
Judge asleep (Il giudice dormiente)
THOMAS COUTURE, 1859
National Gallery of Ireland - Dublin
Giovanni
Virga
(Professore
associato di diritto amministrativo nell'Università di Palermo)
Il giudice dormiente e la risarcibilità del danno derivante dalla lesione di interessi legittimi
Sommario:
1.- La risarcibilità degli interessi legittimi ed il giudice
dormiente. 2.- La situazione esistente prima della sentenza delle
Sezioni
Unite n. 500/1999. 3. - L'art. 35, 1° comma, del D.L.vo n. 80/1998 e la
sua portata dirompente. 4. - La distinzione tra interessi legittimi pretensivi
ed oppositivi alla quale fa riferimento la sentenza delle S.U. 5. -
Necessità di verificare l'applicazione del principio della risarcibilità
anche con riferimento agli interessi legittimi partecipativi e (soprattutto)
alla distinzione tra interessi legittimi formali e sostanziali. 6. - La
compatibilità dei principi affermati con la previsione dell'"indennizzo
automatico e forfettario" contenuta nella L. n.
59/1997. Considerazioni
(provvisoriamente) conclusive.
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1. - Questa estate ho fatto una breve viaggio in Irlanda e, nel corso di una visita alla Galleria Nazionale di Dublino, mi sono imbattuto nel quadro sopra riprodotto, intitolato “Il giudice dormiente” (Judge asleep), dipinto nel 1859 da Thomas Couture.
Non appena ho visto il quadro, il mio pensiero è subito corso, per una strana associazione di idee (che forse tradisce una ormai inguaribile deformazione professionale), alla vicenda della risarcibilità degli interessi legittimi.
Per tanti decenni, infatti, il giudice italiano sul punto è rimasto del tutto dormiente. L’argomento costituiva, sino a qualche decennio addietro, un tema del quale non valeva neppure parlare.
Ricordo in particolare (chiedendo venia per questa piccola notazione personale) che circa 20 anni addietro, quando – con non poche titubanze, dovute, per così dire, alla mia "situazione familiare"– dopo la laurea cominciai ad avvicinarmi al diritto amministrativo, chiesi al Prof. Guido Corso di suggerirmi qualche tema da sviluppare. E lui, tra gli altri, mi propose quello della risarcibilità degli interessi legittimi; tema questo che presto abbandonai, essendomi reso conto che si trattava di un argomento indubbiamente interessante, ma allora di importanza solo teorica, che non presentava alcuna possibilità di sviluppo concreto, anche in considerazione del granitico orientamento della giurisprudenza del tempo, consolidata nel negare il risarcimento per lesione di interessi legittimi.
L'abbandono
del tema fu condiviso da mio padre, il quale disse lapidario che dell'argomento
in
questione non valeva la pena occuparsi, dato che di esso si sarebbe forse riparlato tra una ventina d’anni e non prima.
Così è avvenuto, per avventura (non essendo disposto a riconoscere a mio
padre, tra tante virtù, anche quella di esser profeta).
Il
giudice dormiente, com’è noto, si è recentemente svegliato e, con sentenza
delle Sezioni Unite n. 500/1999, ha affermato un principio opposto a
quello in passato ribadito, riconoscendo che anche gli interessi legittimi sono
"di
regola" risarcibili (rectius: la lesione di interessi legittimi può dar
luogo normalmente al risarcimento del danno ingiusto).
2. - Senza nulla voler togliere al merito della sentenza in questione, c'è da dire che il ribaltamento del principio tradizionale era ormai nell'aria ed era comunque ineludibile; e ciò non soltanto sotto la spinta dell'ormai incalzante diritto comunitario, suggestivamente paragonato ad una vera e propria termite che finisce in modo occulto per scavare e rendere prive di consistenza vecchie impalcature [1] , ma anche (e direi soprattutto) per effetto dei poteri attribuiti al giudice amministrativo dall'art. 35 del D. L.vo n. 80/1998 nelle nuove (ma non poi tanto) e vaste (ma generiche) materie ormai rientranti nella sua giurisdizione esclusiva.
Invero, l'attribuzione al giudice amministrativo del potere di condannare
la P.A. al risarcimento del danno, anche in forma specifica, aveva
fatto cadere un primo (e forse più grosso) tabù.
Secondo
l'orientamento tradizionale, infatti, il giudice amministrativo è un giudice
di mera legittimità, il quale può emettere solo sentenze di tipo costitutivo
(e cioè di annullamento dell'atto impugnato), ma non anche sentenze di
condanna. Secondo tale originaria impostazione, quindi, il giudizio
amministrativo non solo è concepito, ma è anche strutturato, come un giudizio
di mera legittimità, tendente ad accertare se l'atto impugnato sia affetto da
uno dei classici tre vizi.
Significativo in proposito
è l’esame degli atti parlamentari che precedettero la legge 31
marzo 1889 n. 5992 (c.d. legge Crispi, istitutiva della IV sezione), trasfusa
poi nel testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato approvato con il R.D.
1° giugno 1889, n. 6166.
Tali
caratteri, secondo quanto espressamente disse Sen. Auriti
[2]
, erano quelli propri del giudizio di fronte alla Corte di
Cassazione (per quanto concerneva la giurisdizione generale di legittimità) e
quelli del giudizio di fronte alla Corte di Appello (per ciò che riguardava
la giurisdizione di merito); in entrambi i casi il ricorso giurisdizionale,
comunque, avrebbe potuto essere ammesso solo quando l’atto amministrativo
fosse divenuto «definitivo» per essere stata la questione già dibattuta e
risolta in via amministrativa per le ordinarie vie gerarchiche
[3]
.
