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FRANCESCO
CARINGELLA
(Consigliere di Stato)
E ROBERTO
GAROFOLI
(Magistrato ordinario)
Riparto di giurisdizione e prova del danno
dopo la sentenza
500/99
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SEZIONE I
I DUE GIUDICI DEL RISARCIMENTO
1.- Panoramica sul decreto legislativo 31 marzo
1998, n. 80. I due giudici del risarcimento dopo la sentenza n. 500/99.
Il D.Lgs. 80 del 31 marzo 1998, attuativo della delega recata dalla Bassanini uno (la legge n. 59/1997), con gli articoli da 33 a 35, ha dilatato non poco i confini della giurisdizione esclusiva del G.A., includendovi, come compensazione della perdita del pubblico impiego, le materie dei servizi pubblici, dell'edilizia e dell'urbanistica; soprattutto ha mutato le regole del riparto nella stessa giurisdizione esclusiva, ascrivendo a quest'ultima la cognizione dei diritti conseguenziali e dei profili risarcitori, con l'ammissione della reintegra in forma specifica (di qui la riscrittura obbligata dell'articolo 7 della legge TAR e l'abrogazione almeno parziale delle norme, come l'articolo 13 della legge 142/1992, che obbligano, in tema di appalti pubblici, l'interessato a promuovere l'annullamento dell'atto innanzi al giudice amministrativo per poi bussare alla porta del giudice ordinario per il risarcimento del danno); infine ha munito il giudice amministrativo dell'armamentario processuale necessario per far fronte ai nuovi compiti, dotandolo, con i limiti che si vedranno, dei mezzi istruttori codificati nel processo civile, ivi compreso l'indispensabile strumento della consulenza tecnica.
Prima
di passare all'esame delle implicazioni in tema di appalti, non si può tacere
della forte spinta che l'intervento del 1998 produce per quel che riguarda il
riparto di giurisdizione e, soprattutto, il ruolo del G.A., che sempre più
marcatamente si trasforma da Giudice dell'interesse legittimo in Giudice
naturale della pubblica amministrazione, con la conseguente crisi del rapporto
regola-eccezione che dovrebbe connotare, anche alla luce del dettato
costituzionale, la relazione tra giurisdizione generale di legittimità
sull'atto e giurisdizione esclusiva impingente sul rapporto sottostante [1].
Parte
della dottrina è giunta a sostenere il carattere residuale ormai rivestito (de
jure condito) dalla distinzione diritti soggettivi ed interessi legittimi ([2].
L'assetto attuale, definitivamente capovolto, si fonderebbe sul nuovo sistema di
ripartizione ratione materiae ([3].
Resta da verificare la dignità del principio, elaborato vigente la vecchia
giurisdizione esclusiva sul pubblico impiego, a mente del quale la distinzione
tra le posizioni giuridiche conserva rilievo anche nelle aree di giurisdizione
esclusiva per le regole processuali da applicare, prime tra tutte quelle
relative al termine di proposizione del ricorso, all'abdicabilità della
presenza di un provvedimento oggetto dell'impugnazione ed alla correlativa
possibilità di prescindere dalla formazione del silenzio per poter adire
l'autorità giudiziaria.
Certo è che, dopo la sentenza 500/99,
la distinzione tra le posizioni nelle materie di cui alla nuova giurisdizione
esclusiva (e, come si vedrà tra un attimo, anche per quelle di cui alla vecchia
giurisdizione esclusiva) perde rilievo ai fini dell’esperibilità
dell’azione risarcitoria. Riconosciuta la risarcibilità dell’interesse
legittimo, la distinzione dello stesso rispetto al diritto soggettivo non avrà
più rilievo ai fini della risarcibilità del danno cagionato dal comportamento
illegittimo o illecito della P.A. Non si deve peraltro sottacere come la
distinzione (vedi parte II del presente lavoro) potrà rivestire un significato
assai rilevante ai fini della prova del danno, indubitabile essendo che il
giudizio prognostico relativo all’esercizio del potere discrezionale di
pertinenza della p.a., con particolare riferimento agli interessi pretensivi,
presenta margini di complessità e di aleatorità partciolarmente
significativi.Come che sia un dato emerge lampante dal coordinamento dell’art.
35 del D.Lgs 80/1998 con la sentenza 500. Salve le prospettive de
jure condendo emergono due Giudici del riarcimento del danno da lesione di
interessi legittimi, e, più in
1.1. Quid juris della vecchia giurisdizione
esclusiva del GA?
La sentenza 500 consente anche di risolvere un problema che si era posto all’indomani della normativa del 1998. Le nuove regole del giuoco, ivi compresa l’ascrizione in testa al Giudice amministrativo del potere di assicurare il risarcimento del danno, vengono in rilievo solo per la nuova giurisdizione esclusiva o anche (si pensi all’accesso ai documenti ed agli accordi tra PA e privati ai sensi della legge 241) per le materie già in precedenza sottoposte alla cognizione esclusiva del giudice amministrativo?
E’ evidente che se si optasse per la
soluzione restrittiva l’interessato sarebbe costretto a rivolgersi a due
Giudici, l’uno per l’annullamento e l’altro per il risarcimento, in chiara
antitesi rispetto allo spirito semplificante e concentrazionista che è alla
base della stessa idea di giurisdizione esclusiva. Lo stesso problema si pone
per le novità processuali e probatorie coniate dal decreto 80, delle quali si
ventila in via dubitativa l’esportabilità all’universo tutto della
giurisdizione esclusiva.
Le
Sezioni Unite, ritenendo non decisivo il dato formale della formulazione
testuale al pari dei limiti rivenienti dalla legge delega, hanno concluso che la
concentrazione in capo al GA del potere risarcitorio oltre che di quello
caducatorio si estende, in omaggio alla detta esigenza di concentrazione, anche
alle vecchie materie di giurisdizione esclusiva. Lo stesso discorso, mutatis
mutandis, non può non essere esteso al potenziamento dell’armamentario
processuale ed istruttorio del Giudice
amministrativo.
Lo strappo rispetto ai limiti della
delega potrebbe essere recuperato con l’approvazione della riforma del
processo amministrativo, che generalizza i connotati della giurisdizione
esclusiva come emergenti dal decreto 80.
Una conclusione può in ogni caso già
trarsi dall’arret della Cassazione:
a regime, e salve le prospettive
di riforma, il Giudice amministrativo assicura il risarcimento del danno in
tutte le materie di giurisdizione
esclusiva: il GO vi provvede nelle materie di cui alla generale giurisdizione di
legittimità. Il tutto, si ripete, a regime in quanto uno strascico di
giurisdizione del giudice ordinario nella materie di giurisdizione esclusiva
deriva dalla disciplina transitoria recata dal decreto 80/1998.
1.2. La disciplina transitoria
Quanto alla disciplina transitoria
(art. 45, comma 18o), va detto che, pur se la stessa espressamente
esclude l’applicazione alle
controversie antecedenti al 1o luglio 1998 solo per gli articoli 33 e
34, deve ritenersi, che la stessa soluzione valga per le azioni risarcitorie,
non consenta una diversa soluzione. Il richiamo delle prime due norme si spiega
con la volontà di richiamare le materie oggetto della giurisdizione, senza che
con questo si voglia introdurre una distinzione nell'ambito delle stesse.
La tesi è stata da ultimo ribadita
dalla Comm. spec. Cons. Stato 17 marzo 1999, n. 7/99 della I sez. (poi recepita
il 10 giugno 1999 dall’Adunanza Generale), che ha concluso per la permanenza
del ricorso straordinario per le controversie relative al pubblico impiego
privatizzato ex D.Lgs. n. 29/1993 e
80/1998.
Quindi il Giudice ordinario rimarrà
investito della giurisdizione risarcitoria per le azioni proposte fino al
30.6.1998, mentre il GA sarà investito della giurisdizione per le azioni
spiccate successivamente, a nulla rilevando l’anteriorità del provvedimento come il pregresso intervento di decisione di annullamento da
parte dello stesso GA.
La tesi è stata sostenuta con una recentissima
decisione del TAR Calabria, la
quale ha concluso che le domande di
risarcimento introdotte su atto notificato a partire dall'1/7/98 sono devolute
al G.A. esclusivo, mentre è irrilevante che il giudizio di annullamento sia
stato instaurato e definito in epoca precedente [4].
La sottolineatura forte, da parte della S.C., dell'autonomia dell'azione
risarcitoria rispetto a quella di annullamento sembra proprio spingere in questa
direzione.
Un punto resta ancora nebuloso. Una volta assodato
che anche per la vecchia giurisdizione esclusiva si radica il potere
risarcitorio del GA, si deve concludere che anche per queste materie, per le
quali ovviamente il decreto 80 non reca norme transitorie, la giurisdizione
risarcitoria del GA viene in
rilievo dal 1° luglio 1998? Ovvero, stante l’estraneità di dette materie
alla disciplina transitoria specifica, la giurisdizione del GA ai fini del risarcimento
entra in azione al momento dell’entrata in vigore della normativa di riforma,
ossia ben prima del 1° luglio 1998? [5]
1.3. Problemi specifici in tema di
appalti.
Problemi specifici si pongono per il
riparto di giurisdizione in tema di appalti pubblici.
Si deve sul punto porre mente alla
sfera di applicazione della lettera e)
del secondo comma dell'art. 33 (norma che nel complesso disciplina la nuova
giurisdizione in tema di servizi pubblici), ove si fa riferimento alle «
procedure di affidamento di appalti pubblici di lavori, servizi e forniture,
svolte da soggetti comunque tenuti all'applicazione delle norme comunitarie o
della normativa nazionale o regionale ». Non è chiaro, in particolare, se la
devoluzione al Giudice amministrativo sia da riferire a tutte le procedure di
affidamento di appalti pubblici (come l'ampia formulazione testuale della
disposizione induce prima facie a
ritenere) ovvero, in senso riduttivo, alle sole procedure indette ed espletate
da soggetti preposti alla gestione del servizio pubblico, evidentemente al fine
di realizzare lavori o procurarsi forniture in qualche modo connesse a quella
gestione [6].
Di qui il connesso problema
dell'abrogazione, totale o parziale, ex art.
35 del decreto del 1998, dell'articolo 13 della legge n. 142/1992, al pari di
tutte le altre norme le quali prevedono un meccanismo bifasico di tutela
aquiliana degli interessi legittimi innanzi al G.A., tutela, come si sa, ammessa
nel settore degli appalti, in controtendenza alle linee della giurisprudenza di
Cassazione, in virtù dell'ossequio al monito comunitario. È evidente che, in
caso di opzione estensiva, si dovrebbe concludere che, per gli appalti di opere
pubbliche, si registra una coincidenza di sfera applicativa tra legge 135/1997,
di cui si è parlato nella precedente sezione di questo capitolo, e decreto
legislativo 80/1998, nel senso che quest'ultimo, oltre agli appalti di servizi e
forniture, regola tutti gli appalti di opere pubbliche. Per questi ultimi,
quindi, il rito speciale verrebbe scandito dai meccanismi acceleratori di cui al
decreto sbloccacantieri, propri degli atti autoritativi della procedura, e dalle
regole processuali proprie della nuova giurisdizione esclusiva, prime tra tutti
la devoluzione al G.A. dei profili risarcitori, l'innesto della reintegra in
forma specifica, l'applicazione dei nuovi mezzi di prova.
Ove invece si opinasse in favore della
tesi restrittiva, secondo cui non tutti gli appalti sono compresi nel perimetro
della normativa del 1998, ma solo quelli funzionali alla materia dei servizi
pubblici, si dovrebbe concludere nel senso che, ferma la validità di quanto
detto per gli appalti di opere pubbliche funzionali alla gestione del servizi,
per gli altri appalti di lavori non troverebbero applicazione le nuove regole
del giuoco; con la conseguenza che il risarcimento dovrebbe essere chiesto al
giudice ordinario e non verrebbero in rilievo le nuove disposizioni in punto di
mezzi istruttori.
Per quanto motivi di snellimento e coerenza
sistematica premano per la soluzione estensiva, stante la natura disarmonia del
permanere di giurisdizioni disomogenee relativamente a controversie identiche
concernenti le medesime tipologie di appalti e la preferibilità di una
disciplina universale degli appalti pubblici tutti ([7],
l'interpretazione restrittiva appare più coerente con i limiti della delega
contenuta nell'art. 11, comma 4, lett. g),
L. 15 marzo 1997, n. 59, concernente l'attribuzione alla giurisdizione del
giudice amministrativo delle « controversie aventi ad oggetto diritti
patrimoniali consequenziali, ivi comprese quelle relative al risarcimento del
danno, in materia edilizia, urbanistica e di servizi pubblici ». Risulta,
inoltre, detta opzione ermeneutica in sintonia con l'esigenza di tener conto, in
sede di esegesi della disposizione in oggetto, della particolare connotazione
teleologica che, nell'architettura complessiva dell' art. 33, D.Lgs., n. 80/98,
assume la norma di cui al comma 2.
La stessa, infatti, è evidentemente volta a
specificare, « sul piano verticale » ([8],
la formulazione normativa contenuta al primo comma del medesimo art. 33, a
tenore della quale «sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo tutte le controversie in materia di pubblici servizi»: ne
consegue che le controversie indicate alla lett. e)
del comma 2 rientrano nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo
nella misura in cui le procedure di affidamento di appalti pubblici afferiscano
al pubblico servizio.
