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Salvatore Giacchetti
(
Presidente di Sezione del Consiglio di Stato)


L'interesse legittimo alle soglie del 2000

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SOMMARIO: 1.- Premessa. 2.- L'attuale concezione dell'interesse legittimo. 3.- L'interesse legittimo come potere di pretendere un'utilità derivante dal legittimo esercizio di una potestà. 4.- Tipologia degli interessi legittimi. 4.1 - Interessi sostanziali e formali. 4.2 - Interessi partecipativi; la legge 8 giugno 1990 n. 142. 4.3 - Interessi oppositivi. 4.4 - Interessi pretensivi. 4.5 - Interessi procedimentali. 4.7 - Il contenzioso elettorale. 5.- Interessi sostanziali e formali. L'eventuale retroattività della sentenza di accoglimento. 6.- La tutela degli interessi sopravvenuti. 7.- L'interesse legittimo come confine "naturale" della giurisdizione amministrativa. 8.- L'attuale dimensione dell'interesse legittimo. 9.- Il controinteresse. 10. - Conclusioni. 10.1 - Il ruolo dell'utilità pretesa nella dialettica titolare dell'interesse - titolare della potestà. 10.2 - Il "rapporto sostanziale" tra Amministrazione e amministrato. 11.- L'ombra del "grande fratello". 12.- Quale futuro?

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1.- In uno dei suoi ultimi scritti (1) Mario Nigro si domandava e ci domandava: ma che cos'è questo interesse legittimo?

Desidero dimostrargli il mio affetto e la mia gratitudine per il suo continuo stimolo ad una revisione critica e ad un approfondimento dell'ideologia amministrativistica, tentando di dare anch'io una risposta a quella domanda. Certo molta acqua è passata sotto i ponti dell'interesse legittimo come "indirettamente protetto" o protetto "in via riflessa" (e quindi - secondo l'arguta osservazione di Giuseppe Guarino - "che sorge in relazione a norme che per definizione non si occupano di esso"); ma molti continuano a pensare che esso costituisca una sorta di proliferazione maligna e indecifrabile del culto del diritto amministrativo, e che "vada sostanzialmente considerato come una sorta di figura mitologica che non si può nè comprendere nè discutere ma si deve solo accettare" (2); c'è addirittura chi ritiene che esso sia frutto di una "allucinazione" (3).

Ora, pur avvertendo la difficoltà di dare un contorno preciso ad un'entità multiforme qual è quella in esame, forse è ormai possibile tentare di elaborare una nozione che da una parte sia più lineare di quelle oggi correnti e dall'altra tenga presente:

a) la relatività e quindi la storicità della concettuologia del diritto pubblico, in specie di un diritto pubblico legato ad un'idea di Stato che sarebbe ormai al tramonto (4). Il diritto non è uno stagno ma un'onda in continuo movimento; e quindi va costruito su concetti che non costituiscano nè un pigro ricordo del passato nè una presuntuosa profezia del futuro;

b) una realtà che si presenta differenziata e articolata e dà luogo ad una correlativa differenziazione e articolazione della terminologia. Si parla di interessi legittimi sostanziali, formali, strumentali, procedimentali, processuali, materiali, diretti, indiretti, collettivi, diffusi, ecc.; locuzioni che ogni volta sembrano riproporre la stessa entità sotto un profilo diverso. Sembra di vivere una specie di incubo in cui si rincorre in continuazione una persona che si è sicuri di avere riconosciuto; ma che una volta raggiunta e guardata in faccia si scopre, con angoscia, essere sempre una persona diversa;

c) la conseguente esigenza che la nozione elaborata in base a tali presupposti corrisponda alla realtà considerata, senza nè lasciar fuori qualche categoria di quelli correntemente considerati interessi legittimi nè lasciare spazi disponibili per indebite occupazioni da parte di altre situazioni soggettive che correntemente non sono considerate tali. Occorre cioè evitare l'errore di partire da una premessa errata e di cercare poi di adattare la realtà alla premessa (5).

2.- La definizione di interesse legittimo più accettata (6) è oggi quella seconda cui l'interesse legittimo è "la posizione di vantaggio fatta ad un soggetto dell'ordinamento in ordine ad un bene oggetto di potere amministrativo e consistente nell'attribuzione al medesimo soggetto di poteri atti ad influire sul corretto esercizio del potere, in modo da rendere possibile l'interesse al bene" (7).

Questa definizione può essere formulata in termini più semplici.

a) In primo luogo, la locuzione "posizione di vantaggio fatta ad un soggetto dell'ordinamento" sembra pleonastica. E' pacifico che l'interesse legittimo sia una situazione soggettiva attiva; che la situazione soggettiva attiva sia di vantaggio al suo titolare. Sicchè la locuzione citata non fa che ripetere la nozione di situazione soggettiva attiva, senza introdurre alcuna differenza specifica.

b) La posizione di vantaggio è legata "ad un bene oggetto di potere amministrativo", bene che quindi diventa elemento costitutivo dell'interesse legittimo. Ma qui la confusione apre subito le sue larghe braccia, e riaffiora l'angoscia di cui parlavo prima.

Di quale "bene" si tratta?

Com'è noto (8) la scienza economica considera i beni in rapporto alla loro utilità e utilizzabilità da parte degli uomini; la scienza giuridica li considera invece sotto il profilo della tutela da parte dell'ordinamento, che determina le situazioni, i titoli e le modalità in base a cui i soggetti possono godere dei bene stessi. In altre parole, i "beni della vita" - ma non tutti tali beni, che quindi continuano a costituire una categoria molto più ampia - oggetto di tutela giuridica divengono "beni in senso giuridico", e cioè "cose che possono formare oggetto di diritti" (art. 810 cod. civ.), per le quali si realizza una "sintesi tra il particolare interesse tutelato e la situazione soggettiva predisposta dall'ordinamento giuridico come strumento di tutela destinato ad un soggetto particolare" (9). Gli altri beni della vita continuano a costituire semplici utilità in senso economico.

Ora è evidente che l'interesse legittimo non può essere correlato a beni in senso giuridico; se non altro per la considerazione che essi - per definizione - possono costituire oggetto di diritti soggettivi, non di interessi legittimi.

Il "bene" a cui si fa riferimento rientra quindi tra i beni della vita che sono tali solo per la scienza economica e non anche per quella giuridica; e si ricade in pieno così nel paradosso formulato da Guarino secondo cui l'interesse legittimo sorge come strumento giuridico per la protezione di un bene di cui l'ordinamento - per definizione - si disinteressa (come tale).

Ma allora - poichè, quanto meno in sede di definizione, non è consentito giocare con le parole - deve ritenersi che, in realtà, la posizione di vantaggio vada collegata non già ad un "bene" bensì ad una semplice "utilità" (10).

c) Il riferimento ad un bene "oggetto di potere amministrativo" è ingiustificatamente riduttivo. Perchè limitare l'interesse legittimo all'area dell'attività amministrativa? E' pacifico che sono interessi legittimi anche quelli azionabili in sede giurisdizionale quali quelli relativi al potere di chiedere fissazioni d'udienza, cancellazioni dal ruolo, verificazioni, ecc. (11), nonchè quelli azionabili di fonte al giudice ordinario, quali - ad esempio - quelli che possono configurarsi in materia di diritto familiare o societario (12). La locuzione "potere amministrativo" avrebbe senso solo se intesa non già nel senso tecnico di "potere pubblicistico della pubblica amministrazione", ma nel senso generico di "potere di amministrazione" (nel quale potrebbero rientrare i concetti di amministrazione della giustizia, della famiglia, di società, ecc.). Ma, a parte la considerazione che nel pensiero della dottrina citata la locuzione è effettivamente intesa in senso tecnico, va ripetuto che in sede di definizione non è consentito giocare con le parole ed utilizzare una terminologia atenica o fuorviante.

d) La locuzione "poteri atti ad influire sul corretto esercizio del potere" sembra far esclusivo riferimento all'attività amministrativa discrezionale (13). Ma ciò si scontra con il consolidato indirizzo giurisprudenziale, secondo cui interessi legittimi sono configurabili anche nei confronti di atti amministrativi vincolati (14); ed in ogni caso sembra riduttivo del ruolo del titolare dell'interesse, non essendo agevole fare rientrare nella locuzione i poteri di iniziativa e gli interessi pretensivi in genere (v. succ. n. 4) nonchè i poteri di impugnazione in sede giurisdizionale.

e) L'attribuzione al titolare dell'interesse di "una posizione di vantaggio... consistente nell'attribuzione.... di poteri... in modo da rendere possibile l'interesse" si rileva anch'essa una sostanziale tautologia (in che cos'altro consisterebbe, altrimenti, il vantaggio?).

f) Dalla definizione che si sta analizzando emerge un profilo importante. E' stato rilevato che "contrariamente a quanto si pensa, è il diritto soggettivo, nella sua assolutezza, la posizione irrelata (ci riferiamo, s'intende, ai diritti soggettivi fondamentali), mentre l'interesse legittimo si manifesta come una posizione tipicamente relazionale" (15).

Ora questo carattere relazionale si manifesta nell'interesse legittimo con caratteri sensibilmente diversi da quelli che presenta nella figura (apparentemente) analoga del diritto soggettivo di credito o relativo. Come il diritto relativo, così anche l'interesse legittimo può essere soddisfatto solo mediante l'attività di un altro soggetto (rispettivamente, il debitore e la pubblica autorità). Ma a differenza del potere di pretendere la prestazione, il cui adempimento giova soltanto al creditore, l'esercizio del potere di pretendere l'attività dovuta dalla pubblica autorità giova non solo al titolare dell'interesse legittimo ma anche - e contemporaneamente - all'autorità stessa che realizza in tal modo le sue finalità istituzionali. Un pubblico ufficio destinato ad erogare prestazioni al pubblico non può che essere soppresso se le prestazioni non vengano mai richieste; in tal caso, infatti, l'ufficio non risponde evidentemente ad un pubblico interesse: è come una cattedra istituita in una scuola senza scolari. Rientra così nel circuito ideologico la nozione di un pubblico interesse intrinsecamente connesso con l'interesse legittimo (il che dimostra che le idee dei nostri padri non erano poi così peregrine), ma in un senso profondamente diverso da quello racchiuso nella vecchia concezione dello interesse legittimo come "indirettamente protetto"; ora è l'interesse legittimo ad essere diretto oggetto della tutela, in conformità del dettato costituzionale, ed è l'interesse pubblico ad essere un effetto indiretto o riflesso della tutela accordata al primo. La vecchia concezione è quindi ribaltata.

g) Riterrei, invece, di condividere il mancato accenno al carattere "differenziato" o "qualificato" o - più esattamente - "collegato ad una posizione legittimante" (v. prec. nota 7) dell'interesse legittimo. Infatti tale carattere o tale collegamento sono propri di qualsiasi situazione soggettiva e non del solo interesse legittimo, di cui pertanto non sono peculiari; e comunque hanno natura più di normale presupposto per la nascita della situazione soggettiva che di necessario elemento costitutivo della situazione stessa. Se ad esempio l'azione popolare divenisse di generale applicazione nel contenzioso amministrativo non per questo la situazione azionata cesserebbe di avere natura di interesse legittimo.

3.- Se quanto sopra rilevato è esatto, l'interesse legittimo può definirsi potere di pretendere un'utilità derivante dal legittimo esercizio d'una potestà.

Questa nozione richiede qualche precisazione.

a) Il titolare dell'interesse non è necessariamente un soggetto privato (anche se questa è l'ipotesi più frequente); può anche essere un soggetto pubblico (ad esempio, un'amministrazione diversa da quella che deve esercitare la potestà) o un soggetto cosiddetto sociale (ad esempio, un'associazione sindacale, o un'associazione ambientalistica di cui agli artt. 13 e 18 della legge 8 luglio 1986 n. 349).

b) Il potere di pretendere sussiste solo a fronte di una potestà in senso tecnico, e cioè di un'attività doverosa sia sotto un profilo soggettivo (nel senso che la pretesa deve possedere le prescritte condizioni di ammissibilità e di ricevibilità) sia sotto un profilo oggettivo (nel senso che l'attività richiesta deve rientrare - in astratto - nelle attribuzioni del titolare della potestà e deve costituire - in concreto - il frutto legittimo dell'esercizio di tale potestà (16). Ove invece l'attività non abbia - sotto l'uno o l'altro profilo - carattere di doverosità la pretesa azionata non costituisce interesse legittimo.

c) Il potere di pretendere può attenere (v. successivo par. 4) all'attivazione della potestà (interesse pretensivo), all'intervento nel procedimento (interesse partecipativo), all'impugnazione del provvedimento lesivo (interesse oppositivo), all'esecuzione del giudicato favorevole (ancora interesse pretensivo o vero e proprio diritto soggettivo; a quest'ultimo riguardo, tuttavia, la questione è ancora aperta (17)).

d) L'esercizio della potestà normalmente si manifesta in un provvedimento, ma può assumere le forme più diverse: anche un mero atto, un comportamento, un'operazione materiale. Tutto dipende dal tipo di attività che il titolare della potestà ha il dovere di esercitare.

e) Il potere di pretendere l'esercizio della potestà preesiste - ovviamente - a quest'ultimo. E' indubbio, pertanto, che l'interesse legittimo esista indipendentemente dalla circostanza che sia fatto valere o no in sede procedimentale o giurisdizionale, ed abbia quindi natura sostanziale (v. succ. n. 10.2).

f) L'esercizio della potestà deve costituire manifestazione istituzionale e diretta di cura di un interesse pubblico. Resta quindi estranea a tale attività quella resa dallo stesso soggetto ma per il perseguimento di un interesse privato (come accade, ad esempio, per la cosiddetta attività privata della pubblica amministrazione).

