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FRANCO
BIANCHI
(Presidente T.A.R. Lazio-Latina)
Attività amministrativa illegittima: danni e rimedi anche di tipo riparatorio
(Cerimonia di apertura anno giudiziario 2004 - Latina, Teatro comunale, 25 febbraio 2004)
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INDICE: 1) Premessa : cambiamenti della P.A. La stella polare dell’interesse pubblico è sempre più alta e brillante. 2) Amministrazioni, Giudici, Avvocati nella giungla delle norme. 3) La riparazione del danno da attività amministrativa illegittima. I punti di arrivo della Giurisprudenza. 4) La Giustizia Amministrativa nella sua dimensione quantitativa. Dati nazionali e pontini.
Saluto, di cuore, e ringrazio: S.E. il Vescovo di Latina, il Prefetto di Latina e di Frosinone, l’Onorevole Sindaco di Latina, il Presidente della Provincia di Latina e di Frosinone, l’Onorevole Pedrizzi, il Presidente Rastrelli del CSM, gli Onorevoli Deputati e Senatori, gli onorevoli Assessori e Consiglieri Regionali; i Questori di Latina e Frosinone; i Signori Sindaci, Assessori, Consiglieri Comunali e Signori Segretari Comunali e Dirigenti.
I Signori Colonnelli Comandanti Provinciali dei Carabinieri e della Guardia di Finanza, di Latina e Frosinone, i Signori Generali e Colonnelli dell’Esercito , della Aeronautica e della Marina; il Comandante Provinciale dei Vigili del Fuoco di Latina; la Direttrice della Banca d’Italia; il Dott Borrelli Capo del Personale dell’Istituto Postelegrafici, il Cons. Visciola, Consigliere di Stato; i rappresentanti degli Ordini Professionali, delle Imprese pubbliche e private; degli Istituti Scolastici, degli uffici Pubblici statali, regionali e comunali; tutti Voi, Signore e Signori amici presenti; l’Editore Ciarrapico, i rappresentanti della Stampa.
1) Premessa: i cambiamenti della P.A. La stella polare dell’interesse pubblico è sempre più alta e brillante.
Nel sistema attuale di Giustizia Amministrativa- contemplato dall’art. 113, I°comma , Cost.- il G.A. è il giudice prevalente delle controversie nei confronti della P.A.: è il Giudice della Funzione Pubblica, con poteri cognitori estesi, sia ai diritti che agli interessi legittimi, e con poteri di condanna al risarcimento dei danni ingiusti per attività illegittima della P.A..
Il G.A. sa che la tutela del cittadino – garantita dall’art. 24 Cost.- esige- per essere piena ed effettiva- un sindacato penetrante sulle scelte compiute dall’Amministrazione, ma soprattutto sa che non deve mai sostituirsi all’Amministrazione. E’ questa la soglia invalicabile del sindacato del G.A.
Per esplorare, sotto qualsiasi profilo, un sistema di giustizia, occorre correlarlo alla realtà seriale ed economica vivente.
L’Amministrazione, a tutti i livelli, sempre più si organizza attraverso gestioni societarie.
L’Amministrazione tende, in maniera spasmodica, alla libertà, all’autonomia negoziale, a far uso degli stessi strumenti dei soggetti privati. C’è da chiedersi, quindi, se vi è ancora un connotato che la contraddistingue dal privato! Si, vi è: lo scopriremo strada facendo.
Il motto è più privato meno pubblico. I Trattati Europei sono densi di liberismo.
Il mercato globale, privo di poteri coercitivi, influenza Stati, Amministrazioni, privati; è un mercato necessariamente libero; tutti avvertiamo l’esigenza, ormai l’urgenza, che i pubblici poteri sopranazionali, come le Nazioni Unite, la Banca Mondiale, le diverse Agenzie con vocazione sociale, gli Organismi internazionali, il Fondo Monetario Internazionale, l’Organizzazione mondiale del commercio esercitino le loro influenze. Giovanni Paolo II nella recente Enciclica “Centesimus Annus”, esorta “i potenti della Terra ad evitare che un mercato selvaggio, in nome della competitività, sfrutti ad oltranza l’uomo e l’ambiente.
Nei momenti di forte cambiamenti del sistema e di transizione, l’attività giurisdizionale – in questo caso dei giudici amministrativi – è ancora (forse l’unica) di effettiva garanzia dei cittadini.
La nuova Amministrazione, diciamo così, non ha più nulla di unitario, divisa com’ è in statale, regionale, comunale soggetti privati e pubblici ecc. Il Giudice amministrativo, in questo momento storico, garantisce l’unitarietà dell’ordinamento.
L’Amministrazione è oggi competitiva, sicchè insieme alle regole giuridiche deve osservare quelle dell’economia. Le strutture del sistema amministrativo – private e pubbliche – societarie ed individuali, diventano complesse, perché devono fare i conti con due concomitanti obiettivi di tipo sociale ed economico. Ciò pone un nuovo problema: quello di rendere compatibile fra loro regole e fini del mondo sociale e di quello economico.
Allora, questa nuova P.A. ha ancora un connotato che la contraddistingue dal privato? Continuiamo ad esplorare. Tutti e due possiedono autonomia negoziale e sovente usano gli stessi strumenti e gli stessi procedimenti. L’autonomia privata e pubblica sono la stessa cosa? No!
L’autonomia negoziale privata – osserva la migliore dottrina - è la situazione di chi opera nell’interesse proprio con mezzi propri e quindi può fare quello che crede. L’autonomia negoziale dell’Amministrazione è di chi opera con discrezionalità, non nel proprio interesse, ma nell’interesse della collettività, e con i mezzi della collettività ed è chiamato a rispondere di quello che fa.
Il soggetto privato è libero di fare dei cattivi affari; può gestire male i propri interessi: sono fatti propri, non interessano l’ordinamento, purché egli non violi interessi altrui. L’Amministrazione, anche quando agisce nella veste privatistica, non può fare cattivi affari. La cura costante, ineludibile dell’interesse pubblico non consente questo.
Il buon andamento e l’imparzialità, ex art. 97 Cost., valgono anche per i soggetti privati che erogano pubblici servizi, svolgendo essi una attività direttamente collegata al soddisfacimento di un interesse pubblico. Siamo arrivati alla risposta. L’interesse pubblico è il connotato vero della nuova P.A.