Né, d'altra parte, siffatta lettura,
certo riduttiva della portata innovativa della disposizione in esame, appare
contraddetta dall'art. 35, comma 5, del medesimo decreto legislativo, a norma
del quale « sono abrogati l'articolo 13 della legge 19 febbraio 1992, n. 142, e
ogni altra disposizione che prevede la devoluzione al giudice ordinario delle
controversie sul risarcimento del danno conseguente all'annullamento di atti
amministrativi nelle materie di cui al comma 1 ». Nonostante la formulazione
apparentemente perentoria e l'incomprensibile assenza di un rinvio esplicito
alla determinazione della materia di riferimento di cui al primo comma ed al
secondo comma, lettera e), dell'art.
33, le considerazioni svolte in tema di necessità di preferire un approccio
costituzionalmente compatibile impongono di ritenere che l'effetto abrogativo
derivante da siffatta disposizione, coordinata con le materie come sopra
precisate ai sensi dell'art. 33, sia di tipo solo parziale.
Il riferimento alle materie di cui all'art. 33 ed al
comma 1 dello stesso art. 35, quelle cioè rimesse alla giurisdizione esclusiva
del giudice amministrativo, implica, in definitiva, che la portata abrogante del
citato art. 35, comma 5, debba essere circoscritta a quella parte delle
disposizioni ivi indicate con la quale è rimessa al giudice ordinario la
cognizione delle domande intese ad ottenere il risarcimento di una lesione
eziologicamente derivante da atti di gara, già previamente annullati, adottati
dal soggetto preposto alla gestione del pubblico servizio [9].
Non può trascurarsi, al riguardo, l'emersione in
dottrina di un approccio ermeneutico diametralmente opposto, volto a desumere
dalla intrinseca genericità della nozione di servizi pubblici — utilizzata
tanto dall'art. 11, lett. g) della
legge Bassanini, quanto dall'art. 33, D.Lgs. 80/98 — la possibilità di
ricondurre nello spazio della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo
anche il « servizio pubblico di gestione delle gare », sì da ricomprendere in
ogni caso le procedure concorsuali per l'affidamento di commesse pubbliche anche
di lavori e forniture, indipendentemente dal nesso di strumentalità di pubblici
servizi [10].
Sennonché, l'indirizzo dottrinale in
questione, oltre a risultare in contrasto con quanto rilevato in merito ai i
limiti della delega contenuta nell'art. 11, co. 4, lett. g),
l. 15 marzo 1997, n. 59 e alla architettura dello stesso art. 33, D.Lgs., n.
80/98, appare contraddetto anche dalle prime pronunce giurisprudenziali
intervenute.
Ed invero, con una recente decisione [11],
il T.A.R. Piemonte, pronunciandosi su una domanda di risarcimento del danno,
avanzata ai sensi degli artt. 33 e 35 del D.Lgs. n. 80 del 1998, ha affermato
incidentalmente che la nuova giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo
è configurabile « per le sole controversie che riguardino appalti «
strumentali » alla gestione di un pubblico servizio ». Nel dettaglio, i
Giudici piemontesi, dichiaratamente mossi dall'esigenza di « scongiurare la
incostituzionalità della norma per eccesso di delega (art. 76 Cost.), a fronte
di una previsione contenuta nell'art. 11, comma 4, lett. g),
della legge n. 59 del 1997, che limitava la nuova giurisdizione alla materia
edilizia, urbanistica e di servizi pubblici » [12],
hanno qualificato « l'elencazione di cui al secondo comma dell'art. 33 del
D.Lgs. n. 80 (e, in particolare, l'ipotesi di « procedure di affidamento di
appalti pubblici di lavori, servizi e forniture » di cui alla lett. e) come una specificazione del principio generale fissato al primo
comma (« Sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo
tutte le controversie in materia di pubblici servizi... ») [13].
La tesi è stata confermata dal Consiglio di Stato [14].
Un'ulteriore riduzione dell'ampiezza
dell'intersecazione tra le sfere di incidenza della legge 135/1997 e del decreto
legislativo n. 80/1998 è imposta dalla limitazione – operata dalla lettera e)
dell'art. 33, secondo comma, D.Lgs. 80/1998 – alle sole controversie aventi ad
oggetto le procedure di affidamento: restano perciò escluse tutte le
controversie relative alla successiva fase dell'esecuzione dell'appalto [15],
prese invece in considerazione dalla normativa dell'anno precedente e per le
quali permane il normale riparto di giurisdizione imperniato sulla natura della
posizione soggettiva dedotta [16].
Tanto premesso sui rapporti tra le due
normative in punto di sfera applicativa, va soggiunto che l'incongruenza
dell'assetto cosí delineato, che segna scenari processuali assai diversificati
nonostante l'identità sostanziale della materia degli appalti e delle correlate
problematiche di tutela, ha dato luogo alla presentazione di un disegno di legge
riequilibratore. Si tratta del disegno di legge n. S. 3593, allegato della
Finanziaria 1999, che, all'articolo 11, estendeva la giurisdizione esclusiva del
giudice amministrativo a tutte le controversie in materia di appalti di opere
pubbliche oltre che di forniture: « All'articolo 7, terzo comma, della legge 6
dicembre 1971, n. 1034, come sostituito dall'articolo 35, comma 4, del decreto
legislativo 31 marzo 1998, n. 80, nel primo periodo dopo la parola
giurisdizione, è soppressa la parola « esclusiva » ed è aggiunta in fine la
seguente frase « ivi compreso il risarcimento del danno ». Sono devolute alla
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie
relative a procedure di affidamento di lavori, servizi o forniture svolte da
soggetti comunque tenuti, nella scelta del contraente, all'applicazione della
normativa comunitaria ovvero al rispetto dei procedimenti di evidenza pubblica
previsti dalla normativa statale o regionale ». La norma è stata tuttavia
stralciata dalla manovra di fine anno ed al momento in cui si licenziano queste
bozze risulta accantonata.
Tuttavia la stessa esigenza di
ricompattamento dell'universo degli appalti è stata recepita da disegno n. 2934
di riforma del processo amministrativo approvato il 2.4.1999 dal Senato, che
vuole estendere la novella giurisdizionale esclusiva a tutte le procedure di
affidamento, anche non strumentali ai servizi pubblici (cfr. cap. 4).
Sempre per quel che concerne l'ambito applicativo,
meritano rilievo le precisazioni fornite dai primi arrets pretori. In primo luogo la giurisprudenza ha chiarito che
l'articolo 33, comma 2, lettera e),
radica la giurisdizione esclusiva del G.A. limitatamente agli appalti che
soggiacciano obbligatoriamente alla normativa di evidenza pubblica, di carattere
comunitario o nazionale e regionale. Donde l'inapplicabilità alle procedure per
le quali l'applicazione dell'evidenza sia derivata non già da una prescrizione
vincolante ma da un autovincolo di un soggetto dotato di mano libera nella
scelta del partner contrattuale [17].
In altri termini la circostanza che un soggetto privato decida di legarsi a
cadenze procedimentali modellate sulla falsariga dell'evidenza pubblica non
toglie nulla al carattere privatistico dell'attività svolta, stante l'assenza
del referente soggettivo pubblicistico e della funzionalizzazione dell'attività
al perseguimento di scopi pubblicistici. Ben diversa è l'ipotesi del soggetto
formalmente privato che sia equiparato dallo stesso ordinamento, anche alla luce
dei vincoli comunitari, ai soggetti pubblici ai fini della doverosa applicazione
delle regole pubblicistiche e che, in quanto tale, diviene esso stesso pubblica
amministrazione ai limitati fini delle procedure di appalto [18].
La vicenda degli organismi di diritto pubblico è
sintomatica di detta linea evolutiva. Una diversa opinione, la quale pretendesse
di radicare la giurisdizione amministrativa sulla scorta del puro dato obiettivo
dell'applicazione spontanea di regole di evidenza pubblica, nonostante l'assenza
di qualsiasi referente normativo dal quale desumere la natura — sia pure per
materia — soggettivamente amministrativa dell'attività svolta, si
scontrerebbe, a tacer d'altro, con i principi costituzionali, che, a mente
dell'articolo 113, fondano la giurisdizione anche esclusiva del giudice
amministrativo sul presupposto inabdicabile anche almeno uno dei due contendenti
sia una pubblica amministrazione o soggetto ad essa normativamente equiparato in
ragione delle finalità perseguite e dei poteri esercitati [19].
Nella specie, relativa ad appalti di servizi, facendo
perno sulla più ristretta formulazione dello spettro soggettivo recata
dall'articolo 2, comma 1, del decreto legislativo 157/1995, rispetto al
referente in materia di opere pubbliche, il Collegio di primo grado ha escluso
l'applicazione della disciplina di evidenza ad appalto indetto da ente pubblico
economico o società per azioni (nella specie ENEL s.p.a.). Del pari nel senso
della natura pubblicistica non milita nel caso in esame neanche la pretesa
qualifica di concessionario, posto che la pur discussa equiparazione dei
concessionari agli enti pubblici ha storicamente riguardato il concessionario di
opera pubblica, ossia il soggetto che realizza un'opera pubblica [20],
e non è attagliabile a fattispecie nella quale, per converso, una
concessionaria stipuli a vantaggio della propria organizzazione economica un
contratto di servizi. Donde la conclusione, sbarrate le strade della
qualificazione come amministrazione aggiudicatrice e concessionaria di opera
pubblica, della irrilevanza dell'autovincolo nei sensi sopra esposti e del
correlato difetto di giurisdizione amministrativa.
Resta invece acquisito che, ove la norma primaria
prescriva l'assoggettamento a regole di evidenzia pubblica, anche gli appalti
indetti da soggetti formalmente privati sono assoggettati alla giurisdizione
esclusiva del G.A. La scelta legislativa, volta a radicare detta giurisdizione
per i soggetti « comunque » tenuti all'evidenza pubblica, supera in radice il
problema dell'assoggettabilità, o meno, al G.A. delle controversi afferenti ad
appalti detti da soggetti privati (s.p.a. miste ad esempio) o operanti alla
stregua di regole privatistiche (e.p.c.), e nondimeno costretti alle regole
procedurali di evidenza pubblica (si consideri lo stuolo di soggetti privati
tenuti all'evidenza ex art. 2 legge
109/94, come mod. della legge n. 415/98). Come nato, fino alle più recenti
indicazioni della S.C., la Cassazione predicava il permanere delle giurisdizione
ordinaria, mente il Consiglio di Stato sosteneva l'attribuzione al Giudice
amministrativo. Il problema resta peraltro sull'assetto per gli appalti non
strumentali ai servizi pubblici per i quali, in forza di quanto detto, non viene
a galla la nuova giurisdizione esclusiva. Del pari residuano incertezze per gli
appalti di servizi e di forniture strumentali ai servizi, relativamente ai quali
non vi è una norma come quella dettata dalla legge Merloni-ter
(nuovo art. 2 l. 109/94), che assoggetta all'evidenza pubblica e.p.e. o s.p.a.
miste. Resta in tali settori il macigno ermeneutico relativo alla qualificabilità
di detti soggetti come organismi di diritto pubblico [21].
Sempre sul versante dell'ambito applicativo delle
nuove regole, in punto di giurisdizione e di risarcimento, la giurisprudenza
amministrativa ha ritenuto applicabile il D.Lgs. 80/1998 per una domanda di
condanna al risarcimento del danno da mancata stipula del contratto A fronte
dell'obiezione dell'amministrazione resistente a tenore della quale la
giurisdizione di cui agli articoli 33 e 35 investirebbe esclusivamente la
procedura di affidamento, con conseguente non copertura della fase successiva
(nella specie mancata stipula del contratto), i Giudici hanno osservato che la
nozione di cui al primo comma dell'articolo 33, facendo riferimento a « tutte
le controversie in materia di servizi pubblici », ha inteso ricomprendere nella
successiva lettera e) tutte le
controversie relative ad eventi comunque produttivi di effetti sulle procedure
di affidamento ». Il dato è confortato dall'assorbente considerazione che, con
riferimento al caso di specie, la procedura di affidamento diveniva
definitivamente efficace per entrambe le parti soltanto nel momento in cui viene
stipulato il contratto, con la conseguenza che gli avvenimenti che si succedano
fino a quel momento sono sostanzialmente ricompresi nell'ambito della procedura
di affidamento [22].
Resta invece al di fuori della giurisdizione
esclusiva la fase dell'esecuzione del contratto, posto che la novella del 1998,
diversamente dall'articolo 19 della legge n. 135/1997, non contempla la
esecuzione dei contratti di appalto. Per le controversie inerenti al torno
temporale successivo alla stipula varrà quindi il riparto di giurisdizione, con
la conseguenza che, salva l'esplicazione di poteri autoritativi, le posizioni
delle parti si porranno su di un binario paritetico ponendo le basi per il
consolidarsi della giurisdizione ordinaria. Recentemente il TAR Marche ha
puntualizzato che permane la giurisdizione del G.O. per le controversie
attinenti all'esecuzione del contratto di appalto di lavori pubblici, e, quindi,
anche per quelle attinenti all'azione di risoluzione per inadempimento. Ha
pertanto dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione il ricorso
diretto all'annullamento di un provvedimento di rescissione di contratto
d'appalto di lavori pubblici, ai sensi dell'art. 340 della L. 2248/1865, All. F.
[23].
Richiamando le osservazioni articolate
nella prima parte del presente capitolo è da ritenersi che la legge n. 135 del
1997, accelerando il processo amministrativo, presupponga, senza fondarla in via
generale, la giurisdizione amministrativa, in generale e nella fase esecutiva
che qui viene in rilievo.
