LexItalia.it  

 Prima pagina | Legislazione | Giurisprudenza | Articoli e note | Forum on line | Weblog

 

Articoli e note

 

Marino Breganze
(Professore di diritto urbanistico nell’Università di Padova)

Urbanistica ed edilizia nel decreto legislativo 80/1998 (*)

horizontal rule

La legge 15 marzo 1997, n. 59, nel dare "delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa", aveva previsto - tra l’altro, in una delle tante disposizioni contenute in quel guazzabuglio normativo che la compone - la possibilità, con decreto legislativo da emanarsi entro il 31 marzo 1998, di dettare disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 (contenente "Razionalizzazione dell’organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego").

A tal fine, l’art. 11, comma 4°, della legge delega fissava taluni principii e criteri direttivi cui il Governo avrebbe dovuto attenersi, tra i quali - esulando non poco da quella che, stando alla sua rubrica, avrebbe dovuto essere la finalità della legge Bassanini - veniva indicata (lett. g)) la devoluzione, entro il 30 giugno 1998, al giudice ordinario delle controversie relative ai rapporti di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, "prevedendo: misure organizzative e processuali anche di carattere generale atte a prevenire disfunzioni dovute al sovraccarico del contenzioso; procedure stragiudiziali di conciliazione e arbitrato; infine, la contestuale estensione della giurisdizione del giudice amministrativo alle controversie aventi ad oggetto diritti patrimoniali consequenziali, ivi comprese quelle relative al risarcimento del danno, in materia edilizia, urbanistica e di servizi pubblici".

In sostanza, la devoluzione al giudice ordinario delle controversie relative al rapporto di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni (pari a circa il 40 per cento del totale dei ricorsi proposti ai T.A.R.) farà sensibilmente diminuire il carico di lavoro del giudice amministrativo a scapito di quello del giudice civile. Di qui, dunque - pare di capire -, le nuove attribuzioni al giudice amministrativo (con relativa sottrazione a quello ordinario), con l’evidente obiettivo fondamentale di ottenere, per cotal via, un immediato riequilibrio del carico di lavoro tra plessi giurisdizionali (come ha confermato la legge Bassanini stabilendo - "infine", dopo cioè e in aggiunta alle altre misure organizzative e processuali direttamente collegate alla devoluzione all’A.G.O. - che l’estensione della giurisdizione del giudice amministrativo fosse "contestuale" alla devoluzione delle controversie di impiego al giudice civile) e con il giustificabile sospetto che la preoccupazione reale del legislatore delegante sia stata più d’ordine quantitativo che qualitativo.

Per ottenere tale risultato, dunque, la legge n. 59 ha previsto l’estensione della giurisdizione amministrativa alle controversie aventi ad oggetto diritti patrimoniali consequenziali, "in materia edilizia, urbanistica e di servizi pubblici" (anche se non è chiaro il perché - se non considerando la preesistenza di talune ipotesi di competenza esclusiva in materia edilizia - d’una scelta che - senza, almeno apparente, disegno logico unitario e sistematico - individua a tal fine determinate materie e non altre).

E - in limine, il giorno stesso della scadenza della delega, ancorché, per vero, la sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale sia avvenuta otto giorno dopo, l’8 aprile - il decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80, agli articoli 33-34-35 (incuneati in una quasi totalità di disposizioni relative a rapporti e controversie di lavoro, senza neppure la loro inserzione in un capo apposito, nè tantomeno una rubrica), ha previsto così (risolvendo qualche dubbio che poteva sorgere dalla lettera della legge delega, laddove questa non indicava nominatim la nuova giurisdizione esclusiva, ma si limitava a estendere la giurisdizione alle controversie aventi ad oggetto diritti patrimoniali consequenziali: ancorchè logico sia che la loro cognizione avvenga in presenza di giurisdizione esclusiva) la devoluzione alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo delle controversie in materia di pubblici servizi ed in materia urbanistica ed edilizia. 

E’ stato inoltre stabilito - con innovazione quasi rivoluzionaria - che in tali controversie il giudice amministrativo - con nuova ed originale procedura, e con la possibilità di disporre della quasi totalità dei mezzi di prova del giudizio civile e di emettere sentenze non solo di annullamento ma anche di dichiarazione e di condanna al risarcimento - "dispone, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, il risarcimento del danno ingiusto".