Tutto è cambiato, ma nulla è cambiato?
Esattamente così!
La stella polare dell’interesse pubblico è sempre più in alto e brillante. L’interesse pubblico è la guida per ogni operatore.
Il Giudice Amministrativo è il giudice dell’interesse pubblico; egli è gravato del delicato compito di individuare quale sia l’interesse pubblico ovvero quale sia l’interesse pubblico prevalente in un bilanciamento fra più interessi pubblici contrapposti sottostanti alla norma. Più tutela dell’ambiente, dello sviluppo o dell’occupazione? E’ chiaro che questo equilibrio, per prima , lo fa l’Amministrazione , ma le sue scelte non sono esonerate dal controllo giurisdizionale. Il G.A. dirà, poi, se la scelta fatta è rispondente o meno all’interesse pubblico. Se la risposta è positiva (ossia se la scelta è rispondente…) il privato non avrà nulla da pretendere; se è negativa (ossia se la scelta non è rispondente..) il privato otterrà l’annullamento dell’atto.
L’Amministrazione, quotidianamente, concede o nega il bene della vita richiesto dai cittadini. Il cammino processuale, per conseguirlo, è ancora lungo. Su tutto il percorso, sia nel procedimento che nel processo, la stella da seguire resta quella dell’interesse pubblico. Dopo l’annullamento c’è, di regola, la fase rinnovativa, il secondo round del procedimento, che lascia all’Amministrazione spazi decisionali più o meno ampi. Se l’attività susseguente è vincolata, il Giudice può anche prefigurare la soluzione, altrimenti deve arrestarsi, pena l’invasione del merito. Questo è un limite invalicabile. Prefigurare soluzioni applicative di una norma che ne consente tante (e alternative tra loro) dopo l’annullamento dell’atto, non spetta al Giudice, non avendo egli né competenza né legittimazione democratica a farlo. Lasciamo all’Amministrazione la “Riserva” dell’Amministrazione.
E’ compito del legislatore prendere contezza, il prima possibile, di tutte queste problematiche. Rimettersi alla Giurisprudenza, per decenni, senza approntare gli strumenti legislativi congrui, e criticare poi l’apparato Giustizia, è cattivo, pessimo costume sociale e ordinamentale.
2) Amministratori, Giudici e Avvocati nella giungla delle norme.
Sono costanti e pressanti, in ogni sede, gli inviti e gli auspici che la P.A. si trasformi per rendere migliori servizi ai cittadini. Chi sono i protagonisti dell’auspicato progetto evolutivo? Certamente i Politici: nazionali, regionali, locali quali “Conditores” di leggi, regolamenti e regole giuridiche; i Burocratici, anch’essi nazionali, regionali e locali, che gestiscono, ormai in esclusiva, tutte le attività amministrative; i Giudici Amministrativi( i T.A.R. in pimo grado, il Consiglio di Stato in appello,) che verificano, con la mediazione degli avvocati , nel processo, le attività compiute, gli atti emessi, sanzionando le condotte Amministrative con l’annullamento degli atti e con condanne al risarcimento dei danni ingiusti provocati.
Non vi è dubbio, che il successo della auspicata trasformazione riguarda tutti e tre i Soggetti. Noi Giudici amministrativi dobbiamo accollarci subito quello che ci compete. Dobbiamo fare la nostra parte; anche la Giustizia va vista come Servizio pubblico e come!
Incomiciamo con i Legislatori, ossia i Rappresentanti politici di ogni livello di Governo.
E’ davvero notorio che la normazione amministrativa ha invaso e coperto, come una gramigna radicata, tutto il campo dell’attività amministrativa. Non vi è compito, adempimento, attività, affidato alle P.A. nazionali, regionali, locali, che non sia oggetto di disciplina minuziosa, di dettaglio, sia di carattere legislativo che regolamentare.
Per individuare le norme applicabili nel testo vigente, occupiamo, per ogni fattispecie 55 minuti, a fronte di 5 per decidere. Questo dato strabiliante lo ha riferito, di recente, il Cons. Romano, a Roma, ma è esperienza comune, sofferta, ovunque. Questa invasione di norme amplia, come è facile immaginare, la categoria dell’invalidità degli atti amministrativi. Le possibili violazioni di legge sono in agguato, in ogni passaggio procedimentale - . Le conseguenze (uniche) approntate dall’ordinamento sono l’annullamento di provvedimenti ed atti emessi in violazione di dette norme. Nel nostro ordinamento, è ampia la categoria dei soggetti ai quali si riconosce la legittimazione processuale attiva, vale a dire la facoltà di chiedere al G.A. l’annullamento di atti dell’Amministrazione, sicchè migliaia di provvedimenti, emessi all’esito di complicati, laboriosi e impegnativiprocedimenti amministrativi, davanti al G.A. (diciamolo pure,ai TAR, perché il 92% del contenzioso nasce e finisce lì) trovano la loro fine, lasciando nei guai l’Amministrazione ed i destinatari degli atti stessi. Demolire può essere penoso, ma ricostruire è sicuramente dispendioso.
In questa “Giungla” di norme, dove nemmeno funge più da bussola fida, il buon senso giuridico (quello della Giustizia sotto la quercia, alla quale si ricorre quando le interpretazioni si complicano)l’attività dell’Amministrazione è sottoposta ad una vera e propria “caccia all’errore”, fatta professionalmente con lo strumento del Ricorso Giurisdizionale davanti al G.A.
L’espressione è del Prof. Giuseppe Guarino,che mi piace citare in questa occasione. Certo, “ la caccia” viene fatta da soggetti a tutela di propri interessi individuali, a ciò legittimati da norme di leggi, anche di rango costituzionale. Tutto ciò è compatibile col principio costituzionale del buon andamento dell’Amministrazione? Qualche risposta conto di darla!
Per affrontare questa problematica – che potrebbe urtare la suscettibilità degli addetti ai lavori, siano essi appartenenti alla categoria politica, burocratica o giustiziale, nella quale ricomprendo anche gli avvocati- voglio premettere che l’Amministrazione, come ogni soggetto dell’ordinamento, deve rispettare la legge. Qui ci dobbiamo chiedere subito se tutte le norme hanno pari valore, oppure valori ed effetti differenziati da norma a norma. Si può propendere per questa seconda soluzione perché, nell’ambito dell’Ordinamento generale, vi è una pluralità di regimi della invalidità. Talune violazioni danno, infatti, luogo ad invalidità; altre violazioni, che potremmo chiamare “minori”, danno luogo a mere irregolarità, prive di effetti invalidanti, a carico degli atti che ne sono affetti. Le violazioni perpetrate in questo caso, non impediscono agli atti stessi di raggiungere lo scopo prefissato dalla legge.