Per concludere questa rapida panoramica della
giurisprudenza che già ha affrontato il problema dell'ambito applicativo della
riforma del 1998 in materia di appalti, e rinviando al par. 13 per la normativa
transitoria, si deve fare cenno al problema dell'applicazione del Decreto
80/1998 per gli appalti sottosoglia. Il problema non è stato affrontato dal
Consiglio di Stato, che, chiamato a pronunciarsi sul punto, ha risolto la
controversia portata alla sua attenzione sul piano del diritto transitorio [24].
Sembra agevole comunque rilevare che,
diversamente dal precedente dell'articolo 13 della legge 142/1992, che fa
riferimento al concetto di amministrazioni aggiudicatrici, così alludendo alle
procedure soprasoglia, la normativa del 1998 è immune da detto riferimento
limitativo. Di qui l'agevole conclusione secondo cui le nuove regole in tema di
giurisdizione e disciplina del risarcimento, vengono in rilievo anche per gli
appalti interni. La soluzione appare coerente con la scelta legislativa del 1994
legge Merloni), confermata dalla Merloni-ter
con la legge 415/1998, di dettare regole unitarie per gli appalti
indipendentemente dal limite valoristico comunitario; e, soprattutto, con la
difficile comprensibilità, sul piano della ragionevolezza e della
costituzionalità, di una scelta discriminante che, a parità di regole di
evidenza e di interessi da tutelare, discrimini gli appalti interni escludendoli
dalle nuove regole in punto di risarcimento e concentrazione giurisdizionale. A
fondamento dell'assunto milita conclusivamente la considerazione che la novella
giurisdizione esclusiva tocca gli appalti strumentali ai servizi pubblici nei
termini sopra precisati. La funzionalità al servizio diventa dunque il dato
discretivo per fondare la giurisdizione: una volta accertato detto dato
teleologico, risulta del tutto irrilevante la soglia economica di riferimento.
1.4. Prospettive de jure
condendo.
La riforma del processo amministrativo approvata dal Senato il 22.4.1999, all’art. 5, generalizza la legittimazione del GA a conoscere del danno anche nelle materie di giurisdizione di legittimità. Si risolvono così in radice i problemi derivanti dalla scissione di annullamento e risarcimento sui quali ci si soffermerà tra un attimo.
2) I problemi innescati dalla sentenza 500
Ciò detto per il nuovo assetto della
giurisdizione in materia di risarcimento del danno, si proverà ora a
fare un cenno ai principali dubbi ermeneutici e problemi applicativi emergenti
dall’opzione delle sezioni unite in tema di affermazione della giurisdizione
ordinaria per lesione di interessi legittimi e di abbandono della pregiudiziale
amministrativa.
2.1.
- Il riconoscimento della giurisdizione del giudice ordinario: si torna
alla teoria del petitum formale?
La giurisdizione del giudice ordinario
in tema di risarcimento del danno da lesione di interessi legittimi si fonda
conclusivamente sull’attribuzione all’art. 2043 c.c. del rango di norma
primaria, e non meramente sanzionatoria, che attribuisce all’interessato il
diritto soggettivo al risarcimento del danno ingiusto di qualsiasi tipo, ivi
compreso quello specialissimo danno ingiusto che deriva dalla lesione
dell’interesse legittimo. In poche parole l’interesse legittimo viene
liquidato quale mero presupposto storico-fattuale della fattispecie
aquiliana e non svolge ruolo alcuno ai fini dell’assetto della
giurisdizione.
Il ragionamento, pur elegantemente inteso a
salvaguardare il principio della causa
petendi come cardine della giurisdizione, porta alla fine a
fondare la giurisdizione stessa sulla base del mero petitum
formale. A fronte di un medesimo atto e di una medesimo vizio il Giudice sarà
quello amministrativo a seconda che si chieda il risarcimento del danno ovvero l’annullamento del provvedimento.
L’operazione si regge sud una una assai problematica possibilità
di scindere la posizione giuridica lesa da uno dei rimedi apprestati per la sua
violazione, con la conseguene anomala introduzione nella sequenza di
un'ulteriore posizione giuridica sostanziale[25]
. Il tutto porta con sé il rischio di giudicati confliggenti sui quali si tornerà tra
un attimo.
Non va dimenticato che secondo autorevole dottrina il potere del g.a. di disporre
del risarcimento del danno ricorre già de
jure condito nella giurisdizione di legittimità attraverso il giudizio di
ottemperanza, rimedio capace di eliminare ogni cosneguenza negativa derivante da
un atto di cui si sia acclarata la definitiva illegittimità. [26]
Ancora, si deve sottolineare che
all’esercitabiltà del potere di disapplicazione osta, in uno con la mancanza
di un dato positivo parificabile a quello di cui all’art.
68 del D.Lgs 29/1993, in tema di pubblico impiego, il carattere centrale
e principale che assume l’atto amministrativo illegittimo nell’economia del
fatto illecito in parola. Sembra difficile allora ritenere che l’atto non
possa rilevare ai fini della giurisdizione in quanto puro antecedente logico da
conoscere incidentalmente ai fini della decisione.
2.2. L’abbandono della
pregiudiziale amministrativa.
Va da ultimo fatta mente locale agli
inconvenienti innescati, in uno con
l’affermazione della giurisdizione del giudice amministrativo,
dall’abolizione della pregiudiziale amministrativa.
In
primis
emerge il rischio del conflitto di giudicati, ossia la possibilità che il
giudice ordinario ed il giudice amministrativo, opinino diversamente
relativamente all’illegittimità dell’atto e che, ad esempio, il giudice
ordinario riconosca il risarcimento del danno da atto amministrativo reputato
legittimo dal GA e quindi permanentemente operante come criterio della condotta
dell’Amministrazione. Il problema è di tangibile evidenza nell'ipotesi in cui
l’atto amministrativo sia stato ritenuto affetto agli stessi vizi dedotti, per
essere esclusi, innanzi al giudice amministrativo. Problema collegato è la
valenza del giudicato da ascrivere nel processo civile alla sentenza
preventivamente passata in giudicato del GA, segnatamente nel caso in cui vi sia
identità di parti e di motivi dedotti. Le Sezioni unite non affrontano il
problema ex professo.
E’ invece evidente che il giudizio
risarcitorio innanzi al GO può svolgersi anche senza impugnazione dell’atto
avanti al GA. Si rinvia al prosieguo per
le considerazioni relative all’applicabilità dell’art. 1227 c.c. in
siffatta ipotesi.
Un ulteriore inconveniente è dato
dalla possibilità che lo sbocco amministrativo, rispetto al quale la decisione
del GO non ha efficacia di giudicato, contraddica il giudizio prognostico
formulato dal G.O.
Occorre considerare
l’incidenza assunta, almeno sul quantum, dell’esito favorevole del
giudizio amministrativo sul separato giudizio risarcitorio.
Infine non si può sottacere che la
rivendicata autonomia dell’azione risarcitoria comporta la conseguenza che
anche nelle materie di giurisdizione esclusiva l’interessato possa esperire
l’azione risarcitoria disgiuntamente da quella di annullamento.
SEZIONE II
LA PROVA DEL DANNO. PROFILI PROCESSUALI.
1) Premessa.
In questa seconda parte si
esamineranno senza pretesa di esaustività le principali problematiche di
quantificazione e prova del danno che si profileranno dinnanzi sia al GO che al
GA. Si avrà cura di evidenziare gli elementi di differenziazione tra i due
Giudici.
2) L'annullamento (o la verifica
della illegittimità) dell’atto è condizione necessaria, ma non sufficiente,
per il risarcimento.
Per concludere la panoramica dei
rapporti tra annullamento e risarcimento, bisogna verificare se ad ogni verifica
di illegittimità ( o annullamento se si tratti di giurisdizione di legittimità)
consegua un danno risarcibile da illegittimità.
È palese, come confermato dalle
Sezioni unite, che «
l'illegittimità del provvedimento impugnato è requisito necessario, ma non
sufficiente, per proporre azione risarcitoria » [27].
In specie, non potendosi battere la strada, che pecchi in senso opposto rispetto
alla tesi della negazione della risarcibilità, della
iperprotezione dell'interesse
legittimo, non si può ammettere il risarcimento a seguito dell'accertamento
dell’illegittimità di un atto impugnato per motivi meramente formali (omessa
comunicazione dell'avvio del procedimento; difetto di competenza; mancanza della
forma necessaria ad substantiam) [28].
In base ai principi generali in punto
di danno risarcibile e di relativa prova, il risarcimento presuppone la verifica
del danno ingiusto, nella specie il pregiudizio per il mancato o tardivo
riconoscimento di un bene della vita a cui mirava ad esempio l'istanza
illegittimamente denegata con il provvedimento illegittimo. Il risarcimento
quindi deve passare, mercé l'assolvimento del relativo onere probatorio da
parte del privato, attraverso la verifica della spettanza del provvedimento
ampliativo, vale a dire lo scrutinio positivo della fondatezza sostanziale della
pretesa fatta valere innanzi alla p.a.
Ciò significa che, specie laddove il provvedimento
contestato non per vizi sostanziali ma per profili formali [29],
detta illegittimità non dimostra ex se la
spettanza del bene della vita, e quindi il danno ingiusto eventualmente
conseguente, in quanto, in sede di riedizione del provvedimento amministrativo,
l'amministrazione, sanata la pecca formale (ad esempio la lacuna motivazionale),
ben potrebbe ripronuciarsi, questa volta impeccabilmente, in senso negativo [30];
residueranno allora solo voci marginali di danno, per lo più legate al tempo
inutilmente decorso confidando in un esito provvedimentale positivo [31].
2.2. Interessi pretensivi ed
oppositivi.
Le Sezioni Unite reputano che detto
distinto accertamento sia necessario
per gli interessi pretensivi, posto che, relativamente agli interessi
oppositivi, la preesistenza del bene della vita al provvedimento amministrativo
illegittimo dimostrerebbe ex se la consolidazione di un danno ingiusto per
effetto dell’accertata illegittimità.
La affermazione, nella sua perentorietà, non
convince completamente. Giova ricordare che già da tempo,
in relazione alla responsabilità per la lesione di interessi legittimi
oppositivi, attenta dottrina aveva richiamato l’attenzione sul paradosso della
loro eccessiva protezione
[32].
Infatti, come è stato recentemente osservato,
“il provvedimento compressivo può essere pienamente legittimo au fond, come direbbero i francesi, ma viziato per ragioni attinenti
alla forma oppure al procedimento. In qualsiasi momento la pubblica
amministrazione potrebbe adottare un provvedimento di identico contenuto
sfavorevole per il privato. In questa situazione è difficile giustificare un
diritto al risarcimento. Il richiamo operato a suo tempo dalle Sezioni unite
alla necessità di incentrare l’attenzione sulla fondatezza della pretesa al
bene della vita che costituisce il substrato dell’interesse legittimo come di
qualsiasi posizione giuridica soggettiva, non è pienamente rispettato in
relazione agli interessi legittimi oppositivi. Dal punto di vista pratico, la
tempestiva sanatoria del vizio da parte della pubblica amministrazione può
comunque incidere sul quantum
risarcibile, anche se è piuttosto paradossale dover immaginare che l’attività
diretta all’eliminazione delle conseguenze dannose consista nell’adozione di
un provvedimento sfavorevole “a prova di impugnazione”
[33].
Quanto invece agli interessi legittimi
pretensivi non si può non evidenziare l’estrema difficoltà di un giudizio
prognostico sullo sbocco del procedimento depurato dai vizi di legittimità, quante
volte l’azione amministrativa sia corredata da profili di
discrezionalità tecnica e, soprattutto, amministrativa. In specie, lascia non
poco dubbiosi, la possibilità per il GO di spingersi, sia pure in un’ottica
prognositica e probabilistica, su di un terreno, l’esercizio nella
discrezionalità amministrativa, da sempre considerato “riserva dell’amministrazione”.
Inutile ribadire come, anche alla luce dell’assenza di un vincolo del
giudicato riveniente in capo alla P.A. dalla
decisione del GO, la verifica parentetica possa essere sentita dal
successivo svolgimento dell’azione amministrativa, che di nuovo neghi (questa
volta in modo legittimo) il bene della vita illegittimamente rifiutato in
precedenza.
3.- Dimostrazione
e quantificazione del danno. Il ruolo dell’art. 1227 c.c.
Venendo infine alla dimostrazione ed alla
quantificazione del danno, con riguardo al settore degli appalti, il problema si
sposta sul piano probatorio, ovvero sulla necessità di dimostrare, con
ascrizione dell'onere in capo al ricorrente secondo un principio squisitamente
dispositivo, la sussistenza e la consistenza delle aspettative lese dal
provvedimento illegittimo [34].
Detto danno va quantificato in base ai
principi fissati dall'art. 1223 c.c. — il quale individua le due componenti
del danno, come perdita subita e come mancata guadagno — e dall'art. 1225 c.c.
— che prevede l'estensione anche al danno imprevedibile solo qualora sia
integrato un comportamento doloso.
Trova, inoltre, applicazione l'art. 1227 c.c., che
sancisce la diminuzione del risarcimento in relazione all'eventuale concorso
colposo del danneggiato nel cagionare il danno, secondo la gravità della colpa
e l'entità dei danni derivati, ed addirittura preclude il sorgere stesso del
diritto al risarcimento relativamente ai danni che il creditore avrebbe potuto
evitare usando l'ordinaria diligenza. In tale ottica la dottrina ha profilato la
possibilità di includere nell'ordinaria diligenza l'onere di impugnare,
tempestivamente, l'atto che si pretende lesivo delle proprie posizioni, con
l'ulteriore conseguenza che dovrebbero rimanere a carico del danneggiato i danni
subiti, a causa della mancata richiesta della sospensiva, nel periodo di tempo
anteriore all'accoglimento del ricorso nel merito [35].
