo, si tratta di un fenomeno che riveste
invece una rilevanza fondamentale e, a mio giudizio, decisiva.
Credo che quello della
risarcibilità della lesione di interessi legittimi sia un falso problema o, se
si preferisce, un problema mal posto. Ciò in relazione sia agli interessi
legittimi oppositivi (o statici o di difesa), per i quali era ammessa la tutela
risarcitoria già prima di Cass., s.u., 22 luglio 1999 n. 500, sia a quelli
pretensivi (o dinamici o di pretesa [2],
rispetto ai quali la citata sentenza presenta gran parte del suo contenuto
innovativo.
Alla luce degli artt. 24,
103 e 113 Cost. è assolutamente pacifica la natura sostanziale dell’interesse
legittimo [3];
non si può del pari dubitare che l’interesse legittimo abbia la stessa dignità
del diritto soggettivo e che quindi sia uno strumento di tutela degli interessi
sostanziali giuridicamente rilevanti altrettanto satisfattivo [4].
Ma, a mio sommesso avviso, è altresì certo che tutto ciò non comporta
necessariamente la risarcibilità del danno derivante dalla lesione di un
interesse legittimo, vale a dire, la responsabilità della p.a. per lesione di
interessi legittimi [5].
In linea con una parte
della dottrina, ritengo che la struttura stessa dell’interesse legittimo (id
est, la sua tutela procedimentale) e il tipo di tutela giurisdizionale ad
esso riconosciuta dall’ordinamento ne precludano inesorabilmente la tutela
risarcitoria.
In ordine al primo
profilo, sulla scorta della tanto celebre quanto generalmente accettata
definizione di M. Nigro [6],
si afferma comunemente che l’interesse legittimo consiste di poteri di
partecipazione e collaborazione (all’esercizio del potere amministrativo nel
corso del procedimento amministrativo) nonchè di poteri di reazione (in via
amministrativa o giurisdizionale, al provvedimento finale che il titolare
dell’interesse legittimo reputa illegittimamente lesivo della sua sfera
giuridica): consiste, cioè, (solo) di poteri strumentali o indiretti, e non
(anche) di poteri finali o dispositivi in ordine all’utilità sostanziale o
bene della vita che dell’interesse legittimo (sostanziale) costituisce il
substrato materiale, atteso che il conseguimento di detta utilità (il
soddisfacimento della pretesa o interesse sostanziale)
è interamente rimesso alla p.a., di norma libera di decidere l’an
e il quomodo dell’esercizio del potere che le compete [7];
perciò si suole affermare che a fronte dell’interesse legittimo vi è una
situazione attiva, la potestà della p.a. [8].
Di conseguenza, il titolare di un interesse legittimo pretensivo che dia vita e
partecipi a un procedimento ammininistrativo per ottenere una concessione
edilizia, non ha la garanzia che gli venga assentita, così come il titolare di
un interesse legittimo oppositivo il quale partecipi al procedimento di
esproprio avente ad oggetto un immobile di sua proprietà, non ha la garanzia di
non subire poi l’ablazione del proprio diritto dominicale; e in entrambi i
casi la mancata soddisfazione dell’interesse legittimo potrebbe essere
perfettamente legittima, ossia potrebbe non integrare una lesione in senso
giuridico.
Quanto
al secondo aspetto, la tutela processuale dell’interesse legittimo (salvi i
casi di giurisdizione estesa al merito) si risolve nel mero annullamento del
provvedimento illegittimamente lesivo e non garantisce il soddisfacimento
dell’interesse sostanziale sottostante all’interesse legittimo: infatti la
p.a. potrebbe de plano adottare un
nuovo diniego di concessione edilizia e un altro decreto di esproprio, emendati
dai vizi (non necessariamente solo formali) accertati dal giudice
amministrativo, comunque ancora lesivi (ma solo in linea di fatto)
dell’interesse legittimo del privato.
Benchè alquanto diffuse,
le precedenti considerazioni non inducono i più a rispondere negativamente al
seguente quesito: è dogmaticamente corretto ritenere risarcibile, in linea
generale, la lesione di una situazione soggettiva (giuridicamente protetta, ma)
di cui l’ordinamento non assicura mai (o quasi [9])
la tutela per così dire finale, vale a dire la realizzazione dell’interesse
sostanziale che ne costituisce il substrato? A chi invece, come lo scrivente, dà
una risposta negativa, si potrebbe obiettare che la tutela risarcitoria degli
interessi legittimi è ammessa non solo dalla prevalente dottrina e ormai dalla
Suprema Corte, ma, in alcune materie, anche de iure condito: peraltro, come proverò a dimostrare alla fine di
queste brevi riflessioni, si tratta di un’obiezione non insuperabile.
Ritengo
che ai fini di una corretta impostazione e soluzione del problema della c.d.
risarcibilità della lesione di interessi legittimi non si possa prescindere dai
certamente noti, ma forse non sufficientemente approfonditi, «fenomeni
interessanti e complicati di “coesistenza” e di “successione” di diritti
soggettivi e di interessi legittimi» [10].