Inquadrato in tali termini l'interesse legittimo perde la sua problematicità ed il suo mistero: perchè si rivela essere null'altro che la normale situazione soggettiva di chi si trova di fronte ad un soggetto (il titolare della potestà) al quale l'ordinamento attribuisce il potere di agire nell'interesse non suo proprio ma dell'istituzione in cui e per cui opera. Esso ha pertanto presenza necessaria, continua e massiccia non solo nell'ordinamento italiano (come di solito si crede) ma in tutti gli ordinamenti ad alta presenza di potestà di amministrazione, quali sono, senza eccezioni, quelli degli stati contemporanei ad alto sviluppo economico-sociale; sì che c'è da meravigliarsi vivamente che possa ancora destare meraviglia. Peculiarità dell'ordinamento italiano è, semmai, che l'interesse legittimo è stato assunto come criterio di riparto di giurisdizione; e questo ha indotto ad un'analisi esasperata che ha finito col creare sul concetto un fittissimo polverone ideologico.

4.- Passando quindi all'analisi delle posizioni soggettive che popolano l'area dell'interesse legittimo, esse possono distinguersi sia in base al criterio del contenuto del potere attribuito al titolare nei confronti di una potestà amministrativa (sotto questo profilo emergono le categorie degli interessi partecipativi, degli interessi oppositivi e degli interessi pretensivi) sia in base al criterio dell'esistenza di un nesso giuridicamente rilevante tra l'interesse legittimo ed un sottostante interesse materiale (e sotto questo profilo emergono le categorie degli interessi sostanziali e degli interessi formali, detti anche strumentali od indiretti).

4.1- Gli interessi sostanziali sono essenzialmente costituiti da interessi al procedimento (o partecipativi ), da interessi all'annullamento di un provvedimento lesivo di un interesse materiale giuridicamente protetto (o oppositivi ) e da interessi ad una attività amministrativa (o pretensivi ). Caratteri in parte peculiari hanno gli interessi relativi al contenzioso elettorale. Nel loro complesso gli interessi sostanziali (o diretti) sono uno strumento per mantenere o per conseguire un'utilità della vita; e si distinguono dagli interessi formali, in quanto questi ultimi sono strumenti per far valere eventuali illegittimità procedurali dell'azione amministrativa in sè considerate, e quindi azionabili di per se stesse, indipendentemente da una specifica tutela dell'interesse materiale sottostante (18).

4.2 - Per quanto riguarda gli interessi partecipativi è forse poco noto che essi sono i più antichi nell'ordinamento; risalgono infatti all'art. 3 della legge del 1865 abolitiva del contenzioso amministrativo, che dispose che nelle materie non attinenti a diritti civili o politici l'autorità amministrativa avrebbe provveduto con decreto motivato "ammesse le deduzioni e le osservazione in iscritto delle parti interessate". Da ciò discendeva che gli interessati avevano titolo ad intervenire nel procedimento; e che l'Amministrazione aveva il dovere (non ancora l'obbligo, in mancanza di una pretesa azionabile in tal senso) di esternare nel provvedimento i motivi per i quali le osservazioni e le deduzioni erano state accolte o respinte. Questa norma è tutt'ora vigente; ed in pratica basterebbe riesumarla, ed applicarla alla luce della Costituzione e dei principi successivamente elaborati dalla Corte Costituzionale e dalla giurisprudenza, per avere una normativa pressocchè completa sul procedimento amministrativo. Purtroppo la norma è caduta quasi subito in desuetudine; e questo sia perchè in origine il dovere dell'Amministrazione di ascoltare gli interessati non aveva alcuna sanzione, sia perchè la giurisprudenza ha poi ritenuto che norme consimili che prevedevano la facoltà di presentare osservazioni (in particolare, in materia di strumenti urbanistici) non dovevano considerarsi attributive ai privati del potere di proporre rimedi giuridici veri e propri ma di presentare semplici allegazioni liberamente valutabili dall'Amministrazione (che poteva quindi provvedere tamquam non essent). E' solo di recente che l'atteggiamento della giurisprudenza ha cominciato a modificarsi (19); e ciò anche sotto l'impulso di sempre più frequenti spunti normativi che, sia pure sinora in modo generico e velleitario, tendono a risolvere in chiave di "partecipazione" lo scontro tradizionale autorità-libertà, (20) creando nuove forme di "controllo-partecipazione" o di "controllo-procedimentale" (21).

Questi nuovi orientamenti giurisprudenziali e normativi sono determinati anche dalla crescente consapevolezza che, in un numero sempre maggiore di casi, solo interessi di tipo partecipativo sono in grado di fornire un'adeguata tutela all'interesse materiale sottostante. Infatti "tra la legge e l'atto amministrativo puntuale si è sovente inserito il diaframma programmatorio dell'atto generale, in cui viene realmente espresso e consumato il momento della discrezionalità.

Sono le grandi decisioni del CIPE, del CIPI, del CIP, degli strumenti urbanistici, della contrattazione collettiva, quelle che stabiliscono l'assetto complessivo e il reale equilibrio degli interessi pubblici e privati e che, particolarmente in alcuni settori assolutamente emergenti (salute, ambiente, ecologia), danno la reale misura della qualità della vita che il potere amministrativo può e deve realizzare; gli atti puntuali, le determinazioni amministrative singole, degradano sempre più ad atti vincolati e spesso ad atti dovuti... Il procedimento amministrativo si avvia a diventare una sorta di sistema computerizzato in cui, una volta inseriti correttamente tutti gli interessi, il risultato è largamente condizionato dai fattori del sistema.... La discrezionalità dell'amministrazione è volta, perciò, a perdere le sue originarie connotazioni di discrezionalità pura, e cioè di giudizio sull'opportunità della determinazione, per assumere quella di discrezionalità tecnica, e cioè di valutazione tecnica dell'interesse introdotto nel procedimento; in altre parole la discrezionalità dell'amministrazione viene anticipata dal momento finale della decisione al momento intermedio della valutazione dell'interesse nell'ambito del complessivo e comparativo apprezzamento di tutti gli interessi coinvolti" (22).

Va infine rilevato che sarebbero - a rigore - da qualificare "partecipativi" anche alcuni interessi definiti "pretensivi" dalla più recente giurisprudenza, quale l'interesse, in capo al soggetto che abbia ottenuto l'annullamento giudiziale di un diniego di concessione edilizia, di adire, nel caso di sopravvenuta modifica dello strumento urbanistico che precluda ex novo il rilascio della concessione a suo tempo chiesta, l'autorità titolare del potere di pianificazione perchè valuti la possibilità di apportare allo strumento stesso "una variante che recuperi, in tutto o in parte e compatibilmente con l'interesse pubblico, la previsione del piano abrogato, sulla quale si fondava originariamente la domanda di concessione" (23). Infatti in questo caso, e pur avvertendo che l'uso di una terminologia al posto di un'altra è in gran parte arbitrario, sembra preferibile parlare di un interesse partecipativo perchè in buona sostanza il giudicato non fa altro che rimettere in termine il ricorrente vittorioso per presentare le osservazioni e opposizioni previste dalla legge urbanistica; gli offre soltanto un ulteriore chance di partecipare al procedimento di formazione dello strumento urbanistico; non gli permette di aspirare direttamente ad un'utilità della vita, così come invece l'interesse pretensivo in senso stretto.

Una decisa caratterizzazione in senso partecipativo ha la recente legge sulle autonomie locali 8 giugno 1990 n. 142, che nel capo terzo, intitolato "Istituti di partecipazione", tra l'altro prevede: un'ampia partecipazione, anche consultiva, dei cittadini all'amministrazione locale (art. 6); la possibilità di ciascun elettore (chissà perchè non ciascun cittadino) di far valere, innanzi alle giurisdizioni amministrative, le azioni e i ricorsi che spettano al comune (art.7, commi 1 - 2), non anche però - il che è inesplicabile - le azioni e i ricorsi che spettano alla provincia, che pure ha notevoli responsabilità in materia, ad esempio, di tutela ambientale (art. 14); un ampio diritto di accesso agli atti dell'amministrazione comunale e provinciale (art. 7, commi 3 - 5); l'istituzione, facoltativa, del difensore civico (art. 8).

Si tratta, in realtà, più che altro di una normazione ricognitiva e senza un'effettiva innovazione dell'ordinamento. Ad esempio, l'azione popolare era già prevista, per i giudizi civili e amministrativi, dall'art. 225 del T.U. della legge comunale e provinciale del 1915, richiamato in vigore dall'art. 23 della L. 9 giugno 1947 n. 530 (ed anzi, il fatto che la legge n. 142/1990 faccia riferimento solo alle "giurisdizioni amministrative" fa sorgere il dubbio - a mio avviso infondato - che si sia inteso escludere la giurisdizione civile); il diritto d'accesso era già previsto dalla norma semiclandestina dell'art. 25 della L. 27 dicembre 1985 n. 816; la figura del difensore civico era già previsto da numerosi ordinamenti regionali.

Purtuttavia la legge attuale, pur nei suoi limiti di riaffermazione di principi già esistenti, potrà avere notevoli conseguenze sulla filosofia dell'ordinamento, sia perchè l'attività degli enti locali copre una larga percentuale dell'intera attività amministrativa, sia perchè la normativa sugli enti locali ha tradizionalmente una notevole forza espansiva, tanto che da essa in passato sono stati desunti principi generali applicabili all'intero ordinamento amministrativo (ad esempio, in materia di silenzio-rifiuto, di collegi, di annullamento d'ufficio, ecc.). Ed in particolare potrà avere effetti dirompenti sulle odierne concezioni di interesse legittimo: perchè affermare oggi - e cioè con piena consapevolezza (almeno si spera) delle conseguenze che ne derivano in base all'attuale evoluzione della dottrina e della giurisprudenza - i principi che tutti hanno il potere di agire in sostituzione del comune e che tutti hanno "il diritto di accedere, in generale", - e cioè, parrebbe, anche in mancanza di uno specifico interesse - "alle informazioni di cui è in possesso l'amministrazione" significa incrinare uno dei pilastri dell'interesse legittimo: e cioè il suo carattere personale. Pertanto, attese le inevitabili interazioni fra i vari tipi di interesse legittimo (v. succ. n. 10.2), quest'ultimo sembra avviarsi ad essere una figura ontologicamente diversa dal diritto soggettivo (dal quale, invece, è ineliminabile il tratto della personalità), allontanandosi così dalla originaria previsione dell'art. 103 della Costituzione.

In ogni caso l'ideologia partecipativa della legge n. 142/1990 si presta a due considerazioni, una ottimistica e una pessimistica. La considerazione ottimistica è che il nostro legislatore sembra finalmente orientato a dare consapevole generale ingresso a quegli istituti, a suo tempo indicati dalla commissione Nigro, che danno la reale misura della democrazia sostanziale dell'ordinamento; il che è certamente positivo. La considerazione pessimistica è che l'attuale legge sembra originata non tanto dalla volontà di accrescere il peso politico del cittadino, facendone sempre più un protagonista dalla vita pubblica e sempre meno un suddito, quanto dalla sconfortata consapevolezza che il giudizio sulla funzionalità delle amministrazioni locali non può che essere negativo (basti pensare all'abusivismo edilizio e all'assistenza sanitaria), sicchè si pone l'esigenza di inventare o riesumare strumenti alternativi a quelli che dovrebbero istituzionalmente garantire tale funzionalità.

4.3 - Sugli interessi oppositivi non c'è molto di nuovo da dire. Essi sono i tradizionali interessi legittimi introdotti dall'istituzione della giurisdizione amministrativa nel 1889, e che hanno condotto alla tradizionale costruzione del giudizio amministrativo come giudizio d'impugnazione (24).

C'è solo da tener presente che anche gli interessi strumentali hanno - di regola - carattere oppositivo. Pertanto la qualificazione di "oppositivo" non è esclusiva degli interessi sostanziali. Probabilmente parte almeno delle difficoltà che si incontrano nello studio degli interessi legittimi sono di vocabolario, e derivano da una certa povertà di linguaggio che accomuna in un'unica definzione entità eterogenee. Di regola, gli interessi oppositivi sostanziali sono correlati ad una potestà amministrativa discrezionale relativa all'assetto concreto degli interessi considerati; gli interessi oppositivi formali, invece, sono correlati ad una potestà amministrativa che o non è discrezionale ma vincolata o è discrezionale solo per determinate modalità procedimentali che non attengono all'assetto concreto di interessi operato dal provvedimento.

4.4 - Molto da dire c'è, invece, sugli interessi pretensivi, ai quali corrisponde il dovere nel pubblico interesse (= potestà) di erogare una prestazione patrimoniale o un pubblico servizio o - più genericamente - un'attività; interessi molto simili ai diritti soggettivi, tanto da essere talvolta denominati quasi-diritti (25).