Questo principio, pacifico nell’ordinamento generale, non ha trovato finora adeguata applicazione - diciamolo pure – nell’ordinamento amministrativo dominato da una visione formalistica del rapporto tra atti giuridici e norme. Non voglio certo incoraggiare la violazione di norme che impongono l’osservanza di forme; voglio soltanto biasimare il formalismo per mera comodità o pigrizia, convinto che quando questo si verifica nel procedimento o nel processo, si dà luogo ad una cattiva amministrazione o a denegata giustizia.
Dobbiamo fare un’altra notazione preliminare. La tutela giurisdizionale amministrativa oggi, quella dei TT.AA.RR. in primo grado, e del C.d.S. in appello, deve, per unanime ammissione di tutti gli addetti ai lavori, assicurare la piena ed effettiva soddisfazione delle pretese sostanziali dei cittadini nei confronti della P.A. E’ questo il grado di tutela (indistinta) sia per i diritti che per gli interessi legittimi, voluto dall’art. 24 della Cost. Si è pensato di cambiare tante volte la nostra Costituzione, ma mai l’art. 24 . Vi sarebbe un calo netto di tutela giudiziaria del cittadino. Nessun ordinamento giuridico al mondo – tanto meno il nostro, antico ed ora sofisticato, dominato dagli influssi dell’ordinamento comunitario – può volgere verso la riduzione di tutela del cittadino dinanzi al potere pubblico.
Gli operatori giustiziali nel campo amministrativo, giudici e avvocati, devono sentirsi, quindi, per obbligo di Costituzione, impegnati a rendere la tutela del cittadino nei confronti dell’Amministrazione piena (estesa anche ai profili risarcitori) ed effettiva. La tutela va però riconosciuta ai soggetti le cui pretese risultino fondate nella sostanza, ma va negata a coloro le cui pretese risultino infondate nella sostanza .
E’ vero che al G.A. si chiede di accertare la conformità dell’atto alla norma, ma ciò in via strumentale, per verificare il fondamento o meno della pretesa sostanziale.E’ la pretesa sostanziale che deve risultare conforme alla norma. Non dovrebbe essere difficile, già ora, a legislazione vigente, con tutte le potenzialità della ultracentenaria giurisprudenza pretoria del G.A. ritenere, nei giudizi impugnatori contro atti, che la richiesta di annullamento dell’atto implica sempre - per quanto è possibile ovviamente - la verifica non della sola conformità dell’atto e del relativo procedimento, alla normativa che lo regola, (le migliaia di norme che fissano paletti piccoli e grandi a destra e a manca) ma contemporaneamente anche la verifica della conformità (del contenuto) sostanziale dell’atto agli interessi pubblici o privati configurati dalla norma applicata.
Se si accetta questa dimensione decisionale,risulterà innovato l’intero sistema di Giustizia amministrativa. Nulla verrebbe tolto a nessuno . Nulla viene tolto al ricorrente quando, in caccia all’errore, il suo bravo difensore, sulla base di soli vizi formali chiede l’annullamento dell’atto. Quando i vizi dell’atto esistono, ma non sono tali da inficiare il suo contenuto sostanziale (che, benché in violazione di norme, risulta conforme alla volontà della norma ed agli interessi pubblici perseguiti), non sarà atto di libertinaggio giuridico rigettare la richiesta di annullamento dell’atto, forti del convincimento, provato, che mai e poi mai, l’interesse del privato potrà risultare compatibile con la norma. Certo, dobbiamo essere sicuri di questo, altrimenti permane almeno l’interesse strumentale all’annullamento dell’atto. E’ questo il nuovo profilo di indagine che Giudici ed avvocati dobbiamo coltivare.
Stiamo parlando dei vizi formali del provvedimento, ossia dei casi in cui il provvedimento (ed il relativo procedimento) risulta adattato in violazione di norme, ma risulta, nel contempo, quanto al suo contenuto sostanziale, conforme alla norma applicata. La categoria contrapposta è quella dei c.d. “vizi sostanziali” che raccoglie tutti i casi in cui l’atto risulta emesso in violazione di norme e con contenuto sostanziale non conforme alla norma applicata. Ascrivere un vizio ad una categoria o all’altra non è lavoro esegetico facile, ma il G.A. è così evoluto nel verificare la compatibilità dell’interesse privato con la stella polare dell’interesse pubblico, da escludere ogni possibile inconveniente.
Ritorna, in noi, la generale regola interpretativa di ogni atto giuridico: Vitiatur et vitiat; vitiatur sed non vitiat. Nel primo caso si annulla e si rimette all’Amministrazione la questione per l’attività rinnovativa (di sua istituzionale competenza); nel secondo caso, non si annulla, perché assenti le ragioni sostanziali a fondamento della pretesa del privato, non vi è motivo di intralciare l’attività amministrativa che deve, (nel buon andamento), produrre servizi pubblici e soddisfare i bisogni della collettività.
Ogni volta che il vizio risulti ininfluente sul regolare esercizio del potere, per come voluto dalle norme applicate, se ne potrà restringere la portata invalidante.
Sarà compito delle parti, nel consueto duello processuale, dimostrare o escludere – rispettivamente – gli effetti, ulteriori invalidanti sul potere esercitato che vanno oltre le mere irregolarità dell’atto. I nostri sofisticati ed evoluti mezzi di indagine, accresciuti dal potere acquisitivo dei mezzi di prova – potere sconosciuto al giudice ordinario per la parità piena dei contendenti - ci consentono di percorrere agevolmente - con la prudenza che ci comanda , questa linea decisionale.
In tali casi, la sanzione dell’annullamento sembra eccessiva, inutile, in quanto l’atto, per essere conforme alla norma nel suo reale contenuto dispositivo, non potrebbe che essere rinnovato con il medesimo contenuto e con i medesimi effetti. Al contrario, l’annullamento dell’atto produrrebbe conseguenze solo negative per la cura dell’interesse pubblico, obiettivo costante di ogni azione della P.A. di ieri, di oggi e di domani. L’attività amministrativa risulterebbe, infatti, frenata, in contrasto evidente con i principi dell’efficacia e dell’efficienza, di rilevanza costituzionale, solennemente sanciti da importanti leggi.