L’interesse
legittimo, pretensivo od oppositivo, spesso coesiste con un diritto soggettivo
in capo allo stesso soggetto a fronte dello stesso potere amministrativo [11].
Talora l’interesse legittimo, oppositivo o pretensivo, è correlato solo ad
uno status o ad un’aspettativa o
ancora, genericamente, alla capacità giuridica di un soggetto [12].
Penso
si possa affermare che il titolare di un diritto soggettivo c.d. sospensivamente
condizionato (o, con altra
terminologia, fievole ab origine o in
attesa di espansione [13])
sia sempre titolare anche di un interesse legittimo pretensivo, cioè di un
interesse sostanziale all’adozione del provvedimento amministrativo
ampliativo [14],
con la conseguenza che l’illegittimo diniego del provvedimento ampliativo lede
sia l’interesse legittimo pretensivo sia il diritto soggettivo sospensivamente
condizionato (e cioè gli interessi materiali sottesi ad entrambe le situazioni
giuridiche soggettive) [15].
Come negare che l’illegittimo diniego di una concessione edilizia violi non
soltanto l’interesse legittimo pretensivo ma anche lo ius aedificandi e quindi il diritto di proprietà cui questo
inerisce [16]? Come disconoscere che
l’imprenditore al quale venga illegittimamente rifiutata una licenza
commerciale subisca non solo la lesione dell’interesse legittimo pretensivo ma
anche un tangibile vulnus al diritto
di impresa o iniziativa economica privata [17]?
Parimenti,
il titolare di un diritto soggettivo risolutivamente condizionato, vale a dire
“degradabile” dalla p.a. [18],
è sempre titolare anche di un interesse legittimo oppositivo, di un interesse
sostanziale, cioè, a che non venga adottato nei suoi confronti un provvedimento
amministrativo restrittivo; di conseguenza, l’illegittimo provvedimento
restrittivo (ablatorio o di ritiro o sanzionatorio) incide sia sull’interesse
legittimo oppositivo sia sul diritto soggettivo risolutivamente condizionato (e
cioè sugli interessi sostanziali costituenti il substrato delle due situazioni
soggettive). Come negare, ad es., che un illegittimo decreto di esproprio lede
non solo l’interesse legittimo oppositivo ma anche il diritto
di proprietà cui quello è correlato a fronte del potere espropriativo
della p.a.?
Se
le osservazioni precedenti (non prive di autorevoli ispiratori [19])
sono esatte, possono costituire la premessa per ammettere una tutela aquiliana
nei confronti della p.a. più estesa (rispetto alla giurisprudenza anteriore a
Cass., s.u., 500/1999, cioè in relazione agli interessi legittimi pretensivi)
anche prescindendo dal riconoscimento della risarcibilità degli interessi
legittimi.
Suppongo che sia già
risultato da quanto detto finora, ma mi preme precisare che, a mio giudizio,
l’irrisarcibilità del danno derivante dalla lesione di un interesse legittimo
discende dalla struttura di questa posizione soggettiva e dalle forme di tutela
procedimentale e processuale che l’ordinamento prevede per essa; non può
invece essere fondata sulla mancanza del requisito dell’ingiustizia del danno,
ossia sul presupposto, invero indimostrato, che il danno ingiusto (rectius,
la condotta che lo cagiona), rilevante ai sensi dell’art. 2043 c.c., debba
essere non solo non iure ma anche contra ius (cioè lesivo di un diritto soggettivo), come finalmente
ha ammesso la Suprema Corte.
Sviluppando le considerazioni
precedenti, si può dire che ogni qual volta in capo al soggetto
parte di un procedimento amministrativo coesistono un diritto soggettivo e un
interesse legittimo (pretensivo od oppositivo), fra loro correlati e
contrapposti al potere che in quel procedimento si esplica,
il provvedimento che illegittimamente incide sull’interesse legittimo
determina anche la lesione del diritto soggettivo, cioè causa due danni; di
essi risulta però risarcibile soltanto quello derivante dalla lesione del
diritto soggettivo, l’unica delle due situazioni di vantaggio cui
l’ordinamento garantisce la piena tutela, id
est la realizzazione dell’interesse sostanziale sottostante [20].
Mi sembra che una conferma
dell’assunto per cui solamente la lesione del diritto soggettivo è in effetti
risarcibile si possa inferire dalla giurisprudenza anteriore a Cass., s.u.,
500/1999, che accordava la tutela risarcitoria ai soli interessi legittimi
oppositivi ([21]).