In specie ove il Giudice del risarcimento sia il Giudice ordinario occorre
verificare se l’opzione di non impugnare (o non chiedere la sospensiva) avanti
al GA, pur se legittima alla luce del rinnovato assetto della giurisdizione e
dell’abolizione della pregiudiziale amministrativa, possa nondimeno
considerarsi condotta colposa senza della quale non si sarebbe prodotto o non
avrebbe assunto una particolare consistenza il danno dedotto.
Tra le regole civilistiche che trovano applicazione
nella materia de qua va ricordato il
principio della compensatio lucri cum
damno, alla stregua del quale nella determinazione del danno risarcibile va
tenuto conto anche degli effetti vantaggiosi direttamente derivanti dal medesimo
fatto consentivo del danno [36].
3.1. In particolare, il danno in
tema di appalti pubblici.
Una particolare attenzione va rivolta,
per le sue specificità, al danno in tema di appalti pubblici, in caso di
illegittima esclusione dalla gara o di aggiudicazione illegittima. Detto danno
sarà conosciuto dal GO o dal GA in forza del riparto di cui si è detto nella
prima parte del lavoro.
Venendo
all'esame delle voci di danno, viene in primo luogo in rilievo un danno
precontrattuale giuridicamente rilevante, determinato dall'inadempimento della
pubblica amministrazione che, non portando avanti la gara senza che venga in
rilievo un significativo e motivato interesse pubblico ovvero illegittimamente
estromettendo dalla gara un soggetto che aveva le carte in regola per
partecipare alla procedura, tenga un « comportamento difforme da quello imposto
dalla disciplina del procedimento di scelta del contraente » [37].
Recentemente, TAR Sardegna ha fissato il principio
secondo cui va risarcito il danno subito dalle imprese partecipanti — sia pure
per il solo danno emergente consistente nelle spese delle medesime sostenute —
in caso di una gara annullata per violazione da parte della P.A. delle regole
procedurali [38].
Quanto in particolare all'interruzione della gara, come si evince anche
dall'art. 8, comma 2, della direttiva del Consiglio delle Comunità Europee del
14 giugno 1993 (93/73/CEE), un'interruzione è sempre possibile, purché avvenga
nel rispetto dei limiti in cui è ammessa e nelle modalità previste, e vengano
comunicati ai candidati che lo richiedano « i motivi per cui si è deciso di
rinunciare all'aggiudicazione di un appalto in concorrenza o di ricominciare la
procedura » [39].
L'Amministrazione resta comunque titolare del potere
di non stipulare più il contratto, per sopravvenuti motivi di interesse
pubblico, di cui deve tuttavia rendere conto con analitica motivazione [40].
Sul versante del danno emergente, nelle ipotesi
finora trattate, vanno apprezzate le spese — non sempre irrisorie —
sostenute per la presentazione della domanda di partecipazione alla gara e
l'approntamento dei relativi progetti [41].
Il nucleo centrale del danno consiste, poi, nel pregiudizio economico subito
dall'impresa per l'inutile immobilizzazione di risorse umane e mezzi tecnici,
parte dei quali può essere stata anche appositamente acquistata.
In merito al lucro cessante si deve
rilevare che la partecipazione ad una gara può anche costringere l'impresa a
non imbarcarsi in altri impegni lavorativi, che, almeno teoricamente,
impegnerebbero energie e mezzi dell'impresa nel medesimo periodo.
Problematica è in particolare, l'individuazione del
pregiudizio relativamente all'utile economico che sarebbe derivato
dall'esecuzione dell'appalto in caso di aggiudicazione non avvenuta per
illegittimità dell'azione amministrativa. L'utile economico è generalmente
reputato pari al 10% del valore dell'appalto. Una fonte positiva al riguardo è
data dall'art. 345 della L. 20 marzo 1865, n. 2248, all. F, Legge
sulle opere pubbliche, il quale esplicitamente quantifica il danno
risarcibile a favore dell'appaltatore, in caso di recesso della p.a., sancendo
che « è facoltativo all'Amministrazione di risolvere in qualunque tempo il
contratto, mediante il pagamento dei lavori eseguiti e del valore dei materiali
utili esistenti in cantiere, oltre al decimo dell'importo delle opere non
eseguite » [42].
La norma fissa « una
tantum, un criterio di liquidazione uniforme ed automatico, giustificato
secondo la dottrina sia dal fatto di ovviare ad indagini alquanto difficoltose
ed aleatorie, sia dallo scopo di cautelare la p.a. da eventuali richieste di
liquidazioni eccessive » [43].
In base all'ipotesi di lavoro formulata dalla
dottrina, sulla base di tale riferimento di diritto positivo, al ricorrente che
avrebbe dovuto risultare aggiudicatario andrebbe riconosciuto un danno
quantificabile « nel dieci per cento dell'ammontare della base d'asta come
ribassata dall'offerta in questione; a tale somma si aggiungono le spese
sopportate per la partecipazione alla procedura selettiva » [44].
Del resto, anche in ambito comunitario le
elaborazioni giurisprudenziali, nel quantificare il lucro cessante
dell'imprenditore, si incentrano sul decimo del valore residuo dell'appalto in
esecuzione [45].
Analogo criterio è stato da ultimo adottato con la legge 18 novembre 1998, n.
415, la c.d. Merloni-ter, la quale,
nell'introdurre l'innovativa figura del project
financing, ha previsto, all'art. 37-septies,
comma 1, della novellata legge n. 109/1994, che, qualora il rapporto di
concessione sia risolto per inadempimento del soggetto concedente ovvero
quest'ultimo revochi la concessone per motivi di interesse pubblico, al
concessionario è corrisposto, accanto al valore delle opere — eventualmente
— già realizzate (ovvero, qualora non abbia superato la fase di collaudo, i
costi effettivamente sostenuti dal concessionario), un indennizzo a titolo di
risarcimento del mancato guadagno pari al dieci per cento del valore delle opere
ancora da eseguire, ovvero della parte del servizio ancora da gestire valutata
sulla base del piano economico-finanziario [46].
Resta, naturalmente, ferma la facoltà per
l'appaltatore di provare la possibilità di conseguire un utile maggiore, in
considerazione del tipo di appalto nonché dell'organizzazione dell'impresa [47].
In specie, bisogna considerare che la mancata aggiudicazione comporta per un
verso il mancato conseguimento dell'utile programmato, per altro verso, sul
piano non immediatamente patrimoniale, vulnerazioni meno lampanti (basti pensare
al danno alla competitività derivante all'impresa dalla mancata aggiudicazione
di un appalto, od anche alla mancata acquisizione di credenziali e
qualificazione per eventuali ulteriori appalti, in termini di credibilità e
prestigio, che le sarebbero potute derivare dall'esecuzione — corretta —
dell'appalto).
Su quest'ultimo piano si deve in definitiva rimarcare
che l'interesse alla vittoria di un appalto, nella vita di un'impresa, va ben
oltre l'interesse all'esecuzione dell'opera in sé, e relativo incasso. Alla
mancata esecuzione corretta di un'opera appaltata si ricollegano, infatti,
indiretti nocumenti all'immagine della società ed al suo radicamento nel
mercato [48],
per non dire del potenziamento di imprese concorrenti che operino su medesimo target
di mercato, in modo illegittimo dichiarate aggiudicatarie della gara.
Per tutte le voci di danno fin qui
tratteggiate, con particolare riferimento ai profitti non conseguiti ed alla
perdita di credenziali, si pone l'enorme problema della prova dell'an e del quantum, ossia
dell'esistenza e della consistenza della possibilità che il soggetto aveva di
aggiudicarsi la gara in caso di corretto comportamento della p.a. nella relativa
conduzione.
Il vero nodo è allora rappresentato
dalle c.d. chances, ovvero le
possibilità che la società ricorrente assume di avere nell'aggiudicazione
della gara. L'affermazione della Corte di legittimità circa la risarcibilità
del danno da perdita di chances apre
le porte al problema della consistenza minima che tale chance
deve avere per essere attratta nella sfera di risarcibilità.
L'impresa partecipante lesa non è tenuta a provare
che, in assenza della violazione di cui trattasi, l'appalto le sarebbe stato
senz'altro aggiudicato [49],
sufficiente essendo la dimostrazione della « possibilità concreta » di
aggiudicazione, vale a dire la prova della « sussistenza dei requisiti di
capacità tecnica, economica, finanziaria e morale che avrebbero consentito
l'accoglimento della domanda di partecipazione ».
L'entità di tale possibilità rileverà invece ai
fini della quantificazione [50].
In particolare, la certezza della
vittoria finale, che porterà al risarcimento del danno nella misura del 100%
delle voci innanzi esposte, è legata ai soli casi di gara con pochi
partecipanti, e soprattutto, con metodi meccanici (prezzo più basso), in quanto
per tali gare è possibile per tabulas
ricostruire l'esito sicuro che la procedura avrebbe sortito in assenza di
fenomeni inquinanti (si consideri l'ipotesi che l'offerta estromessa fosse la più
bassa in una gara con il metodo del massimo ribasso, ad esempio per licitazione
privata).
Ove invece le procedure siano più
complesse sul piano soggettivo ed oggettivo (si pensi ad un appalto concorso o
licitazione privata finalizzata alla concessione di opera pubblica ex artt. 19 e segg. della legge 109/1994, secondo il sistema della
offerta economicamente più vantaggiosa, connotato da un margine assai rilevante
di discrezionalità tecnico-valutativa), salvo immaginare una ricostruzione ex
post dell'andamento della gara per mano di un consulente tecnico (ora
nominabile ex art. 35 del D.Lgs. 80/1998) che riediti le valutazioni della p.a.
ovvero attraverso la riconvocazione della commissione di gara in forma per cosí
dire virtuale, il danno non sarà comprovabile in pieno e si dovrà ricorrere ad
una liquidazione percentuale, rapportando il danno al numero dei partecipanti e,
quindi, ricavando una misura percentuale determinata proporzionalmente all'utile
forfettizzato nella ricordata misura del 10%.
Infine alcuna voce di danno, sul piano dei profitti
sperati, sarà delineabile in caso di annullamenti formali (che non incidano
sulla correttezza sostanziale dell'aggiudicazione al terzo o dell'estromissione
del ricorrente), e, più in generale, ove si dimostri che, anche in caso di
ammissione alla gara o di svolgimento corretto della stessa, l'impresa non
sarebbe potuta risultare vittoriosa (ad esempio perché mancante di un requisito
per l'ammissione diverso rispetto a quello erroneamente contestato dall'ente
appaltante) [51].
Ancora, un danno risarcibile sul piano
del lucro cessante difficilmente sarà configurabile in caso di mancato invito a
trattativa privata deproceduralizzata ove la ricostruzione dell'esito positivo
si appalesa praticamente impossibile. Lo stesso discorso può farsi per la
procedura negoziata libera che rappresenta il secondo segmento della scelta del
concessionario nel project financing (artt.
37-bis e seguenti della legge
109/1994, introdotti dalla legge Merloni-ter,
n. 415/1998).
Parimenti difficile è la prova del
danno in caso illegittima decisione di procedere a trattativa privata, posto che
in una simile ipotesi non è agevole immaginare quali chances avrebbe avuto l'impresa ricorrente ove si fosse tenuta una
gara pubblica illegittimamente non praticata.
È infine evidente che il
conseguimento della reintegrazione in forma specifica (sotto forma ad esempio di
riammissione dell'impresa illegittimamente estromessa) potrà evitare la
delineazione di una danno patrimoniale e quindi escludere, o comunque
significativamente limitare, il danno da risarcire per equivalente [52].
In ogni caso le difficoltà di esatta quantificazione
di cui si è detto dimostrano l'ampio spazio che avranno gli artt. 1226 e 2056
c.c., in tema di valutazione equitativa del danno [53].
Ai criteri indicati potrà fare riferimento il giudice amministrativo, qualora,
secondo la procedura di cui al secondo comma dell'art. 35, emetta una condanna
generica, pronunciandosi unicamente sull'an
e fissando i criteri cui le parti devono attenersi in sede di accordo
nell'individuazione del quantum [54].
4) Il
risarcimento in forma specifica da parte del GA.
L'art. 35 prevede che il giudice amministrativo «
dispone anche del risarcimento del danno » [55],
soggiungendo, in seconda battuta, che ciò può avvenire « anche attraverso la
reintegrazione in forma specifica ».
Desta perplessità il significato da
attribuire a tale scarna previsione che, prima
facie, sembra attribuire al giudice amministrativo il potere di ordinare
all'amministrazione il facere necessario
per garantire il soddisfacimento dell'interesse del ricorrente.
Innanzitutto, si pone il problema dei margini e dei
contenuti attribuibili a tale condanna reintegratoria. Il legislatore si limita,
infatti, a prevedere che il giudice possa disporre il risarcimento « anche
attraverso la reintegrazione in forma specifica », senza ulteriormente
soffermarsi sull'ambito di operatività di tale potere [56].
Dovrebbe venire in ausilio la disciplina civilistica
in materia, pur se non espressamente richiamata [57].
Pertanto, il risarcimento in forma specifica si pone come primo rimedio cui
ricorrere, nei limiti in cui sia possibile e non risulti eccessivamente oneroso,
secondo il dettato degli articoli 2058 e 2933 c.c. Donde, in base alle
peculiarità del processo amministrativo, la praticabilità della condanna ad un
facere concretantesi anche
nell'adozione di atti amministrativi a patto che si tratti di attività
vincolata (nell'an o nel quid) e non di attività ad alto tasso di discrezionalità.