In primo luogo, non esiste alcun criterio ontologico per poterli distinguere dalle figure affini dei diritti soggettivi rientranti nella cognizione del giudice ordinario e dei diritti soggettivi rientranti nella cognizione del giudice amministrativo. Il criterio è puramente normativo o giurisprudenziale. Diritto e interesse sono entrambi strumenti per la tutela di un interesse materiale predisposti dall'ordinamento, che può sovranamente cambiare (e spesso cambia) indirizzo circa il modo di usarli. L'inesistenza di un criterio ontologico è evidente soprattutto nel tracciare il confine tra i diritti rientranti nella giurisdizione amministrativa e quelli rientranti nella giurisdizione ordinaria, confine che è legato unicamente a considerazioni di opportunità connesse - di regola - con la maggiore specifica competenza del giudice amministrativa nelle materia più strettamente inerenti all'azione amministrativa, ritenute a tal fine "particolari materie" agli effetti dell'art. 103, primo comma, della Costituzione; il che è un'ulteriore riprova che l'attuale riparto di giurisdizione fondato sulla contrapposizione diritto soggettivo-interesse legittimo è puramente un fatto tendenziale, contingente e non necessario: sicchè non può costituire nè una coerente base scientifica per la costruzione del sistema, nè una preclusione per un eventuale costruzione del sistema su una base diversa. Ma l'inesistenza del confine ontologico è evidente anche tra interessi pretensivi e diritti soggettivi rientranti nella giurisdizione esclusiva, dal momento che, specie in materia non patrimoniale, spesso non è affatto chiaro in quale delle due posizioni ci si trovi: sicchè l'attribuzione ad una di esse finisce con l'essere frutto della scelta, talvolta opinabile, del giudice; ed è del pari evidente tra interessi pretensivi rientranti nella giurisdizione amministrativa e diritti soggettivi rientranti nella giurisdizione ordinaria, dal momento che una più matura riflessione ha gettato molta acqua sul fuoco che era stato acceso dalle note tesi delle Sezioni Unite della Corte di cassazione circa l'esigenza di configurare un diritto soggettivo fondamentale e inviolabile alla salute (26), tesi oggi sempre più recessive anche perchè sembra recessivo il presupposto ideologico che le aveva originate: e cioè che il diritto soggettivo offra al sottostante interesse materiale una capacità di tutela maggiore di quella offerta dall'interesse legittimo sostanziale.

Quello degli interessi pretensivi appare attualmente il campo in cui più sensibile può essere il contributo dell'interpretazione creatrice della giurisprudenza amministrativa. In particolare, è stato ritenuto (27) che il pubblico dipendente abbia un interesse pretensivo a veder definita una propria istanza di attribuzione di una qualifica superiore alla quale ritiene di avere diritto in base alla normativa che disciplina il rapporto di lavoro, con conseguente obbligo dell'amministrazione di provvedere sull'istanza stessa; ciò in quanto discende dal principio generale di buon andamento sancito dall'art. 97 della Costituzione, di cui è logico corollario il principio di trasparenza dell'azione amministrativa, che la posizione del pubblico dipendente in seno all'istituzione considerata venga individuata con esattezza, al fine di evitare l'insorgere di dannose situazioni di incertezza operativa e di conflittualità latente.

Va infine ricordato che la giurisprudenza sembra avviata a far rientrare nell'area degli interessi pretensivi, come tali giuridicamente protetti, alcuni cosiddetti "diritti di accesso" sinora stagnanti nel limbo degli interessi di mero fatto (28).

4.5 - Non hanno invece una specifica ed autonoma fisionomia gli interessi cosiddetti procedimentali, nei quali vengono identificati o quelli con cui si aziona "l'interesse strumentale all'eliminazione dell'atto o comportamento preclusivo del successivo sviluppo del procedimento" (29) o quelli che attengono ad un autonomo subprocedimento (30). In realtà, in entrambi i casi, con la qualifica di "procedimentali" si intende sottolineare la circostanza che si tratta di interessi che emergono nel corso del procedimento. Ma tale qualifica è del tutto descrittiva ed estrinseca e non incide sulla natura dell'interesse, che - ad esempio - nel primo caso è manifestamente pretensivo (il fatto che debba svolgersi per tappe successive o per superamento di ostacoli successivi non ne modifica certo la natura) e nel secondo caso è manifestamente partecipativo; sicchè non c'e alcuna ragione per non applicare il principio occamistico secondo cui entia non sunt moltiplicanda sine necessitate.

4.6 - Diverso discorso va fatto per il cosiddetto interesse processuale o interesse a ricorrere. Secondo la dottrina dominante quest'ultimo, "corrispondente all'interesse ad agire del processo civile, consiste nella utilità concreta, eventualmente anche solo di carattere morale, che il ricorrente, nella situazione giuridica e di fatto in cui versa, si ripromette di ottenere dall'accoglimento del ricorso" (31). Ora anche in questo caso l'analisi è probabilmente complicata dal fatto, già segnalato, secondo cui lo stesso termine "interesse" viene utilizzato in una miriade di accezioni diverse (32). Se invece si utilizza, come nella citata definizione, il termine "utilità concreta" l'analisi diventa più chiara; e conduce alla conclusione che l'interesse processuale non è riconducibile al genus interesse legittimo, e non rientra quindi nell'utilità astratta che ne costituisce elemento costitutivo. Esso invece costituisce semplicemente un fatto, esterno all'interesse legittimo, da cui dipende l'ammissibilità del ricorso; più precisamente, costituisce una condizione dell'azione (33).

4.7 - Una considerazione a parte merita, infine, il contenzioso elettorale; per due motivi.

Innanzi tutto l'interesse in esso azionato ha contemporaneamente carattere oppositivo e pretensivo. Più precisamente si tratta di una pretesa (alla modificazione dei risultati elettorali) che può essere fatta valere soltanto attraverso l'impugnazione dell'atto di proclamazione degli eletti.

In secondo luogo, a ben vedere, la situazione sostanziale azionata non è di interesse legittimo ma di diritto soggettivo, ed anzi di un diritto soggettivo pubblico fondamentale e costituzionalmente protetto rientrante tra i diritti politici (quali sono, appunto, il diritto dell'elettore di concorrere alla scelta delle rappresentanze politiche ed il diritto del candidato di essere eletto: artt. 44 e 51 cost.) (34) di un diritto soggettivo, cioè, che secondo il citato orientamento delle Sezioni Unite non sarebbe a priori degradabile, in quanto rientrante tra quei diritti che "per loro stessa natura, sono irrinunciabili, inalienabili e imprescrittibili" (35). Però in questo caso la tutela offerta dall'ordinamento non è quella tipica del diritto soggettivo (azionabilità nei limiti della prescrizione; non necessità di impugnare formalmente l'atto lesivo) ma quella tipica dell'interesse legittimo. Si ha quindi un caso, del tutto anomalo, di diritto fatto valere come interesse; e ciò - badisi bene - non a titolo di doppia tutela ma a titolo di unica tutela possibile. I motivi pratici di tale anomalia sono evidenti: la necessità che si consolidino al più presto i risultati elettorali. Ma ciò dimostra ancora una volta come le scelte operate dall'ordinamento siano empiriche e contingenti; ed investano non solo la consistenza sostanziale delle situazione soggettiva attribuita al singolo, ma anche la tutela processuale in concreto fornita alla situazione stessa.

Dalla circostanza che la situazione sostanziale azionata sia di diritto soggettivo, discende che il contenzioso elettorale andrebbe collocato nella giurisdizione esclusiva. La questione non è puramente oziosa. Alla domanda che potrebbe sorgere immediata: " Ma che bisogno c'e di scomodare la giurisdizione esclusiva se si tratta di situazioni soggettive che - a torto o a ragione - l'ordinamento tratta da interessi legittimi ? " potrebbe rispondersi che il trovarsi in un'area di giurisdizione esclusiva non è un fatto neutro per l'interesse legittimo; in quanto in tal caso l'interessato dovrebbe potersi avvalere di tutti i mezzi di prova attualmente consentiti, e che sarebbero riconosciuti in funzione del tipo di giurisdizione e non in funzione del tipo di situazione soggettiva azionata (36).

5.- La giurisprudenza ha avuto modo di rilevare (37) che gli interessi legittimi sostanziali costituiscono la proiezione operativa - sul piano procedimentale e processuale - di un sottostante interesse materiale del loro titolare, e sono posti da norme anch'esse sostanziali, che disciplinano il contenuto concreto della potestà amministrativa e cioè l'assetto concreto di interessi che essa è istituzionalmente tenuta ad operare. Per tale loro nesso con un interesse materiale, e pertanto collocato in una precisa dimensione temporale, gli interessi sostanziali possono essere compiutamente soddisfatti dai pubblici poteri (in sede sia procedimentale che processuale) solo se le determinazioni di questi ultimi vengano adottate con riferimento alla situazione esistente all'atto in cui gli interessi stessi siano stati azionati. Di conseguenza la garanzia giurisdizionale, per essere veramente effettiva ed essere quindi realmente rispondente ai principi enunciati dagli artt. 24, 103 e 113 della Costituzione, deve porsi un problema di eventuale retroattività della tutela dell'interesse leso; problema variamente risolto dalla giurisprudenza, in quanto detta tutela talvolta viene fatta risalire sino al momento in cui l'interesse era azionabile o è stato azionato, come accade - di regola - nella giurisdizione esclusiva, talvolta invece viene cristallizzata al momento della notifica della sentenza, come accade - secondo il prevalente indirizzo giurisprudenziale - in sede di giurisdizione generale di legittimità (38).

Diversa è la situazione nel caso di interessi (meramente) formali, sganciati cioè da un sottostante interesse materiale, e posti da norme anch'esse formali (quali quelle che disciplinano l'organizzazione, il procedimento, le forme, gli elementi estrinseci dell'esercizio del potere, senza incidere sul contenuto sostanziale degli atti); norme dette anche "neutre" perchè non rilevanti ai fini dell'assetto concreto degli interessi, pubblici e privati, frutto della ponderazione operata dall'autorità decidente. In questo caso, che - com'e noto - in passato ha dato origine alla teoria dell'interesse legittimo come diritto o interesse "alla legittimità dell'azione amministrativa" (teoria ormai da tempo abbandonata, in quanto erronea generalizzazione, a tutte le ipotesi di interesse legittimo, di una caratteristica presente solo negli interessi legittimi formali), la situazione soggettiva viene protetta in sè, indipendentemente da un sottostante e immediato interesse materiale; sicchè - al limite - l'atto impugnato per violazione di un interesse formale può essere annullato anche quando l'interesse materiale sottostante non avrebbe dovuto essere soddisfatto ma sacrificato, facendo conseguire al ricorrente vittorioso l'unica utilità, puramente strumentale, di rimettere la questione in discussione e di potersi così giovare di un eventuale sopravvenuta modifica dell'orientamento dell'Amministrazione o del quadro normativo di riferimento.

Per tale loro peculiare caratteristica di essere svincolati da un sottostante interesse materiale (necessariamente presente, invece, in tutte le posizioni soggettive sostanziali, diritto soggettivo compreso) gli interessi formali, relativamente frequenti nella comune esperienza giuridica, vengono denominati da una recente dottrina interessi "oltremodo protetti" (39).

Ora gli interessi in parola, proprio per questo loro essere sganciati da un interesse materiale concreto e temporalmente determinato, non postulano di essere soddisfatti con riferimento alla situazione di fatto e di diritto esistente nel momento in cui sono stati azionati. Trattandosi infatti di semplici interessi alla legittimità formale del procedimento, essi vengono soddisfatti - ove ritenuti fondati dal giudice - solo ed esclusivamente mediante la rinnovazione, in modo legittimo, del procedimento stesso. Ma tale rinnovazione non può che avvenire in base alle norme vigenti al momento in cui viene effettuata, in quanto il procedimento è preordinato a soddisfare un interesse pubblico, e quindi, salvo un'esplicita volontà contraria dell'ordinamento, non può che svolgersi secondo le norme sostanziali e formali che di tale pubblico interesse stabiliscono il quadro di riferimento. Un problema di retroattività qui non è ipotizzabile; perchè la retroattività è uno strumento per assicurare completezza di tutela ad un interesse sostanziale, interesse che nel caso è - per definizione - inesistente.

6.- La costruzione della figura dell'interesse legittimo è stata ulteriormente precisata da un recente indirizzo giurisprudenziale (40), che ha abbandonato il tradizionale orientamento secondo cui l'interesse processuale deve radicarsi entro il termine utile per ricorrere, dovendosi escludere la protezione di interessi futuri; con la conseguenza che tale interesse, qualora sopraggiunga soltanto dopo la scadenza di detto termine, non è idoneo a far riaprire il termine stesso.

L'orientamento suindicato era - com'e noto - ispirato dall'esigenza di evitare che il provvedimento amministrativo potesse restare troppo a lungo esposto alla possibilità di una impugnazione con negativi riflessi sull'interesse pubblico ad una sua sollecita inoppugnabilità: ed in quest'ottica riteneva che il termine per l'impugnazione dovesse essere fatto in ogni caso decorrere dalla sola piena conoscenza del provvedimento; ciò anche nei confronti di quei soggetti che per avventura non avessero ancora subito un'effettiva lesione, e quindi non fossero ancora titolari di quell'interesse attuale che costituisce condizione necessaria del ricorso. In altre parole, l'orientamento tradizionale riteneva che l'eventuale conflitto tra l'interesse pubblico a che il provvedimento divenisse inoppugnabile in un termine breve e predeterminato (uguale per tutti gli interessati, attuali o semplicemente potenziali, nei cui confronti si fosse verificato l'evento della piena conoscenza e l'interesse privato ad un'effettiva tutela giurisdizionale dovesse essere risolto dando sempre la prevalenza al primo, in considerazione - appunto - della sua rilevanza pubblicistica.

Ma il suindicato orientamento tradizionale non sembra più conforme al diritto vivente, quale risultante dall'attuale concezione della garanzia della tutela giurisdizionale nei confronti degli atti della pubblica amministrazione, di cui agli artt. 24 e 113 della Costituzione: ciò per le seguenti considerazioni.

In primo luogo, ai sensi del citato art. 113 la tutela giurisdizionale nei confronti della pubblica amministrazione è garantita "sempre" e "non può essere esclusa o limitata". Invece non sussiste, a livello costituzionale, una garanzia di amministrazione simmetrica e pariordinata alla garanzia di giurisdizione. Infatti, dal disposto dell'art. 97 si evince che l'azione amministrativa non è tutelata in modo assoluto e incondizionato, ma solo in quanto assicuri "il buon andamento e l'imparzialità"; e cioè solo in quanto in concreto si articoli e operi secondo i criteri di legittimità e di efficienza indicati dall'ordinamento. Di conseguenza un possibile conflitto tra il diritto - garantito costituzionalmente ed in modo assoluto - alla tutela giurisdizionale e l'interesse pubblico - garantito non costituzionalmente ed in modo relativo - alla speditezza dell'azione amministrativa (in cui s'inquadra l'interesse alla sollecita inoppugnabilità dell'atto amministrativo) non può che essere risolto dando la prevalenza al primo.