In caso di lesione di un interesse legittimo oppositivo e di contestuale
“degradazione” (rectius,
estinzione totale o parziale) del diritto soggettivo ad esso correlato, la
giurisprudenza ordinaria, sia di merito che di legittimità, era fermissima nel
subordinare la tutela risarcitoria al preventivo annullamento del provvedimento
sfavorevole da parte del giudice amministrativo ([22])
(salvo che il privato contestasse alla p.a. di aver emesso un atto in carenza di
potere – in astratto o in concreto – o comunque inesistente/nullo in quanto
privo di un elemento essenziale). Ciò sul presupposto dell’efficacia
imperativa (e quindi “degradatoria”, salvi i casi di nullità/inesistenza)
del provvedimento amministrativo e dell’effetto rispristinatorio
dell’annullamento dell’atto sfavorevole, con conseguente “rinascita” o
“riespansione” del diritto soggettivo e accesso alla tutela aquiliana per il
danno medio tempore patito dal privato. Se è certamente vero che la
pregiudiziale amministrativa veniva affermata anche a causa dell’equazione
danno ingiusto = lesione di un diritto soggettivo (come non ha potuto evitare di
riconoscere Cass., s.u., 500/1999), mi sembra altresì di tutta evidenza che, in
realtà, ciò che il giudice ordinario risarciva, era (soltanto) il danno
derivante dalla lesione del diritto soggettivo correlato all’interesse
legittimo oppositivo, e non (anche) il danno (pure sussistente) originato dalla
lesione dell’interesse legittimo oppositivo.
L’adesione alla tesi qui
sostenuta è incompatibile con l’esistenza del diritto al risarcimento del
danno ingiusto, derivante dall’art. 2043 c.c., autonomo e distinto
dall’interesse giuridicamente rilevante leso dalla p.a., affermata da Cass.,
s.u., 500/1999 [punto 10 a) della motivazione] [23].
Si tratta ora di vedere
come si possa superare la già accennata, prevedibile, obiezione secondo la
quale la responsabilità aquiliana della p.a. per lesione di interessi legittimi
è positivamente sancita, anche se non in linea generale ma solo in determinate
materie, sia da disposizioni comunitarie che
da disposizioni nazionali, di trasposizione delle stesse e non.
In
ordine alle disposizioni nazionali si può rilevare che, invero, né l’art. 13
della l. 19 febbraio 1992 n. 142 [24]
(e quindi nemmeno le disposizioni che vi hanno fatto rinvio), né l’art. 35
comma 1 del d.lgs. 31 marzo 1998 n. 80 [25],
hanno (almeno non a chiare lettere) affermato la risarcibilità della lesione di
interessi legittimi. La tesi contraria non può trovare conforto nella littera
legis, dal momento che entrambe le norme parlano semplicemente di
“risarcimento del danno (ingiusto)”, e quindi, a ben vedere, nulla tolgono e
nulla aggiungono a quanto previsto dall’art. 2043 c.c. [26].
Neppure la ratio legis può costituire
un valido supporto per l’interpretazione che qui si respinge: è anzi
difficile sfuggire alla sensazione che il legislatore non avesse alcuna
intenzione di risolvere il problema della risarcibilità degli interessi
legittimi; quale significato dare alla riproposizione della formula dell’art.
2043 c.c. se non quello di “scaricare la patata bollente” alla
giurisprudenza e alla dottrina? Se il legislatore voleva veramente mutare il
diritto vivente consacrato da una giurisprudenza forse non più
“pietrificata” [27]
ma comunque ancora consolidata, perché mai ha utilizzato le stesse parole della
norma su cui tale giurisprudenza si è sempre fondata, anziché dichiarare esxpressis
verbis che la lesione di un interesse legittimo è fonte di danno
risarcibile? Meno ancora si può fare ricorso al criterio sistematico, per
sostenere l’opzione esegetica qui censurata, giacchè si tratta di
disposizioni settoriali.
Il
diffuso, contrario, convincimento poggia sull’esatta affermazione che in
materia di appalti pubblici, servizi pubblici, urbanistica ed edilizia, il
privato di fronte alla p.a. è titolare di interessi legittimi: ma da una
premessa esatta non discende necessariamente una conclusione esatta, soprattutto
qualora la premessa non rappresenti tutta la realtà. Infatti, nelle ricordate
materie, il privato è altresì titolare di diritti soggettivi, e anche nei confronti delle pubbliche autorità che amministrano
appalti, che svolgono Leistungsverwaltung,
che pianificano e controllano la gestione del territorio: sono il diritto
d’impresa, il diritto alla salute, il diritto alla libertà di movimento, il
diritto di proprietà, ecc., tutti di sicuro rilievo costituzionale (artt. 41,
32, 16 e 42 Cost.). Atteso che le disposizioni citate non indicano l’oggetto
della tutela risarcitoria che accordano agli amministrati (non diversamente
dall’art. 2043 c.c.), quale ostacolo impedisce di ritenere che tale oggetto
sia costituito proprio dai richiamati diritti soggettivi?