Nella
mente del legislatore del 1889, il Consiglio di Stato doveva comunque essere
giudice del fatto, così come rappresentato dalla Pubblica amministrazione; il
fatto, cioè, era quello stabilito in sede amministrativa e solo in presenza
di certi presupposti la IV Sezione era abilitata a controllarne il fondamento,
al di là delle risultanze emergenti dal procedimento amministrativo, ma con
il limite di doversi rivolgere sempre alla stessa amministrazione per ottenere
una nuova rappresentazione di esso
[4]
.
In
questo quadro originario, ben poco spazio e sviluppo - tranne la felice
eccezione del
giudizio di ottemperanza - hanno poi avuto le due competenze giurisdizionali
"speciali ed aggiuntive" attribuite al giudice amministrativo
(competenza di merito e competenza esclusiva); anzi, sotto alcuni profili, i
due tipi di competenze giurisdizionali hanno finito per frenare il possibile
sviluppo della giurisdizione generale di legittimità, dato che il giudice
amministrativo finiva per pensare: se i maggiori poteri istruttori e decisori
sono previsti solo nelle materie rientranti nella competenza esclusiva e di
merito, è evidente che nella giurisdizione generale di legittimità tali
poteri non sono in ogni caso esercitabili.
Né
la situazione è mutata nel nuovo ordinamento repubblicano, nonostante che
agli interessi legittimi gli att. 24 e 113 della Costituzione finissero per
accordare pari dignità e tutela rispetto al diritto soggettivo.
Il
giudice amministrativo, anche dopo l'istituzione dei T.A.R., ha continuato
prevalentemente a fare il giudice di
mera legittimità e a non emettere sentenze di condanna nemmeno nelle
competenze speciali ed aggiuntive allo stesso attribuite (tranne sporadici
casi di sentenze di condanna a somme di cui la P.A. risultava debitrice nei
confronti di pubblici dipendenti).
Il
giudice ordinario, dal suo canto, ha continuato a confermare l'orientamento,
ormai tralaticio, secondo cui gli interessi legittimi non sono di regola
risarcibili.
3.
- La espressa previsione che il giudice amministrativo può emettere sentenze
di condanna al risarcimento dei danni anche in forma specifica, contenuta nel
già menzionato art. 35, 1° comma, del D. L.vo n. 80/1998, ha finito per
mutare radicalmente il quadro di riferimento.
Ricordo,
anche se la questione è abbastanza recente, che all'indomani dell'entrata in
vigore di quest'ultima norma il Cons. Filippo Patroni Griffi, allora Capo
dell'Ufficio legislativo del Ministro Bassanini, si affrettò subito a
precisare, in un articolo apparso sul quotidiano Italia Oggi (intitolato
significativamente "Non cambia il diritto sostanziale"), che le
norme contenute negli artt. 33-35 del D. Lvo n. 80/1998 "hanno portata
esclusivamente processuale. Nel senso che individuano il giudice competente a
conoscere della lesione, stabilendo, innovativamente, che il giudice
amministrativo conosce anche della domanda volta a conseguire il risarcimento
del danno subito, ma non hanno alcuna portata innovativa sul piano
sostanziale. In altri termini, il decreto delegato non si occupa, nè poteva
occuparsi, della diversa questione di quali siano le situazioni soggettive
risarcibili. In forza dell'art. 35, dunque, non vi è riconoscimento della
risarcibilità dell'interesse legittimo, ma la mera attribuzione al giudice
amministrativo della competenza a conoscere delle questioni attinenti al
risarcimento del danno in relazione al cattivo esercizio di pubbliche
funzioni".
Ma, come ebbi modo a suo tempo di osservare [5] , quella della pretesa irrisarcibilità degli interessi legittimi costituiva ormai una battaglia di retroguardia, dato che ormai, sotto la spinta del diritto comunitario e di fronte alla norma contenuta nel D. L.vo n. 35/1998, il problema non era tanto quello di verificare se la lesione di interessi legittimi fosse o meno risarcibile, quanto quello di accertare i presupposti ed i limiti entro i quali poteva essere ammesso il risarcimento dei danni per la lesione di questa posizione giuridica attiva.
Non aveva infatti senso, infatti, all'interno della giurisdizione
esclusiva, discriminare i diritti dagli interessi per accertare quali poteri
il giudice in concreto poteva esercitare, quando da cinquant'anni la Carta costituzionale
continuava ad affermare che gli interessi legittimi hanno eguale dignità e
tutela rispetto ai diritti soggettivi.
Del
resto, quasi coevamente all'entrata in vigore del D.L.vo n. 80/1998, la Corte
Costituzionale, con ordinanza 8
maggio 1998 n. 165, pur dichiarando inammissibile la questione di
costituzionalità che era stata sollevata in proposito dal Tribunale
di Isernia, aveva fatto intravedere un possibile punto di svolta.
Com'è stato notato da un attento oltre che autorevole commentatore
[6]
, infatti, l'ordinanza della Corte conteneva "sia pure allo
stato criptico, spunti suscettibili di essere utilizzati per una soluzione
giurisprudenziale della vexata quaestio. In ultima analisi, sembra che
prevalga un orientamento favorevole alla risarcibilità degli interessi
legittimi , sia pure sub specie dei così detti diritti fievoli ab
origine".
Nel testo
dell'ordinanza già si sottolineava che il problema "di indubbia gravità e di particolare
attualità" della responsabilità civile delle pubbliche amministrazioni
per il risarcimento dei danni derivanti ai soggetti privati dalla emanazione
di atti e provvedimenti amministrativi illegittimi, lesivi di situazioni di
interesse legittimo.