Ad esempio, in tema di appalti, sarà possibile
condannare la PA a riammettere il concorrente escluso illegittimamente o a
decretare un certo esito della gara vincolato dalla verifica dell'illegittimità
attizza [58]
(aggiudicazione al secondo ove sia stata accertata in sede giudiziaria
l'illegittimità della non estromissione del primo classificato). Non sarà
invece configurabile un ordine a decretare un certo esito della procedura
selettiva ove si verta in tema di procedura caratterizzata da margini valutativi
ampi (vedi un appalto concorso). In questo caso il Giudice può ordinare
procedimentalmente una nuova valutazione al posto di quella viziata, non certo
sostituirsi alla commissione giudicatrice ed alla p.a. nel determinare il
relativo esito sostanziale. In una prospettiva più generale è stato
sottolineato che « il giudice può imporre l'adozione di un provvedimento nei
limiti in cui le regole sul processo amministrativo lo consentano. A tale
proposito, sembra che la novità legislativa costituisca un valido addentellato
normativo per quell'orientamento dottrinale e giurisprudenziale a mente del
quale quando si è in presenza di una attività vincolata l'autorità
giudiziaria amministrativa, una volta accertata l'inerzia o l'illegittimità del
provvedimento di diniego, può (nell'ottica del giudizio sul rapporto) accertare
se in concreto spetti o meno al ricorrente il beneficio che invoca e dichiarare,
se l'indagine sortisce un esito positivo, l'obbligo di emanare il provvedimento.
Si tratta, in altri termini, di una pronuncia con la quale il Giudice condanna
l'amministrazione a provvedere (si pensi ad esempio, per quel che riguarda le
materie di cui all'art 34 del D.Lgs. n. 80/1998, alla concessione edilizia che
secondo i più è un provvedimento vincolato) [59].
In generale, se quindi la dottrina prevalente
subordina la tutela specifica alla verifica di possibilità in un'ottica
alternativa al risarcimento per equivalente, altri Autori ritengono che tra le
due forme di risarcimento sussiste ben altro rapporto. La reintegrazione in
forma specifica rappresenterebbe solo una componente — ulteriore ed eventuale
— del risarcimento del danno ingiusto, il quale ha come elemento primo ed
ineliminabile il risarcimento per equivalente [60].
In realtà, questa interpretazione appare una
forzatura, come si evince dalla nozione stessa di reintegrazione in forma
specifica, ritenuta « uno dei modi attraverso i quali in generale il danno può
essere risarcito », e non « una forma eccezionale di risarcimento, né una
forma sussidiaria » [61].
In ogni caso, restano a carico del ricorrente vincitore i danni conseguenti al
decorso del tempo, i quali non trovano certo adeguato ristoro nel ripristino
della situazione quo ante.
Occorre a questo punto soffermarsi
ulteriormente sul compito che, in tema di appalti, attende il Giudice quanto
alla verifica se tale rimedio in forma specifica sia « in tutto o in parte
possibile », come richiesto dalla citata previsione codicistica.
Ciò imporrà al giudice
amministrativo di formulare un giudizio attento alle concrete modalità che
hanno connotato, all'indomani dell'aggiudicazione ritenuta illegittima, lo
svolgersi dei rapporti intercorsi tra la stazione appaltante e l'impresa
prescelta: scendendo in dettaglio, sarà necessario distinguere a seconda che
l'accertamento giudiziale dell'illegittimità procedimentale intervenga prima o
dopo la stipulazione del contratto tra amministrazione e aggiudicatario o,
comunque, prima o dopo l'inizio dell'esecuzione.
Se, infatti, nel primo caso il giudice
ben potrà disporre la reintegrazione in forma specifica, direttamente
provvedendo alla sostituzione del concorrente pretermesso a quello risultato
aggiudicatario per effetto di una constatata illegittimità procedimentale; nel
secondo caso, invece, non potrà non tenersi conto del fatto che è già
intervenuto un atto di tipo contrattuale sul quale l'accertato vizio del
procedimento di gara incide solo in termini di annullabilità, non già di
nullità: con la conseguenza per cui l'esercizio del suddetto potere di
reintegrazione in forma specifica presupporrà che la stessa stazione appaltante
— ormai parte formale e sostanziale dell'instaurato rapporto contrattuale,
oltre che parte processuale in quanto resistente nel giudizio instaurato con
l'impugnazione dell'atto di aggiudicazione — avanzi, quanto meno in via
subordinata, « domanda di estensione degli effetti dell'eventuale annullamento
dell'aggiudicazione anche al contratto già stipulato ».
Ciò rilevato in ordine all'essenza
del potere di reintegrazione in forma specifica e ai presupposti legittimanti il
suo esercizio, è necessario chiarire in che modo siano destinati ad atteggiarsi
i rapporti tra stazione appaltante, primo aggiudicatario ed impresa beneficiata
dall'intervento riparatore del giudice amministrativo: non può trascurarsi,
infatti, che, qualora, sussistendo le condizioni sopra indicate, la ristorazione
in forma specifica avvenga mediante sostituzione di un aggiudicatario che, in
esecuzione di apposito contratto stipulato con l'amministrazione, ha già
effettuato un primo lotto dell'opera, del servizio o della fornitura appaltata,
si pone la questione della giustificazione causale delle prestazioni eseguite e,
soprattutto, della regolazione delle implicazioni patrimoniali connesse a
siffatta parziale realizzazione.
Non v'è dubbio che le prestazioni in
parola, in quanto eseguite sulla base di un contratto caducato dalla stessa
pronuncia del giudice amministrativo, sono da ritenere prive di giustificazione
causale: il primo aggiudicatario, estromesso a seguito dell'intervento
giudiziale, non potrà, pertanto, invocare la disciplina contrattuale e
pretendere il corrispettivo, ma dovrà intentare l'azione di cui all'art. 2041
c.c. e chiedere un indennizzo volto a compensare, nei limiti dell'arricchimento
conseguito dalla stazione appaltante, i costi sostenuti per la realizzazione di
tale primo segmento di prestazioni.
La questione, fin qui di agevole soluzione, è
tuttavia destinata a complicarsi se solo si considera che il concorrente
pretermesso potrebbe invocare, in uno al meccanismo riparatorio in forma
specifica, una pretesa risarcitoria rapportata all'utile che avrebbe percepito
se l'aggiudicazione fosse stata sin dall'inizio disposta in suo favore: d'altra
parte, non si trascuri che almeno di una parte delle spese sostenute dal primo
aggiudicatario nell'eseguire in parte le prestazioni dedotte in contratto finirà
per beneficiare l'impresa subentrata nel rapporto con la stazione appaltante per
effetto dell'intervento giudiziale [62].
Basti pensare, a quest'ultimo
riguardo, alle spese c.d. di impianto cantiere, costituite da talune
indispensabili operazioni preliminari, necessarie perché possano essere
eseguite le prestazioni contrattuali, non compensate da una specifica voce di
corrispettivo, ma destinate ad essere ammortizzate solo con il conseguimento
dell'intero compenso contrattuale: non è chi non veda come di siffatte spese
finisca inevitabilmente per beneficiare il secondo aggiudicatario che avrà,
senza costo alcuno, la disponibilità di un cantiere già realizzato, di cui
avvalersi per la esecuzione del successivo lotto di prestazioni non ancora
eseguite dal primo aggiudicatario.
In ipotesi come questa, al giudice
amministrativo non può non riconoscersi la necessaria discrezionalità nel
riequilibrare le posizioni in campo, in specie nel determinare quale frazione
dell'indennità spettante al primo aggiudicatario sia da porre a carico della
stazione appaltante a fronte dell'ingiustificato arricchimento conseguito, e
quale parte, invece, debba addebitarsi all'impresa sostituita.
Più problematica appare, invece, la
regolazione dei rapporti tra amministrazione, primo aggiudicatario e impresa
ricorrente allorché quest'ultima invochi il risarcimento, per equivalente, del
danno da mancata percezione dell'utile di impresa, ossia della vulnerazione
derivante dal non aver potuto realizzare il primo segmento di prestazioni
eseguito dal concorrente cui l'appalto è stato affidato all'esito di un iter procedimentale riconosciuto illegittimo dal giudice
amministrativo.
Attenta dottrina ha, al riguardo,
ritenuto di distinguere a seconda del grado, e prima ancora della natura, del
giudizio di addebitabilità alla stazione appaltante del profilo di illegittimità
procedimentale acclarato dal giudice amministrativo: ed invero, non si può, ad
esempio, non tener conto della ricorrenza dei casi in cui il vizio del
procedimento di gara derivi dall'erronea interpretazione di discipline di non
agevole lettura, spesso di recente emanazione, non adeguatamente supportate,
pertanto, dal conforto di una sufficientemente consolidata interpretazione
giurisprudenziale.
In questi casi, secondo tale dottrina, sembra arduo
formulare a carico della stazione appaltante quel giudizio di colpa che solo può
giustificare l'obbligo della stessa di corrispondere una duplicazione degli
oneri connessi al pagamento dell'utile di impresa, con la conseguenza che non si
dovrebbe imporre all'amministrazione la corresponsione dell'utile spettante al
primo aggiudicatario in relazione alla parte già eseguita delle prestazioni
dedotte in contratto e, al contempo, dell'utile invocato dal secondo
aggiudicatario con riferimento alla mancata realizzazione di quel primo segmento
di lavori, sevizi o forniture [63]:
l'amministrazione sarà tenuta, nei limiti dell'arricchimento, a compensare il
primo aggiudicatario per l'opera eseguita, non anche il secondo.
Ben diversa, invece, la situazione
allorché lo stesso giudice amministrativo accerti che l'illegittima
aggiudicazione sia dipeso da un comune errore di fatto, evitabile con
l'ordinaria diligenza, o anche da un errore di diritto agevolmente schivabile.
In questa differente ipotesi si dovrà
riconoscere al secondo aggiudicatario anche il danno derivante dal non aver
potuto percepire l'utile di impresa ragguagliato al primo segmento di
prestazioni effettuate dal primo: ciò, peraltro, non implicherà
inesorabilmente una duplicazione dell'onere economico da addebitare
all'amministrazione, posto che ben potrà il Giudice decurtare in tutto o in
parte l'importo della somma dovuta all'impresa ricorrente dall'indennità che la
stazione appaltante dovrà versare, ex art.
2041 c.c., al primo aggiudicatario.
Come si evince da un primo sguardo alle possibili
problematiche che potranno sorgere, resta, quindi, il dilemma di quali modalità
possa concretamente assumere tale forma specifica di risarcimento prevista dal
primo comma dell'art. 35 [64].
Non si è mancato di sottolineare, infatti, come,
nell'inquietante silenzio del legislatore, tale reintegrazione in forma
specifica sarà realizzata « in casi e con modalità che la fantasia degli
avvocati ed il coraggio dei giudici via via individueranno » [65].
Ci si chiede, peraltro, se tale condanna
reintegratoria possa consistere nell'ordine a carico dell'amministrazione di
emanare un certo provvedimento, con un determinato contenuto. E per vero, appare
difficilmente sostenibile, in mancanza di un'esplicita previsione normativa, la
possibilità di ordinare all'Amministrazione il comportamento da tenere o
addirittura la facoltà di emanare l'atto in luogo dell'Amministrazione.
Possibilità, comunque, esclusa da parte della dottrina, in base alla generale
considerazione che « una pretesa del genere potrà trovare soddisfazione solo
nel giudizio di ottemperanza » [66].
4.1. Il potere di disporre la
reintegrazione in forma specifica spetta anche al G.O.?
La risposta a tale interrogativo non
può che essere negativa quante volte la reintegrazione presupponga la rimozione
del provvedimento illegittimo ovvero l’obbligo per la PA di adottare uno
specifico provvedimento.
In prima battuta l’assunto è
corroborato dai limiti di cui alla LAC (artt. 2 e 4), per
i quali di cui non vi è
traccia di deroga per quel che attiene al risarcimento del danno. Salve
eccezioni, infatti, il GO non può modificare o revocare un atto della PA né
imporre un facere specifico di
carattere pubblicistico.
Il dato è irrobustito dalla
circostanza che il giudizio impugnatorio rimane in capo al GA. Ne deriva
l’impossibilità di una condanna specifica implicante la rimozione di un atto
non impugnato ovvero non favorevolmente impugnato.
Si avrebbe la soluzione
paradossale, elusiva del termine di decadenza, di imporre alla p.a.
la sostituzione di un provvedimento non caducato e non più caducabile.
Ne deriva quindi che la tutela
risarcitoria innanzi al GA presenta un’arma in più, la condanna in forma
specifica, di cui non può fare suo il GO, costretto a conoscere dell’atto con
la più spuntata arma della disapplicazione.
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[1]
Uno stravolgimento di tale portata verrebbe però ad intaccare un
assetto che trova la sua origine nella Costituzione, posto che il criterio
di riparto delle giurisdizioni basato sulle situazioni giuridiche soggettive
(diritto soggettivo ed interesse legittimo) trova un riscontro nella nostra
Carta fondamentale. Dubbi di costituzionalità sono stati pertanto avanzati
in ordine al D.Lgs. 80/98, relativamente al sostanziale superamento di tale
criterio, soppiantato dal nuovo sistema di ripartizione ratione materiae, introdotto dal legislatore delegato.