Quanto
alle disposizioni comunitarie, si afferma comunemente che l’ordinamento
comunitario, cui è ignota la distinzione tra diritti soggettivi e interessi
legittimi, “spinge” nel senso della risarcibilità degli interessi
legittimi, ad esempio con le note direttive in materia di appalti pubblici. Ma,
proprio perché in ambito comunitario non sono conosciuti gli interessi
legittimi, sembra possibile ritenere che in effetti il diritto comunitario e la
giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (che di quello,
oltre che custode, è fonte) impongono agli Stati membri di estendere la tutela
(non soltanto) risarcitoria verso i pubblici poteri; e allora il primato del
diritto comunitario sul nostro ordinamento, lungi dall’implicare
necessariamente la risarcibilità degli interessi legittimi (sostanziali), si
potrebbe garantire affermando la
responsabilità aquiliana della p.a. per tutti i danni ingiusti che essa cagiona
agli amministrati incidendo illegittimamente su posizioni di diritto soggettivo
correlate a situazioni di interesse legittimo, pretensivo ed oppositivo:
l’incremento di tutela risarcitoria che ne deriverebbe sarebbe rilevante (ed
eviterebbe al nostro Stato ulteriori condanne in sede comunitaria), se si pensa
a un sistema che prima di Cass., s.u., 500/1999, salvo poche materie, ammetteva
la risarcibilità dei soli danni derivanti dalla illegittima lesione di
interessi legittimi oppositivi, rectius, del diritti soggettivi ad essi collegati a fronte dei
poteri autoritativi della p.a.
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[1]
Non mancano naturalmente alcune eccezioni al suddetto trend:
p.es., in giurisprudenza, v. Trib.
Isernia, ord. 28 giugno 1996, e C. cost., ord. 8 maggio 1998 n.
165; in dottrina, cfr. A. ANGELETTI,
Il risarcimento degli interessi
legittimi e la Corte Costituzionale: un’ammissibilità rinviata a miglior
occasione, nota alla cit. ordinanza del giudice delle leggi.
[2]
Com’è noto, la distinzione più utilizzata in dottrina e in
giurisprudenza, cioè quella tra interessi legittimi oppositivi e pretensivi,
si deve a M. NIGRO,
Giustizia
amministrativa, Bologna, II
ediz., 1979, 131-132 (113 nella IV ediz. postuma del 1994 a cura di A. Nigro
ed E. Cardi, cui si riferiscono tutte le successive citazioni); ad essa
corrispondono quella tra interessi legittimi dinamici e statici, proposta da
G. GRECO,
L’accertamento autonomo del rapporto
nel giudizio amministrativo, Milano, 1980, 1 s., e quella tra interessi
legittimi di pretesa e di difesa, adottata da F. BRIGNOLA,
Profili istituzionali di diritto
pubblico, Napoli, 1983, 410 s. Peraltro, come è stato osservato da G. VIRGA,
Il giudice dormiente e la risarcibilità del danno derivante dalla
lesione di interessi legittimi, ai fini della responsabilità della
p.a. per lesione di interessi legittimi appare assai più rilevante la
distinzione tra interessi legittimi sostanziali (o diretti) e interessi
legittimi formali (o strumentali o indiretti), che risulta essere
“trasversale” a quelle testè richiamate (in tal senso, v. S. GIACCHETTI,
L’interesse legittimo alle soglie del
2000, § 4 e 5).
[3]
Rectius, degli interessi legittimi (oppositivi o pretensivi)
sostanziali, di quegli interessi legittimi, cioè, che sottendono un
interesse materiale tutelato dall’ordinamento. Non appare predicabile la
natura sostanziale per gli interessi legittimi (anch’essi oppositivi o
pretensivi) formali, a cui sono riconducibili i c.d. interessi illegittimi
(in tal senso sembra lecito interpretare TAR Sicilia - Catania, sez. III,
ord. 15 gennaio 1999 n. 70, e C.G.A., 14 agosto 1995 n. 269, in Cons.
Stato, 1995, I, 1145, richiamata da G. VIRGA,
Il giudice dormiente, cit.,
nota 23); e pare potersi escludere la natura sostanziale anche degli
interessi legittimi partecipativi. Circa gli interessi legittimi c.d.
procedimentali, merita di essere condiviso il prevalente indirizzo
dottrinale che nega loro autonomia e li riconduce agli altri tipi di
interesse legittimo, argomentando trattarsi di pretese (o di poteri)
intrinseci ad essi: cfr., ex multis,
M. NIGRO,
Giustizia, cit., 114; S. GIACCHETTI,
L’interesse legittimo, cit., §
4.5; F. G. SCOCA,
Contributo sulla figura
dell’interesse legittimo, Milano, 1990, 34; V.
CAIANIELLO,
Manuale di diritto processuale amministrativo, Torino, 1994, 175
(nota 11) e 178; ne consegue che la natura (formale o sostanziale) di questi
interessi sarebbe variabile.
[4]
O financo più satisfattivo, come ha ritenuto C.cost., ord. 21 luglio 1988
n. 867, con nota di G. VIRGA,
Interessi legittimi e diritti soggettivi: una distinzione ancora utile per
conseguire una maggiore tutela, in considerazione del penetrante controllo
sulla discrezionalità amministrativa esercitato dal giudice amministrativo
(tramite il sindacato sulle varie figure sintomatiche di eccesso di potere)
e della vieppiù crescente tutela cautelare che lo stesso
giudice concede agli interessi
legittimi
(v. la recente
T.A.R.