In secondo luogo, il conflitto suindicato non si pone - in realtà - in termini alternativi tra il diritto del privato e l'interesse dell'amministrazione. Infatti il riconoscimento del diritto del privato, in caso di interesse processuale sopravvenuto, ha l'unico limitato effetto di consentire l'impugnazione tardiva, in casi eccezionali e per un arco di tempo solitamente molto modesto; ora tale eccezionale potere di impugnazione non esclude - com'e evidente - la formazione dell'inoppugnabilità del provvedimento, ma solo la ritarda. A maggior ragione quindi il conflitto tra la totale esclusione del diritto del privato alla tutela giurisdizionale e la semplice temporanea attenuazione dell'interesse dell'Amministrazione all'incontestabilità dei propri provvedimenti non può che essere risolto dando la prevalenza al primo.

Infine non può non rilevarsi che, nel caso di interesse sopravvenuto, l'orientamento tradizionale pone l'interessato nella singolare alternativa di poter proporre solamente o un ricorso inammissibile per mancanza di interesse attuale (qualora impugni subito il provvedimento da cui in futuro possa ricevere una concreta lesione) o un ricorso irricevibile per tardività (qualora impugni il provvedimento solo dopo la lesione della sua sfera giuridica, e quindi solo dopo che si sia radicato il necessario interesse processuale); e di conseguenza pone - in pratica - l'interessato nella situazione di essere privato a priori di ogni tutela giurisdizionale.

Per tali considerazioni è stato ritenuto che, qualora l'interesse processuale si radichi in un momento successivo a quello della piena conoscenza del provvedimento (che sarà) lesivo, è solo da questo momento successivo che debba farsi decorrere il termine per l'impugnazione. Di conseguenza, la decorrenza del termine può aversi solo quando sussistano entrambi i presupposti della piena conoscenza e della lesione; e non può ritenersi costituzionalmente ammissibile che l'esercizio del diritto alla tutela giurisdizionale venga sottoposto ad un termine tale da rendere assolutamente impossibile - nel caso concreto - l'esercizio stesso.

La suindicata svolta giurisprudenziale potrebbe avere conseguenze sull'intera filosofia del processo amministrativo.

Infatti ammettere la tutela dell'interesse sopravvenuto vuol dire spostare ulteriormente l'attenzione dall'atto (astrattamente) lesivo all'interesse (concretamente) leso, riconoscendo la centralità di quest'ultimo; vuol dire compiere un passo ulteriore per superare gli ormai troppo augusti schemi impugnatori e per avviare una costruzione processuale di più ampio respiro in cui tutti gli interessi legittimi (e non soltanto quelli oppositivi, finora privilegiati) possano trovare adeguata tutela.

7.- L'art. 103, primo comma, della Costituzione, secondo cui il giudice amministrativo ha giurisdizione "per la tutela nei confronti della pubblica amministrazione degli interessi legittimi e, in particolari materie indicate dalla legge, anche dei diritti soggettivi", viene solitamente inteso nel senso che la giurisdizione esclusiva abbia carattere eccezionale e debba quindi essere limitata a specifiche materie liberamente stabilite dal legislatore.

Ma tale orientamento non sembra corretto.

Il primo comma dell'art. 103 va interpretato nel contesto delle altre norme costituzionali che precisano il quadro operativo entro cui deve muoversi il giudice amministrativo, e cioè: il principio della pienezza della tutela giurisdizionale (art. 24) anche nei confronti della pubblica amministrazione (art. 103, cit.); il principio secondo cui la tutela della giustizia nell'amministrazione e affidata al giudice amministrativo (art. 100), che quindi tendenzialmente si presenta come giudice naturale (art. 25) della pubblica amministrazione, dal quale non si dovrebbe poter essere distolti; il principio di ragionevolezza teorizzato dalla Corte costituzionale. Va altresì tenuto presente l'orientamento ormai consolidato di costituzione materiale secondo cui solo il giudice amministrativo (salvo casi marginali) ha il potere di annullare gli atti dell'amministrazione e di sostituirsi ad essa, direttamente o mediante un commissario ad acta, assicurando così effettiva tutela ai soggetti lesi da un provvedimento amministrativo.

Ora dal complesso di tali principi discendono due conseguenze.

In primo luogo il legislatore non è affatto libero di scegliere se la cognizione di determinati diritti nei confronti dell'amministrazione rientri o meno nella giurisdizione esclusiva. Al contrario il legislatore deve valutare se la giurisdizione dell'A.G.O. incida sulla pienezza della tutela giurisdizionale degli amministrati ovvero sulla pienezza della tutela della giustizia nell'amministrazione: aspetti questi che costituiscono due facce di una stessa medaglia. Ove tale incidenza non si verifichi il legislatore ha piena libertà di scegliere tra le due giurisdizioni, in base ad un criterio puramente tecnico-politico. Ove invece tale incidenza si verifichi il legislatore è tenuto ad attribuire la materia al giudice amministrativo; una diversa scelta costituirebbe vizio di illegittimità costituzionale della legge. In altre parole gli artt. 24 e 103 non hanno inteso costituzionalizzare un riparto di giurisdizione fondato sulla diversità di posizione soggettiva tutelata (diversità rispettabile, ma certo non di importanza fondamentale nell'architettura costituzionale); ma hanno inteso affermare che tutte le posizioni soggettive riconosciute dall'ordinamento (la previsione quindi si riferisce anche ad aspettativa, possesso, status) devono ricevere una tutela piena ed effettiva, in un quadro di tendenziale "pari dignità" delle posizioni stesse (esigenza, questa, certo di importanza costituzionale fondamentale).

In secondo luogo il disposto che debba trattarsi di materie indicate "dalla legge" va interpretato nel senso che non sia necessario che la legge contenga l'attribuzione espressa alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, essendo invece sufficiente che la materia sia attribuita dalla legge al giudice amministrativo, e che l'analisi giuridica (giurisprudenziale e dottrinale) pervenga alla conclusione che la situazione soggettiva tutelata abbia la consistenza di diritto soggettivo. A tale conclusione si perviene anche in virtù del citato disposto dell'art. 4 della legge 6 dicembre 1971 n. 1034, che attribuendo al giudice amministrativo i "ricorsi aventi per oggetto diritti e interessi, la cui tutela non sia attribuita all'autorità giudiziaria ordinaria o ad altri organi di giurisdizione", ha riconosciuto che non è affatto un evento eccezionale che al giudice amministrativo sia affidata la tutela di diritti nei confronti della pubblica amministrazione, ed anzi che in tale settore la giurisdizione spetta in linea di principio al giudice amministrativo (pertanto, giudice naturale della pubblica amministrazione) e solo in via residuale al giudice ordinario o ad altri organi di giurisdizione.

8.- Le considerazioni sopra formulate permettono di trarre qualche prima conclusione.

a) gli interessi partecipativi, oppositivi, pretensivi, non sono diversi soltanto sotto il profilo funzionale. Sono diversi anche in una prospettiva storica, in quanto costituiscono il riflesso di un diverso modo di concepire il rapporto amministrazione-amministrati.

Gli interessi oppositivi sono tipici dello Stato autoritario ottocentesco; sono figli della classica puissance politique teorizzata da Hauriou, che impone sovranamente la sua volontà facendo terra bruciata intorno a sè ("degradando" - secondo la vecchia terminologia - i diritti soggettivi che incontra sul suo cammino) e limitandosi a concedere che gli amministrati possano ricorrere al giudice per far correggere gli eventuali errori commessi dall'amministrazione; e questo non tanto per liberale benevolenza, quanto nell'interesse preminente della stessa amministrazione (ed ecco le teorie dell'interesse "indirettamente protetto" o "occasionalmente protetto"). Quelli oppositivi sono quindi gli interessi legittimi del passato.

Gli interessi pretensivi sono tipici dello Stato sociale moderno, che nella misura in cui allarga il suo raggio d'intervento ne riduce lo spessore autoritativo, presentandosi sempre più come service publique, come teorizzato da Duquit; sempre più come semplice ente erogatore di servizi, sempre più contrattualizzato, e quindi sempre più su un piano di parità con gli utenti dei servizi stessi. Quelli pretensivi sono dunque gli interessi legittimi del presente.

Gli interessi partecipativi sono tipici di una società in uno stadio ancora più avanzato, in cui i cittadini non si limitano, passivamente, ad assorbire servizi ma sono anche inseriti, attivamente, nei circuiti decisionali dell'amministrazione. Essi sono, quindi, gli interessi legittimi del futuro, anche perchè la crescente procedimentalizzazione dell'attività amministrativa, con la conseguente presenza necessaria di un numero crescente di parti pubbliche, fa sì che gli interessi stessi siano sempre più non di singoli individui ma di formazioni sociali o addirittura di pubbliche amministrazioni; il che dà la misura del salto di qualità che essi rappresentano rispetto agli originari interessi oppositivi, in quanto in sede partecipativa l'interesse non è più dell'amministrato ma dell'amministratore; in altre parole viene meno la contrapposizione dialettica tra amministrazione e amministrati: tutte le parti, ed in posizione concettuale di parità (siano esse soggetti pubblici, sociali o privati), collaborano per il perseguimento di un fine comune. L'amministrare non è più un fatto unilaterale, ma un fatto comunitario.

Pertanto in una prospettiva storica la problematica dell'interesse legittimo tende sempre più a sganciarsi dal tradizionale modello impugnatorio, in quanto tende a ribaltare l'equilibrio tra le tre suindicate categorie di interessi, prima fortemente sbilanciato in favore di quegli interessi oppositivi che ora tendono a diventare recessivi.

b) La profonda trasformazione politico-ideologica del modo di essere dell'interesse legittimo non può restare senza conseguenze sulla filosofia e sulla stessa struttura del processo amministrativo. Il generalizzarsi degli aspetti pretensivi e partecipativi, e quindi di una concezione paritaria delle parti in giudizio, conduce fatalmente - specie in un quadro, come l'attuale, di crescente contrattualizzazione dell'azione amministrativa - a deprimere l'aspetto autoritativo di detta azione e quindi a ricondurla negli schemi del diritto comune. Appare quindi inevitabile che - ferme restando le attuali tendenze evolutive - si verifichi una crescente divaricazione tra il tradizionale processo impugnatorio sugli interessi oppositivi ed un nuovo processo non impugnatorio sugli interessi pretensivi e partecipativi; e correlativamente un crescente ravvicinamento di quest'ultimo allo schema (non impugnatorio) della giurisdizione esclusiva. Questo potrebbe comportare, tra l'altro, che il termine di decadenza, stabilito pensando agli interessi oppositivi ed all'esigenza di restringere in un breve termine la possibilità del singolo di modificare l'organizzazione o l'operato autoritativo dell'amministrazione, perda la sua ragion d'essere nei confronti di una attività che autoritaria non è (o non sarà) più, e che quindi può anche essere modificata entro termini non particolarmente stretti senza incidere sul buon andamento dell'amministrazione. Sotto il profilo dell'interesse pubblico non c'e nessuna differenza sostanziale tra la pretesa di un pubblico dipendente alla retribuzione dovuta (soggetta al termine di prescrizione) e la pretesa di un utente ad un pubblico servizio (soggetta, per ora, al termine di decadenza); sicchè entrambe dovrebbero essere soggette al termine di prescrizione, essendo evidente la loro differenza rispetto esempio - alla pretesa di annullamento di un decreto di espropriazione, che incide sull'interesse pubblico ad un rapido consolidamento di un provvedimento autoritativo, e quindi deve poter essere definita in un tempo breve.

9.- L'esame della figura dell'interesse legittimo comporta l'esame della correlativa figura del controinteresse (legittimo); figura che attualmente è oggetto di particolare attenzione (41).

L'art. 21 della legge 6 dicembre 1971 n. 1034 si limita a disporre che il ricorso deve essere notificato "ai controinteressati ai quali l'atto direttamente si riferisce", ripetendo così la disposizione dell'art. 36 del t.u. sul Consiglio di Stato 26 giugno 1924 n. 1054, e dell'art. 7 del relativo regolamento 17 agosto 1907 n. 642.

Sulla base di queste disposizioni si sono formate due fondamentali correnti giurisprudenziali e dottrinali.

Per la prima (42) "la nozione di controinteressato é diretta a comprendere tutti coloro che sono coinvolti da un provvedimento amministrativo, ed abbiano acquisito, in relazione a detto provvedimento, una posizione giuridicamente qualificata alla sua conservazione". Viene delineata così una nozione sostanziale di controinteressato, come titolare di una posizione speculare a quella dell'interessato; e cioè come titolare di un interesse giuridicamente qualificato ed analogo (anche se - ovviamente - opposto) a quello del ricorrente. Per la seconda "l'attribuzione ad un soggetto della qualità di controinteressato presuppone l'accertamento di un duplice concorrente requisito: l'uno di carattere sostanziale, attinente alla individuazione di un interesse qualificato alla conservazione dell'atto impugnato; l'altro, di natura processuale, concernente la possibilità di identificare agevolmente, sulla base dell'atto, il titolare del predetto interesse"; ma il primo requisito viene delimitato nel senso che "non possono essere considerati titolari di un interesse qualificato alla conservazione dell'atto" coloro che non siano "destinatari" dello stesso (43): con il che viene operata una notevole strozzatura di tipo formale sull'affermato requisito sostanziale, perchè - in buona sostanza - si finisce con l'attribuire la qualità di controinteressato solo a coloro che siano (formalmente) destinatari dell'atto impugnato ed abbiano anche (sostanzialmente) un interesse qualificato alla conservazione dell'atto stesso.

Non è questa la sede per un esame approfondito delle due indicate correnti, oggetto di recenti approfonditi studi (44); nè esistono argomenti decisivi a favore dell'una o dell'altra.