Il
Giudice di pace di Palermo, ord.za
11 maggio 1999, in Giust. it. - Giustizia amministrativa, www.lexitalia.it, il quale
— sollevata, con riferimento all'art. 77 della Grundnorm, questione di legittimità costituzionale dell'art. 33 del
D.Lgs. 80/98 nella parte in cui devolve alla giurisdizione del G.A. tutte le
controversie in materia di pubblici servizi, non facendo nel contempo
salvezza della giurisdizione dell'A.G.O. per le controversie concernenti
indennità, canoni ed altri corrispettivi — solleva, in subordine, per il
caso di ritenuta infondatezza della precedente questione, questione di
legittimità costituzionale dell'art. 11, comma 4, lett. g),
seconda parte, in quanto abilita, senza predeterminazione dell'oggetto, a
ridefinire i confini delle tre materie considerate, nonché abilita il
Governo, senza determinazione di precisi criteri direttivi, a ridefinire i
confini tra la giurisdizione ordinaria e la giurisdizione amministrativa
esclusiva per quel che concerne le controversie relative ad indennità,
canoni ed altri corrispettivi in materia di pubblici servizi.
In
particolare, il Giudice sottolinea la sfasatura che deriverebbe dalla
asserita generalizzazione della giurisdizione esclusiva del GA — come
operata dal legislatore — alla luce della consapevolezza che, negli ambiti
in cui ha giurisdizione esclusiva, il G.A. è giudice dei diritti oltre che
degli interessi. Viene quindi sostenuto che “codesto assetto non può
ritenersi conforme all'impianto costituzionale che è fondato essenzialmente
sulle situazioni soggettive come criterio di riparto della giurisdizione.
Se la
Costituzione ha voluto che il giudice amministrativo sia preposto alla
tutela degli interessi legittimi « e, in particolari materie, anche dei
diritti soggettivi » (art. 103 Cost.), non sembra possa essere consentito
identificare “le particolari materie” con pressoché “tutte” le
materie devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo.
Partendo
dalla « consapevolezza che la Costituzione individua nel giudice ordinario
il giudice dei diritti », si giunge alla conclusione che « sottrarre al
giudice ordinario la giurisdizione sui diritti per attribuirla ad altro
giudice, anche se questi è legittimato ad esercitarla sulla base di una
legge che riguardi “particolari materie”, è una operazione che ha
sostanzialmente tolto al giudice ordinario la cognizione dei rapporti tra
cittadino e pubblica amministrazione per devolverla al giudice
amministrativo: come, almeno tendenzialmente, giudice unico della pubblica
amministrazione ».
Va,
inoltre, segnalata l'ordinanza di T.A.R.
Lazio, Sez. Latina, 4 maggio 1999, n. 371, in Giust.
it. - Giustizia Amministrativa,
www.lexitalia.it, il quale ha sottolineato che « anche ammettendo che
la delegazione per materie possa trovare un aggancio nell'art. 103 Cost., è,
invero, palese la violazione del precetto costituzionale secondo il quale la
funzione legislativa può essere delegata a condizione che l'oggetto della
delega sia definito, onde deve logicamente escludersi una possibilità di
delega per blocchi di materie. Ciò ridonda quindi in vizio di eccesso di
delega a carico dell'art. 11, comma 4, lettera g)
della legge delega 59/97 — come più volte paventato in sede dottrinale
— “nella parte in cui estende la giurisdizione (pacificamente ritenuta
esclusiva) del giudice amministrativo alla materia dei servizi pubblici
oggettivamente indeterminata essendo evidentemente intesa nella sua totalità,
stante l'innegabile contrasto con l'art. 76 Cost. ».
Il
T.A.R. Lazio ha dichiarato rilevanti e non manifestamente infondate: a)
in via principale la questione di legittimità dell'art. 33, secondo comma,
lett. f), del D.Lgs. 80/98, in rapporto al primo comma del medesimo
articolo, limitatamente all'esclusione della giurisdizione esclusiva, dei
rapporti individuali di utenza con soggetti privati, stanti l'insanabile
contraddittorietà con il primo comma dello stesso articolo e la limitazione
arbitraria della delega da parte del legislatore delegato, con violazione
degli artt. 76 e 77, primo comma, Cost.; b)
in via subordinata, la questione di legittimità costituzionale dell'art.
33, primo comma, del D.Lgs. 80/98, in rapporto agli artt. 76 e 77, primo
comma, Cost., per manifesto eccesso di delega; c)
in via ulteriormente subordinata, quella dell'art. 11, quarto comma, della
legge n. 59/97, per violazione degli artt. 76 e 3 Costituzione. Con
violazione in tutti i casi, anche degli artt. 3, 24 e 113 cost., per il vulnus
arrecato al canone generale di coerenza dell'ordinamento normativo e per le
limitazioni e le difficoltà create all'esercizio del diritto di difesa ».
[2]
L'incostituzionalità di un sistema di tal fatta è evidenziato da F.
Bile, Qualche dubbio sul nuovo riparto giurisdizione, in Giust.
civ., 1999, 17 ss. L'Autore evidenzia che la tenuta costituzionale del
sistema si basa sul carattere eccezionale delle ipotesi di giurisdizione
esclusiva. La generalizzazione di tale giurisdizione innesca un
inaccettabile ispessimento dei settori nei quali è inibito alla Cassazione
l'opera monofilattica di tutela dei diritti soggettivi sotto il profilo del
merito mentre le rimane solo il ruolo di custode della giurisdizione. Di qui
la violazione dell'articolo 111 della Costituzione, norma che esclude il
sindacato della cassazione sul Consiglio di Stato sotto il profilo della
violazione di legge partendo dalla premessa che il Giudice amministrativo
decida soltanto nelle materie di interesse legittimo.
Per cui
analisi complessive del riparto di giurisdizione scaturente della riforma
del 1998, si veda L. BARRA CARACCIOLO,
Giurisdizione esclusiva in materia di
pubblici servizi; ovvero della palingenesi del graal e della riscossa
dell'interesse legittimo, testo manoscritto in attesa di pubblicazione.
Si vedano da ultimo E. Picozza
- G. Palma - E. Follieri, Le situazioni
giuridiche soggettive del diritto amministrativo, Milano, 1999, parte
III.
[3]
N. Di Modugno, La
nuova grande giurisdizione esclusiva e i poteri istruttori del giudice
amministrativo: prime riflessioni sulla recente riforma, in testo
dattiloscritto provvisorio. L'Autore, ripercorrendo l'iter
storico evolutivo del sistema di riparto di giurisdizione, sottolinea
che si è assistito ad un « ribaltamento del rapporto regola-eccezione fra
il criterio della giurisdizione esclusiva per materia e quello della
distinzione fra diritti ed interessi [...] ha condotto il legislatore ad
imprimere alla nuova giurisdizione esclusiva un'impronta molto più radicale
rispetto al modello disegnato nel 1924 ed irrobustito, ma solo irrobustito,
nel 1971 ».
[4]
Sent. 10 marzo 1999, n. 307. Le diverse tesi secondo cui anche il
giudizio amministrativo di annullamento dovrebbe essere introdotto a partire
dall'1/7/98 è smentita dall'art. 45, comma 18, che mantiene ferma la
giurisdizione prevista dalle norme previgenti solo ove sia pendente giudizio
al 30/6/98.
Se a
detta data non sia pendente giudizio valgono allora in pieno le nuove regole
del gioco. Il TAR ipotizza inoltre che per le materie già precedentemente
attribuite alla giurisdizione esclusiva (nella specie in tema di sanzioni
edilizie ex art. 16 L. n. 10/77)
la disciplina dell'art. 35 potrebbe ritenersi applicabile a far tempo dalla
entrata in vigore del D.Lgs. 80/98 (ossia dal 23/4/1998).
[5] E’ questa la soluzione pur se dubitativamente sostenuta dal Tar Reggio Calabria.
[6]
Cfr., sul punto, A. Romano,
cit., 352, il quale rileva che se la disposizione « andasse riferita agli
appalti pubblici nella sola materia dei servizi pubblici oggetto di delega,
si potrebbe dubitare della costituzionalità della diversità di trattamento
di questi rispetto agli altri; se venisse intesa come regola generale per
tutti gli appalti pubblici, si potrebbe dubitare, allora, della possibilità
di ricondurla entro i limiti della delega medesima ».
[7]
V., sul punto, F. Goisis,
L'art. 33 D.Lgs. 80/1998 e la
giurisdizione amministrativa sulle gare di appalto indette da società miste
locali alcuni argomenti a favore di una loro qualificazione come imprese
(pubbliche), in Dir. proc. amm.,
1999, 201 ss., il quale ritiene preferibile estendere la sfera applicativa
della riforma del 1998 al di là del settore degli appalti pubblici, in
un'ottica di coerenza e adesione piena alle istanze comunitarie.
Favorevole
alla lettura estensiva, pur nella consapevolezza del rischio di incappare in
censure per eccesso di delega, anche R.
Villata, Prime considerazioni
sull'art. 33 del D.Lgs. 80/1998, in Dir.
proc. amm., 1999, 291 ss.
[8]
Cfr., al riguardo, M. Lipari,
La nuova giurisdizione amministrativa
in materia di edilizia, urbanistica e dei pubblici servizi, in Urbanistica
e appalti, 1998, 596 ss., che sottolinea come la generica nozione di
pubblico servizio sia dal legislatore « precisata in una duplice
prospettiva; la prima, che si potrebbe definire orizzontale, riguarda
l'estensione della materia; la seconda, di carattere verticale, concerne i
tipi di controversie proponibili, individuati in funzione dell'intensità
del collegamento della vicenda sostanziale oggetto di contestazione con
l'organizzazione o l'espletamento del servizio ».
[9]
La portata solo parzialmente abrogante dell'art. 35. comma 5, D.Lgs.
n. 80/98, è sostenuta, sia pure incidentalmente, in un passaggio della
decisione in commento. I Giudizi di Palazzo Spada, infatti, indicano l'art.
13, l. n. 142/92, come disposizione « da ultimo in via parziale abrogata
dal D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80 ».
[10]
L. V. Moscarini, Risarcibilità
del danno da lesione di interessi legittimi e nuovo riparto di giurisdizione,
in Dir proc. amm., 1998, 803 ss.,
in part. 814 ss.
[11]
T.A.R. Piemonte, Sez. II 21 gennaio 1999, n. 17, in Urbanistica e Appalti, 1999, 299, con nota di F.
Caringella e R. Garofoli, Il rito
degli appalti e la tutela risarcitoria degli interessi legittimi dopo il
decreto legislativo n. 80/1998.
[12]
Al riguardo, il T.A.R. Piemonte richiama il fondamentale canone
ermeneutico che impone di privilegiare, fra più interpretazioni possibili
di una stessa norma, quella che la rende conforme alla Costituzione: v., ex multis, Corte cost. 21 novembre 1997 n. 350 e n. 360, 23 aprile
1998 n. 147.
[13]
Va, sul punto, segnalata l'asserita estensione della giurisdizione
esclusiva alle gare di appalto obbligatoriamente indette da società miste
locali. Ad avviso di F. Goisis,
cit., pur volendo aderire alla tesi restrittiva dell'applicazione della riforma
del 1998 alle sole gare di appalto in materia di pubblici servizi
— come sostenuto dalla giurisprudenza —, le società miste locali
troverebbero un loro spazio, in quanto esse sono « per definizione
legislativa strumentali alla gestione di servizi pubblici locali ».
Verrebbe, conseguentemente, in rilievo la pregiudiziale questione relativa
alla loro qualificazione giuridica.
[14]
Il carattere parziale dell'abrogazione dell'art. 13 legge n. 142/92
è incidenter tantum evidenziato
da Cons. Stato, sez. VI, 28 ottobre 1998, n. 1478, in Urbanistica e Appalti, n. 1/1999, n. 71 e ss. cui nota di E. Chiti.
In sintonia, in modo più analitico, Cons. Stato sez. V, 7 giugno 1999, n.
295.
[15]
Per una completa disamina delle problematiche inerenti alla materia
dei contratti della P.A. e delle innovazioni appartenenti con i recenti
interventi normativi, vedi E. Follieri,
La tutela nei contratti della pubblica
amministrazione nella giurisdizione del giudice amministrativo, in Dir.
proc. amm., 1999, 30355.
[16]
Cosí Tar Marche, 12 marzo 1999, n. 260, in Urbanistica e appalti, n. 6/1999.
[17]
Cosí TAR Umbria, 3 marzo 1999, n. 206, in Urbanistica e Appalti n. 5/1999, 546 e ss. con nota di F. Della
Valle.
[18]
Cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 28 ottobre 1998, n. 1478, cit. Vedi
ampiamente sul punto, Cons. Stato sez. V, 7 giugno 1999, n. 295, cit.
[19]
Tar Umbria, 3 marzo
1999, n. 206, Pres Est Lignani, Vigilanza Umbra s.r.l. contro Enel s.p.a.,
ove si sottolinea che il decreto del 1995 si riferisce in tema di organismi,
solo agli enti pubblici non economici, cosí tagliando fuori gli enti
pubblici economici e a maggior ragione, le società per azioni.
Osserva
M. Filippi, infra, che pur se una risposta positiva potrebbe trovare conferma
nell'avverbio « comunque » utilizzato dal legislatore per l'individuazione
dei soggetti tenuti all'applicazione dell'evidenza pubblica, per altro
verso, potrebbe apparire incongruo far dipendere l'attribuzione della
giurisdizione al giudice amministrativo, piuttosto che al giudice ordinario,
dall'esistenza di una clausola negoziale o da una scelta — in ordine alle
procedure di gara — compiuta nell'ambito di potestà discrezionali ».