Abruzzo, sez. Pescara, ord. 23
settembre 1999 n. 342).
[5]
La natura extracontrattuale di siffatta responsabilità è stata revocata in
dubbio, fra gli altri, da M. PROTTO,
È
crollato il muro della irrisarcibilità delle lesioni di interessi
legittimi: una svolta epocale?, che ne ipotizza una natura «latu
sensu contrattuale, discendente da violazioni poste in essere dalla p.A.
nell’ambito di rapporti senza
obbligo primario di prestazione»: così, S. VENEZIANO,
Il sistema della Giustizia Amministrativa dopo il D.Leg.vo n. 80/98 e la
sentenza delle SS.UU. della Corte di Cassazione n. 500/99, in www.diritto.it
al richiamo
della nota 7.
[6]
Cfr. M. NIGRO,
Giustizia, cit., 96: «la
posizione di vantaggio fatta ad un soggetto dell’ordinamento in ordine ad
una utilità oggetto di potere amministrativo e consistente
nell’attribuzione al medesimo soggetto di poteri atti ad influire sul
corretto esercizio del potere, in modo da rendere possibile la realizzazione
della pretesa all’utilità» (nell’ultima edizione dell’opera
curata dall’Autore –
la III, del 1983
– si parlava di
“bene” anziché di
“utilità”); tale definizione
è stata oggetto di interessanti e persuasive osservazioni da parte di S. GIACCHETTI,
L’interesse
legittimo, cit., § 2 e 3.
[7]
Cfr. F. G. SCOCA,
Contributo, cit., 36-37; R. ALESSI,
L’illecito e la responsabilità
civile degli enti pubblici, Milano,
1972, 74 (e passim), rileva che «l’interesse
legittimo garantisce solo l’utilità strumentale della legittimità del
provvedimento amministrativo»; E. CAPACCIOLI,
Interessi legittimi e risarcimento del danno, in Diritto
e processo. Scritti vari di diritto pubblico, Padova, 1978, 100 s.,
afferma che «la garanzia di risultato vantaggioso in concreto esorbita
dalla sfera dell’interesse legittimo».
[8]
Anche se si
tratta di un potere
- dovere, ossia di un potere ex
lege funzionalizzato al perseguimento di uno specifico
interesse
pubblico; ma si tratta di un
dovere (verso l’ordinamento) e non di un obbligo (a tutela specifica
dell’interesse individuale, predicabile nel caso del diritto soggettivo);
in ragione di ciò, l’interesse legittimo viene anche definito come situazione
inattiva: cfr. F.
G.
SCOCA,
Contributo, cit., 30; V. CERULLI
IRELLI,
Corso di diritto amministrativo,
To, 1994, 360.
[9]
Non mi sfugge la circostanza che si sostenga che, in alcuni casi, il
legittimo esercizio del potere amministrativo porta necessariamente alla
soddisfazione dell’interesse materiale sotteso all’interese legittimo
(sostanziale), o, altrimenti detto, che
in certi casi l’interesse legittimo consente al suo titolare non solo di
ottenere che l’azione amministrativa si svolga legittimamente, ma anche di
conseguire l’utilità finale avuta di mira; in tali ipotesi l’accertata
illegittimità del provvedimento sfavorevole darebbe senz’altro accesso
alla tutela risarcitoria: cfr. M. NIGRO,
Giustizia, cit., 94; G. GRECO,
La responsabilità civile
dell’amministrazione e dei suoi agenti, in AA.VV., Diritto amministrativo, Bologna, 1993, II, 1414. Tali asserzioni,
benchè autorevoli, non sembrano condivisibili: salvo errore, nei casi
richiamati il potere della p.a. può ben dirsi vincolato a tutela precipua
od esclusiva del privato, sicchè in capo al medesimo è ravvisabile un
diritto soggettivo, non un interesse legittimo pretensivo teso
all’ottenimento del provvedimento ampliativo; quanto agli interessi
legittimi oppositivi, riesce difficile immaginare che il legittimo esercizio
di un potere amministrativo di tipo ablatorio possa mai importare la
soddisfazione dell’interesse legittimo oppositivo del privato.