Personalmente ritengo preferibile la prima, per le seguenti considerazioni.

In primo luogo la seconda corrente trova la sua maggiore giustificazione nel testuale disposto normativo, che fa espresso riferimento alle persone alle quali "l'atto direttamente si riferisce"; disposto che nella concezione originaria della giustizia amministrativa discendente dalla riforma del 1889 era dovuto alla circostanza che all'epoca quello oppositivo era l'unico interesse legittimo ipotizzabile. Ma nell'ultimo ventennio dottrina e giurisprudenza hanno preso piena coscienza che accanto all'interesse oppositivo sussiste anche l'interesse partecipativo e quello pretensivo; e che anzi questi due ultimi tendono a relegare il primo in una posizione secondaria, quanto meno sotto un profilo qualitativo. Ora in questo nuovo equilibrio il citato disposto normativo o lo si interpreta in coerenza con la realtà effettuale dell'ordinamento o lo si riduce a niente più che un relitto storico: perchè nell'ottica pretensiva e - soprattutto - partecipativa il disposto stesso acquista un valore profondamente diverso da quello originario, e deve necessariamente allargarsi a tutta l'area dei soggetti "coinvolti" dal provvedimento, come esattamente rilevato dalla giurisprudenza sopra indicata.

In secondo luogo le attuali linee di tendenza dell'ordinamento sono senza dubbio nel senso di favorire la piena tutela delle "formazioni sociali nelle quali si svolge la personalità" del singolo, "riconoscendo pertanto a tali formazioni la legittimazione ad agire in giudizio per la tutela degli interessi, di cui siano "portatrici" (art. 1, secondo comma, b, della proposta di legge n. 788, concernente la riforma - tra l'altro - del processo amministrativo, attualmente all'esame del Senato); formazioni sociali quindi la cui legittimazione processuale, sotto il profilo sia dell'interesse che - necessariamente - del controinteresse, viene riconosciuta con riferimento al dato sostanziale della tutela degli interessi "di cui siano portatrici" (e cioè degli interessi della categoria da loro rappresentata) e non con riferimento al dato formale dell'essere o meno destinatarie del provvedimento. Sicchè un'interpretazione giurisprudenziale che porti a limitare tale legittimazione sul piano del controinteresse si rivela essenzialmente antistorica.

In terzo luogo, come sopra rilevato (v. n. 8), in sede partecipativa l'interesse non è più dell'amministrato ma dell'amministratore. Il che, nell'attuale fase di diluizione e di polverizzazione dei poteri pubblici, rende evanescente il confine fra formazione sociale e Amministrazione pubblica e - al limite - il confine tra partecipante privato e Amministrazione pubblica.

In quarto luogo il principio del contraddittorio, cardine del processo amministrativo come di qualsiasi altro tipo di processo, impone parità di trattamento tra le parti e quindi tra le situazioni soggettive di cui le parti sono portatrici. Pertanto un'interpretazione che restringa l'area dei poteri di una sola delle parti in gioco non può non dare adito a seri dubbi di costituzionalità.

Infine le attuali tendenze (v. n. 10.2) sono nel senso di un riconoscimento dell'esistenza di una situazione sostanziale di fondo, complessa, tra amministrato e Amministrazione, di cui gli interessi oppositivi, pretensivi e partecipativi sono manifestazioni particolari; sicchè la presenza degli uni verrebbe a comportare - di regola - l'esistenza degli altri.

Dovrebbe quindi concludersi per una pratica coincidenza tra l'area dell'interesse e quella del controinteresse. Vero è che, almeno secondo alcuni orientamenti giurisprudenziali, i poteri processuali del controinteressato sono in alcuni casi più ristretti di quelli dell'interessato (45). Ma ciò a mio avviso non deve condurre alla conclusione che il controinteresse sia ontologicamente diverso dall'interesse; deve al contrario impegnare la giurisprudenza e la dottrina a far scomparire tutte quelle diversità che non abbiano più - come è, oggi, per la maggior parte di esse - un'effettiva ragione d'essere coerente con gli attuali caratteri dell'ordinamento.

10.- Dall'analisi sopra compiuta sorgono due problemi di fondo:

a) quale ruolo gioca l'utilità pretesa nella dialettica titolare dell'interesse-titolare della potestà?

b) deve parlarsi di "interessi legittimi" o di "interesse legittimo"?

10.1 - Per rendersi conto appieno della funzione dell'utilità pretesa nella dialettica titolare dell'interesse - titolare della potestà occorre tener presente che quest'ultimo può: a) attribuire l'utilità con un provvedimento legittimo; b) attribuire l'utilità con un provvedimento illegittimo (recte: con un provvedimento che sia poi riconosciuto illegittimo in sede di autotutela o giurisdizionale); c) negare l'utilità con un provvedimento legittimo; d) negare l'utilità con un provvedimento illegittimo (nel senso sopra precisato).

Pertanto l'esercizio della potestà:

sub a) riconosce l'esistenza dell'interesse legittimo e lo soddisfa, estinguendolo;

sub b) non può creare dal nulla l'interesse legittimo. Qualora però il provvedimento divenga inoppugnabile e si consolidi, può creare un interesse legittimo al mantenimento dell'utilità (sia pure illegittimamente) conseguita, e in particolare un interesse oppositivo ad eventuali successivi provvedimenti che vogliano annullare o revocare il primo. Si ha quindi, in sostanza, un'evenienza analoga a quella dell'acquisto di un diritto a non domino;

sub c) il diniego esclude in radice, ed ex tunc, l'esistenza di un interesse legittimo;

sub d) il diniego non esclude l'esistenza di un interesse legittimo, e può essere impugnato mediante esercizio di un interesse legittimo oppositivo; però, ove quest'ultimo non sia tempestivamente o utilmente azionato, ovvero ove non intervengano provvedimenti di autotutela, il diniego si consolida escludendo, anche in questo caso ex tunc, l'esistenza dell'interesse legittimo.

Da quanto sopra discendono due conseguenze.

In primo luogo, la titolarità effettiva di un interesse legittimo non è condizione di ammissibilità della pretesa. Al contrario qualunque pretesa formulata da chi abbia il potere di esprimere la volontà del soggetto (e sia quindi fornito della necessaria legitimatio ad processum) e sia riconducibile ad un tipo di utilità rientrante - in astratto - nelle attribuzioni del titolare della potestà deve ritenersi ammissibile.

In secondo luogo, il riconoscimento - in concreto - della fondatezza della pretesa (mediante il rilascio del provvedimento positivo o la sentenza di accoglimento) comporta altresì il riconoscimento retroattivo dell'esistenza dell'interesse legittimo azionato. Non c'e quindi alcuno spazio, salvo casi di scuola, per un'autonoma legitimatio ad causam distinta dalla situazione sostanziale fatta valere nel processo (46).

In questa ottica l'utilità pretesa viene a costituire parte integrante del rapporto tra (sedicente) titolare dello interesse e titolare della potestà, in quanto o l'utilità viene riconosciuta (e allora l'interesse legittimo esiste) o l'utilità non viene riconosciuta (e allora l'interesse legittimo non esiste). Da ciò deriva un'ulteriore singolare caratteristica dell'interesse legittimo: quella di vivere - di regola - allo stato di pretesa (se già azionato) o addirittura di pretesa latente (se ancora non azionato); di trovare il suo riconoscimento formale, e quindi di nascere formalmente (sia pure, ove necessario, con efficacia retroattiva) solo nel momento in cui la potestà viene esercitata in senso conforme alla pretesa; di estinguersi, peraltro, subito dopo il riconoscimento - potrebbe dirsi, con un bisticcio di parole: per carenza sopravvenuta d'interesse - in quanto il conseguimento dell'utilità estingue la pretesa e pone fine al rapporto sostanziale, così come il pagamento estingue il credito. Degli interessi legittimi spesso potrebbe dirsi ciò che Linneo diceva di alcune specie di farfalle, dalla vita brevissima: uno saepe eodemque die ortus, nuptias et exequias celebrantes.

10.2 - Resta da esaminare un ultimo problema di fondo: deve parlarsi di "interessi legittimi" o di "interesse legittimo"? E cioè i vari interessi prima analizzati sono figure semplici e autonome, o sono manifestazioni particolari di una figura complessa sottostante, il cosiddetto "rapporto sostanziale" tra amministrazione e amministrato?

A questo proposito occorre partire da una considerazione. Ho parlato (v. prec. n. 3) di interessi ad intervenire nel procedimento (o partecipativi), a far concludere - o, quanto meno, procedere - il procedimento (o pretensivi), ad impugnare il provvedimento lesivo (od oppositivi) e ad ottenere l'esecuzione del provvedimento favorevole (ancora pretensivi). Ora - di regola - non tutti questi interessi sono azionabili, sia pure in tempi successivi, da uno stesso soggetto che si trovi in una determinata situazione. Gli interessi ad intervenire nel procedimento sono tuttora limitati a specifici settori dell'ordinamento, anche se oggi storicamente sono in forte espansione; e comunque non sono configurabili nei procedimenti aperti su iniziativa di parte (autorizzatori, concessori, di secondo grado non d'ufficio) in cui sono logicamente assorbiti dagli interessi pretensivi. Gli interessi pretensivi non sono configurabili nei procedimenti ablatori ed in quelli di secondo grado d'ufficio. Gli interessi oppositivi non sono configurabili a fronte di un provvedimento favorevole. E così via. Tutto questo, però, non mi sembra sufficiente per escludere una situazione unitaria di fondo: basti pensare che anche il diritto di proprietà è costituito da un numero molto ampio di poteri semplici e autonomi, le facoltà, che non sempre sono esercitabili contemporaneamente e incondizionatamente; ma lo sono a seconda delle varie circostanze che si presentano in concreto.

Ora può essere impreciso parlare di "rapporto sostanziale" tra amministrazione e amministrato; e questo perchè il rapporto giuridico, tecnicamente inteso, dovrebbe postulare una predeterminazione di entrambe le posizioni delle parti, mentre invece il suddetto "rapporto sostanziale" parrebbe sussistere non tra uno specifico interesse e una specifica determinazione amministrativa ma tra uno specifico interesse e una qualsivoglia (purchè legittima) determinazione amministrativa (47).

Sembra però innegabile che una relazione sostanziale di fondo ci sia. Vero è che il titolare dell'interesse agisce per il perseguimento di un'utilità soggettiva della vita (un bene in senso economico) e il titolare della potestà agisce per il perseguimento oggettivo di una funzione. Ma questi due scopi, che stanno su due piani diversi, trovano un momento d'incontro: l'attività legittima del titolare della potestà. Non può aversi interesse (pretensivo) ad un esercizio illegittimo della potestà, così come non può aversi potestà di incidere illegittimamente l'interesse legittimo.

Da ciò discende:

a) che l'interesse legittimo sorge prima dell'esercizio della potestà. Potrà discutersi se esso sia già un interesse legittimo perfetto o una situazione soggettiva in fieri, analoga all'aspettativa (48): ma è indubbio che esso sorge o direttamente in base alla legge (ciò è evidente nel caso di norme che disciplinano potestà autorizzatorie o concessorie; ma accade pure nel caso di norme che disciplinino potestà ablatorie) ovvero a seguito del verificarsi di determinate situazioni legittimanti (ad esempio, il fatto di appartenere ad una data categoria o di risiedere in una determinata località; ed in questi limiti appare esatta - con le precisazioni di cui al precedente n. 10.1 - la recente osservazione che "lo interesse legittimo, quale situazione di vantaggio, segue la legittimazione e non viceversa") (49);

b) che, nei limiti di compatibilità derivanti dallo specifico procedimento al quale si riferiscono, i vari interessi si implicano reciprocamente. L'esistenza di un interesse partecipativo o pretensivo comporta necessariamente l'esistenza di un interesse oppositivo. A sua volta l'esistenza di un interesse oppositivo comporta logicamente il massimo ingresso possibile di un interesse partecipativo, per consentire di eliminare in itinere un'eventuale situazione conflittuale;

c) che, pertanto, sembra congruo ricostruire la vicenda in termini di un unitario potere del titolare dell'interesse di perseguire un'utilità della vita, potere che si articola in varie facoltà funzionali alle particolari situazioni determinate dall'esercizio (o dal non esercizio) della potestà. Questo unitario potere, nasce direttamente dalla legge o da situazioni legittimanti, viene esercitato nei vari modi sopra indicati, e muore solo con il definitivo perseguimento della utilità prevista; in pratica è ipotizzabile per ogni procedimento del quale possa essere parte il titolare dell'interesse, così come il diritto soggettivo è configurabile per ogni possibile bene in senso giuridico.

La conclusione a cui si perviene non ha un esclusivo valore teorico, ma anche notevoli ricadute pratiche. Accettarla, infatti, comporta l'accettazione di una concezione che porta necessariamente ad esaltare le sinergie fra i vari tipi d'interessi, e quindi ad ampliare l'area degli interessi partecipativi e pretensivi, i più interessanti dell'odierna esperienza amministrativistica (50); e comporta anche, come previsto dall'attuale disegno di legge delega per la riforma del processo amministrativo, sia un ampliamento riflesso dei poteri del giudice finalizzato ad accrescere l'effettività della giustizia amministrativa sia la creazione di una base teorica per un passaggio non traumatico del processo amministrativo da processo di solo annullamento a processo anche ordinatorio e di accertamento. Le resistenze tuttora esistenti a riconoscere tale potere unitario derivano essenzialmente dal fatto che sino ad oggi l'attenzione prevalente della dottrina e della giurisprudenza è stata rivolta agli interessi oppositivi che, per il breve arco di tempo in cui sono azionabili, non giustificano - di per sè soli - la ricerca di una situazione sostanziale sottostante. Ma questo atteggiamento è destinato a mutare rapidamente, in quanto è sempre più avvertita la consapevolezza che il vero esercizio della potestà amministrativa si ha ormai nei cosiddetti "rapporti di durata" (atti amministrativi generali a carattere non normativo, ed in ispecie pianificazioni; accordi infraorganizzativi; rapporti con l'ambiente, che in un prossimo futuro dovrebbero acquistare particolare importanza), in cui si concreta la reale offesa, e la reale difesa, degli interessi concreti dell'amministrato (51).