[20]
Cons. Stato, Sez. VI, 20 maggio 1995, n. 498 in Foro amm., 1995, 1010, TAR Molise, 21 dicembre 1998, n. 420, che ha
escluso la giurisdizione amministrativa in relazione ad appalto indetto da
un ente ecclesiastico ante circolatosi alla procedura di condanna pubblica.
[21]
Cfr. in materia M. Filippi,
La giurisdizione amministrativa sugli
atti dei soggetti privati alla luce del D.Lgs. 80/98, che, tra l'altro,
evidenzia il progresso che il nuovo riparto sancisce in sede di sindacato
sull'attività di evidenza pubblica svolta da soggetti pirvaiti.
La tesi
dell'assoggettamento sull'attività al G.A. delle controversie relative ad
appalti: di soggetti privati costretti all'Evidenza pubblica e con vigore
sostenuto da Cons. Stato sez. VI n. 1478/1988; sez. V, n. 295/1999. In
conformità da ultimo Cass. sezioni unite civili 5 febbraio 1999, n. 24; 13
febbraio 1999, n. 64, in Urbanistica e
Appalti, n. 6/1999, con note di V. Di
Gioa e B. Mameli, TAR
Catanzaro, 23 novembre 1998, n. 1022, in TAR,
1999, I, 345, prende invece atto dal fatto che dopo l'entrata in vigore
dell'art. 33, comma 2, lett. E del D.Lgs. n. 80/1998, spettano al G.A. in
via esclusiva le controversie sugli appalti pubblici anche ove stazione
appaltante sia un ente pubblico-economico (nella specie l'A.N.A.S.).
[22]
Tar Toscana, Sez. II, n. 24/1999, Snites Koerting Canepa s.r.l.
contro Comune di Firenze. Rel Conti. La sentenza è pubblicata in Urabanistica e Appalti, 1999, 546, ss.
[23]
Tar Marche, 12 marzo
1999, n. 260, in Giustizia
amministrativa, Rivista giuridica online, 1999; TAR Abruzzo, Pescara,
ord.za 12 aprile 1999, n. 184 in Giustizia
amministrativa, Rivista giuridica
online, 1999.
[24]
Cons. Stato, Sezione IV, 11 dicembre 1998, n. 1627, in Cons.
Stato, 1998, I, 1913: « Le disposizioni di cui agli articoli 13, primo
comma, legge n. 142 del 1992, e 35, primo comma, del D.Lgs. n. 80 del 1998
(che all'ultimo comma ha abrogato la disposizione sancita dal richiamato
art. 13) — a prescindere da ogni considerazione sulla loro riferibilità
anche agli appalti di lavori pubblici inferiori alla soglia comunitaria
(come nella fattispecie in esame) —, introducendo nell'ordinamento la
possibilità del risarcimento per la lesione dell'interesse legittimo
dell'impresa vulnerata da procedimenti di evidenza pubblica, hanno natura
sostanziale, ed, in quanto tali, non possono trovare applicazione
relativamente a fattispecie realizzatesi prima della loro entrata in vigore.
All'applicazione retroattiva di dette norme osta la mancanza di una
disposizione in tal senso e la non sussistenza nell'ordinamento di un
principio generale in ordine alla reintegrazione per equivalente pecuniario
della lesione di interessi legittimi ».
[25] Si rinvia a R. CARANTA, La responsabilità extracontrattuale, Milano 1993, cit., 404 ss., ove ult. riff.
[26] M. LIPARI, La nuova giurisdizione esclusiva del GA,. In Urbanistica e Appalti, n. 6/1998.
[27]
L'espressione è di M.
Buricelli, cit.
[28]
Il rischio è evidenziato da M.
Buricelli, cit.
[29]
Non integrano un danno risarcibile l'illegittimità che derivano da
vizi di stampo meramente formale, come rilevato, tra gli altri, da L. Bagarotto,
Posizioni giuridiche soggettive e mezzi di prova nei giudizi
amministrativi, in Cons. Stato,
1999, 302 ss.
[30]
Sul punto, va ricordata la posizione della Cassazione, la quale
ritiene auspicabile un controllo del giudice amministrativo sull'attività
della pubblica amministrazione incisivo e penetrante. V. Cass., S.S.U.U., 15
luglio 1993, n. 7841 (caso SIAE), in Giur.
It., I, 1, 510.
[31]
Più specificamente, trasponendo la problematica nel mondo degli
appalti, in sostanza non sarà delineabile alcuna voce di danno, sul piano
dei profitti sperati, in caso di annullamenti formali, e più in generale
ove si dimostri che, anche in caso di ammissione alla gara o di svolgimento
corretto della stessa, l'impresa non sarebbe potuta risultare vittoriosa (ad
esempio perché mancante di un requisito per l'ammissione diverso rispetto a
quello erroneamente contestato dall'ente appaltante). V. sul punto, G. Saporito,
Sulla risarcibilità di interessi legittimi in tema di appalti pubblici,
Nota a Cass., Sez. unite, 10 novembre 1993, n. 11077, in Il
Corriere giuridico, 1994, 620.
[32] Si veda E. FOLLIERI, Risarcimento dei danni per lesione di interessi legittimi, Chieti, 1984, 80 ss.
[33] R. CARANTA ,
La
Pubblica Amministrazione nell'età della responsabilità,
in corso di pubblicazione sul Foro italiano, 1999.
[34]
Sul punto il TAR Calabria, 10 marzo 1999, n. 307, in Guida
al diritto 1999, n. 23 pag. 94, pronunciandosi sul risarcimento del
danno da illegittimo ordine di demolizione osserva invece che il giudice può
integrare l'istruttoria ai fini del danno. L'ottemperanza all'ONUS
PROBANDI va infatti verificata non al momento iniziale (nel ricorso
introduttivo è infatti sufficiente l'esposizione degli elementi di fatto e
di diritto, insieme alla generica indicazione dei mezzi di prova) ma
all'esito del giudizio. A sostegno dell'assunto il Tribunale osserva che:
a)
anche nel processo civile all'atto introduttivo non è connessa alcuna
decadenza in ordine ai mezzi istruttori in quanto è prevista un'apposita
udienza di deduzioni istruttorie successiva a quella di prima comparizione e
di trattazione per la produzione di documenti e l'indicazione di nuovi mezzi
di prova;
b)
è acquisito il dato che ove la controversia sia connessa ad una vicenda
amministrativa il principio dispositivo è attenuato ed emerge il solo onore
di un principio di prova;
c)
nello stesso giudizio civile, infine, ex
art. 213 c.p.c., vi è il potere officioso del giudice di richiedere
informazioni scritte alla P.A. relativamente ad atti e documenti che è
necessario acquisire al processo. Franco,
Strumenti di tutela del privato
nei confronti della P.A., Padova, 1998, 419 ss., si sofferma sull'onere
di dimostrazione dell'elemento psicologico, asserendo che « non solo la
volontarietà dell'atto, ma finanche la finalità è come ipostatizzata
nell'atto, ragioni per cui non occorrono indagini sull'atteggiarsi della
volontà dell'agente, e, in genere, sull'elemento psicologico di questi ».
Qualora si faccia derivare il danno del dolo, invece, sussiste un onere di
specifica dimostrazione, di quella « volontà deviata » — diretta a
conseguire una finalità egoistica, esterna al provvedimento. Tale
dimostrazione dovrebbe peraltro coincidere con quella dell'eccesso di potere
o dell'abuso d'ufficio: L. Bagarotto,
cit., richiama il principio giurisprudenziale in base al quale la presenza
di un provvedimento amministrativo (conf. TAR Calabria, n. 307/1999, cit.);
l'accertamento della sua illegittimità è sufficiente ad integrare un danno
risarcibile; la necessità dell'accertamento dell'elemento soggettivo sorge,
invece, qualora la lesione derivi del mero comportamento della P.A. In sede
probatoria del dolo o della colpa troverebbe il suo ambito naturale la prova
testimoniale.
[35]
Sul punto, le lucidi osservazioni di E. De
Francisco, Il giudice
amministrativo... dispone... il risarcimento del danno ingiusto, in Urbanistica e appalti, 1998, 605 ss.
In
ordine all'applicazione dell'art. 1227 c.c., resta aperto il problema, di più
ampio respiro, della possibilità di individuare un comportamento negligente
— che come tale integri una condotta rilevante ai sensi della norma citata
— nell'omessa tempestiva impugnazione, rectius
nell'omessa tempestiva richiesta di sospensiva dell'atto che si presume
lesivo. La mancata richiesta, infatti, dovrebbe rilevare come fatto colposo
che « ha concorso a cagionare danno », in quanto avrebbe incrementato i
danni derivanti dall'atto illegittimo. Se pur tale tesi — diretta
essenzialmente a non incentivare un comportamento neghittoso del presunto
danneggiato — riveste forse un certo fascino, la diretta conseguenzialità
tra la richiesta della sospensiva e l'effettiva sospensione del
provvedimento è tutta da dimostrare. Più in generale, ci sembra
eccessivamente ardita la tesi che include, tra i comportamenti che il
debitore deve tenere, l'onere di adire l'autorità giudiziaria; e ciò anche
alla luce della non trascurabile considerazione dei tempi e dei costi che un
normale processo ha nel sistema italiano, senza peraltro contare l'esito
assolutamente incerto dello stesso.
Desta
qualche perplessità, più nello specifico, l'eventualità di ancorare
all'accoglimento nel merito la responsabilità dei danni subiti dal
ricorrente che abbia omesso di avanzare istanza per la sospensiva. Va
infatti sottolineato come, in realtà, l'eventuale accoglimento nel merito
del ricorso non garantisce che la sospensiva — qualora diligentemente
richiesta — avrebbe ricevuto analogamente accoglimento, in quanto i
presupposti sono comunque diversi. La mancata istanza di sospensiva ben
potrebbe essere frutto della consapevolezza dell'insussistenza dei requisiti
richiesti dalla legge, in particolare del periculum
in mora. Anzi, alcuni autori sono giunti ad affermare che la sussistenza
del rischio di un danno irreparabile risulta ancor più remota alla luce del
principio di risarcibilità direttamente innanzi al giudice amministrativo,
introdotto dal D.Lgs. 80/1998.
Peraltro,
diversamente concludendo, si avvallerebbe un uso indiscriminato e distorto
dell'istanza di sospensiva, eventualmente presentata, pur nella
consapevolezza dell'insussistenza dei requisiti, unicamente al fine di
mettersi al riparo dal rischio di vedersi porre a proprio carico i danni
subiti nel periodo di tempo precedente all'accoglimento del ricorso nel
merito.
[36]
I. Franco, Strumenti
di tutela..., cit., il quale puntualizza la necessità di un rapporto di
stretta conseguenzialità per l'applicazione di tali principi di derivazione
giurispruenziale.
[37]
G. Racca, La
quantificazione del danno subito dai partecipanti alle gare per
l'affidamento di appalti pubblici, in Dir.
Amm., 1998, 155 ss.
[38]
TAR Sardegna, 17 febbraio 1999, n. 169, in Danno e responsabilità, 1999, 582 ss., con nota di G. Gioia,
la quale descrive il danno come « sofferto ingiustamente dalle imprese
costrette a partecipare ad una gara che, per la debbenaggine e l'incapacità
di funzionare della P.A., è stata annullata »).
Tra le
prime applicazioni del D.Lgs. n. 80/98 si veda, in tema di illegittima
demolizione edilizia, TAR Reggio Calabria, 12 maggio 1999, n. 617, in Guida al diritto, 1999, n. 23, 98, ove si reputa in
re ipsa dimostrato il danno per mancato godimento, qualificabile in via
equitativa in assenza di elementi specifici. La stessa decisione ha escluso
i danni (spese legali di difesa) da sequestro penale dell'immobile,
trattandosi di voci non imputabili all'azione amministrativa ma all'autonomo
intervento della magistratura penale.
Quanto
infine al danno da illegittimo ordine di sospensione dei lavori, il ritardo
nella costruzione, secondo detta sentenza, va preso in considerazione solo
sino alla data del deposito della sentenza.
[39]
Cosí recita l'art. 8, comma 2, della direttiva 93/73/CEE, che
coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, ed
il relativo recepimento attuato con l'art. 31, comma 2, D.Lgs. 19 dicembre
1991, n. 406, Attuazione della
direttiva 89/440/CEE, in materia di procedure di aggiudicazione degli
appalti di lavori pubblici.
[40]
L'obbligo di motivazione è sancito in maniera puntuale — al di là
del generico obbligo di motivare gli atti amministrativi di cui all'art. 3
della legge sul procedimento — dall'art. 31, comma 2, D.Lgs. 406/91, prima
richiamato.
[41]
Va qui ricordato che le norme comunitarie (art. 2, comma 7, della
direttiva del Consiglio delle Comunità Europee del 25 febbraio 1992,
92/13/CEE, in G.U.C.E., n. L76 del
23 marzo 1992, 14) prevedono, oltre al risarcimento integrale, la possibilità
di un risarcimento limitato ai soli « costi di preparazione di un'offerta o
di partecipazione ad una procedura di aggiudicazione ».
[42]
La norma veniva concepita in un periodo storico in cui comunque si
partiva dalla presunzione che « l'Amministrazione non addivenga ad un tale
passo, se non per legittimi motivi, ma di fronte all'esplicito contenuto di
detto articolo non è possibile formulare limitazione alcuna », per cui
veniva applicato anche nei casi di inadempimento dell'Amministrazione, come
sostenuto da Cuneo, Appalti di opere pubbliche, II ed., Milano, 1924, 513.