[10] Così M. NIGRO, Giustizia, cit., 131. Tali “fenomeni” esplicano effetti, tanto dirompenti quanto raramente evidenziati, anche su quello che è (sempre più solo nella Costituzione, stante l’inarrestabile espansione della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo) il generale criterio di riparto della giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo: inespresso ma sicuro presupposto del criterio della causa petendi o del petitum sostanziale è che la p.a. abbia violato una sola situazione soggettiva del privato, sicchè la contitolarità di diritto soggettivo e di interesse legittimo, e quindi la possibile lesione di entrambi, “mette in crisi” il criterio stesso; M. NIGRO, Introduzione alla tavola rotonda sulla responsabilità per lesione di interessi legittimi (Roma, 24 aprile 1982), in Foro amm., 1982, 1672, e in Mario Nigro. Scritti giuridici, Milano, 1995, III, 1489, ha detto: «Si badi: l’argomento della coesistenza delle situazioni di diritto soggettivo e di interesse legittimo è un pozzo, a voler guardare in fondo del quale vengono le vertigini. A premere troppo questo pedale, salta addirittura l’intero sistema di discriminazione delle giurisdizioni»; v. anche F.G. SCOCA, Riflessioni sui criteri di riparto delle giurisdizioni (ordinaria e amministrativa), in Dir. proc. amm, 1989, 596 (in nota): «se si parte dall’idea (che sembra diffusamente condivisa) che ogni volta che l’amministrazione esercita un potere autoritativo il privato è titolare di un interesse legittimo … Allorché la vicenda sostanziale consiste nella estinzione (o riduzione), per effetto di un provvedimento, di un diritto soggettivo, sussistono contemporaneamente i presupposti per affermare entrambe le giurisdizioni».
[11] Tanto si è acquisito nella critica del fenomeno di c.d. degradazione o affievolimento del diritto soggettivo inciso da un provvedimento restrittivo, inteso dalla giurisprudenza come trasformazione del diritto soggettivo in interesse legittimo; oltre a Scoca, cit. nella nota precedente, v. G. TRAVAGLINO, Il commento, nota a Cass., s.u., 12106 e 11173 del 1995, in Corr. giur., 1996, IX, 1052: «ogni diritto soggettivo, quando entri in rapporti con la P.A., è accompagnato a (e dunque non si trasforma in) un interesse legittimo, secondo modalità di innegabile coesistenza delle due situazioni» (corsivo dell’Autore), con l’esatta precisazione (1053, nota 14) che ciò non significa «che ad ogni situazione di interesse legittimo corrisponda una collegata posizione di diritto soggettivo, esistendo chiaramente vicende in cui l’unica forma di riconoscimento dell’ interesse materiale privato è proprio la prima». L’esistenza, accanto al diritto soggettivo inciso dalla p.a. nell’esercizio del potere discrezionale (c.d. diritto affievolito), di un interesse legittimo, inciso dall’illegittimo esercizio di quello stesso potere, era già stata affermata dalla dottrina più risalente: cfr. A. AMORTH, Figura giuridica e contenuto del diritto subiettivo affievolito, in Scritti giuridici in onore di Santi Romano, II, Padova, 1940, 213-214; P. GASPARRI, Lezioni di diritto amministrativo, I, Bologna, 1948, 187 s.; G. GUARINO, Potere giuridico e diritto soggettivo, in Rass. dir. pubb., 1949, 295 s.; v. inoltre R. ALESSI, L’illecito e la responsabilità civile degli enti pubblici, Milano, 1972, 75 s.
[12] Per gli interessi legittimi pretensivi v. A. M. SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo, Napoli, 1989, I, 135. In ordine a quelli oppositivi M. NIGRO, Giustizia, cit., 89-90 osserva: «non è vero che “a monte” dell’interesse legittimo vi sia sempre un diritto soggettivo: ciò è vero solo per una categoria di interessi legittimi – quelli collegati ad un’attività espropriativa di beni o diritti del privato, o in generale, gli interessi di tipo oppositivo», precisando peraltro che «non c’è dubbio che sussistano interessi oppositivi non accompagnati da diritti soggettivi» (113). Nelle stesso senso, v. anche V. CAIANIELLO, Manuale, cit., 180: «per gli interessi di tipo oppositivo che insorgono per effetto di una attività ablatoria, la posizione legittimante, sia nel procedimento amministrativo che nel processo giudiziale, si identifica con la titolarità del preesistente diritto soggettivo estinto o ridotto in conseguenza dell’esercizio del potere ablatorio. Per gli interessi di tipo oppositivo nei confronti di una attività amministrativa dal cui esercizio derivi un sacrificio alla sfera individuale di un soggetto come riflesso dell’attribuzione di determinate utilità ad altri soggetti (esempio: situazione di chi si assuma leso per effetto di una autorizzazione rilasciata ad altri soggetti), la posizione legittimante può innestarsi o nella titolarità di un diritto soggettivo o di uno status o genericamente nella capacità del soggetto; la titolarità di tali situazioni non è però sufficiente a radicare la sussistenza di un interesse legittimo, occorrendo altresì un elemento di collegamento con la fattispecie cui si riferisce l’attività amministrativa presa in considerazione».