Ciò, peraltro - e risulta molto chiaramente dalla legge di delega -, solo "in materia edilizia, urbanistica e di servizi pubblici": sicché - pur evidente apparendone la logica generalizzatrice e senz’altro frutto di (pur commendevoli nello spirito) zelo o buona volontà - in eccesso di delega pare essere incorso il legislatore delegato laddove, con l’art. 35, co. 4, ha sostituito l’art. 7 delle legge istitutiva dei T.A.R. prevedendo che, sempre, il T.A.R., nelle materie deferite alla sua giurisdizione esclusiva, conosca anche di tutte le questioni relative a diritti.

Orbene - e senza entrare nelle problematiche processuali, ma limitandosi brevemente agli aspetti sostanziali del problema - ciò che emerge chiaramente dalla norma è che, perché possa esservi risarcimento, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica (in casi e con modalità che la fantasia degli avvocati ed il coraggio dei giudici via via individueranno), occorre non solo che vi sia un danno: ma che questo sia "ingiusto".

Non pare inopportuno ricordare che l’originario progetto governativo era di diverso tenore, prevedendo la conoscibilità, da parte del giudice amministrativo, nelle controversie devolute alla sua giurisdizione esclusiva in materia di pubblici servizi, urbanistica ed edilizia, "anche delle domande proposte per la rimozione, ove possibile, degli effetti dell’atto illegittimo o del comportamento illecito, ovvero volte ad ottenere, in presenza dei relativi presupposti, una indennità o il risarcimento del danno da parte delle pubbliche amministrazioni o dei gestori". 

E’ stata l’Adunanza generale del Consiglio di Stato, nel parere n. 30/98 del 12 marzo 1998, dato sullo schema di decreto legislativo, a ritenere preferibile - ed il suggerimento è stato appunto accolto - la disposizione oggi vigente, in quanto "norma più elastica, che attraverso la clausola generale del danno ingiusto demandi all’interpretazione della giurisprudenza esclusiva del giudice amministrativo consapevole delle esigenze di giustizia, esperta del controllo sull’esercizio del potere pubblico, attenta all’emergenza economica", - e molto vi sarebbe da dire su questa puntualizzazione, non nuova, che evidenzia come talune decisioni (e non solo in sede di giudizio amministrativo) possano essere condizionate da valutazioni non correlate solo alla lesione delle posizioni giuridiche soggettive fatte valere in giudizio - "che è elemento che pérmea l’ordinamento, la messa a punto della materia".

Tale clausola non esclude il danno da inadempimento, non rinvia ad ipotesi tipizzate, ma consente al giudice amministrativo, nell’ambito della materia devolutagli, di valutare diverse situazioni giuridiche soggettive ai fini della loro reintegrazione dopo la lesione, ai fini dell’interpretazione dell’elemento del <<danno ingiusto>>, interpretazione che costituisce l’essenza della giurisdizione del giudice amministrativo nella materia".

La formula usata dal legislatore delegato - "risarcimento" del "danno ingiusto" (ma è bene ricordare che la legge delega - e dubbi di eccesso sono dunque legittimi - non parlava di ingiustizia del danno) - richiama chiaramente l’art. 2043 del codice civile: che, del resto, secondo la prevalente dottrina, codifica un principio generale e - come già nel 1960 notava Schlesinger - è "atto a fornire protezione ad ogni tipo di interesse meritevole di tutela".

Come noto, la giurisprudenza assolutamente dominante, peraltro (anche di recente, le stesse Sezioni unite della Cassazione, con decisione 3 febbraio 1998, n. 1096), continua a sostenere che "quando la situazione giuridica soggettiva di cui il privato è titolare si atteggia come interesse legittimo, il pregiudizio che egli risente per il fatto che il provvedimento illegittimo dell’Amministrazione ne abbia impedito o ritardato la realizzazione non si configura come danno ingiusto e non dà, perciò, diritto al risarcimento del danno a norma dell’art. 2043 c.c.". 