11.- Molte delle difficoltà concettuali che l'interesse legittimo si trascina ancora dietro gli derivano dall'essere una figura relativamente giovane, nata in un ordinamento in cui l'altra fondamentale figura, il diritto soggettivo, aveva più di duemila anni di vita ed aveva ormai raggiunto un altissimo grado di elaborazione dogmatica, tanto da costituire il necessario modello mentale di riferimento di qualsiasi situazione soggettiva. Fu quindi inevitabile, agli inizi, vedere l'interesse legittimo con l'occhio del civilista; e rilevare così che esso offriva una tutela apparentemente minore di quella offerta dal diritto soggettivo, suo indiscusso fratello maggiore (basti pensare all'azionabilità nei termini di decadenza anzichè in quelli, più ampi ed elastici, di prescrizione; al diffuso convincimento che l'esecuzione delle decisioni del giudice amministrativo costituisse per l'amministrazione una facoltà e non un obbligo (52); all'esclusione del risarcimento del danno per lesione di interessi legittimi (53)). Sorsero così le varie teorie di interesse "indirettamente" o "occasionalmente" protetto, di "degradazione", di "affievolimento", che solo in tempi recenti si è avvertito costituire niente più che una "descrizione romanzata di vicende giuridiche" (54). L'ombra del fratello maggiore, anzi del "grande fratello", si stendeva, protettiva e soffocante, sull'interesse legittimo, considerato niente più che un "sottosviluppato" (55).

Tale situazione è oggi profondamente mutata.

Il diritto soggettivo è rimasto se stesso. Negli ultimi decenni non presenta novità di rilievo. L'ultimo sussulto di trasformazione credo sia costituito dalla concezione di impresa come diritto soggettivo (56).

L'interesse legittimo, invece, ha subìto una vera e propria metamorfosi (57), per avere acquisito nuove qualificanti province (basti pensare all'espansione nell'area pretensiva e partecipativa) e soprattutto per l'ormai acquisita consapevolezza, da parte della giurisprudenza amministrativa, che nel processo l'amministrazione non è "meno parte dell'altra", secondo una concezione fortunatamente tramontata (58), e che il giudice deve soddisfare un'esigenza di giustizia sostanziale, assicurando in concreto al ricorrente vittorioso il bene della vita o l'utilità pretesi e non limitandosi a procurargli un pezzo di carta che in nome del popolo italiano gli dà ragione.

Questi fermenti evolutivi dell'ordinamento sembrano condurre a due conseguenze.

La prima è che i concetti di diritto soggettivo e di interesse legittimo si vanno ravvicinando sempre più, tanto che - come già rilevato - non esiste più una seria differenza ontologica tra essi. L'ascrizione all'una o all'altra figura è sempre più spesso il frutto di una scelta arbitraria del legislatore o dell'interprete ovvero il frutto della vischiosità del pensiero giuridico, che talvolta tarda ad accorgersi che pur restando fermo il nomen la sostanza del fenomeno considerato è mutata. Ad esempio, in materia di pubblico impiego la tradizionale disciplina legislativa è stata sostituita da una disciplina contrattuale camuffata da regolamento: sicchè oggi continuare ad affermare che un inquadramento od una promozione siano fatti nel prevalente interesse dell'amministrazione e costituiscano esercizio di potestà amministrativa (con conseguente interesse legittimo del dipendente) e non l'adempimento di un obbligo contrattuale (con conseguente diritto soggettivo del dipendente) costituisce un puro e semplice insulto alla logica e al buon senso (59) e può essere accettato solo per una considerazione di ordine metagiuridico: e cioè che consentire che domande di modifica dell'apparato amministrativo possano essere presentate nei termini di prescrizione, e quindi ben al di là della strozzatura dei termini di decadenza, finirebbe col rendere ingovernabile il sistema.

La seconda conseguenza è che, secondo l'autorevole pensiero della Corte costituzionale, oggi l'interesse legittimo è in grado di offrire, nei confronti dell'amministrazione, una tutela addirittura maggiore di quella del diritto soggettivo, in quanto consente di penetrare all'interno del meccanismo di formazione della volontà amministrativa (60). A seguito di questo ribaltamento di prospettiva l'interesse legittimo non vive più nell'ombra del grande fratello, ma in una dimensione e in una luce sue proprie.

Per questi motivi oggi l'interesse legittimo ha un ruolo molto diverso da quello che gli era stato attribuito in origine. Oggi esso serve essenzialmente ad esprimere il valore amministrativo - costituzionale della qualità di cittadino e a dare così la misura della concreta esistenza di uno Stato democratico di diritto. E' invece recessiva e tende a scomparire, come dimostrano le note iniziative legislative volte all'ampliamento della giurisdizione esclusiva in settori di fondamentale importanza economico-sociale, la funzione di costituire un criterio di riparto della giurisdizione. Un serio discrimine tra giurisdizione ordinaria e giurisdizione amministrativa al momento attuale può essere razionalmente costruito solo concependo il giudice amministrativo come giudice naturale dell'amministrazione nell'esercizio del suo potere pubblicistico e non già come giudice naturale (solamente) dell'interesse legittimo. E non è un caso che in sede di giurisdizione esclusiva, in cui la distinzione tra le figure soggettive è irrilevante ai fini della giurisdizione, si vada consapevolmente affermando tale orientamento (61).

12.- Come già ricordato, l'attuale testo della proposta di legge di riforma del processo amministrativo (atto Camera n. 788) prevede - tra l'altro - un sostanzioso ampliamento della giurisdizione esclusiva, facendo rientrare in essa particolare - le "prestazioni di ogni genere, e relativi oneri di spesa, del servizio sanitario nazionale nonché della istruzione e dell'assistenza pubblica", in un orientamento di politica legislativa che sembra indirizzato, in prospettiva, ad accogliere nell'area della giurisdizione esclusiva tutte le situazioni soggettive attualmente configurate come interessi pretensivi.

Ora qual'è la logica - ammesso che ce ne sia una - di questa operazione ?

Le ragioni potrebbero essere:

a) la raggiunta consapevolezza che agli interessi pretensivi, o - quanto meno - a parte di essi, andrebbe riconosciuta natura di diritto soggettivo, con tutte le relative conseguenze (azionabilità indipendentemente dall'esistenza di un atto lesivo e nei limiti della prescrizione; riconoscibilità del danno provocato dalla loro lesione). Si avrebbe così una sorta di promozione sul campo di tali interessi, operata sul presupposto che il diritto soggettivo offra una tutela giurisdizionale più efficace e più rispondente all'attuale livello evolutivo della coscienza sociale e giuridica (62);

b) la raggiunta consapevolezza che anche per le prestazioni suindicate si ripropongono quelle esigenze pragmatiche che in origine avevano indotto alla creazione della giurisdizione esclusiva: e cioè l'utilità di affidare un'intera area al giudice amministrativo, dato che le figure soggettive che la popolavano erano così simili tra loro da rendere - al limite - arbitrario stabilire se si trattasse di diritti soggettivi o di interessi legittimi (63).

Le due ragioni sono più diverse di quanto potrebbe apparire a prima vista. La prima è fondata sulla persistenza della dialettica interessi legittimi - diritti soggettivi e postula un (parziale) travaso dei primi nei secondi fermo restando il perimetro della giurisdizione amministrativa. La seconda invece è fondata sull'irrilevanza di tale dialettica (quanto meno ai fini della giurisdizione, e salve le ulteriori elaborazioni del giudice amministrativo in ordine al carattere autoritativo o meno degli atti o comportamenti considerati) e postula un ampliamento (quanto meno potenziale e dichiarativo) del perimetro stesso.

Quale delle due ragioni ha ispirato l'azione del legislatore?

Non sembrerebbe la prima. Come già rilevato (64) l'antica convinzione che il diritto soggettivo offra al suo titolare una garanzia giurisdizionale più efficace di quella assicurata dall'interesse legittimo è ormai ripudiata a livello di giurisprudenza costituzionale. E d'altra parte, a ben vedere, l'interessato ad una prestazione della sanità, dell'istruzione o dell'assistenza pubbliche non trarrebbe - di regola - alcuna utilità concreta dall'azionabilità nei limiti della prescrizione (trattandosi di prestazioni che, ove non rese in un breve arco di tempo, diventano praticamente inutili) o dalla risarcibilità del danno (che per la sua normale tenuità darebbe luogo ad un'azione giurisdizionale largamente antieconomica, salvo eventuali "questioni di principio" od eventuali azioni, sostitutive o ad adiuvandum, di tribunali "del malato", "dello studente", "dell'assistito" e simili) (65). D'altra parte, attesa la farraginosità della legislazione e dell'organizzazione amministrativa, sarebbe improbabile configurare in tali casi ipotesi concrete di colpa grave e di conseguente responsabilità amministrativa del pubblico impiegato, che potrebbero costituire un'utile remora all'imperante lentocrazia.

Resta quindi la seconda ragione.

Ma se le cose stanno davvero così, se l'ordinamento si sta davvero avviando ad un ampliamento dell'area della irrilevanza tra diritto soggettivo ed interesse legittimo, c'e da chiedersi se tali categorie così come ora concepite siano un punto di emersione soggettiva necessario o debbano invece essere storicizzate e quindi trasformarsi seguendo elasticamente le innegabili trasformazioni dell'ordinamento.

A questo proposito occorre tener presente che in atto:

a) esistono diritti tutelati come interessi, per ragioni metagiuridiche. Ciò è pacifico per il contenzioso elettorale (v. infra n. 4), e sembra evidente anche per i normali provvedimenti di stato giuridico in materia di pubblico impiego (v. infra n. 11);

b) esistono, per converso, interessi tutelati come diritti. Tali infatti vanno ritenute le situazioni soggettive derivanti da atti paritetici (66), atteso che esse sono tutelabili anche mediante motivi di eccesso di potere (quanto meno sotto il profilo della disparità di trattamento), motivi che non dovrebbero essere ipotizzabili nei confronti di diritti soggettivi in senso proprio;

c) entrambe le categorie suddette, per le considerazioni sopra formulate, sono storicamente in sensibile espansione.

In una situazione di questo genere, continuare a parlare di diritti soggettivi e di interessi legittimi nei termini tradizionali sembra più opera di antiquariato giuridico che di ricostruzione coerente del sistema. In realtà tutte le varie figure soggettive esistenti nell'area del diritto amministrativo sembrano oggi orientate a raccogliersi intorno a due nuovi fondamentali poli di attrazione: quello delle figure soggettive a prevalente contenuto patrimoniale, soggette all'attuale regime sostanziale e processuale del diritto soggettivo, e quello delle figure a prevalente contenuto organizzatorio, soggette all'attuale regime sostanziale e processuale dell'interesse legittimo; e ciò senza che sia possibile far coincidere tout court le prime con i diritti soggettivi e le seconde con gli interessi legittimi (altrimenti si avrebbe un puro e semplice cambio di etichetta). L'analisi giuridica ha portato alla massima trasparenza i concetti di diritto soggettivo e di interesse legittimo: ma paradossalmente tale trasparenza, come la fioritura dell'agave, sembra essere solo il preludio della loro scomparsa. Les dieux s'en vont.

Una prima conseguenza della crisi evolutiva del sistema è che, come già ripetutamente avvertito, diritto soggettivo ed interesse legittimo non possono più costituire un coerente ed esaustivo criterio di riparto tra la giurisdizione ordinaria e quella amministrativa. Il criterio va invece posto non sul versante dell'amministrato ma sul versante dell'amministratore; nel senso, cioè che al giudice amministrativo, quale giudice naturale della pubblica amministrazione, spetti la cognizione di tutte le controversie derivanti dall'esercizio dell'attività amministrativa di diritto pubblico, indipendentemente dalla situazione soggettiva di cui è titolare l'amministrato, situazione che può valere - tutt'al più - a determinare la dimensione dei poteri che può esercitare il giudice amministrativo.

Una seconda conseguenza è che il previsto allargamento della giurisdizione esclusiva va visto non tanto in chiave di allargamento dell'area dei diritti soggettivi conoscibili dal giudice amministrativo quanto in chiave - che è poi quella originaria - di allargamento della giurisdizione per materia (in questo senso esclusiva e - di regola - piena), indipendentemente dalla consistenza della situazione soggettiva azionata. Un ampliamento dell'area dei diritti soggettivi può certo verificarsi; ma non è un tratto nè necessario nè qualificante dell'operazione in corso.

Questa potrebbe essere una via per superare una delle più sensibili discrasie del nostro ordinamento: e cioè che notevole parte dell'attività giurisdizionale è assorbita dallo stabilire chi è il giudice; in altre parole, è assorbita dal creare diritto in astratto e non dal rendere giustizia in concreto. E questo forse innescherebbe un approccio sostanzialista che consentirebbe di porre un freno alle attuali tendenze astrattizzanti ed analiticizzanti in cui - basta consultare gran parte degli attuali testi universitari, tanto diversi da quelli di trenta-quaranta anni fa - la costruzione giuridica sembra degradare ad architettura intellettuale fine a se stessa, a variabile indipendente da quella realtà concreta di cui pur dovrebbe costituire la forma, dimenticando che il diritto è fatto per razionalizzare la vita sociale e non per complicarla inutilmente.