[13] O di un diritto soggettivo risolutivamente condizionato ma con una facoltà “in attesa di espansione”: è il caso del diritto di proprietà e dello ius aedificandi (anche se la giurisprudenza – ritengo impropriamente – reputa lo ius aedificandi un interesse legittimo pretensivo fin da Cass., s.u., 20 febbraio 1965 n. 283, in Foro amm., 1965, I, 158 s., come ricorda M. PROTTO, È crollato il muro della irrisarcibilità, cit., nota 40, cui rinvio per altri riferimenti). Com’è noto, le fortunate formule “in attesa di espansione” e “fievole ab origine” si devono a A. M. SANDULLI, di cui v. il Manuale, cit., I, 116 s.
[14] Così, per esempio, al proprietario di un terreno edificabile il quale intenda esercitare lo ius aedificandi, fanno capo un interesse sostanziale avente ad oggetto il fondo, protetto come diritto soggettivo, e un interesse sostanziale ad ottenere la concessione edilizia, protetto come interesse legittimo pretensivo.
[15] Purché al rilascio del provvedimento favorevole non ostassero altri motivi, diversi da quelli indicati nel provvedimento di diniego (scilicet, legittimi): cfr. A. M. SANDULLI, Manuale, cit., II, 1177-1178; ID., Relazione alla tavola rotonda cit. in nota 10, in Foro amm., 1982, 1693; R. ALESSI, L’illecito, cit., 80; R. GALLI, Corso di diritto amministrativo, Torino, 1994, 82.
[16]
Giacchè la concessione
edilizia introdotta dalla l.
28 gennaio 1977 n.
10
(c.d.
legge
Bucalossi),
nonostante il nomen
iuris, è un provvedimento autorizzatorio in senso stretto, esattamente
come la “vecchia” licenza edilizia prevista dalla
l. 1150/1942: C.cost. 30 gennaio 1980, n. 5, in Giur. cost., 1980, I, 40.
[17] Così V. CERULLI IRELLI, Corso, cit., 681.
[18] In quanto ex lege esposto al potere ablatorio della p.a., che può estinguerlo, ridurne il contenuto, impedirne o limitarne l’esercizio; o al suo potere di autotutela, che può tradursi nella revoca di un precedente provvedimento ampliativo; o ancora al suo potere sanzionatorio, che si può manifestare nella pronuncia di decadenza da una concessione (che non è atto di ritiro, bensì provvedimento sanzionatorio: v. A. M. SANDULLI, Manuale, cit., I, 718, e II, 789-790). Quanto precede non vale, va da sé, per quei diritti fondamentali che la giurisprudenza ritiene non “degradabili” dalla p.a., come il diritto alla salute e/o ad un ambiente salubre (v. Cass., s.u., 9 marzo 1979, n. 1463, in Giur. it., 1979, I, 1, 721; Cass., s.u., 6 ottobre 1979, n. 5172, in Giur. it., 1980, I, 1, 464 e 859).
[19]
Ispirazione e conferme ho trovato in E. CAPACCIOLI,
Interessi legittimi e risarcimento dei danni, cit., 100 s., E.
CANNADA
BARTOLI,
Il diritto soggettivo come presupposto dell’interesse legittimo,
in Riv. trim. dir. pubb., 1953,
348 s., e P.
VIRGA,
Diritto amministrativo,
Milano,
1995,
II
-
Atti e ricorsi,
184
s.,
ma anche in Nigro, Giannini, Scoca,
Sandulli e Alessi.
[20]
In questi termini, R. ALESSI,
L’illecito, cit. 70 s.
[21] Com’è noto, la giurisprudenza ha sempre concesso la tutela risarcitoria a fronte di provvedimenti illegittimamente incidenti su posizioni di interesse legittimo oppositivo correlate a diritti soggettivi derivanti direttamente dalla legge o da contratto, laddove il riconoscimento della risarcibilità degli interessi legittimi oppositivi correlati a diritti soggettivi costituiti o “espansi” da provvedimenti amministrativi ampliativi, qualora illegittimamente eliminati da successivi atti di ritiro, risale a due decenni fa (e precisamente a Cass., s.u., 5 ottobre 1979 n. 5145 e 5146, in Giur. it., 1980, I, 1, 1215 s., entrambe relative all’illegittimo annullamento, in sede di autotutela, di una licenza di commercio; altri riferimenti in M. PROTTO, È crollato il muro della irrisarcibilità, cit., note 34-38).
[22] La pregiudizialità amministrativa, ancora recentemente affermata da C.cost., ord. 165/1998, cit., è stata invece negata da Cass., s.u., 500/1999 (che anche sotto questo aspetto manifesta tutta la sua innovatività rispetto alla consolidata giurisprudenza anteriore), con tutti gli inconvenienti che ne derivano, subito segnalati dai primi commentatori: cfr. S. VENEZIANO, Il sistema della Giustizia Amministrativa, cit.; G. DUNI, Interessi legittimi, risarcimento del danno e doppia tutela. La Cassazione ha compiuto la rivoluzione, § 3, sub b); L. PASSANISI, Sul risarcimento del danno in caso di lesione di interesse legittimo dopo la sentenza n. 500/99 della Corte di Cassazione, in www.diritto.it ; B. MOREA, Riflessioni sulla nuova frontiera della risarcibilità defli interessi legittimi, § 2; F. CARINGELLA - R. GAROFALO, Riparto di giurisdizione e prova del danno dopo la sentenza 500/99, sez. 1, § 2.1.