Già nel 1959, Sandulli osservava che “ogni sistema giuridico non può trattare alla stessa stregua tutte le mancanze…né può collegare a qualsiasi mancanza il non nascimento dell’effetto giuridico. E’ evidente che l’ordinamento non rimanga indifferente di fronte al carattere di intensità maggiore o minore di tale gravità”.
In sintesi, può ribadirsi che l’invalidità dell’atto – meritevole di annullamento – è data solo dalla mancanza di quegli elementi o requisiti che impediscano il raggiungimento dello scopo al quale l’atto stesso è preordinato. Ogni altra violazione de quota l’invalidità in mera irregolarità.
Il convegno di Gaeta dell’ottobre scorso ha esplorato, con successo, anche questa tematica; ne è stato brillante e applaudito Relatore l’avv. Zaza il quale è riuscito ad enucleare, a beneficio del folto uditorio di insigni ed autorevoli addetti ai lavori, criteri operativi pratici di applicazione dei suddetti principi.
Ancora una volta, gli Avvocati amministrativisti sono chiamati – è un invito formale che rivolgo loro – a spingere i giudici verso confini interpretativi ormai avvistati e propri del nuovo processo.
In termini operativi, occorre che gli avvocati prima ed i giudici dopo indaghino sulla funzione dell’atto, individuando l’interesse pubblico sotteso alla norma applicata. Ogni attività amministrativa persegue un fine conforme ai valori fondanti del nostro ordinamento che sono – è bene sottolinearlo – sia di natura economica che sociale. Il parametro economico sembra oggi dominante, ma esso non è né esaustivo né prevalente; la stella polare rimane la cura dell’interesse pubblico.
Rispetto ad una funzione amministrativa che inarrestabilmente diventa più complessa, il sindacato giurisdizionale del G.A. non può essere esteriore, formale, ma deve essere di tipo interno e sostanziale. Con la L. n. 205, il legislatore ha confermato questo obiettivo. Le innovazioni cognitorie, istruttorie, probatorie, compresa la C.T.U., non avrebbero senso. La verità è che la Costituzione e la legge vogliono un controllo equo, giusto, ragionevole che assicuri tutela effettiva e sostanziale al privato, se coincidente con la tutela dell’interesse pubblico e mai in contrasto con l’interesse pubblico. E’ questa la specialità del G.A. che non va confusa con la specializzazione tecnica del decidere del G.A.
Un appello ora alla P.A., affinché i suoi operatori, di ogni livello, ricordino – con grande umiltà – che “errare umanum est, perseverare diabolicum”. Quando ci si rende conto, soprattutto in corso di giudizio, che un atto è stato adottato in violazione di norme di carattere formale, procedimentale o sostanziale, esso può essere convalidato in ragione dell’interesse pubblico, prima che il G.A. lo annulli. I vizi vengono così sanati e l’atto non è più invalido; l’atto viene messo così al riparo da qualsiasi attacco. Potrebbe riaprirsi un nuovo contenzioso sul nuovo atto; ma, questo è un altro duello, rispetto a quello iniziato che, intanto, cessa!
Questo tema convolge anche il Legislatore. L’appello è di non lasciare l’Amministrazione ed il G.A. soli nella Giungla del sistema: una soluzione il Giudice la trova sempre, la deve trovare; il giudizio – lo abbiamo detto – non può terminare con un “Non liquet”, che sarebbe diniego di giustizia (Il Giudice, nel tempo, perviene anche a soluzioni interpretative uniformi, razionalizzando le leggi, ma quante vittime innocenti restano sul campo!).
L’esigenza primaria di questi tempi, per il Giudice, è quella di assicurare il più alto grado possibile di certezza nei rapporti giuridici e di armonia dell’ordinamento .
3) La riparazione del danno da attività Amministrativa illegittima. I punti di arrivo della Giurisprudenza.
Il potere del G.A., sancito dalla legge n. 205, di giudicare, (nell’intero ambito della sua giurisdizione) anche l’eventuale risarcimento del danno da attività illegittima rappresenta la chiara volontà del Legislatore di assicurare pienezza di tutela.
La Cassazione ed i giudici ordinari se la sono presa per questa innovazione dell’Ordinamento giudiziario ed hanno rimesso la questione alla Corte Costituzionale che deciderà sul punto.
Osservo, da modesto Giudice di provincia, che la scelta del Legislatore si fonda “sull’art. 24 Cost.”.
Non capisco perché si dimentichi questa norma. Dirà la Corte se la tutela è piena ed effettiva con due gradi di giudizio,come oggi, uno davanti al TAR e l’appello al Consiglio di Stato oppure con 5 gradi, come prima (due davanti al G.A. più tre davanti al G.O.).
Le controversie risarcitorie non sono, una “nuova materia” trasferita alla giurisdizione del G.A., ma la conseguenza necessitata della pienezza di tutela davanti al G.A., sancita dall’art. 24 Cost.
Vediamo, molto succintamente, ed a fini meramente divulgativi, i punti fermi del processo risarcitorio.
La condanna dell’Amministrazione al risarcimento del danno (ingiusto) presuppone, sempre, il previo annullamento dell’atto ritenuto lesivo. Con l’entrata in vigore della L. n. 205 si era posto un problema serio che ha impegnato il Giudice a scegliere tra la soluzione della pregiudizialità e quella della autonoma concorrenza delle due azioni. Ha prevalso, il buon senso e diciamolo pure un sommesso “favor” per la Parte pubblica.
Questo è un primo punto fermo.
Tutte le Amministrazioni e tutti gli Amministratori, possono oggi tirare un bel sospiro di sollievo perché sanno che il privato leso deve prima proporre una tempestiva azione di annullamento davanti al G.A., ottenere l’annullamento dell’atto e poi, per le eventuali lesioni residue, provando che esistono, può ottenere un risarcimento.