Da tempo la più consapevole dottrina ha avvertito che il congegno di riparto di giurisdizione da noi vigente "è non un sistema, ma un parasistema. Crea ingiustizia e genera disordine sociale"; sicchè "è un falso problema... quello che taluni prospettano di una riforma del "sistema" di giustizia amministrativa in Italia. Qui non vi è nulla da modificare. Vi è solo da cambiare in radice" (67).

Forse "l'astuzia della ragione" ci sta facendo incamminare, quasi inconsapevolmente, proprio in direzione di questo cambiamento (68).

 

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(1) M. NIGRO, Ma cos'è questo interesse legittimo? Interrogativi e nuovi spunti di riflessione, in Foro it., 1987, V, 482.

(2) Opinione citata da M. NIGRO, cit., che invece esprime la convinzione "che il tema dell'interesse legittimo meriti oggi un'attenta e approfondita rivisitazione".

(3) F. SCOCA, Foro amm., 1988, 331.

(4) Secondo S. ROMANO (Lo Stato moderno e la sua crisi, Milano, 1969, 9) "lo Stato esiste solo da cinquecento anni dal 1500 al 2000, un mezzo millennio insomma. Poi viene qualcosa di altro; di più non posso dire. Lo Stato diviene uno strumento, una macchina. Ci si serve della macchina e poi la si getta via".

Al riguardo osserva S. CASSESE (Fortuna e decadenza della nozione di Stato, in Scritti in onore di M.S. Giannini, 1988, III, 98) che il concetto di Stato non serve più come fattore di unificazione dell'ordinamento, dal momento che ormai i pubblici poteri si sono evoluti nel senso della dispersione piuttosto che in quello della concentrazione.

Altri ancora sottolineano che quella attuale è un'epoca "di transizione", e quindi di giustizia amministrativa "di transizione" (A. ROMANO, Diritto soggettivo, interesse legittimo e assetto costituzionale, in Foro it., 1980, 266, che rileva come "l'attuale sistema di giustizia amministrativa sta emergendo più per determinismo di conseguenza che per finalizzazione d'azione legislativa", senza avere "uno Stato o un'idea di Stato rispetto al quale esso possa essere pensato come consapevolmente funzionale"; M. NIGRO, E' ancora attuale una giustizia amministrativa? in Foro it., 1983, V, 256; G. BERTI, Diritto e Stato: riflessione sul cambiamento, Padova, 1986, 571). Tutto ciò è certo vero. Però ci sarebbe da porsi, sommessamente, una domanda: ma è mai esistito un ordinamento di diritto pubblico che non fosse di transizione? Infatti se si escludono ordinamenti del tutto particolari e difficilmente ripetibili, qual era nel Medio Evo l'Impero e qual è ancora oggi la Chiesa, nessun ordinamento si presenta come tendenzialmente immutabile, specie nell'attuale momento di accellerazione della storia (che dimostra come consolidati sistemi di rilevanza mondiale possano trasformarsi radicalmente in un brevissimo arco di tempo); ma serve finchè serve e poi lo si getta via, come osservava Santi Romano. E comunque oggi a nessuno, considerando l'attuale modello di Stato, verrebbe in mente di dire: "halt: du bist schön".

(5) Osserva C. ANELLI, Situazioni soggettive e ricorsi amministrativi, in Cons. Stato, 1989, II, 903, che "appaiono preferibili le definizioni che considerano unitariamente la situazione soggettiva, comprensiva di tutti i poteri attribuiti al suo titolare, qualunque siano il momento e la sede - procedimento amministrativo, procedimento amministrativo di secondo grado (ricorsi amministrativi) o di grado ulteriore (più gradi di ricorsi gerarchici, ricorso straordinario su atto divenuto definitivo a seguito di ricorso gerarchico), ricorso giurisdizionale - in cui essi possono essere esercitati".

(6) La letteratura sull'interesse legittimo è praticamente sterminata; ed un suo commento sistematico esula dall'economia del presente lavoro. Per un'analisi delle più significative tesi dottrinali v. C. ANELLI, cit., 902 ss.; V. CAIANIELLO, Manuale di diritto processuale amministrativo, Torino, 1988, 124 ss.; E. CANNADA BARTOLI, voce Interesse (dir. amm.), in Enc. Dir., 1972, XXII, 1 ss.; I.F. CARAMAZZA e F. QUADRI, Il diritto civile e politico, del cittadino nella cognizione dell'autorità giudiziaria ordinari: ipotesi di genesi storica dell'interesse legittimo, in Rass. Avv. Stato, 1988, II, 83; I.F. CARAMAZZA e F. SCLAFANI, Interesse legittimo e procedimento, in Rass. Avv. Stato, 1988, II, 1; M. NIGRO, Giurisprudenza amministrativa e trasformazioni dell'amministrazione: riflessione sulle conseguenze sostanziali di assetti processuali, in Studi per il centenario della quarta sezione, 1989, II, 566; G. PESCATORE, Attualità dell'"interesse legittimo" tra ripensamenti della dottrina e indicazioni della giurisprudenza, in Studi per il centenario della quarta sezione, 1989, II, 549; A. ROMANO, La situazione legittimante al processo amministrativo, in Studi per il centenario della quarta sezione, 1989, II, 513; G. VIRGA, La rivincita dell'interesse legittimo, in questa Rivista, 1990, n. 1, 83.

(7) M. NIGRO, Giustizia amministrativa, Bologna, 1983, 127. In senso sostanzialmente conforme V. CAIANIELLO, cit., 131 ss., che definisce l'interesse legittimo "una posizione soggettiva di vantaggio, qualificata dall'ordinamento, che viene in evidenza nell'esercizio di una potestà ... collegata a talune posizioni legittimanti", e compie una serrata critica della concezione dell'interesse indirettamente o occasionalmente protetto, teorizzata da ultimo dall'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato 8 gennaio 1966 n. 1 (in Cons. Stato, 1966, I, 1); E. CANNADA BARTOLI, cit., 17 ss., che parla di "interesse qualificato alla legittimità dell'azione amministrativa"; P. VIRGA, La tutela giurisdizionale nei confronti della pubblica amministrazione, Milano, 1982, 21 ss., che parla di "pretesa alla legittimità dell'atto che viene riconosciuta a quel soggetto che si trovi rispetto all'esercizio di un potere discrezionale dell'amministrazione in una particolare posizione legittimante". Riterrei, però, più completa la definizione di M. NIGRO, che correla l'interesse non direttamente alla legittimità dell'attività amministrativa (che, di per sè sola, è indifferente per il titolare dell'interesse) bensì all'utilità conseguibile dall'attività stessa.

(8) S. PUGLIATTI, Beni (teoria gen.), in Enc. dir., V, 1959, 169 ss.

(9) S. PUGLIATTI, cit., 174.

(10) R. NICOLÒ', Istituzioni di diritto privato, Milano, 1962, 9 ss.

(11) C. ANELLI, cit., 903.

(12) R. NICOLÒ', cit., 59.

(13) In tale senso sembra il pensiero di M. NIGRO, Giustizia amministrativa, cit., 125. Di soggetto "che si trovi rispetto all'esercizio di un potere discrezionale dell'amministrazione in una particolare posizione legittimante" parla espressamente P. VIRGA, cit., 21.

(14) C.G.A., 23 maggio 1989 n. 177, in Cons. Stato, 1989, I, 817.

(15) NIGRO, Ma che cos'è questo interesse legittimo?, cit., 481.

(16) Rileva E. CANNADA BARTOLI, cit., 23, che "non possono reputarsi legittimi... quegl'interessi che contrastano con la normativa sulla legittimità e per i quali sembra appropriata la qualifica d'interessi illegittimi". Pertanto, quando l'utilità pretesa non corrisponda ad una attività che il titolare della potestà può compiere legittimamente, nel soggetto richiedente manca in radice una posizione di interesse legittimo.

(17) S. GIACCHETTI, Il giudizio d'ottemperanza nella giurisprudenza del Consiglio di giustizia amministrativa, in Atti del Convegno "La giustizia amministrativa in Sicilia" Milano, 1988, 261.

(18) Ad esempio, si supponga che venga impugnato un diniego comunale di concessione edilizia adottato per asserita difformità dallo strumento urbanistico, deducendosi: a) la censura (sostanziale) che la pretesa difformità non sussiste; b) la censura (formale) di irregolare costituzione della commissione edilizia comunale. Orbene in tal caso la riconosciuta fondatezza della censura formale porta all'annullamento del diniego anche quando la difformità dallo strumento urbanistico sia riconosciuta insussistente, e quindi anche quando l'interesse materiale sottostante sia - con tutta evidenza - sfornito di tutela. Si ha quindi la singolarità di un ordinamento che finisce - in pratica - col tutelare interessi contra jus in quanto nel caso in esame il comune, regolarizzata la costituzione della commissione edilizia, non potrà che adottare un nuovo diniego. Tale singolarità è oltre tutto in contrasto con il perspicuo insegnamento dell'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato (sent. 27 ottobre 1970 n. 4, in Foro amm., 1970, I, 2, 935, secondo cui "l'interesse al ricorso... non si concentra unicamente sul risultato formale dell'annullamento dell'atto impugnato, ma include tra le sue componenti anche l'affidamento in ordine alle attività che in esecuzione del giudicato l'amministrazione è tenuta o facultata a svolgere e dalle quali potrà derivare il soddisfacimento dell'interesse sostanziale"; affidamento che, nel caso sopra ipotizzato, è del tutto inesistente. Sarebbe quindi auspicabile un nuovo indirizzo giurisprudenziale che ammettesse la tutela degli interessi formali solo nei limiti in cui essi consentono di soddisfare l'interesse sostanziale del ricorrente; e questo a meno di non voler condividere l'ironica conclusione di G. CAPACCIOLI (Interessi legittimi e risarcimento dei danni, in Diritto e processo, Scritti vari di diritto pubblico, Padova, 1978, 115) secondo cui il processo amministrativo si presenta come un giudizio che "permette di approfittare degli errori dell'amministrazione", ed induce all'aberrante convinzione "che l'ordinamento crei un sistema di legalità degli atti amministrativi, e che poi l'interesse del singolo consista nella violazione della legalità da parte dei funzionari".

(19) C.G.A., 29 luglio 1989 n. 300, in Foro amm., 1989, 2768, ed in questa Rivista, 1990, 155 (testo). L'analoga pubblicazione in Cons. Stato,1989, I, 989 (solo massima), non coglie il contenuto innovativo della sentenza.

(20) Cfr. S. GIACCHETTI, Il controllo partecipativo del cittadino siciliano sull'assetto del territorio, in Impresa, amb. e p.a., 1981, 16; A. NOCELLI, Principio di partecipazione e funzione del giudice amministrativo, in Studi per il centocinquantenario del Consiglio di Stato, 1981, III, 1631.

(21) S. CASSESSE, Le ingiustizie della giustizia amministrativa italiana, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1984, 422.

(22) F. LONGO, Presentazione del tema del XXXII congresso di Varenna, in Cons. Stato, 1986, II, 1189 ss.

(23) Cons. Stato, Ad plen 8 gennaio 1986 n. 1, in Cons. Stato, 1986, I, 7.

(24) L'inapplicabilità dello schema impugnatorio al giudizio in sede di giurisdizione esclusiva è messo in luce da A. QUARTULLI, Atti autoritativi e atti paritetici: validità di una distinzione, in Studi per il centocinquantenario del Consiglio di Stato, 1981, 1517.

(25) M. NIGRO, ult. cit., 478. Rileva G. VIRGA, La rivincita dell'interesse legittimo, cit., 85, che " è intorno alla categoria degli interessi pretensivi che l'interesse legittimo potrà trovare in futuro una collocazione unitaria, facendo leva proprio sul concetto di "pretesa", che costituisce il minimo comun denominatore degli interessi legittimi".

La considerazione va condivisa, con la precisazione che la pretesa va però sempre considerata non isolatamente ma assieme alla potestà amministrativa, perchè pretesa e potestà costituiscono i due indissolubili elementi costitutivi dell'interesse legittimo (v. infra n. 3); altrimenti si corre il rischio di un ingresso abusivo nell'area del diritto soggettivo relativo, fondato anch'esso su una pretesa, dal momento che quanto meno gli "interessi pretensivi a soddisfazione preregolata sembrano infatti presentare tante analogie con i diritti soggettivi da chiedersi se, per caso - e quanto meno in gran parte - diritti soggettivi non siano (o non siano divenuti) e se tali non siano stati considerati sin dal 1865 solo per quell'eccessivo self-restraint adottato dal giudice ordinario nell'interpretare la legge abolitrice del contenzioso aministrativo" (I.F. CARAMAZZA e F. QUADRI, Il "diritto civile e politico" del cittadino, cit., 105).

(26) F. PATRONI GRIFFI, Diritto alla salute e riparto della giurisdizione: notazioni riflessive a margine di un dibattuto orientamento giurisprudenziale sulla non degradabilità dei c.d. diritti fondamentali, in Foro amm., 1985, 665.

(27) C.G.A., 18 gennaio 1989 n. 1, in Cons. Stato, 1989, I, 63 ed in questa Rivista, 1989, 80.

(28) C.G.A., 28 luglio 1988 n. 130; sulla questione cfr. G. VIRGA, Il diritto di accesso dei cittadini agli atti della P.A. e la sua tutela giurisdizionale nell'ordinamento vigente, in questa Rivista, 1988, II, 67.

(29) Cons. Stato, Ad. plen., 10 luglio 1986 n. 8, in Cons. Stato, 1986, I, 762, che formula la tesi - che, a mio parere, costituisce un'inutile complicazione - di un interesse procedimentale servente ad un interesse pretensivo; quando sarebbe più lineare ipotizzare che si tratta sempre dello stesso interesse pretensivo, che si realizza per tappe successive.