[23]
Diritto che mi sembra un doppione del c.d. diritto all’integrità del
patrimonio (v. Cass., 4 maggio 1982, n. 2765, in Giust.
civ., 1982, I, 1745; Cass., s.u., 21 ottobre 1983, n. 6177, ivi, 1984, I, 99; Cass., 25 luglio 1986, n. 4755, in Nuova
giur. civ. comm., 1987, I, 386, con nota di Libertini; Cass., s.u., 22
luglio 1993, n. 8181, in Foro it.,
1994, I, 1855, con nota di Scoditti), che non era altro che una creazione
pretoria per risarcire interessi legittimi senza sconfessare il principio
della irrisarcibilità della loro lesione, come ha ammesso Cass., s.u.,
500/1999 (punto 4 della motivazione), dando così ragione a quanti in
dottrina l’avevano da tempo affermato a chiare lettere: cfr. C. SALVI,
Responsabilità extracontrattuale
(dir. vig.), in EdD, vol.
XXXIX, 1988, 121, nota 120, che sostiene trattarsi di un «Escamotage
cui talvolta ricorre la giurisprudenza ... per ammettere l’ingiustizia
del danno, pur in assenza della lesione di un diritto soggettivo, e nel
tentativo tuttavia di salvaguardare la tradizionale identificazione»; A. BARONE
e R. PARDOLESI,
Il fatto illecito del legislatore,
nota a C.G.C.E., 19 novembre 1991, Francovich, in Foro
it., 1992, IV, 150, che definiscono il «danno all’integrità del
patrimonio, un “mostro” che dispiace a molti ma sembra destinato a
prosperare»; M. CAFAGNO,
La tutela risarcitoria degli interessi legittimi,
Milano, 1996, 75, 92; G. TRAVAGLINO,
Il commento, cit., 1055.
L’affermazione della Cassazione circa l’autonomo diritto al risarcimento
del danno è stata criticata, per es., da F. CARINGELLA
- R. GAROFALO,
Riparto
di giurisdizione, cit., sez. 1, § 2.1; ulteriori riferimenti in M.
PROTTO,
È
crollato il muro della irrisarcbilità,
cit., nota 25.
[24]
L’art. 13 della l. 142/1992 è stato peraltro abrogato dall’art. 35
comma 5 del d.lgs. 80/1998 (ma non in
toto, secondo parte della dottrina: cfr. F. CARINGELLA
- R. GAROFALO,
Riparto
di giurisdizione, cit., sez. 1, § 1.3).
[25]
Circa quest’ultima disposizione, giova ricordare quanto dichiarato dal
Cons. F. Patroni Griffi all’indomani della sua entrata in vigore
(riportato nella Sua nota Il
giudice dormiente, cit., e in M. PROTTO,
È
crollato il muro della irrisarcibilità, cit.,
nota 65); senz’altro fondata è l’opportunità, sostenuta già dai
primi commentatori e dalle prime pronunce giudiziali, di estenderne
l’ambito applicativo, (ben) al di là della littera
legis, a tutte le materie attribuite alla giurisdizione esclusiva del
giudice amministrativo, onde evitare censure di incostituzionalità tanto
sicure (al punto che sono già state rimesse alla Corte costituzionale)
quanto evidenti (tranne che per il nostro improvvido legislatore).
[26]
Così B.
MOREA,
Riflessioni,
cit., § 1, ult.
cpv.; anche l’art. 20 comma
5 lett.
h) della l.
15 marzo 1997 n.
59, che prevede un “indennizzo
automatico e forfettario” nei casi di «mancato rispetto del termine del
procedimento, di mancata o ritardata adozione del provvedimento, di
ritardato o incompleto assolvimento degli obblighi e delle prestazioni da
parte della pubblica amministrazione», può dirsi inconferente ai fini
della risarcibilità della lesione di interessi legittimi.
[27]
L’icastica definizione si deve, com’è noto, a M.
Nigro,
che nella cit. Introduzione disse
che la giurisprudenza «sembra non tanto consolidata, quanto pietrificata»
(in Foro amm., 1982, 1671;
in Mario Nigro. Scritti giuridici,
cit., III, 1487); in modo altrettanto efficace si sono espressi: F.
Bile,
il quale nella sua relazione alla tavola rotonda cit. in nota 10 parlò di
una giurisprudenza «assolutamente monolitica nel senso della tesi negativa»
(in Foro amm., 1982, 1683); e G. BACOSI,
Attività c.d. “provvedimentale” della p.a., principio del neminem
laedere e tutela risarcitoria, nota a Cass., s.u., 612/1996, in Foro
amm., 1997, IV, 1054, che ha rilevato il «“granitico” orientamento
della giurisprudenza nel senso della irrisarcibilità».