Il risarcimento del danno assolve così ad una funzione sussidiaria rispetto al previo annullamento dell’atto impugnato che già di per sé tutela la posizione del privato. A volte, la tutela diretta, assicurata dall’annullamento dell’atto e dalla conseguente attività conformativa dall’Amministrazione non è possibile od eccessivamente onerosa per l’Amministrazione.Un esempio: a lavori ultimati, arriva la sentenza del TAR di Latina che ritiene illegittima ed annulla l’aggiudicazione al primo classificato in una gara d’appalto.
Il secondo classificato non potrà più eseguire i lavori per cui, accertato che avrebbe dovuto essere lui l’aggiudicatario della gara, il TAR gli liquiderà a titolo risarcitorio una somma equivalente al mancato guadagno.
Se non impugno l’atto che mi lede nei termini decadenziali ( sessanta giorni) e se non ricevo successo dal mio ricorso, nessun accertamento farà mai il G.A. in punto di risarcimento del danno. Se fosse prevalsa la tesi dell’autonomia delle due azioni, come sembrava ritenere la Suprema Corte di Cassazione, le conseguenze potevano essere drammatiche. Le Amministrazioni sarebbero state esposte, per 5 o 10 anni ad una azione risarcitoria, anche da chi non aveva impugnato l’atto.
La specialità del G.A. e la sua spiccata sensibilità verso l’interesse pubblico, ha scongiurato questo tragico dissesto ordinamentale. Questo è un bel punto fermo.
Le istanze risarcitorie, genericamente formulate e non debitamente comprovate, sono inammissibili. Non basta lamentarsi di aver subito danni, ma occorre provare quali danni, e quanti danni ha provocato la condotta illegittima dell’Amministrazione. Chi deduce di aver subito un danno deve fornire la prova. Altro punto fermo.
Anteriormente alla legge n. 205, il ricorrente che aveva ottenuto davanti al G.A.,dopo due gradi di giudizio, l’annullamento dell’atto illegittimo,(solo di un certo tipo), doveva poi rivolgersi al G.O. per conseguire il risarcimento del danno percorrendo altri tre gradi di processo. Quindi 5 gradi di giudizio in totale. Tutto questo è accaduto fino a metà del 2000. “Tutela sdoppiata” la chiamavano in “dottrina”; sarebbe stato meglio chiamarla “Tutela negata”. La logica della pienezza ed effettività della tutela sancita dall’art. 24 Cost. – non finiremo mai di parlarne - ha fatto prevalere nel Legislatore una soluzione logica: quella di concentrare davanti al G.A. un’azione risarcitoria a tutela dei danni provocati dalla P.A. Qualcuno può chiedersi: nell’agosto 2000, in pieno Giubileo, il Legislatore doveva davvero generalizzare, con legge, un obbligo risarcitorio per i danni ingiusti provocati dalla P.A.? Il Legislatore ha ritenuto di (SI)!
Noi G.A. preoccupiamoci ora di applicare con pacatezza, saggezza, ragionevolezza il disposto della legge. Il G.A. ha dimostrato di possedere queste doti. Non si fanno prove psicologiche, per l’ accesso alla magistratura amministrativa, ma posso assicurarvi, personalmente, che la rigorosa selezione consenta di assumere persone che hanno ben assimilato il basilare principio: quello della tutela degli interessi privati in armonia con la tutela degli interessi pubblici. Questa ratio decidendi è propria, esclusiva del G.A.!
Nella prassi applicativa piu’ frequente, i G.A. ricorrono alla figura transattiva prevista dall’art.35 L. n.205, effettuando una condanna generica ed invitando l’Amministrazione a formulare, entro un congruo termine, una proposta liquidatoria sulla base di criteri prefissati. Se non si trova una intesa, con un giudizio di ottemperanza si arrivera’ alla liquidazione del danno. L’aver rimesso all’accordo delle parti pubbliche e private la liquidazione del danno rappresenta, a mio avviso, una felice soluzione del Legislatore, maturata in una ottica di contemperamento degli interessi privati e pubblici coinvolti. Questa forma di liquidazione e’ assimilabile al risarcimento in forma equitativa, ex art.226 C.C.
Altro punto fermo. L’annullamento dell’atto comporta solo una presunzione relativa di colpa dell’Amministrazione, la quale puo’ escluderla per diversi fattori giustificativi: l’incertezza normativa, giurisprudenziale, la stessa condotta del privato ed altro. Abbiamo detto che il risarcimento in forma specifica, mira a far conseguire al soggetto leso (da un provvedimento e comportamento dell’Amministrazione) gli stessi vantaggi garantiti dalla legge e non vantaggi equivalenti.
Si ha in questo caso la soddisfazione integrale della lesione subita. L’interessato consegue il bene della vita negato (una concessione edilizia, una concessione demaniale, una destinazione di piano regolatore migliore, una aggiudicazione ad una gara e via discorrendo).
Questa forma di risarcimento implica che sia possibile e non risulti eccessivamente onerosa. Il G.A. dovra’ verificare, caso per caso, la possibilita’ materiale, oggettiva della riparazione in forma reintegratoria e la non eccessiva onerosita’ per l’interesse pubblico.
L’interesse pubblico e’ anche qui stella polare. Annullato l’atto, il G.A. non puo’ procedere alla diretta emanazione del provvedimento in luogo dell’Amministrazione competente. Spetta all’Amministrazione di rinnovare il procedimento ed emettere il provvedimento necessario a riparare il danno provocato, in conformità ai principi contenuti nel giudicato.
Se l’attività amministrativa da compiersi è vincolata, nel senso che non vi sono spazi di discrezionalità pura, in favore dell’Amministrazione, il Giudice può determinare puntualmente la regola di condotta dell’Amministrazione. In caso di inadempienza dell’Amministrazione, un Commissario ad Acta nominato dal Giudice si uniformerà al comanda del Giudice. Le maggiori spese sono all’Amministrazione inadempiente.
Viceversa, se l’attività amministrativa da compiersi, successivamente all’annullamento, è di tipo discrezionale (fare, non fare, fare in un modo o in un altro), al giudice è precluso di compiere ogni successiva valutazione che resta affidata alla sola Autorità amministrativa. In questa fase, se difettano i presupposti, l’Amministrazione potrà-dovrà di nuovo negare il bene della vita richiesto ( la concessione edilizia,la lottizzazione, la destinazione di piano; la restituzione di un bene requisito, occupato, espropriato, e via dicendo).