E coraggiosamente sola è la Sentenza 3 maggio 1996, n. 4083, con cui la I Sezione della Corte di Cassazione ha sottolineato la "inadeguatezza dell’ormai consolidato (per i suoi critici <<pietrificato>>) indirizzo interpretativo che individua il danno <<ingiusto>> risarcibile ex art. 2043 C.C., inteso come danno contra ius, in relazione alla violazione della situazione formale incisa - con conseguente ammissione dei diritti soggettivi ad esclusione invece degli interessi legittimi dall’area della tutela risarcitoria - e non già (come l’ormai prevalente dottrina ritiene postulato dalla clausola generale di responsabilità e dal principio costituzionale di solidarietà) in ragione delle conseguenze sfavorevoli che comunque si realizzino nel patrimonio del soggetto leso, in conseguenza di un comportamento non iure (di una condotta, cioè dell’adozione di un atto, in contrasto con una norma giuridica, anche <<di azione>>, oltreché <<di relazione>>)".

Ora, il 1° comma dell’art. 35 potrebbe ragionevolmente far ritenere che - sia pur solo, con illogica disparità, nelle materie dei servizi pubblici, dell’urbanistica e dell’edilizia - sia stato introdotto nell’ordinamento (in relazione alla non sempre facile distinzione tra posizioni giuridiche soggettive: che ha indotto il legislatore a prevedere la giurisdizione esclusiva) il principio della risarcibilità degli interessi legittimi.

A ben vedere, peraltro, il legislatore delegato non ha preso posizione né in un senso né nell’altro sulla problematica: e, del resto, significativo è, da un lato, che non abbia avuto seguito la proposta della c.d. Bicameralina (la Commissione Bicamerale chiamata ad esprimersi sugli schemi di decreti legislativi ex legge Bassanini), che voleva fosse espressamente stabilita la risarcibilità di "tutte le posizioni soggettive direttamente danneggiate da atti o comportamenti della pubblica amministrazione o dai gestori in violazione di norme di legge o di regolamento, ovvero delle comuni regole di diligenza, prudenza e perizia", e, dall’altro, che il suggerimento della formula della risarcibilità del danno ingiusto sia stato dall’Adunanza Generale del Consiglio di Stato avanzato proprio per evitare di "far ritenere acquisita una posizione sul risarcimento del danno da lesione degli interessi legittimi".

Starà, dunque, al giudice amministrativo giungere ad una soluzione.

La strada del riconoscimento della risarcibilità degli interessi legittimi pare però imboccata con decisione dalla Corte Costituzionale che, con ordinanza n. 165 dell’8 maggio 1998, ha ritenuto il problema "di indubbia gravità e di particolare attualità anche nel settore urbanistico - edilizio", ricordando come lo stesso abbia iniziato ad imporsi alla attenzione non solo del legislatore - e la Corte, al riguardo, menziona gli interventi settoriali già adottati, e, tra di essi, anche il D.lgs. n. 80/1998 (facendo pensare con ciò che, forse, nello specifico possa aver considerato già risolto il problema) - "ma anche della giurisdizione ordinaria di legittimità (vedi Cass., Sez. I, 3 maggio 1996, n. 4083), che ha avvertito <<l’inadeguatezza dell’indirizzo interpretativo sul danno ingiusto>>".

Sicché sembra che il Giudice delle leggi, nell’invocare "prudenti soluzioni normative", spinga i giudici - che anche l’Adunanza Generale aveva considerato i più idonei a considerare attentamente la clausola del danno ingiusto - a prendere atto che l’interpretazione giurisprudenziale corrente sul danno ingiusto è inadeguata e va, dunque, mutata.

Se la differenza pratica tra diritti soggettivi ed interessi legittimi non è ancora finita (come, con significativa espressione, ha ipotizzato Satta) "in qualche cupa stanza del museo del diritto amministrativo", è plausibile ritenere, dunque, che presto potrà trovarvi collocazione. Almeno in subiecta materia: perché la giurisdizione esclusiva, in questi termini, del giudice amministrativo, concerne solo, come più volte ricordato, le controversie in materia di pubblici servizi (articolo 33) e quelle "aventi per oggetto gli atti, i provvedimenti" (non sono forse atti?) "e i comportamenti delle amministrazioni pubbliche in materia urbanistica ed edilizia" (articolo 34, 1 comma).

