|
|
|
|
Prima pagina | Legislazione | Giurisprudenza | Articoli e note | Forum on line | Weblog |
ROBERTO GAROFOLI
(Consigliere di Stato)
L’Amministrazione responsabile:
gli incerti equilibri nell’assetto delle giurisdizioni (*)
![]()
SOMMARIO: 1. Premessa. 2. I due Giudici del risarcimento nella ricostruzione delle Sezioni unite (sent.
500/99): i dubbi teorici e gli inconvenienti applicativi. 3. Il nuovo quadro normativo: l’art. 7, co. 3°, l. n. 1034/71. 4. I casi dubbi. Ipotesi in relazione alle
quali residua la giurisdizione del giudice ordinario: danno da attività materiale. Le implicazioni in punto di giurisdizione risarcitoria derivanti dall’art. 34, d.lgs. n. 80/98: occupazione,
acquisitiva e usurpativa, denuncia di inizio attività. 4.1. Danno da attività giuridica di tipo ricognitivo. 4.2. Risarcimento del danno nel settore del
pubblico impiego. 4.3. Danno da omessa vigilanza ex art. 33, d.lgs. n. 80/98: la responsabilità delle Autorità indipendenti. 4.4. Danno da illegittimo esercizio
di potestà sanzionatoria e art. 33, d.lgs. n. 80/98. 4.5. Danno alla persona e giurisdizione. Il c.d. danno esistenziale e la sua risarcibilità in ipotesi di illegittimo diniego
di accesso.
1. Premessa.
Tra i nodi problematici tuttora irrisolti, carattere di particolare delicatezza assume ancora quello riguardante l’assetto degli
equilibri giurisdizionali formatosi in relazione alle domande risarcitorie avanzate nei confronti della pubblica amministrazione.
La legge n. 205 del 2000, infatti, meritoria laddove sperimenta il tentativo di superare le perplessità di tipo teorico e pratico innescate dal
complessivo impianto argomentativo al riguardo sviluppato dalle Sezioni Unite di Cassazione nella sentenza n. 500 del 1999, ha tuttavia suscitato forti contrasti interpretativi, almeno in parte addebitabili alla non cristallina chiarezza della formulazione normativa.
Il principale dato di diritto positivo sul quale è necessario soffermare l’attenzione è ora costituito dall’art. 7, co. 3°, l. n. 1034/71, come sostituito dall’art. 7, co. 4°, l. n.
205/2000, a tenore del quale “il Tribunale amministrativo regionale, nell’ambito della sua giurisdizione, conosce anche di tutte le questioni relative all’eventuale risarcimento del danno, anche
attraverso la reintegrazione in forma specifica, e agli altri diritti patrimoniali consequenziali”.
Il primo dubbio ermeneutico posto dalla citata disposizione deriva dal riferimento in essa contenuto agli “altri diritti patrimoniali consequenziali”: l’apparente considerazione della questione relativa al risarcimento del danno quale profilo involgente un diritto sussumibile, al pari di “altri”, nella incerta categoria dei “diritti patrimoniali consequenziali” assegna all’interprete il non agevole compito di individuare i confini entro cui va riconosciuto al giudice amministrativo il potere di conoscere delle domande di risarcimento del danno asseritamente sofferto in conseguenza dell’azione od omissione dell’Amministrazione.
Con maggiore impegno esplicativo occorre chiedersi se lo stesso spetti al giudice amministrativo sempre e comunque o solo quando il diritto al risarcimento sia (come gli “altri diritti” affidati alla sua cognizione) “consequenziale”: quesito alla cui soluzione non può pervenirsi senza peraltro chiarire il senso da ascrivere, nel rinnovato assetto delle giurisdizioni delineato dalla legge n. 205 del 2000, al concetto stesso di consequenzialità.