[43]
Capaccioli, nota a Corte
di Cassazione, SS.UU., 20 aprile 1991, n. 4289, in Giust. Civ., 1991, I, 2996.
[44]
Questa l'ipotesi elaborata da G. Racca,
cit., la quale specifica come la percentuale cosí fissata sarebbe
indicativa dell'utile medio ricavabile dall'appaltatore con l'impiego dei
mezzi produttivi dell'impresa. Lungi dal rappresentare una barriera
limitativa al danno risarcibile, sarebbe, quindi, solamente un metodo di
calcolo che richiama, tra l'altro, il sistema elaborato — con
l'individuazione delle varie categorie di creditori — dalla giurisprudenza
civilistica in materia di interessi sulle obbligazioni pecuniarie
relativamente alla determinazione del concreto pregiudizio che il soggetto
subisce per la mancata acquisizione della somma di denaro spettantegli.
[45]
Su tale linea, Corte di Giustizia delle Comunità europee, 1 giugno
1995, causa 42/94, Heidemij Advuies BV c. Parlamento Europeo, in Raccolta,
1995, I, 1417, p.to 22, sulla controversia relativa alla risoluzione
unilaterale del contratto di appalto per la sorveglianza della costruzione
di edifici nell'ambito dell'ampliamento del Parlamento di Bruxelles.
[46]
Il criterio adottato è stato, peraltro, già oggetto di critiche per
la palese inadeguatezza di un indennizzo forfetariamente valutato nella
misura del dieci per cento.
[47]
È cio che è avvenuto nel Coll. arb., 6 febbraio 1990, Impresa Ing.
A Grassi c. Com. di Sciacca, in Arch.
giur. oo. pp., 1991, 653; od anche in Corte giustizia Comunità Europee,
14 gennaio 1993, causa 257/90, Italsolar s.p.a. c. Commissione Ce, in Raccolta,
1993, I, 9, ove un'impresa italiana, che ha richiesto come risarcimento per
la assunta illegittima esclusione dalla gara il 15% del prezzo offerto per
ciascun lotto quale mancato guadagno, si è però vista rigettare
integralmente la domanda.
[48]
Qui il terreno della prova si fa ancora più scivoloso, posto che,
ammettendo una sorta di « danno per immagine depotenziata », si entra
nelle sabbie mobili di un danno non surrogabile patrimonialmente e non
agevolmente quantificabile.
[49]
L'importantissima puntualizzazione è nell'XI considerando della
direttiva 92/13, cit.
[50]
Su questa lunghezza d'onda TAR Lecce, sez. I, n. 416/1999, cit., che,
pur rimettendo all'accordo delle parti la concreta determinazione ex
art. 35 D.Lgs. 80/98 ha ritenuto la necessità di abbattere almeno del
50-70% il mancato guadagno della ricorrente per la ipotetica perdita
dell'appalto, minata nell'effettivo guadagno della controinteressata. Sul
punto, Corte di giustizia Comunità europee, 22 aprile 1997, causa 180/95,
Draehmpael c. Urania immobilienservice ohG, in Raccolta, 1997, la quale specifica esplicitamente che il
risarcimento può essere riconosciuto anche qualora l'offerta presentata dal
ricorrente, comunque, non sarebbe risultata la migliore, perché,
indipendentemente dalla violazione contestata, vi erano altre domande
accoglibili.
[51]
Vedi in materia G. Saporito,
Sulla risarcibilità di interessi
legittimi in tema di appalti pubblici, Nota a Cass., Sez. unite, 10
novembre 1993, n. 11077, in Il
Corriere giuridico, 1994, 620.
[52]
Cfr. TAR Lombardia, Sez. Brescia, 30 luglio 1998, n. 721, ove si
rimarca che « la tempestività della decisione consentirà
all'amministrazione procedente di verificare l'anomalia dell'offerta della
società ricorrente », con la conseguenza che non deve esaminarsi la
domanda di risarcimento proposta ex art.
35 D.Lgs. n. 80/1998, da intendersi subordinata alla non immediata
riammissione alla gara ».
[53]
Cosí T.A.R. Reggio Calabria n. 617/99 per il danno da illegittimo
ordine di demolizione di casa per civile abitazione.
[54]
Sulle peculiari modalità della procedura per la quantificazione del
danno ai sensi del secondo comma del'art. 35,
v. infra, par. 6.1.
[55]
M. Lipari, La
nuova giurisdizione amministrativa in materia edilizia, urbanistica e dei
pubblici servizi, in Urbanistica e
appalti, 1998, 592 ss., sottolinea la « singolare » formula utilizzata
dal legislatore, il quale, invece di prevedere la condanna al risarcimento,
sancisce che il giudice « dispone » il risarcimento del danno ingiusto.
Peraltro, tale formulazione, nella sua singolarità, non sembra implicare
alcuna peculiarità processuale: l'Autore afferma, infatti, che « si deve
ritenere, comunque, che la pronuncia del giudice assuma i caratteri di una
sentenza di condanna generica, con tutte le ulteriori conseguenze relative,
fra l'altro, alla possibilità di costituire ipoteca giudiziale, ai sensi
del 2818 c.c. ».
[56]
L'osservazione è di F.
Caringella e R. Garofoli,
cit.
[57]
Sul punto, concordi, M. Buricelli,
Decreto legislativo n. 80 del 1998 e
giurisdizione esclusiva esclusiva del giudice amministrativo: risarcimento e
norme processuali (art. 35), in Diritto
& Diritti - Rivista giuridica online, 5/11/1997; M. Lipari,
La nuova giurisdizione amministrativa in materia edilizia, urbanistica e
dei pubblici servizi, in Urbanistica
e appalti, 1998, 592 ss., secondo il quale le lacune normative sarebbero
solo in parte arginate dal ricorso agli articoli 2058 e 2033 c.c. Resta,
infatti, aperto il problema delle modalità di realizzazione di tale
reintegrazione in forma specifica.
[58]
Come recentemente chiarito da T.A.R. Friuli Venezia Giulia, sent. 27
aprile 1999, n. 537, cit., « nel caso di accoglimento di un ricorso avverso
il rifiuto della P.A. appaltante di aggiudicare una fornitura di cui sia
rimasta aggiudicataria la ditta ricorrente, la reintegrazione in forma
specifica, in base a quanto previsto dal d.lgs. 80/98, va disposta nel senso
di assegnare la fornitura alla ditta stessa. Nel caso di accoglimento di un
ricorso avverso l'esclusione di una ditta da una gara, la reintegrazione in
forma specifica consiste nella riammissione dell'offerta della ditta stessa
alla gara, senza nessuna garanzia che essa ne risulti vincitrice. Si tratta,
quindi, di un'utilità meramente strumentale, che si sostanzia nella rimessa
in gioco dell'offerta della ditta ricorrente, assieme a quella delle altre
ditte, che rientrano nei parametri previsti dal capitolato ».
[59]
In termini M. Di Palma, Alcune
riflessioni sulla reintegrazione in forma specifica di cui all'art. 35 del
D.Lgs. n. 80/1998 e all'art. 11 del d.D.L. n. S 3593, in www.lexitalia.it.
L'A. continua: « Infatti, la principale obiezione che viene mossa a tale
indirizzo sottolinea che nel nostro ordinamento, a differenza di quello di
altri Stati dell'Unione, come quello tedesco, nessuna norma ha disciplinato
l'azione di adempimento che consente di agire in giudizio per ottenere la
condanna dell'amministrazione all'emanazione di un atto amministrativo
illegittimamente omesso o rifiutato. Tale rilievo, a parere di chi scrive,
sembra poter essere ora superato, almeno nelle materie devolute alla
giurisdizione esclusiva ex artt.
33 e 34 del citato D.Lgs., proprio alla luce della previsione dell'art. 35
in questione che, stante il carattere atipico del provvedimento di condanna
volto a rimuovere direttamente il danno, pare, almeno limitatamente ad un
settore dell'ordinamento e ai casi in cui in capo all'amministrazione non
residui alcun margine di discrezionalità, riconoscere l'ammissibilità
dell'azione di adempimento già prevista, tra l'altro, in una precedente
proposta di riforma del processo amministrativo (naturalmente alle stesse
conclusioni è possibile pervenire con riferimento all'art. 11, anche se in
forza dello stesso l'ambito di operatività della suddetta azione
riguarderebbe tutte le materie deferite alla giurisdizione del giudice
amministrativo).
Si
potrebbe eccepire che, così intesa, la norma sarebbe viziata per eccesso di
delega, atteso che il legislatore delegante non ha fatto alcun cenno alla
azione di adempimento. In realtà, movendo dalla considerazione che la
reintegrazione in forma specifica non costituisce una forma eccezionale di
risarcimento, ma una modalità ordinaria di riparazione, si può sostenere
che, avendo l'art. 11, comma 4, lett. g)
della L. n. 59/1997, fatto generico riferimento al « risarcimento del danno
» , questa interpretazione non travalichi i limiti della delega (è appena
il caso di osservare poi che un tale rilievo critico non potrebbe neppure
essere mosso in ordine a quanto previsto dall'art. 11 del citato d.d.l. ».
Per una
prima applicazione dei principi relativi alla reintegrazione in forma
specifica in tema di appalti si veda TAR Veneto, Sez. I, 9 febbraio 1999, a
cui dire « nel caso in cui sia stata annullata l'approvazione di una
pubblica fornitura, che all'atto della sentenza, sia ancora, in corso il
ristoro della posizione della ditta ricorrente può avvenire in forma
specifica. In tale ipotesi, quindi, in corretta esecuzione della sentenza,
chiede di portare in riequilibrio la posizione della ditta ricorrente,
l'Amministrazione appaltante dovrà provvedere ad attribuire l'appalto alla
ricorrente per l'intera durata prevista dal bando, con l'onere di
sopportare, se nel caso, gli eventuali maggiori osti del prodotto fornito
che siano soggettivamente riscontrabili a causa del tempo intercorso tra la
mancata applicazione (di cui è stata accertata l'illegittimità) e
l'affettivo inizio della fornitura ».
[60]
TAR Friuli Venezia Giulia sent. 27 aprile 1999, n. 537, cit., ha
espressamente ribadito che “il risarcimento del danno, previsto dal citato
decreto legislativo n. 80/98, anche se fronte di interessi legittimi, va
considerato come un elemento sostitutivo dell'eventuale reintegrazione in
forma specifica”.
Pertanto,
come chiarisce D. De Carolis, Prime
esperienze giurisprudenziali nelle materie di giurisdizione esclusive
previste dal d.lgs. 31 marzo 1988, n. 80, in Urbanistica
e Appalti, 8/1999 ed in www.lexitalia.it, la
domanda risarcitoria per equivalente va respinta ove sia possibile
assicurare la reintegrazione in forma specifica. Nell'ipotesi in cui
l'annullamento dell'aggiudicazione di una pubblica fornitura intervenga
quando quest'ultima sia ancora in corso il ricorrente si vedrà attribuire
l'appalto, salvo sempre il risarcimento dei danni legati al tempo intercorso
tra la mancata aggiudicazione (illegittimo) e l'effettivo inizio della
fornitura.
In
questo rapporto di alternatività, il giudice di prime cure chiarisce,
infine, che resta ferma la possibilità di avanzare richiesta di
risarcimento per “eventuali ulteriori danni” ovvero “ulteriori
rispetto a quelli già soddisfatti dalla reintegrazione in forma
specifica”.
Il TAR
puntualizza che, in tale ipotesi, “non basta che siano affermati dalla
parte ricorrente, la quale deve almeno fornire un principio di prova al
riguardo”. La dottrina, peraltro, aggiunge che occorre una prova piena e
completa, non potendosi ritenere sufficiente un semplice “principio di
prova”: v. G. Virga, in
commento alla sentenza, in www.lexitalia.it.
[61]
La definizione è di Bianca,
Diritto civile, La responsabilità,
V volume, Milano, 1994.
[62]
L. V. Moscarini, cit.,
824.
[63]
L. V. Moscarini, cit.,
833, il quale giunge a tale risultato in applicazione del principio generale
desumibile dall'art. 2236 c.c. a tenore del quale « se la prestazione
implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il
prestatore d'opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o di colpa
grave ».
[64]
Il problema viene sollevato, tra gli altri, da F. Satta,
Il decreto legislativo n. 80 del 1998, in Diritto & Diritti, www.diritto.it
, 1998, il quale si chiede se, in questo caso, sia ammissibile «
ipotizzare che il giudice amministrativo possa spingere la sua pronuncia di
reintegrazione in forma specifica fino ad impegnare l'amministrazione su un
piano o su un terreno diverso da quello oggetto del giudizio. Si può dare
libero sfogo alla fantasia — ed in realtà avventurarsi in autentiche
sabbie mobili — immaginando che il giudice amministrativo ordini al Comune
di far partecipare il vincitore ad un'altra società o di affidargli un
lavoro equivalente a quello per cui ha fatto ricorso. Qui il risarcimento
potrebbe esserci: sembra però sufficiente formulare ipotesi di questo
genere per concludere che questa è una via pressoché impraticabile ».
[65]
La sagace osservazione è di M. Breganze,
Urbanistica
ed edilizia nel decreto legislativo 80/1998, Relazione al Convegno su «
Giurisdizione amministrativa e ordinaria - Nuova ripartizione di competenze
e nuove certezze per l'operatore », Verona, 30 ottobre 1998, in
www.lexitalia.it.
[66]
Tra gli altri, L. Stevanato, «
D.Lgs. 80/98 e giurisdizione esclusiva
del giudice amministrativo, in particolare nella materia edilizia », in
Rivista giuridica dell'edilizia,
1998, 605 ss.