Di fronte ad un nuovo diniego, se l’Amministrazione non incorre in altri vizi, il privato non avrà più nulla da pretendere!
Una breve notazione sull’applicazione di tali principi nella materia degli appalti, che è la più interessante.L’annullamento dell’aggiudicazione di una gara avviene frequentemente a contratto già stipulato ed a lavori in corso. E’ così, no? Come deve comportarsi l’Amministrazione in questi casi ?
L’annullamento degli atti di gara e dell’aggiudicazione porta ad un automatico travolgimento del contratto ed allo scioglimento del rapporto in corso. La Giurisprudenza è passata per tesi ricostruttive difformi. Il punto di arrivo attuale, generalmente condiviso da dottrina e giurisprudenza, (il T.A.R. di Latina è voce nel coro), è quello che vi ho detto, ossia: l’annullamento dell’aggiudicazione o degli atti di gara travolge il contratto stipulato per illegittimità derivata con effetto caducante. Il contratto stipulato è ritenuto nullo per mancanza del consenso dell’Amministrazione. Ci sono voluti tre anni buoni per arrivare a questo risultato. Ci ha dato una mano la legge obiettivo (n. 443/2001) che, disponendo la vigenza del contratto nel caso di appalti di grandi opere strutturali, qualunque siano le sorti degli atti di gara presupposti, ha consentito al Giudice amministrativo di fare uso del principio “ubi lex dixit, voluit; ubi tacuit, noluit,” e di ritenere che l’invalidità degli atti di gara penetra, con effetti caducanti, in tutti i contratti, eccetto quelli esclusi dalla legge. Quando si farà la strada n. 156 (Monti Lepini) si potrà essere tranquilli: il contratto in favore della impresa aggiudicataria, rimarrà comunque in vigore e l’impresa potrà continuare a lavorare, ancorché risultata affidataria in maniera illegittima. Così per lo stretto di Messina e per un altro centinaio di grandi opere.
Il legislatore ha voluto mettere al riparo da certi rischi i contratti più rilevanti, differenziandoli dai contratti delle ordinarie opere pubbliche di tanti Comuni. Sarà costituzionale questa norma? La realizzazione delle grandi opere pubbliche è così assicurata! Questa previsione legislativa, dal punto di vista economico, è operosissima, perché si dovrà corrispondere il rimborso integrale dei danni subiti dall’impresa cui non è stato legittimamente aggiudicato l’appalto. Quando si sostituisce il primo aggiudicatario con altro risultato escluso, resta fermo il corrispettivo in favore dell’impresa per i lavori eseguiti, sulla base di un contratto poi caducato. Al nuovo aggiudicatario, subentrato in corso di esecuzione, l’Amministrazione dovrà poi corrispondere il mancato guadagno per il primo segmento di opere non effettuate.
Altro punto fermo.
Nei casi in cui l’Amministrazione è chiamata a dare esecuzione ad una sentenza del T.A.R. che annulla l’aggiudicazione di un appalto quando i lavori sono già ultimati, o in fase avanzata di esecuzione, per cui la installazione di un nuovo cantiere potrebbe pregiudicare la realizzazione dell’opera, essa, appellandosi all’impossibilità reale di dare esecuzione alla sentenza od alla eccessiva onerosità, può limitarsi a risarcire il ricorrente vittorioso di tutti i danni subiti. In tal caso, se questa è la situazione reale, è bene che già, nella fase del giudizio, l’Amministrazione opponga queste eccezioni.
Altro punto fermo.
Il risarcimento in forma specifica è la misura prevalente di tutela risarcitoria perché rappresenta un metodo incisivo ed efficace di riparazione del danno patito dal privato, mentre il risarcimento per equivalente assume carattere sussidiario, residuale, cui il Giudice può ricorrere, se ed in quanto non sia possibile far conseguire al privato il bene della vita, per impossibilità oggettiva od eccessiva onerosità. Si può, per esempio, distruggere una opera pubblica di rilevante importanza per la collettività o di urgente valore economico per restituire al privato il fondo illecitamente espropriato? NO! Questo è un caso di eccessiva onerosità.
Arbitro della tutela risarcitoria è il G.A., essendo a lui rimessa l’individuazione del rimedio risarcitorio più efficace, a prescindere dalle preferenze e dalle richieste di parte. Va detto che accordare in via prioritaria la tutela risarcitoria specifica rispetto a quella per equivalente, significa anche evitare all’Ente la monetizzazione del danno e quindi un minor dispendio di risorse finanziarie.
La condanna reintegratoria che fa ottenere al privato danneggiato il bene della vita cui aspirava può non eliminare in toto le conseguenze negative dell’agire illecito, giacchè l’interessato ottiene con ritardo il bene che gli spettava ( per esempio: un permesso di costruire due anni dopo).
Per il completo ristoro, il G.A. dovrà aggiungere anche una condanna per ritardo, monetizzandone l’importo (per es.: il maggior costo dei materiali o dei costi di costruzione). Altro punto fermo.
Abbiamo ripetutamente affermato che dopo l’annullamento, da parte del G.A. dell’atto ( per es.: una previsione di P.R.G. che destina un’area a verde pubblico o a pubblico servizio) persiste in capo all’Amministrazione uno spazio ampio residuo di discrezionalità amministrativa pura. In questi casi, l’annullamento dell’atto non fa nascere automaticamente un diritto ( ulteriore) al risarcimento del danno, essendo precluso al G.A ogni indagine diretta sulla spettanza del bene della vita. Questa valutazione spetta, inderogabilmente, alla P.A. Il risarcimento è doveroso solo dopo e a condizione che l’Amministrazione, riesercitato il proprio potere, come le compete, abbia attribuito all’istante il bene cui aspirava. In quel caso, il danno ristorabile si riduce – se viene fornita prova – al pregiudizio da ritardo nel conseguimento del bene anelato.
Quando residua in capo all’Amministrazione solo una discrezionalità tecnica ( per es.: aggiudicare una gara facendo applicazione delle regole del bando) se l’esito sarà di nuovo sfavorevole al privato ricorrente, il G.A. potrà verificare il corretto uso dell’agire dell’Amministrazione in merito, in quanto, è ormai acquisita in giurisprudenza, l’ammissibilità di un sindacato pieno, di tipo intrinseco, attraverso la verifica diretta, con consulenti di ufficio, della corretta attuazione dei criteri tecnici utilizzati dall’Amministrazione. In questo caso, non vi è invasione dell’Amministrazione da parte del Giudice. Le regole tecniche non sono prerogative dell’Amministrazione, ma delle scienze specialistiche a disposizione di tutti, sicché nessun potere discrezionale insindacabile spetta ad essa rispetto ai comuni cittadini.