La questione, di per sé già non agevole, si complica se si considerano i profili di reciproca interferenza in ipotesi prospettabili tra l’esposta problematica e quella, delicatissima, afferente i rapporti –di indifferenza e concorrenza ovvero di pregiudizialità- tra la classica azione demolitoria e quella intesa a conseguire il ristoro del pregiudizio sofferto per effetto dell’illegittima condotta dell’Amministrazione: non è mancato, infatti, chi, prendendo le mosse dall’assunto interpretativo secondo cui solo il diritto al risarcimento del danno “consequenziale” all’annullamento dell’atto può dirsi ricondotto nell’alveo della giurisdizione amministrativa [1] sulla scorta del citato art. 7, co. 3°, l. n. 1034/71, ha sostenuto che resterebbero di pertinenza della giurisdizione ordinaria le questioni risarcitorie non consequenziali o autonome.
Invertendo la prospettiva, si è anche ritenuto che l’opzione per la soluzione della pregiudizialità nell’ambito del giudizio amministrativo di legittimità rischierebbe di aprire la strada al riconoscimento di una permanente giurisdizione del giudice ordinario sul danno “non consequenziale” [2].
L’innegabile
possibilità che le due problematiche abbiano ad interferire non vale ad escludere, tuttavia, la necessità di un’analisi distinta, che prenda le mosse dalla verifica dell’effettiva consistenza
dal legislatore riconosciuta all’ambito cognitorio del giudice amministrativo sui profili risarcitori, per poi scrutinare la natura dei rapporti intercorrenti tra le due azioni di annullamento e di
risarcimento [3].
L’esigenza
di condurre un’analisi non congiunta delle due problematiche si pone sol che si consideri l’ontologica diversità delle stesse, l’una attinente alla delimitazione dell’ambito di cognizione e
di potestà decisoria da riconoscere al giudice ordinario e a quello amministrativo, l’altra alla concreta conformazione delle due differenti tecniche rimediali e del loro reciproco atteggiarsi.
2. I due Giudici del risarcimento nella ricostruzione delle Sezioni unite (sent. 500/99): i dubbi teorici e gli inconvenienti applicativi.
Ciò
posto, giova procedere, sia pure in sintesi, all’analisi dei fattori per così dire storici che hanno influito sulla genesi del citato art. 7, co. 3°, l. n. 1034/71: disamina storica quanto mai
utile al fine di cogliere le ragioni vere sottese alla scelta operata dal legislatore del 2000 nel senso di un’estensione della potestà del giudice amministrativo di intervenire sulle domande di
risarcimento del danno avanzate in relazione ad illegittimità poste in essere dall’Amministrazione anche al di fuori delle materie riservate alla giurisdizione esclusiva.
E’ necessario,
quindi, prendere le mosse dalle indicazioni fornite sul punto dalla sentenza n. 500 del 1999, non senza osservare, peraltro, che, già prima dell’intervento delle Sezioni unite di Cassazione, il
panorama normativo aveva subito una storica evoluzione in conseguenza dell’entrata in vigore del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80, responsabile dell’introduzione,
a costituzione invariata, di fondamentali novità destinate inevitabilmente a rivoluzionare il tradizionale assetto della giustizia amministrativa: ne erano risultati profondamente rivisitati e
radicalmente innovati non solo i criteri volti a perimetrare i territori giurisdizionali da assegnare al Giudice amministrativo in sede esclusiva, ma ancor prima il ruolo stesso che a quel Giudice si
è inteso riconoscere in un sistema sempre più ispirato al principio del pluralismo o, quanto meno del dualismo giurisdizionale, anzichè a quello della tendenziale unicità della giurisdizione.
Fondamentale, al riguardo, la previsione di cui all’art. 35 del citato decreto a mente del quale “il giudice amministrativo, nelle controversie devolute alla sua giurisdizione esclusiva ai sensi degli articoli 33 e 34, dispone, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, il risarcimento del danno ingiusto” [4]: oltre che aderire ad un innovativo meccanismo di delimitazione della giurisdizione amministrativa, non più fondato sulla sola distinzione delle posizioni soggettive, ma sui c.d. blocs de compétence, l’intervento legislativo si connota, quindi, per l’attribuzione in capo al giudice amministrativo di una giurisdizione piena, attesa la contestuale ascrizione di nuovi e più incisivi poteri, primo tra tutti quello avente ad oggetto la condanna al risarcimento del danno.