Tale problema,
secondo quanto affermato dalla Corte "si è cominciato ad imporre alla
concreta attenzione non solo del legislatore" (il quale aveva emanato
diverse norme, sia pure di settore, richiamate dalla Corte stessa, che
finivano per accordare una tutela risarcitoria agli interessi legittimi), ma
anche della giurisdizione ordinaria di legittimità (v. Cass. sez. I, 3 maggio
1996, n. 4083), che ha avvertito "l’inadeguatezza dell’indirizzo
interpretativo sul danno ingiusto".
Il problema di
ordine generale, secondo quanto si legge nell'ordinanza della Corte (che
richiamava la precedente sentenza n. 35 del 25 marzo 1980), "richiede prudenti
soluzioni normative, non solo nella disciplina sostanziale ma anche nel
regolamento delle competenze giurisdizionali .. e nelle scelte tra misure
risarcitorie, indennitarie, reintegrative in forma specifica e ripristinatorie
ed infine nella delimitazione delle utilità economiche suscettibili di
ristoro patrimoniale nei confronti della pubblica amministrazione".
Si cominciava
così ad ammettere, in via generale, la risarcibilità degli interessi
legittimi, anche se, secondo la Corte, occorreva attendere "prudenti
soluzioni normative, non solo nella disciplina sostanziale ma anche nel
regolamento delle competenze giurisdizionali .. ".
La
giurisprudenza amministrativa, dal suo canto, a seguito del D. L.vo n. 80, non
rimaneva del tutto inerte (rectius: dormiente) e cominciava, sia pur
timidamente, ad applicare quanto previsto dell'art. 35, 1° comma, cit. In
particolare, così come si è cercato di dar conto nella presente rivista,
alcuni giudici amministrativi cominciavano ad applicare il precetto che
consente loro di condannare la P.A. al risarcimento dei danni.
4. - In un
quadro così conformato, è venuta alla luce la sentenza n. 500/99 delle
Sezioni Unite, salutata dai primi commentatori
con vivo favore e da apprezzare
per il suo coraggio nonché per il rigore tecnico-giuridico con il quale è
stata redatta.
La Corte, rivedendo profondamente il proprio precedente orientamento e senza attendere interventi legislativi che non si sa se e quando interverranno, ha affermato in generale che la lesione di interessi legittimi può dar luogo ad una danno ingiusto produttivo di conseguenze sul piano risarcitorio.
Il problema,
questo punto non è, come già rilevato, quello di vedere se gli interessi
legittimi siano o meno risarcibili, quanto piuttosto quello di verificare i
limiti entro i quali il principio della risarcibilità del danno ingiusto deve
operare nel caso in cui il danno stesso sia derivato da lesione di interessi
legittimi.
Alcune linee
essenziali, in questo senso, sono state tratteggiate dalla sentenza in
questione, la quale ha fatto a tal fine riferimento alla distinzione
tradizionale tra interessi legittimi oppositivi e pretensivi.
La rotta
tracciata sembra quella giusta. Com'è stato più volte di recente notato,
non esiste un unico interesse legittimo, ma una serie distinta (o comunque
distinguibile) di interessi legittimi, accomunati dalla stessa etichetta; ed è quindi
all'interno delle varie categorie che occorre verificare in concreto i limiti
della risarcibilità degli interessi legittimi.
Ricordava il
compianto Prof. Mario Nigro in
uno dei Suoi ultimi scritti
[7]
, che oggigiorno sorge l’esigenza di individuare “una tipologia
di interessi legittimi, vuoi per descrivere e classificare questo ricco
materiale, vuoi per individuare quali conseguenze si producano nel campo del
processo in relazione alle categorie che si abbiano a fissare” e ricordava
che già Santi Romano aveva invitato molti suoi allievi a studiare l’argomento,
ma nessuno aveva raccolto l’invito, compreso Zanobini.
Ci
si è infatti accorti che nel nostro ordinamento non è previsto e tutelato un
unico interesse legittimo, ma una pluralità di interessi legittimi spesso in
conflitto fra loro, di cui sono portatori non solo i privati nei confronti
della P.A., ma anche una molteplicità di amministrazioni, l’una contro l’altra
armate.
E'
quindi alle varie classificazioni dell'interesse legittimo che occorre fare
riferimento per verificare il vero problema che oggi si pone a seguito
dell'apertura delle Sezioni Unite (che è quello dei confini entro i
quali va ricondotto il principio affermato).
A
tal fine, come già ricordato, la Corte ha fatto riferimento alla distinzione
ormai da tempo accettata tra interessi legittimi oppositivi e pretensivi,
anche se ha ammesso tra le righe che "altre distinzioni sono certamente
configurabili, in relazione a diversi profili".
5.-
Occorre in proposito osservare innanzitutto che, accanto alla categoria degli
interessi legittimi oppositivi e pretensivi, esiste - specie dopo la L. 241790
- la categoria dei c.d.
interessi partecipativi. Anche per queste situazioni giuridiche può parlarsi
di una pretesa, che in questo caso riguarda la possibilità per il titolare
dell'interesse legittimo di partecipare al
procedimento amministrativo, inserendosi nei circuiti decisionali dell’Amministrazione.
Prima
della legge sul procedimento, una parte della dottrina
[8]
aveva ritenuto di ricomprendere tale categoria di interessi in
quella più generale degli interessi legittimi procedimentali, i quali “hanno
ad oggetto situazioni e vicende di procedimenti; onde non si riferiscono
direttamente a beni di vita, ma a fatti procedimentali che a loro volta
investono beni di vita”.