Limitando l’attenzione a tale ultima materia, va sottolineato, dunque, come oggetto del giudizio posssano essere non solo gli atti (provvedimentali o meno), ma anche il "comportamento" della P.A. (danni ingiusti potendo derivare oltreché da manifestazioni espresse anche da silenzi non significativi, ritardi ed inerzie). Quel che, a contrario, si può ritenere sia, in ogni caso, escluso - come chiaramente evidenziato anche dall’Adunanza Generale -, è che la giurisdizione esclusiva possa concernere anche le "controversie tra privati relative a comportamenti fondati su atti della pubblica amministrazione".

Importante è, allora, vedere quale sia l’ambito - in cui non pare in ogni caso di dover considerare (come pure, ratione materiae, dovrebbe essere) le società di trasformazione urbana, nominatim indicate altrove, all’articolo 33: laddove parimenti si prevede la devoluzione alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo di tutte le controversie in materia di pubblici servizi, e, "in particolare" (e allora perché parlare di "tutte"?) di quelle (comma 2, lettera a)) "concernenti la istituzione, modificazione o estinzione di soggetti gestori di pubblici servizi, ivi comprese .... le società di capitali anche di trasformazione urbana" (ritenute, dunque, soggetti gestori di pubblici servizi) - di urbanistica ed edilizia: nella cui materia appunto devono rientrare atti e comportamenti della P.A. perché le relative controversie siano assoggettate alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.

Orbene, come noto, giusta la definizione data alla materia dall’articolo 80 del D.P.R. 616 del 1977, le funzioni amministrative relative all’urbanistica concernono "la disciplina dell’uso del territorio comprensiva di tutti gli aspetti conoscitivi, normativi e gestionali riguardanti le operazioni di salvaguardia e di trasformazione del suolo nonché la protezione dell’ambiente".

A tale definizione sembrava essersi ispirato il legislatore delegato - che nulla ha detto invece in ordine all'edilizia, considerandone, evidentemente, il concetto ormai pacifico e consolidato - allorquando, nell’originario progetto governativo, aveva stabilito che "agli effetti del presente decreto legislativo, la materia dell’urbanistica concerne tutti gli aspetti dell’uso del territorio, compresi la protezione dell’ambiente e dei valori artistici, storici e paesaggistici, e gli aspetti della trasformazione e della salvaguardia del suolo, anche in relazione ai vincoli di qualsiasi natura imposti sulla proprietà privata".

Ma l’Adunanza Generale del Consiglio di Stato ritenne, nel suo parere, che tale "definizione ampia" di urbanistica avrebbe potuto apparire (e l'espressione fa pensare che, invece, nella sostanza, questo potesse non essere l’opinamento del Consiglio) andare "oltre la delega, considerato il particolare contesto del rapporto Stato-Regioni, in cui si pone la norma richiamata, pur sussistendo una intrinseca connessione tra le materie della protezione dell’ambiente e dei valori artistici, storici e paesaggistici e quella della gestione del territorio".

Propose, quindi, un testo che - rilevò - "appare più coerente con la norma di delega" ed in base al quale "la natura dell’urbanistica concerne tutti gli aspetti dell’uso della gestione del territorio". E il legislatore delegato accolse il suggerimento, modificando anzi la norma in senso ancor più limitativo, stabilendo che, "agli effetti" del decreto, la materia urbanistica "concerne tutti gli aspetti dell’uso del territorio": e non considerando più, accanto all’uso, la "gestione" dello stesso (ancorché, a ben vedere, questa possa considerarsi ricompresa in quello).

Quello che appare significativo è che sia stato, invece, rispetto al testo originario, eliminato - con motivazioni un po' labili - ogni riferimento alla protezione dell’ambiente e del paesaggio: il che porta a ritenere che - sempre agli effetti del decreto - l’urbanistica (fermo restando quanto tra poco si dirà in ordine all’espropriazione) assuma connotazioni meno ampie di quelle risultanti dalla definizione del D.P.R. 616.