Al
di fuori delle materie attratte alla giurisdizione esclusiva, invece, in assenza di previsione normativa espressamente intesa a riconoscere al giudice amministrativo la cognizione delle pretese
risarcitorie fondate sulla lesione di ritenuti interessi legittimi, è spettato alle Sezioni unite di Cassazione risolvere in via interpretativa il problema dell’individuazione del giudice.
Nell’esaminare
le conseguenze indotte in tema di riparto dalla fornita lettura della normativa sulla responsabilità aquiliana, la sentenza afferma che “l'azione di risarcimento del danno ex art. 2043 c.c. nei
confronti della P.A. per esercizio illegittimo della funzione pubblica bene è proposta davanti al giudice ordinario, quale giudice al quale spetta, in linea di principio (secondo il previgente
ordinamento), la competenza giurisdizionale a conoscere di questioni di diritto soggettivo, poiché tale natura esibisce il diritto al risarcimento del danno, che è diritto distinto dalla posizione
giuridica soggettiva la cui lesione è fonte di danno ingiusto (che può avere, indifferentemente, natura di diritto soggettivo, di interesse legittimo, nelle sue varie configurazioni correlate alle
diverse forme della protezione, o di interesse comunque rilevante per l'ordinamento)”.
Emergono,
quindi, due giudici del risarcimento del danno:
il giudice amministrativo per le materie attratte nella giurisdizione esclusiva ed il giudice ordinario per il danno cagionato con attività sussumibile nella giurisdizione di legittimità dello stesso giudice amministrativo. Nel primo caso il giudizio è concentrato in capo ad un unico Giudice per i profili sia
risarcitori che impugnatori; nel secondo si assiste alla dislocazione presso due Giudici del giudizio sull’annullamento dell’atto e di quello sul risarcimento del danno cagionato dall’atto
medesimo [5].
L’esposta impostazione ricostruttiva si è prestata a consistenti rilievi critici che ne hanno evidenziato la fragilità sul piano
dei presupposti teorici che ne fanno da sfondo, ma anche gli inaccettabili inconvenienti di tipo applicativo.
Sul
primo versante, l’assunto teorico sul quale la Suprema Corte fa leva per dedurre la “competenza giurisdizionale” del giudice ordinario sul contenzioso risarcitorio non concernente le materie
attratte alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo è dunque quello afferente la natura di diritto soggettivo ascrivibile alla posizione di chi, ingiustamente
danneggiato dall’Amministrazione, pretende il ristoro.
Le
Sezioni unite ritengono, quindi, che quello al risarcimento del danno sia diritto distinto dalla posizione giuridica soggettiva lesa dal fatto illecito causativo del danno ingiusto; nel dettaglio, procedono ad una scissione concettuale tra situazione vulnerata e meccanismo rimediale dall’ordinamento approntato per quella violazione, assurto ad oggetto
di nuova e distinta posizione giuridica sostanziale, qualificata di diritto soggettivo ed in quanto tale assoggettata alla cognizione del giudice ordinario in applicazione del consueto canone di
demarcazione dei terreni giurisdizionali propri del giudice ordinario e di quello amministrativo [6].
L’impostazione
si è prestata a non poche obiezioni.
Già
sul piano ricostruttivo, infatti, si è rimarcata l’inattitudine di una pretesa dal carattere spiccatamente strumentale e rimediale, quale quella avente ad oggetto il risarcimento del danno per
lesione di altra posizione soggettiva, ad orientare la ricerca del giudice.