La
classificazione è stata ripresa anche dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato,
la quale concepisce gli interessi legittimi “procedimentali” come quelle
posizioni giuridiche attive con cui si “aziona l’interesse strumentale all’eliminazione
dell’atto o comportamento preclusivo del successivo sviluppo del
procedimento”
[9]
o che attengono ad un autonomo subprocedimento
[10]
.
Anche
in relazione a tale categoria di interessi legittimi, sulla quale mi permetto
di far rinvio ad un mio recente lavoro
[11]
, c'è da chiedersi se ed entro che limiti il principio affermato dalle
S.U. possa operare.
Al
di là di questa prima considerazione, va comunque rilevato che per verificare
in concreto l'operatività del principio in discorso sembra molto più
conducente fare riferimento ad una ulteriore distinzione che negli ultimi
tempi si è fatta strada, secondo la quale è possibile
individuare degli interessi legittimi "formali" e degli interessi legittimi
"sostanziali" [12]
.
E'
infatti a tale distinzione che la S.C. sembra fare forse inconsapevole
riferimento allorché afferma (al punto 9 della motivazione) che: "Potrà
infatti pervenirsi al risarcimento soltanto se l'attività illegittima della
P.A. abbia determinato la lesione dell'interesse al bene della vita al quale
l'interesse legittimo, secondo il concreto atteggiarsi del suo contenuto,
effettivamente si collega, e che risulta meritevole di protezione alla stregua
dell'ordinamento. In altri termini, la lesione dell'interesse legittimo è
condizione necessaria, ma non sufficiente, per accedere alla tutela
risarcitoria ex art. 2043 c.c., poiché occorre altresì che risulti leso, per
effetto dell'attività illegittima (e colpevole) della P.A., l'interesse al
bene della vita al quale l'interesse legittimo si correla, e che il detto
interesse al bene risulti meritevole di tutela alla luce dell'ordinamento
positivo".
Il riferimento
alla "lesione del bene di vita", la quale costituisce presupposto
fondamentale per il risarcimento del danno ingiusto derivante dalla lesione di
interessi legittimi, riguarda prevalentemente (anche se non esclusivamente) gli interessi legittimi c.d.
sostanziali, il cui tratto caratteristico è proprio quello di avere un
collegamento immediato e diretto con il bene di vita.
Sotto
questa prospettiva, all'interno delle categorie tradizionali dell'interesse
legittimo (interessi oppositivi, interessi pretensivi, e, più recentemente,
interessi partecipativi), occorre quindi effettuare una ulteriore distinzione tra
interessi legittimi sostanziali, collegati in modo immediato e diretto al bene
di vita protetto ed interessi legittimi formali, che non possiedono tale
collegamento o comunque sono collegati in via indiretta e, purtuttavia, sono protetti dall'ordinamento.
Del
resto, alla distinzione tra interessi legittimi formali e sostanziali, come
già cennato, ha cominciato a riferirsi la giurisprudenza più recente, sia
pur in modo sporadico e senza particolari approfondimenti.
In dottrina tale distinzione non ha avuto molta fortuna sino a poco tempo addietro. Pochi autori ne ammettono la esistenza [13] , e quasi nessuno si è preoccupato di verificarne l’esatta portata e le sue implicazioni.
Le
ragioni di tale disinteresse sono innanzitutto storiche e possono farsi
risalire alle origini dello stesso processo amministrativo, concepito, come
già detto, come uno strumento di controllo sull'operato dell'Amministrazione
piuttosto che come un mezzo di tutela delle posizioni giuridiche attive.
In
questa ottica, l’interesse legittimo “formale” in passato veniva
identificato con l’interesse legittimo tout court, definito come l’interesse
(o la pretesa) alla legittimità formale del provvedimento amministrativo e
del procedimento che l’aveva eventualmente preceduto. Secondo tale visione
tradizionale, scopo delle norme che disciplinano l’attività amministrativa
sarebbe principalmente quello di assicurare e garantire l’esatto ed ordinato
svolgimento dell’attività stessa e comunque la corretta esternazione della
volontà finale, quale racchiusa dall’atto conclusivo del procedimento.
Sotto
questo profilo si verificherebbe la “coincidenza” che caratterizzerebbe l’interesse
legittimo, tra un interesse pubblico primario perseguito dall’amministrazione
(interesse pubblico ad una corretta formazione ed esternazione della azione
amministrativa) e gli altri interessi secondari (pubblici o privati) che
riguardano sempre le modalità di formazione e di esternazione della volontà.
L’interesse
materiale sottostante avrebbe, quindi, una valenza secondaria e sarebbe -
parafrasando una famosa concezione dell’interesse legittimo - “indirettamente
protetto” od “occasionalmente protetto”.
La
protezione dell’interesse sostanziale (inteso cioè come interesse al
conseguimento del bene di vita) verrebbe quindi assicurato in via indiretta ed
eventuale
[14]
.
Non
è tanto importante che il soggetto titolare dell’interesse legittimo
consegua il bene di vita, ma è indispensabile che vengano osservate le norme
positive ed i principi generali ai quali si deve attenere l’Amministrazione
nel proprio operare. Solo per tale via il titolare dell’interesse legittimo
può (eventualmente ed occasionalmente) ottenere protezione.