D’altronde, il decreto legislativo n. 112, pure del 31 marzo 1998 e parimenti emanato in attuazione della legge n. 59/1997, pur non definendo nuovamente - nell’"aggiustare" le funzioni tra Stato, Regioni ed enti locali - l’urbanistica, distingue nettamente, nell’ambito del titolo III, dedicato a "Territorio, ambiente e infrastrutture", un capo riservato a "Territorio e urbanistica" da altri capi riservati alla protezione della natura e dell’ambiente. Ed è plausibile, quindi - nonostante le "stranezze" legislative cui oramai siamo avvezzi-, che il legislatore delegato abbia voluto - ai fini del decreto - scindere l’urbanistica dalla tutela del paesaggio e dell’ambiente e devolvere solo la prima alla comma dell’articolo 34: che stabilisce che "nulla è innovato in ordine alla giurisdizione del tribunale superiore delle acque" (lettera a). 

Ciò significa - anche se il perché non è chiarito e la legge delega nulla dice al riguardo - che permane nella sua pienezza - pur se logico sarebbe stato cogliere l’occasione per effettuare un ripensamento - la giurisdizione del tribunale superiore. Non essendo, invece, menzionati i tribunali regionali delle acque, verrebbe da pensare che, con riferimento agli stessi, "tutto sia novato". Ma si impone una verifica attenta che giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.

Altri casi di esclusione dalla stessa sono esplicitamente indicati al terzo appuri quali e quante competenze - vista la nuova definizione di urbanistica ai fini del decreto 80 e la giurisdizione esclusiva in materia - residuino in capo ad essi.

E bene farebbe il legislatore a chiarire, anche, la portata odierna del giudizio d’appello avanti il tribunale superiore delle acque pubbliche , laddove si dovesse ritenere che la giurisdizione dei tribunali regionali - d’altronde, ubi lex voluit, dixit - non sia stata fatta salva.

"Nulla è innovato", infine, neppure in ordine "alla giurisdizione del giudice ordinario per le controversie riguardanti la determinazione e la corresponsione delle indennità in conseguenza dell’adozione di atti di natura espropriativa o ablativa".

Orbene, se solo le controversie concernenti indennità correlate ad atti espropriativi od ablativi sono riservate (chissà perché) al giudice ordinario, ciò significa però che tutte le altre si sono, invece, volute attribuire alla giurisdizione esclusiva "nuova" del giudice amministrativo.

Agli effetti del decreto legislativo 80, dunque, l’espropriazione per pubblica utilità, considerata generalmente - anche ex articolo 106 del D.P.R. 616 del 1977 - come accessoria alla materia per il raggiungimento delle cui finalità è strumentale, sembra essere stata attratta (stranamente a differenza - a quel che pare - dell’occupazione: non menzionata dal decreto) nell’urbanistica: che allora, sia pur solo sotto questi profilo e fini, risulterebbe di conseguenza ampliata nella sua nozione.

Questo dunque - a grandi linee - il quadro sostanziale disegnato dal decreto legislativo n. 80 del 1998: che tende ad attuare un rilevante cambiamento nell’ordinamento e che, come ha notato nel suo parere l’Adunanza Generale del Consiglio di Stato, "anche se le conseguenze di tale cambiamento non possono essere interamente valutate, comporterà inevitabilmente una variazione dell’assetto delle materia "implicate" indipendentemente da ogni previsione sostanziale".

Il come è affidato alla capacità del giudice amministrativo (che nonostante le difficoltà dovrà adeguarsi alla nuova realtà, per certi versi così diversa da quella cui è avvezzo) ma anche ai suggerimenti ed agli stimoli che allo stesso saprà dare l’avvocato. Con la speranza che nel frattempo il legislatore cessi di effettuare - more solito - interventi con riforme parziali e scoordinate e si decida, finalmente, ad affrontare seriamente il problema organico della riforma del processo amministrativo.

horizontal rule

(*) Relazione al Convegno su "Giurisdizione amministrativa e ordinaria - Nuova ripartizione di competenze e nuove certezze per l’operatore" - Verona, 30 ottobre 1998.


Stampa il documento Clicca qui per segnalare la pagina ad un amico