Si
è osservato, in particolare, che a causa di una “sorta di povertà di linguaggio, il termine «diritto» è come un grande contenitore in cui vengono commassate entità fortemente disomogenee: non
solo situazioni soggettive sostanziali, che attengono in modo immediato e diretto a conseguire o a utilizzare un bene della vita (quali i tradizionali diritti soggettivi e gli altri interessi di varia
natura e denominazione che, come riconosce la sentenza, la giurisprudenza ha «trasfigurato» in diritti) ma anche situazioni soggettive strumentali, che hanno solo la funzione accessoria e
complementare dì tutelare, mediante mezzi inibitori o reintegratori (in forma specifica o per equivalente), un bene della vita già oggetto di una situazione sostanziale preesistente. Si pensi ai
poteri -omogenei a quelli di ottenere il risarcimento del danno e anch'essi correntemente denominati «diritti» - di ottenere la rescissione o la risoluzione o l'annullamento di un contratto ovvero
di impugnare un provvedimento lesivo. In altre parole, non è corretto dire che il patrimonio è costituito da diritti reali, diritti di credito e diritti al risarcimento del danno: questi ultimi,
infatti, sulla sola base dell'art. 2043 (e cioè prima della pronuncia costitutiva del giudice, che li trasforma in normali diritti di credito), non costituiscono un cespite patrimoniale nuovo e
aggiuntivo ma solo la trasformazione per equivalente di un cespite patrimoniale preesistente” [7].
È
stata contestata, quindi, l’opzione ricostruttiva seguita dalle Sezioni unite laddove pare ipotizzata, non già la sequenza interesse legittimo-provvedimento lesivo dell'interesse
legittimo-risarcimento del danno all'interesse legittimo ma la distinta sequenza diritto all'integrità dei patrimonio-interesse legittimo-provvedimento lesivo in via diretta dell'interesse legittimo
e in via indiretta del diritto all'integrità del patrimonio-risarcimento del danno all'integrità del patrimonio, integrità che viene a costituire così il «bene della vita» oggetto immediato ed
esclusivo della tutela risarcitoria” [8].
La
questione assume una particolare importanza anche in una prospettiva di più ampio respiro, attenta alla verifica della compatibilità costituzionale delle ricostruzioni giurisprudenziali o delle
opzioni legislative in punto di giurisdizione.
Non
si trascuri, a tale proposito, che, per dettato costituzionale, “il Consiglio di Stato e gli altri organi di giustizia amministrativa hanno giurisdizione per la tutela nei confronti della pubblica amministrazione degli interessi legittimi”, oltre che, in particolari materie, “dei diritti
soggettivi” (art. 103, co. 1°).
Non
vi è dubbio, quindi, che la Carta fondamentale abbia inteso ascrivere rilievo, in sede di individuazione dell’ambito di giurisdizione proprio dei giudici amministrativi, alla posizione sostanziale
che, in quanto incisa dall’azione dell’amministrazione, abbisogna di tutela, sia essa di interesse legittimo ovvero, in taluni casi espressamente indicati dalla legge, di diritto soggettivo; alla
normale demarcazione della giurisdizione amministrativa deve procedersi, quindi, avendo riguardo alla consistenza della posizione soggettiva che, contrapponendosi alla condotta amministrativa,
abbisogna di tutela, non già certo facendo riferimento alla natura del rimedio che, a lesione ormai
intervenuta, si intende sperimentare.
Si
è acutamente osservato, quindi, che “mentre la cognizione della posizione sostanziale di diritto soggettivo o di interesse legittimo va di regola attribuita - rispettivamente - al giudice dei
diritti e al giudice degli interessi, la cognizione della posizione strumentale andrebbe di regola attribuita al giudice della tutela della posizione sostanziale al quale la situazione strumentale
accede. Infatti è solo alle situazioni soggettive primarie e sostanziali che pensa la Costituzione quando parla di tutela dei diritti e degli interessi. Non bisogna infatti confondere tra
risarcimento del danno come strumento dì tutela e diritto al risarcimento del danno come diritto di credito” [9].
Sempre
sul piano teorico, peraltro, la ricostruzione seguita dalla Sezioni unite non ha convinto anche per la sua sostanziale idoneità a riproporre, quale criterio di risoluzione delle questioni di
giurisdizione, la teoria del petitum, in distonia, quindi, rispetto al tradizionale indirizzo volto ad utilizzare quello della causa petendi.