Quanto
appena detto vale soprattutto per i due classici vizi di legittimità
(violazione di legge ed incompetenza) del provvedimento amministrativo. Ma
vale anche - anche se con minore evidenza - per l’altro vizio (l’eccesso
di potere) dato che, a ben vedere, la maggior parte delle figure sintomatiche
individuate dalla giurisprudenza, finiscono per applicare principi generali
(di logicità, di congruenza e di coerenza) al provvedimento amministrativo ed
al procedimento che l’ha eventualmente preceduto, senza preoccuparsi se il
titolare dell’interesse legittimo venga per tale via a conseguire il bene di
vita
[15]
.
L’interesse
al conseguimento del bene di vita costituirebbe, quindi, nell’ottica
tradizionale, un elemento accidentale del processo del quale solitamente il
giudice amministrativo si può occupare solo dopo la conclusione del processo
stesso, mediante il giudizio di ottemperanza
[16]
, utilizzando i poteri non solo di “stretta esecuzione” ma
anche di “attuazione” del giudicato che - così come recentemente ammesso
dall’Adunanza plenaria
[17]
- gli spettano allorché si tratti di sentenze emesse dal giudice
amministrativo.
L’interesse legittimo è così visto - quasi per definizione - come un interesse strumentale, e cioè come una situazione giuridica attiva che viene prevista e tutelata non già per conseguire il bene di vita, ma principalmente (se non esclusivamente) per rimettere in discussione il rapporto controverso o comunque l’atto finale, mentre la giurisdizione amministrativa viene concepita come un sistema atto ad assicurare la legalità degli atti amministrativi [18] (anche attraverso il rispetto dei principi generali espressi dalle varie figure sintomatiche di eccesso di potere).
Solo
negli ultimi decenni e con l’evolversi della giurisprudenza, l’interesse al
conseguimento del bene di vita è venuto progressivamente in rilevo anche nel
corso del giudizio c.d. di merito, ma solo
“in negativo” sotto il profilo della valutazione dell’interesse a
ricorrere.
L’interesse
materiale sottostante viene quindi a costituire non una parte essenziale dell’interesse
legittimo, non una componente interna del suo DNA, ma un un limite esterno all’interesse
legittimo che viene in rilievo solo nel caso in cui quest’ultimo venga
azionato e sia possibile valutare, per tale via, l’interesse a ricorrere.
Ciò,
tuttavia, non può indurre a ritenere che non esistano interessi legittimi
sostanziali (intesi, nel senso anzidetto, di interesse al conseguimento del
bene di vita), ma che, nel vigente ordinamento tali interessi hanno una tutela
mediata e comunque riflessa
[19]
.
Quel
che sembra caratterizzare gli interessi c.d. formali, quindi, non è tanto la
loro strumentalità od il fatto che sorgono in relazione ad un procedimento,
quanto la loro connessione con le modalità di formazione dell’atto
amministrativo e più in generale, impiegando un termine alla moda, di “esternazione”
della volontà dell’amministrazione.
Di
contro, quel che sembra caratterizzare gli interessi legittimi sostanziali è
l’essere diretti a conseguire il bene di vita o comunque la posizione di
vantaggio riconosciuta e garantita dall’ordinamento.
Tale
posizione di vantaggio viene infatti riconosciuta in funzione del
conseguimento o comunque del perseguimento dell’utilitas concreta e
finale che deriva al titolare dell’interesse legittimo [20]
.
Nell’ambito
della generale nozione di interesse legittimo convivono dunque due tipologie
di interessi distinte o comunque distinguibili: da un lato, l’interesse alla
legittimità (formale) dell’atto amministrativo ed all’esatta osservanza
della norme procedurali previste per la sua formazione; dall’alto, l’interesse
al conseguimento del bene di vita e, comunque, all’utilità finale che è
riconosciuta e garantita al
titolare dell’interesse legittimo leso.
E’
stato affermato, anche di recente
[21]
, che l’interesse legittimo è una posizione sostanziale. Tale
proposizione è da condividere se con essa si intende: a) riaffermare che l’interesse
legittimo è una situazione garantita e tutelata dalla Costituzione (al pari
del diritto soggettivo) e non coincide con l’interesse a ricorrere, avendo
una nozione distinta ed una propria autonomia; b) sottolineare che il rapporto
tra interessi legittimi formali e sostanziali è di “subordinazione
gerarchica” dei primi rispetto ai secondi e che quindi in tanto può essere
tutelato l’interesse formale in quanto esso sia correlato ad un interesse
sostanziale.
Non
può essere invece ritenuto che l’interesse legittimo sia solo quello
sostanziale, così come in passato si riteneva che l’interesse legittimo
fosse solo una posizione formale, la quale permette solo (com’è stato
efficacemente detto) “di approfittare degli errori dell’Amministrazione”
[22]
.
L’interesse legittimo ha, al contrario, due anime o due nature, distinte o comunque distinguibili: una di carattere sostanziale, diretta ad garantire ed assicurare l’utilitas concreta e finale che consegue il suo titolare; l’altra, di carattere formale, diretta a garantire ed assicurare strumentalmente l’osservanza di regole e procedure previste dalla normativa.
Mentre, anche alla stregua dei principi affermati dalla Suprema Corte, sono da ritenere senz'altro risarcibili gli interessi legittimi sostanziali, la risarcibilità degli intessi legittimi formali è da riconoscere solo nel caso in cui l'inosservanza delle regole procedimentali ed in genere formali previste abbia finito in ultima analisi per impedire o comunque ritardare il conseguimento del bene di vita al quale il titolare dell'interesse legittimo leso aspirava.
E', comunque, da ritenere escluso il diritto al risarcimento nel caso in cui siano stati lesi interessi legittimi meramente formali (e cioè del tutto sganciati dall'interesse materiale sottostante) ed in particolare quelli che, in modo immaginifico e comunque efficace, sono stati denominati come “interessi illegittimi” [23], i quali non solo sono del tutto sganciati dall'interesse materiale protetto, ma addirittura sono in contrasto con esso.