(30) Cons. Stato, Sez. IV, 10 giugno 1987 n. 338, in Cons. Stato, 1987, I, 709, secondo cui costituiscono manifestazione di un interesse procedimentale le osservazioni - ex artt. 10 e 11 della l. 22 ottobre 1971 n. 765 - del proprietario di un'area oggetto di espropriazione a fini di edilizia residenziale. Indicativa della confusione terminologica che regna in materia è la nota redazionale a tale sentenza, ivi, secondo cui tali osservazioni si differenzierebbero da quelle previste in sede di redazione dei piani urbanistici, le quali "rispondono ad un interesse partecipativo e non costituiscono rimedi giuridici": come se interessi procedimentali e interessi partecipativi costituissero categorie antitetiche. Per una contestazione della tesi corrente secondo cui le osservazioni ai piani urbanistici non costituirebbero rimedi giuridici v. C.G.A., 29 luglio 1989 n. 300 (v. nota 19).

(31) V. CAIANIELLO, cit., 468.

(32) Per un completo esame dei vari aspetti del problema v. E. CANNADA BARTOLI, voce Interesse (dir. amm.), cit., 1 ss.

(33) V. CAIANIELLO, ibidem.

(34) F. BENVENUTI, Appunti di diritto amministrativo, 1987, 16.

(35) F. BENVENUTI, cit., ibidem.

(36) M. E. SCHINAIA, Notazioni sul regime probatorio nelle controversie di pubblico impiego dopo la sentenza della Corte Costituzionale n. 146 del 1987, in Riv. dir. proc. amm., 1988, 5; G. VACIRCA, Prime riflessioni sul nuovo regime delle prove nelle controversie in materia di pubblico impiego (nota a Corte Cost. 23 aprile 1987 n. 146), in Foro amm., 1987, 1344.

(37) C.G.A., 25 gennaio 1989 n. 2, in Cons. Stato, 1989, I, 63, ed in questa Rivista, 1989, 74.

(38) Di particolare interesse al riguardo è la sentenza 7 luglio 1988 n. 580 (in Foro amm., 1988, 2016), con cui la Sez. IV del Consiglio di Stato, modificando l'indirizzo espresso dall'Adunanza plenaria con sentenza 8 gennaio 1986 n. 1 (in Foro amm., 1986, 14), ha rilevato che "una esigenza imprescindibile, e di portata generale nel sistema dei rapporti tra cittadino e p.a., sia quello di attribuire tutela effettiva alla parte che abbia vittoriosamente dedotto in giudizio l'inerzia illegittima dell'autorità amministrativa competente a provvedere sulla sua domanda o istanza ... Nei casi, com'e quello in esame, in cui l'intervento della p.a. è necessario per consentire all'istante il raggiungimento di un risultato, alla parte vittoriosa in giudizio non tanto interessa la declaratoria di illegittimità del silenzio-rifiuto, quanto che la p.a. provveda sull'oggetto in senso a lui favorevole. In mancanza di tale punto fermo, la vicenda non avrebbe mai esito conclusivo, poichè all'amministrazione tenuta all'ottemperanza sarebbe consentito modificare unilateralmente un elemento (lo stato di diritto) dell'accertamento giurisdizionale, caducando un elemento essenziale della sentenza, costituito dall'attitudine ad acquisire la forza di res iudicata. Il che equivale altresì a togliere in pratica al giudice amministrativo il potere di giudicare definitivamente ed effettivamente la lite ... Chi venga pregiudicato per l'inerzia (che può costituire paradigmatica espressione della illegittimità amministrativa) dell'autorità competente a provvedere sulla sua istanza, è titolare - perciò solo - di un interesse legittimo pretensivo, cui si correla l'inopponibilità a tale soggetto dell'eventuale ius superveniens ostativo all'accoglimento della sua pretesa sostanziale".

(39) E. FOLLIERI, Risarcimento dei danni per lesione di interessi legittimi, 1984, 50 ss.

(40) C.G.A., 26 febbraio 1987 n. 61, in Cons. Stato, 1987, I, 249 (la massima, purtroppo, è sbagliata e dice esattamente il contrario) e 10 maggio 1988 n. 87, in Cons. Stato, 1988, I, 761; entrambe le sentenze sono state pubblicate in questa Rivista, 1987, I, 227 e 1988, I, 115.

(41) F. BRIGNOLA, Controinteressati e cointeressati nel processo amministrativo, in Studi per il centocinquantenario del Consiglio di Stato, 1981, III, 1683; F. PUGLIESE, Nozione di controinteressato e modelli di processo amministrativo, Napoli, 1989.

(42) Cons. Stato, Ad. plen. 28 settembre 1987 n. 22, in Foro it, 1988, III, 147; F. BRIGNOLA, cit.; P. VIRGA, La tutela giurisdizionale nei confronti della pubblica amministrazione, Milano, 1982, 278. In una posizione in un certo senso intermedia sembra V. CAIANIELLO, cit., 497, secondo cui sono controinteressati "quei soggetti nei cui confronti il provvedimento giurisdizionale richiesto dal ricorrente produrrebbe uno svantaggio", aggiungendo però "essi sono dunque coloro che traggono vantaggio dall'atto che il ricorrente ...".

(43) Cons. Stato, Sez. IV, 20 aprile 1988 n. 342, in Cons. Stato, 1988, I, 424, che ha ritenuto che nel giudizio proposto avverso il d.P.R. che recepisce un accordo collettivo, secondo il procedimento della legge 29 marzo 1983 n. 93, i sindacati firmatari dell'accordo stesso non rivestano la qualità di controinteressati e non debbano quindi essere necessariamente evocati in giudizio.

(44) Per un esame approfondito della questione v. F. PUGLIESE, cit., ed in particolare il cap. II.

(45) Un'ampia analisi di tali situazioni è compiuta da F. PUGLIESE, cit., 98 - 122, che - in particolare - segnala come al controinteressato non siano riconosciute utilità strumentali (ad esempio, la possibilità di censurare l'incompletezza del contraddittorio per omessa chiamata di altro controinteressato), nè la possibilità di proporre eccezioni (se non nella forma del ricorso incidentale), nè la possibilità di esorbitare dalla contestazione delle censure del ricorrente, nè la possibilità di ottenere dal giudice un provvedimento cautelare che gli consenta di consolidare la propria posizione mediante un'attività di regolarizzazione o di integrazione; sia imposto di accettare il processo in statu et terminis; ecc. L'A. ricorda anche la tesi tralaticia del "contraddittorio attenuato" in tema di giudizio d'ottemperanza; tesi, peraltro, fermamente ripudiata dalla più recente giurisprudenza (v. S. GIACCHETTI, Il giudizio d'ottemperanza, cit., e la giurisprudenza ivi indicata; Il Commissario ad acta nel giudizio d'ottemperanza: si apre un dibattito, in Foro amm., 1986, 1967 ss.; La crisi di effettività della giustizia amministrativa e il ruolo del giudizio d'ottemperanza, in Foro amm., 1988, 1609, nota 21).

(46) V. CAIANIELLO, Manuale, cit., 479 ss.

(47) In questo senso ritengo vada modificata la tesi da me già formulata in L'oggetto del giudizio amministrativo, in Studi per il centocinquantenario del Consiglio di Stato, 1981, III, 1489.

Questo perchè la potestà amministrativa è preordinata al soddisfacimento non dell'interesse concreto dell'amministrato, in vista del quale è azionato l'interesse legittimo, ma dell'interesse pubblico; e a tal fine trova - di regola - dinanzi a sè il prisma della discrezionalità, che le schiude dinanzi un ventaglio di scelte possibili destinate a concludersi con una determinazione definitiva con cui l'autorità decidente può legittimamente sia soddisfare sia non soddisfare l'interesse concreto dell'amministrato (cfr. S. GIACCHETTI, L'oggetto del giudizio amministrativo, cit.).

In senso contrario M. NIGRO (Ma che cos'e questo interesse legittimo?, cit., 479) secondo cui il rapporto non si esaurirebbe nella corrispondenza puntuale del singolo obbligo del debitore e del corrispettivo diritto del creditore, non sarebbe la contrapposizione di due posizioni giuridiche semplici, ma si presenterebbe come struttura e processo (Gefüge und Prozess), e cioè come punto di riferimento e di raccordo di molteplici situazioni tanto attive che passive.

Questo orientamento, però, non sembra da condividere, in quanto dilata tanto il concetto di rapporto da renderlo in pratica - non più significativo. La questione, peraltro, tende a divenire essenzialmente verbale, atteso che nel testo si propone di utilizzare la locuzione "situazione sostanziale".

(48) R. NICOLÒ', cit., 44.

(49) G. ROMEO, Interesse legittimo e interesse a ricorrere: una distinzione inutile, in Dir.proc.amm., 1989, 415.

(50) Nota peraltro G. ROMEO, cit., che lo sviluppo di tecniche partecipative comporta che l'azione del singolo tenda ad essere assorbita in quella di formazioni sociali, con il rischio che "al dispotismo della vecchia amministrazione è destinato a sostituirsi una nuova figura di dispotismo più subdola, poichè l'azione amministrativa - definita da gruppi di interesse le cui azioni il singolo cittadino è destinato a subìre - si dispiega in molteplici forme partecipative che valgono ad assorbire il dissenso, conferendo per di più l'illusione di essere gli attori della dinamica sociale".

(51) F. LONGO, cit.

(52) O. RANELLETTI, Sulla esecuzione in via amministrativa delle decisioni del Consiglio di Stato e delle Giunte provinciali amministrative, in Riv. trim. dir. pubbl., 1951, 83 ss. La decisa affermazione dell'opposto attuale indirizzo giurisprudenziale risale all'Ad. plen., 9 marzo 1973 n. 1, in Foro amm., 1973, I, 2, 203.

(53) Ricordano I.F. CARAMAZZA e F. QUADRI, Il "diritto civile e politico" del cittadino, cit., 98, che in origine il risarcimento del danno da lesione di interessi legittimi era stato ammesso dalla Cassazione di Roma; e che l'opposto indirizzo, tuttora - purtroppo - vigente, è stato ispirato dall'Avvocatura erariale, e in ispecie da G. MANTELLINI.

(54) M.S. GIANNINI e A. PIRAS, voce Giurisdizione amministrativa, in Enc. dir., 1970, XIX, 229 ss.

(55) M.S. GIANNINI e A. PIRAS, cit., 281.

(56) R. NICOLÒ', Riflessioni sul tema d'impresa e su talune esigenze di una moderna dottrina del diritto civile, in Riv. dir. comm., 1956, I, 177.

(57) M. NIGRO, Giurisprudenza amministrativa e trasformazioni dell'amministrazione, cit., 566.

(58) L. PICCARDI, Il problema della difesa dello Stato in giudizio e la soluzione italiana, in Riv. dir. pubbl., 1931, 595.

(59) Sull'attuale processo di "privatizzazione del pubblico e pubblicizzazione del privato" v. S. GIACCHETTI, La giurisdizione esclusiva tra l'essere e il divenire, in Studi per il centenario della quarta sezione, I, 683 ss.

(60) C. Cost., ord. 21 luglio 1988 n. 867, in G.U. 27 luglio 1988 n. 30, p. 93. Sulla questione v. G. VIRGA, cit.

(61) C.G.A., 18 aprile 1990 n. 83, in Cons. Stato, 1990, I, 632 ed in questa Rivista, 1990, 239.

(62) Il riferimento ai diritti soggettivi comprende ovviamente anche le altre situazioni soggettive minori - quali l'aspettativa, il possesso, lo status - modellate sullo schema del diritto soggettivo e ad esso riconducibili; cfr. C.G.A. 4 aprile 1979 n. 47, in Cons. Stato, 1979, I, 618.

(63) M. NIGRO, Giustizia amministrativa, 1983, 318, osserva che "è inesatto vedere, nella attribuzione al giudice amministrativo delle materie di giurisdizione esclusiva, prevalentemente, un trasferimento, dal giudice ordinario al giudice della legittimità degli atti amministrativi, di controversie su diritti soggettivi.... In realtà, l'attribuzione... è stato il conferimento, a quel giudice (amministrativo), di un intero territorio popolato sia da diritti soggettivi che da interessi legittimi, ma soprattutto da figure in cui le dette situazioni si presentavano e si presentano così connesse e di tanto incerta qualificazione da suggerire la soluzione dell'attribuzione in blocco ad un giudice unico delle controversie che le riguardano".

(64) V. prec. nota 60.

(65) E' interessante rilevare che quanto più diminuiscono le garanzie reali offerte dall'ordinamento tanto più aumentano le istanze dinanzi a cui far valere le proprie ragioni; come se talvolta lo sviluppo istituzionale fosse inversamente proporzionale alla sua efficienza.

(66) Cfr. S. GIACCHETTI, La giurisdizione esclusiva tra l'essere e il divenire, in Studi per il centenario della quarta sezione, I, 662; A. QUARTULLI, Atti autoritativi e atti paritetici, in Studi per il centocinquantenario del Consiglio di Stato, 1981, III, 1517.

(67) M.S. GIANNINI - A. PIRAS, voce Giurisdizione amministrativa, cit, 294.

(68) In questo orientamento si inseriscono: la c.d. legge Martelli (d.l. 30 dicembre 1989, convertito in l. 28 febbraio 1990 n. 39), che attribuisce al giudice amministrativo la giurisdizione in materia di status di rifugiato, di espulsione dello straniero e di permesso di soggiorno; la legge sulla regolamentazione del diritto di sciopero nei servizio pubblici 12 giugno 1990 n. 146, che attribuisce al giudice amministrativo la giurisdizione in materia di comportamento antisindacale dell'amministrazione lesivo di situazioni soggettive inerenti al rapporto di pubblico impiego; ed in particolare la legge sul procedimento amministrativo 7 agosto 1990 n. 241, che attribuisce alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie in materia di "formazione, conclusione ed esecuzione degli accordi" sostitutivi o determinativi del contenuto dei provvedimenti previsti dall'art. 11, e cioè controversie tipicamente contrattuali.


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