Come
altrove osservato, infatti, “la giurisdizione del giudice ordinario in tema di risarcimento del danno da lesione di interessi legittimi si fonda conclusivamente sull’attribuzione all’art. 2043
c.c. del rango di norma primaria, e non meramente sanzionatoria, che attribuisce all’interessato il diritto soggettivo al risarcimento del danno ingiusto di qualsiasi tipo, ivi compreso quello
specialissimo danno ingiusto che deriva dalla lesione dell’interesse legittimo. In poche parole l’interesse legittimo viene liquidato quale mero presupposto storico-fattuale della fattispecie aquiliana e non svolge ruolo alcuno ai fini dell’assetto della giurisdizione. Il ragionamento, pur elegantemente
inteso a salvaguardare il principio della causa petendi come cardine della giurisdizione, porta alla fine a fondare la giurisdizione stessa sulla base del mero petitum formale. A fronte di un medesimo atto e di un medesimo vizio il Giudice sarà quello ordinario o quello amministrativo a seconda che si chieda il risarcimento del danno ovvero l’annullamento
del provvedimento” [10].
Non meno
penatranti sono risultate le obiezioni mosse all’impianto ricostruttivo fornito dalla Cassazione con l’intento di rimarcarne le non convincenti implicazioni di tipo applicativo.
Si tratta di inconvenienti innescati dall’operare congiunto della ritenuta giurisdizione del giudice ordinario e della sostenuta abolizione della pregiudiziale amministrativa.
E’ opportuno tenere conto di quanto al riguardo sostenuto dalle Sezioni unite ad avviso delle quali “ rispetto al giudizio che, nei termini suindicati, può svolgersi davanti al giudice ordinario, non sembra ravvisabile la necessaria pregiudizialità del giudizio di annullamento. Questa è stata infatti in passato costantemente affermata per l'evidente ragione che solo in tal modo si perveniva all'emersione del diritto soggettivo, e quindi all'accesso alla tutela risarcitoria ex art. 2043 c.c., riservata ai soli diritti soggettivi, e non può quindi trovare conferma alla stregua del nuovo orientamento, che svincola la responsabilità aquiliana dal necessario riferimento alla lesione di un diritto soggettivo. E l'autonomia tra le due giurisdizioni risulta ancor più netta ove si consideri il diverso ambito dei giudizi, ed in particolare l'applicazione, da parte del giudice ordinario, ai fini di cui all'art. 2043 c.c., di un criterio di mutazione della responsabilità non correlato alla mera illegittimità del provvedimento, bensì ad una più complessa valutazione, estesa all'accertamento della colpa, dell'azione amministrativa denunciata come fonte di danno ingiusto.
Qualora (in relazione ad un giudizio in corso) l'illegittimità dell'azione amministrativa (a differenza di quanto è avvenuto nel procedimento in esame) non sia stata previamente accertata e dichiarata dal giudice amministrativo, il giudice ordinario ben potrà quindi svolgere tale accertamento al fine di ritenere o meno sussistente l'illecito, poiché l'illegittimità dell'azione amministrativa costituisce uno degli elementi costitutivi della fattispecie di cui all'art. 2043 c.c”.
La Cassazione opta, quindi, per la tesi dell’autonoma percorribilità del rimedio risarcitorio, svincolato dal giudizio di annullamento del provvedimento ritenuto lesivo.
Non va obliterato, per vero, che le Sezioni unite intervengono in vigenza del tradizionale sistema di riparto, connotato dalla diversità, quanto meno nelle materia non appartenenti alla giurisdizione amministrativa di tipo esclusivo, dei giudici istituzionalmente deputati ad assicurare la tutela demolitoria e quella risarcitoria.
Se a ciò si aggiunge che il riportato passaggio motivazionale -oltre a costituire un evidente obiter dictum, posto che la questione della pregiudizialità non si poneva ai fini della soluzione della controversia all’esame della Cassazione- è connotato da un non irrilevante margine di prudenza se non di incertezza desumibile dall’uso della formula “non sembra”, risulta avvalorata la sensazione che le Sezioni unite siano state mosse in modo preminente dall’avvertita, e senz’altro condivisibile, esigenza pratica di evitare una duplicazione di giudizi, più che da un autentico convincimento teorico circa l’intervenuto superamento della regola della pregiudizialità [11].