Così, ad esempio, non avrà
diritto al risarcimento del danno colui che ha ottenuto in sede
giurisdizionale l'annullamento di un diniego di concessione edilizia per
incompetenza dell'organo che l'ha adottato o per la mancata acquisizione del parere della c.e.c., nel caso
in cui risulti che, in base al P.R.G. vigente all'epoca di adozione del
provvedimento di diniego, il progetto presentato non era assolutamente
compatibile con le previsioni di piano.
Viceversa, dovrà riconoscersi il diritto al risarcimento nel caso in cui il ricorso sia stato accolto perchè, contrariamente a quanto affermato nel diniego impugnato, il progetto presentato era conforme allo strumento urbanistico. In questa seconda ipotesi, infatti, è stato fatto valere un interesse legittimo sostanziale, immediatamente connesso al bene di vita che è riconosciuto e tutelato dall'ordinamento.
In altri termini, mentre nel caso in cui sia stato fatto valere un interesse legittimo sostanziale, l'accoglimento del ricorso comporterà (ovviamente ove concorrano anche gli altri elementi indicati dalla S.C.) senz'altro il risarcimento dei danni, nel caso in cui siano stati fatti valere interessi legittimi formali, per i quali il collegamento al bene di vita è solo indiretto, occorre verificare in concreto se esista tale collegamento e se vi sia un nesso di causalità tra lesione dell'interesse legittimo e danno subito.
6.
- C'è da chiedersi inoltre se i principi affermati dalla S.C. siano
compatibili con la previsione, contenuta nella
L. n. 59 del 15 marzo 1997, secondo cui potranno essere emanati
regolamenti in materia di procedimenti amministrativi nei quali in particolare
(v. art. 20, 5° comma, lett. h, L. n. 59 cit.) potrà essere contenuta la
"previsione, per i casi di mancato rispetto del termine del procedimento,
di mancata o ritardata adozione del provvedimento, di ritardato o incompleto
assolvimento degli obblighi e delle prestazioni da parte della pubblica
amministrazione, di forme di indennizzo automatico e forfettario a favore dei
soggetti richiedenti il provvedimento; contestuale individuazione delle
modalità di pagamento e degli uffici che assolvono all'obbligo di
corrispondere l'indennizzo, assicurando la massima pubblicità e conoscenza da
parte del pubblico delle misure adottate e la massima celerità nella
corresponsione dell'indennizzo stesso".
Tale articolo,
com'è stato osservato [24]
, non contempla un vero e proprio risarcimento del
danno, ma un semplice indennizzo automatico e forfettario.
La norma
prevede varie ipotesi in cui possono essere lesi interessi sì formali, ma che
sono correlati (sia pur indirettamente) al conseguimento del bene di vita al
quale le S.U. fanno riferimento. Pensiamo, ad es., sempre per rimanere nel
campo dell'edilizia, al caso in cui il mancato
rispetto del termine per il rilascio di una concessione edilizia abbia
comportato la impossibilità per
il soggetto richiedente di conseguire la concessione stessa, a causa di uno
strumento urbanistico medio tempore adottato.
In tale ipotesi
non vi è dubbio che viene leso l'interesse (pretensivo) del
richiedente, il quale non può così conseguire il bene di vita (jus
aedificandi) al quale aspirava; pertanto, la previsione di un semplice
indennizzo "automatico e forfettario" finirebbe per contrastare con
i principi affermati dalle S.U. e per negare al titolare dell'interesse
legittimo leso il risarcimento pieno al quale ha diritto.
Si impone
dunque, alla luce di dei principi affermati dalle Sezioni unite, una revisione
legislativa.
Staremo inoltre a vedere se i giudici di merito applicheranno in concreto tali principi, anche se, per quanto riguarda le nuove materie rientranti nella giurisdizione amministrativa del G.A., ci saranno delle obiettive difficoltà, dovute al fatto che i nuovi principi ed ancor prima i nuovi poteri previsti dall'art. 35 del D.L.vo n. 80/1998 si innestano in un processo essenzialmente strutturato come un processi di mera legittimità.
In questo senso molte speranze sono riposte nel disegno di legge di riforma del processo amministrativo approvato alcuni mesi addietro dal Senato, il quale prevede una profonda modifica dell'attuale struttura del processo amministrativo, specie per ciò che concerne le materie rientranti nella giurisdizione esclusiva.
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[1] Cfr. sul punto S. Giacchetti, Profili problematici della cosiddetta illegittimità comunitaria, relazione al XXXVIII Convegno di studi giuridici di Varenna sul tema "Potere discrezionale e interesse legittimo nella realtà italiana e nella prospettiva europea", in Giur. amm. sic. 1992, p. 879 ss.
[2] Atti parlamentari del Senato. Sessione 1887 - 1888. Discussione. Tornata del 22 marzo 1888; v. sul punto Stipo, Le origini del riparto di giurisdizione verso la P.A. e la doppia tutela., Roma 1979, p. 347 e Benvenuti, Giustizia amministrativa, in Enc. Dir., vol. XIX, p. 604; V. E. Orlando, La giustizia amministrativa, 2° ed., Milano, 1920, p. 214 notava che tra giurisdizione di legittimità e giurisdizione di merito corre un rapporto analogo a quello esistente tra una sentenza di Cassazione ed una di appello; di guisa che tradizionalmente solo la giurisdizione di merito è stata considerata come una giurisdizione «piena»: v. in questo senso anche L. Mortara, Commentario del Codice delle leggi di procedura civile, 4° ed., vol. I, p. 61 e V. Giocoli Damiani di Vergada, Il sistema delle prove nel processo amministrativo, Milano 1971, p. 12, secondo cui solo con la giurisdizione amministrativa di merito il giudice amministrativo può «conoscere della controversia sotto ogni aspetto, tanto in fatto che in diritto».