Capita anche questa ulteriore ipotesi risarcitoria. Dopo l’annullamento dell’atto lesivo, non è più possibile il riesercizio del potere da parte dell’Amministrazione per verificare la spettanza virtuale o reale del bene negato ( supponiamo ancora l’aggiudicazione di un appalto). Per esempio, un’impresa è stata illegittimamente esclusa da un appalto e non vi è possibilità di rinnovare la gara, perché i lavori sono ultimati o in stato di avanzamento irreversibile.
Non possiamo sapere come l’impresa esclusa si sarebbe graduata nella gara alla quale non ha partecipato. Il danno, in questo caso, è solo la perdita di chance, ossia della probabilità favorevole di conseguire, partecipando, il bene finale.
Per questo caso la giurisprudenza ha ancorato la configurabilità del danno ad un criterio davvero empirico. Si è detto: il risarcimento del danno da perdita di chance presuppone che sussista una possibilità di successo superiore al 50%, onde evitare che diventino ristorabili anche mere possibilità statisticamente insignificative. Si è anche detto che il risarcimento del danno da perdita di chance va liquidato in base alla percentuale di probabilità di successo sperato. Per esempio 15 erano le imprese partecipanti ad una gara; l’impresa che illegittimamente è stata esclusa, avrà diritto, a titolo di danno, ad 1/15 dell’utile mancato, che, normalmente equivale al 10% del contratto di appalto. Mi sembrano formule precarie inappaganti. Questo esempio ci mostra quali sforzi interpretativi il Giudice, nel nostro ordinamento, è costretto a fare. Ci fa anche capire quanto sarebbe più utile alla convivenza astenersi dal criticare i giudici, quando il demerito del loro operato va, semmai, imputato alla imperfezione della legge.
Vorrei invitarvi a riflettere su un attuale aspetto della tutela cautelare in materia di appalti: la si ritiene spesso, troppo incisiva, invasiva, perché intralcia i servizi pubblici, le opere pubbliche e forniture. La critica, sia consentito, va rimessa ai mittenti.
Basti ricordare che se certi effetti sono davvero ritenuti incompatibili con le richieste del mercato e con la politica dei governi, essi vanno modificati, con legge. Quando questo non si fa, per motivi che non voglio qui indagare, e si lascia il Giudice nella giungla, bisogna poi essere cauti nei giudizi.
Gli inconvenienti che si lamentano, nel caso degli appalti, sono tutti voluti, imposti dalla legge, soprattutto quella comunitaria,che troppo spesso dimentichiamo.
Si dice: C’è ora il risarcimento del danno; che necessità vi è di sospendere un bando di gara, un’aggiudicazione a lavori in corso? L’interessato sarà ristorato monetizzando il danno!
Un imprenditore aggiungerebbe, però, che i danni che un’impresa subisce per effetto della mancata aggiudicazione di un appalto non si esauriscono nel mancato guadagno per la non esecuzione dell’opera.
Esistono altri profili di danno: il mancato inserimento in un settore di mercato, la mancata acquisizione di credenziali spendibili altrove, la perdita di competitività dell’impresa che illuminati Governanti tanto esaltano. Nella vita di un’impresa l’interesse alla vittoria di un appalto va ben oltre l’interesse al guadagno immediato per l’esecuzione dell’opera. Conta molto il curriculum per aggiudicarsi le gare! La legge (art.23 bis della L. n.205) vuole che nella materia degli appalti, come in altra materia, la fase cautelare si accorpi con quella di merito e che si arrivi, quanto prima, alla valutazione definitiva della fondatezza della pretesa portata davanti al Giudice. Mi sembra, questa, una grande attenzione del Legislatore verso le imprese e l’Amministrazione. Questa attenzione, la sento dire in tutti i Convegni, la pagano ancora una volta i poveri, quelli che si dolgono davanti al G.A. di questioni (solo personali), rilevanti dal punto di vista sociale, destinate a dare la precedenza a tanti altri tipi di controversie.
Ecco perché la tutela cautelare deve essere immediata. Anche le imprese, nel duello processuale, possono tenere comportamenti maliziosi, per esempio rinunciando alla tutela cautelare, quando, consapevoli di avere poche possibilità di vittoria, ripiegano sulla tutela risarcitoria. In questo caso, i Giudici Amministrativi devono considerare colposa la condotta di un’impresa che non promuove l’istanza cautelare potenzialmente idonea ad evitare il danno o il suo aggravio…Siamo alla condotta colposa del danneggiato ex art.1227, II° co. C.C.
Con questo ho terminato. So di aver affrontato temi non comuni, difficili per gli stessi addetti ai lavori. Spero di essere riuscito a trasmettervi, almeno, qualche principio basilare, che vi risulti utile nella vostra attività quotidiana.
Con l’augurio di rincontrarci di qui ad un anno- che Dio lo voglia- dichiaro aperto per il T.A.R. di Latina l’Anno Giudiziario 2004.
4) La Giustizia amministrativa nella sua dimensione quantitativa: dati nazionali e locali.
Mi avvio rapidamente alla conclusione dandovi la dimensione quantitativa della G.A..
La Legge n. 205 del 2000, con le sue rilevantissime modifiche sul processo amministrativo, è entrata in vigore nell’agosto del 2000. I dati statistici che prendiamo a riferimento sono del 2002 in campo nazionale e del 2003 in sede locale.
Il processo rappresenta, come è agevole intuire, il momento patologico dell’attività amministrativa: esso rivela, di norma, i mali che affliggono la Legislazione e l’Amministrazione, causati da normative inadeguate o da applicazioni non perfette di normative pur buone.
Con l’ applicazione della legge n. 205, il contenzioso ha avuto una notevole contrazione, pari al 21,6%. Si è passati, in totale, da circa 100.000 ricorsi a circa 80.000 ricorsi. Essa è dovuta al trasferimento della giurisdizione sul Pubblico Impiego contrattualizzato al Giudice del lavoro.