[3] Il che, com’è stato notato (Sambataro, L’abolizione del contenzioso nel sistema di giustizia amministrativa, Milano 1977, p. 172, nota 130; ma v. pure Stipo, Le origini del riparto di giurisdizione verso la P.A. e la doppia tutela, cit., p. 348), costituiva un netto regresso rispetto a quello che era il regime previsto dal sistema del contenzioso amministrativo previsto nel periodo pre-unitario, in cui l’inizio del giudizio non era condizionato dall’esperimento preventivo del rimedio gerarchico.
[4] Cfr., sul punto, V.E. Orlando, La giustizia amministrativa, 2° ed. Milano 1920, p. 1019 e ss.; Stipo, op. cit., p. 350; non dissimile era, come rileva quest’ultimo A., era la posizione della posizione della dottrina francese del tempo: v. sul punto Laferriere, Traité de la jurisdiction administrative, Vol. I, Paris 1869, p. 550, il quale affermava che, nei ricorsi per détournament de pouvoir «il Consiglio di Stato non può chiamare alla sbarra gli agenti dell’amministrazione attiva per domandare loro conto dei motivi delle loro decisioni; tanto meno esso può organizzare inchieste al di fuori di essi ... Tali investigazioni, permesse al superiore gerarchico, sono interdette al giudice amministrativo, che in tal modo penetrerebbe indebitamente nella sfera dell’amministrazione attiva. La prova dell’eccesso di potere deve dunque risultare, per quanto è possibile, da documenti emananti dall’amministrazione stessa e da essa prodotti, sia spontaneamente sia su domanda che il Consiglio di Stato può fare ... Il Consiglio di Stato può così fondarsi sulle circostanze di fatto rivelate dall’istruzione scritta e da cui sorgano presunzioni gravi, precise e concordanti; ma noi non crediamo che possa spingerli sino ad ordinare dei provvedimenti istruttori per cercare da sè quali siano quelle circostanze».
[5] Le riforme a metà, in Giust. amm. sic. 1998, p. 286 ss., pubblicato anche in questa rivista.
[6]
A. Angeletti, Il
risarcimento degli interessi legittimi e la Corte Costituzionale: un’ammissibilità
rinviata a miglior occasione,
nota di
commento dell'ordinanza della Corte Costituzionale n. 165/98, pubblicata in Giur.
It., 1998, 1929 ss. e riportata nel
presente sito per gentile concessione dell'A.
[7] Ma che cos’è questo interesse legittimo? Vecchi e nuovi spunti di riflessione, in Foro it. 1987, V, c. 325.
[8] M.S. Giannini, Diritto amministrativo, vol. II, Milano 1993 (3° ed.), p. 77 ss. secondo cui in ogni procedimento (e anche nel processo) vi sono atti, delle parti o dei terzi, che le norme disciplinano; la norma può prevedere che le une e gli altri abbiano, nel procedimento, poteri di impulso, di richiesta di misure di impugnativa. Questi poteri non sono però esercizio di diritti, ma di altre situazioni soggettive, che sono appunto gli interessi procedimentali
[9] Cons. Stato, Ad. Plen., 10 luglio 1986 n. 8 in Il Cons. Stato 1986, I, 762 e in Foro amm. 1986, 1274
[10] Cons. Stato, Sez. IV, 10 giugno 1987 n. 338, in Il Cons. Stato 1987, I, 709.
[11] La partecipazione al procedimento amministrativo, Milano 1998, spec. a p. 139 ss.
[12] Anche su tale distinzione mi permetto nuovamente di far rinvio al lavoro citato alla nota che precede (spec. a p. 155 ss.).
[13] Su tale distinzione v. in part. M.S. Giannini, Diritto amministrativo, vol. II, Milano 1993 (3° ed.), p. 77 ss., il quale distingue degli interessi legittimi strumentali (denominati, come si è già avuto modo di dire in precedenza, altresì come procedimentali) ed interessi legittimi finali (o sostanziali); P. Virga, Diritto amministrativo - Atti e ricorsi, II ed., Milano 1992, p. 188 ss., il quale distingue degli interessi legittimi strumentali (detti anche procedurali) ed interessi legittimi finali (detti anche sostanziali); S. Giacchetti, L’interesse legittimo alle soglie del 2000.
[14] V. in questo senso da ult. G. Guarino, Atti e poteri amministrativi, Milano 1994, p. 124 ss., secondo il quale il contenuto dell’interesse legittimo “consiste unicamente nella corretta applicazione della norma. Il titolare di un interesse legittimo, che ne invoca la tutela in sede giurisdizionale, chiede che l’atto amministrativo, che secondo il sua assunto è illegittimo, sia eliminato e che, al suo posto, l’amministrazione emani un atto nuovo. Il suo beneficio o vantaggio sta solo in questo. Quanto al ricavare, dalla rinnovazione dell’atto, anche un beneficio sostanziale (ad es. la promozione, l’assegnazione dell’appalto, la definitiva sottrazione ad una espropriazione), questo è un risultato che può prodursi od anche non prodursi. Diremmo dunque che il beneficio, che si consegue con la tutela dell’interesse legittimo leso, consiste nella eliminazione dell’atto lesivo. A questo beneficio si collega una speranza, cioè quella di conseguire un risultato pratico, a seguito della rinnovazione dell’atto. In qualche caso concreto, in relazione alla natura del vizio fatto valere, la rinnovazione dell’atto porta in modo sicuro ad un risultato pratico vantaggioso”.
[15] Solo per il vizio di eccesso di potere per sviamento della causa tipica si comincia ad avere riguardo dello scopo per il quale il provvedimento stesso è previsto.
[16] Emblematica è in tal senso la pronuncia dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato 27 ottobre 1970 n. 4 (in Foro amm. 1970, I, 935), secondo cui “l’interesse al ricorso .... non si concentra sul risultato formale dell’annullamento dell’atto impugnato, ma include tra le sue componenti anche l’affidamento in ordine alle attività che in esecuzione del giudicato l’amministrazione è facultata a svolgere e dalle quali potrà derivare il soddisfacimento dell’interesse sostanziale”.
[17] Sent. 17 gennaio 1997 n. 1, in Il Cons. Stato 1997, I, p. 1 ss. ed in Foro it. 1997, III, c. 261 ss.
[18] V. in part. R. Villata, Riflessioni in tema di partecipazione, cit. p. 195, secondo cui “il giudizio amministrativo ha in primis et ante omnia il compito di risolvere le controversie aventi ad oggetto la legalità dell’azione amministrativa, di fronte alle quali è più essenziale che mai che il Giudice non opponga a tale domanda una non risposta”.
[19] Già oltre 30 anni addietro E. Cannada Bartoli (in La tutela giudiziaria del cittadino verso la pubblica amministrazione, Milano 1964, p. 61 ss.) ricordava “che al fondo dell’interesse legittimo, o per lo meno al fondo del comportamento del singolo per la tutela di tale interesse, vi è una utilità privata del cittadino stesso”; tuttavia lo stesso A. definiva l’interesse legittimo come “interesse alla legittimità degli atti amministrativi, legittimato da una situazione di diritto soggettivo”; da tale collegamento con il diritto soggettivo, secondo tale prospettiva, deriva la protezione dell’interesse materiale sottostante.
[20] Nè vale opporre (come fa E. Cannada Bartoli, La tutela giudiziaria del cittadino, cit. p. 68), che “costruire l’interesse legittimo come interesse ad un bene sostanziale diverso dalla legittimità, favorisce un eccessivo avvicinamento dell’interesse de quo al diritto soggettivo con la conseguenza di restringere l’abito dell’interesse stesso” (p. 68).
Nell’ambito dell’interesse legittimo, ormai sono chiaramente distinguibili le due tipologie di interessi evidenziate nel testo: da un lato, l’interesse alla legittimità della procedura, dall’altro l’interesse al conseguimento del bene di vita o comunque al conseguimento dell’utilità finale che può derivare da tale situazione giuridica attiva.
La circostanza poi che l’interesse al conseguimento del bene di vita finisca per limitare il passato strapotere degli interessi formali è una conseguenza normale del rapporto che lega le due tipologie di interessi ed è comunque ormai una conseguenza inevitabile, tenuto conto dell’evoluzione della nozione di interesse legittimo.
[21] F.G. Scoca, Contributo sulla figura di interesse legittimo, cit. p. 13 ss. (ove si richiama V. Bachelet, La giustizia amministrativa nella Costituzione italiana, Milano 1966, p. 16 ss.), secondo cui “il rilievo assegnato all’interesse legittimo dalla Costituzione è stato generalmente interpretato dalla dottrina come definitiva sanzione del suo carattere di sutuazione giuridica soggettiva di diritto sostanziale”; nello stesso senso, più recentemente, v. F.G. Scoca - L. Giani, Spunti sulle nozioni di interesse legittimo e giudicato amministrativo, in Dir. proc. amm. 1997, p. 327 ss., spec. a p. 331 ss.
[22] G. Capaccioli, Interessi legittimi e risarcimento dei danni, in Diritto e processo, scritti vari di diritto pubblico, Padova, 1978, p. 115.
[23] E. Cannada Bartoli, voce “Interesse (diritto amministrativo)”, in Enc. dir., vol. XXII, Milano 1972, p. 1 ss., spec. a p. 23. V. sul punto anche S. Giacchetti, L’interesse legittimo alle soglie del 2000, cit., p. 1912 ss., secondo cui “quando l’utilità pretesa (dal titolare dell’interesse legittimo) non corrisponda ad una attività che il titolare della potestà può compiere legittimamente, nel soggetto richiedente manca in radice una posizione di interesse legittimo” e Montefusco, Rilevanza dei requisiti di differenziazione e qualificazione nell’individuazione della posizione di interesse legittimo (interesse legittimo tra interesse a ricorrere e interesse illegittimo), in Dir. proc. amm. 1985, p. 408 ss. In giurisprudenza v. da ult. C.G.A., 14 agosto 1995 n. 269, in Il Cons. Stato 1995, I, 1145, secondo cui tuttavia “non esiste nel nostro ordinamento una categoria di interessi sostanziali illegittimi, simmetrica e speculare rispetto a quella degli interessi sostanziali legittimi, atteso che l'unica alternativa è semplicemente quella tra l'esistenza di un interesse legittimo, come tale oggetto di tutela giurisdizionale, e l'inesistenza dell'interesse così qualificabile, potendosi al più considerare interessi illegittimi quegli interessi processuali ai quali non corrisponda un interesse sostanziale”.
[24] V. sul punto A. Travi, Nuovi fermenti sul diritto amministrativo verso la fine degli anni ‘90, in Foro It. 1997, V, 168 ss., spec. alla c. 172.