Nel 2002, un cittadino su 777, ha proposto, a torto o a ragione, un ricorso giurisdizionale davanti al T.A.R. contro una P.A.. La necessità di ricorrere è determinata essenzialmente dal progressivo peggioramento tecnico della legislazione e dalla dispersione di competenze tra tanti Enti ed Organi.
Al T.A.R. di Latina i dati sono oscillanti. Dal 1996 al 2003 questa è la sequenza: 1674 – 1311 – 1228 – 1264 – 1950 – 1499 – 1458-1347. Mancano annualmente circa 250- 3000 ricorsi, che pur di competenza di Latina, sono proposti al T.A.R. di Roma. Questi ricorsi, in assenza di eccezione di incompetenza, restano incardinati a Roma. Il nostro Ordinamento, non vi meravigliate, consente anche di poter scegliere il Giudice. Solo le parti possono muovere eccezioni e riportare la causa dinnanzi al Giudice naturale. Ma se non lo fanno le parti, il giudice scelto non può sollevare, d’ufficio, l’incompetenza territoriale. Qualche sospetto di incostituzionalità della norma, è forse ravvisabile !
Vorremmo auspicare una inversione di tendenza del contenzioso, perchè se questo accadrà, significherà che le leggi e la loro applicazione da parte dei multiformi soggetti che ora compongono la P.A. saranno ispirate al bene generale, pubblico e collettivo. La riforma dell’Ordinamento costituzionale e del sistema amministrativo, con le maggiori autonomie locali ed i maggiori poteri amministrativi, soprattutto in questa fase di avvio, non consente di poter effettuare previsioni ottimistiche.
Vedete, la stessa (ben nota) legge sul procedimento amministrativo (la n. 241/1990) ha fatto anch’essa lievitare il contenzioso e ciò non può non sorprendere se si pensa che il suo obiettivo primario era proprio quello di normalizzare l’attività amministrativa, renderla più trasparente, più partecipata, meno autoritativa, meno unilaterale, più proporzionata al contemperamento degli interessi pubblici e privati. In ogni caso, diciamolo, si tratta di una legge di avanzata civiltà giuridica. Gli effetti positivi si avranno più in là nel tempo. Nella giungla delle norme vigenti,continua la “caccia all’erore” che tanto paralizza l’Amministrazione e spesso nulla porta al privato.
La produttività del Giudice Amministrativo di I° grado è aumentata, nella misura del 22,76% nell’anno 2002. Il T.A.R. di Latina è esattamente nella media nazionale per produttività. Nel 2003, a Latina, sono state pubblicate, in totale 1363Sentenze e 932 Ordinanze cautelari: ognuno dei magistrati ha quindi scritto 341 Sentenze e 233 Ordinanze. Sono stati emessi, inoltre, 139 decreti ingiuntivi, respingendone solo 4: 70 Ordinanze e Decreti Presidenziali di vario tipo. La leggera flessione della produttività del T.A.R. di Latina nel 2003 (n. 161 sentenze in meno) è giustificato dalla mancanza di un Magistrato dall’aprile 2003, collocato in pensione, sostituito solo a novembre, dall’assenza per malattia per 3 mesi di un Magistrato, e del Presidente, per due mesi,
I rimedi approntati dal Legislatore (riti accelerati e vari rimedi di natura processuale ed organizzativa) sono utili ma non adeguati, dal punto di vista strutturale, rispetto alla domanda di giustizia: 400 Giudici amministrativi in servizio, non tutti impegnati nell’attività giudiziaria, non ce la fanno! Nel 2003, a Latina, così come in campo nazionale, sono stati decisi più ricorsi rispetto a quelli introitati.
Come sapete, tutto il personale alle dipendenze della P.A., contrattualizzato, quanto al contenzioso –eccetto le procedure di assunzione- è passato al giudice ordinario. E’ rimasto al Giudice amministrativo il contenzioso per talune categorie (alcuni dicono forti) di pubblici dipendenti: magistrati, avvocati dello Stato, militari e corpi di polizia, carriera prefettizia e diplomatica. Tale trasferimento di giurisdizione al Giudice Ordinario ha ridotto anche a Latina, il contenzioso sul pubblico impiego.
La materia dell’edilizia ed urbanistica occupa in campo nazionale il primo posto nel contenzioso amministrativo, con una % del 28,92.
Segue al secondo posto, il Pubblico Impiego ed al terzo posto la materia Igiene, Sanità ed Ecologia. Il contenzioso contro l’attività della P.A. (gare di appalto, lavori pubblici, forniture, servizi, contratti, gestione beni pubblici, ecc.) è sceso dal terzo al quarto posto. A Latina, i ricorsi in edilizia ed urbanistica, nel 2003 hanno raggiunto la percentuale del 50% che è quasi doppia di quella nazionale. Il contenzioso in edilizia ed urbanistica subirà nei prossimi anni un generalizzato arresto, a causa del recente condono edilizio che sospende tutti i provvedimenti amministrativi,giurisdizionali pendenti nella materia.
E’, ancora elevato, il numero dei ricorsi per l’esecuzione del giudicato o di sentenze di primo grado (esecutive) non sospese dal Consiglio di Stato;è questo un chiaro sintomo dell’inottemperanza delle Amministrazioni pubbliche di fronte alle sentenze del giudice.
Quanto agli esiti, i ricorsi sono accolti per il 54,86%.
In concreto, un pò di più di un provvedimento su due emesso dalla P.A. (tra quelli portati in giudizio) è illegittimo.
Il T.A.R., più accoglista è la Campania con il 68,14% (questo potrebbe significare che la P.A., in Campania, sbaglia più frequentemente). Il T.A.R. meno accoglista è quello di Trento 27,42% (questo può significare che la P.A. a Trento opera più legittimamente).
Le sentenze di primo grado rese dai vari T.A.R. appellate sono il 9,86%. Di queste il 39,84% è riformato in appello. Ne consegue che le sentenze di primo grado diventano definitive nelle percentuale del 96,07%. La giustizia amministrativa la si fa prevalentemente in I° grado.
E’ ovvio che i casi più importanti arrivano in Consiglio di Stato che esplica mirabilmente -va riconosciuto- un importante ruolo di nomofilachia nell’ambito della Giustizia amministrativa.
Concludo, ringranziandovi ancora, di cuore anche per la pazienza e l’attenzione con la quale mi avete ascoltato.
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