Per ora è sufficiente constatare che la ritenuta autonomia delle azioni, in uno alla riconosciuta possibilità di una dislocazione delle stesse innanzi a giudici diversi e nel contesto di
percorsi processuali tra loro paralleli ed in alcun modo comunicanti, è apparsa idonea ad innescare inconvenienti pratici di ardua accettabilità, prontamente rimarcati nel dibattito dottrinale.
Si è osservato, infatti, che “in primis emerge il rischio del conflitto di giudicati, ossia la possibilità che il giudice ordinario ed il giudice
amministrativo opinino diversamente relativamente all’illegittimità dell’atto e che, ad esempio, il giudice ordinario riconosca il risarcimento del danno da atto amministrativo reputato legittimo
dal giudice amministrativo e quindi permanentemente operante come criterio della condotta dell’Amministrazione. Il problema è di tangibile evidenza nell'ipotesi in cui l’atto amministrativo sia
stato ritenuto affetto dagli stessi vizi dedotti, per essere esclusi, innanzi al giudice amministrativo” [12]; è stata rilevata la peculiarità di una
condanna inflitta ad una Amministrazione per avere adottato un atto che il giudice naturaliter preposto a siffatta tipologia di verifica abbia reputato
legittimo o comunque non affetto da quei vizi riscontrati, sulla scorta di differente ed antitetica valutazione, dal giudice ordinario.
“Un ulteriore inconveniente è dato dalla possibilità che lo sbocco amministrativo, rispetto al quale la decisione del giudice ordinario non ha
efficacia di giudicato, contraddica il giudizio prognostico formulato” [13] in merito alla spettanza del bene della vita
dallo stesso giudice ordinario, cui non è peraltro riconosciuto il potere di accordare un risarcimento del danno in forma specifica attraverso una pronuncia intesa ad obbligare l’Amministrazione l’adozione,
l’eliminazione o la modifica di provvedimenti amministrativi: è il caso in cui il rinnovato procedimento amministrativo si concluda con la riproposizione di un nuovo provvedimento non satisfattivo
delle ragioni dell’istante, così contraddicendo la positiva valutazione di prognosi sulla quale il giudice ordinario ha fondato la decisione di condanna dell’Amministrazione.
Il sistema delineato dalle Sezioni unite di Cassazione, quindi, non risultava particolarmente convincente, oltre che per la non unanime condivisione delle coordinate teoriche sulle quali
dichiaratamente poggiava, anche in considerazione delle difficoltà di tipo applicativo destinato a suscitare, almeno in parte innescate dal permanere, al di fuori delle materie attratte nella sfera
della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, di una doppia giurisdizione.
Era profondamente avvertita, quindi, l’esigenza di porre mano a siffatta discrasia registrata nell’assetto delle giurisdizioni attraverso un intervento inteso a soddisfare un’insopprimibile,
quanto ovvia e scontata, necessità di concentrazione presso un’unica istanza giurisdizionale della capacità di dare risposta alle differenti opzioni rimediali azionabili a fronte di un medesimo
atto dell’amministrazione, reputato non solo illegittimo, ma anche ingiustamente dannoso.
Di questo contesto storico, dei dubbi di tipo teorico e delle incongruenze sul versante applicativo innescate dal sistema di riparto previgente, nonché delle aspirazioni concentrazioniste
manifestate in ampi ambienti dottrinali, non può non tenersi conto in sede di lettura delle innovazioni introdotte in punto di giurisdizione dalla legge n. 205 del 2000, in specie con la riscrittura
dell’art. 7, co. 3°, l. n. 1034/71.
Si impone, quindi, un approccio al dato testuale di tipo non freddamente letterale, ma che viceversa tenga nella debita considerazione i fattori
di orientamento della sua gestazione e le esigenze volte a stimolarne se non imporne la genesi: sarebbe anacronistico, verrebbe da dire antistorico, un
differente atteggiamento interpretativo assunto in sede di demarcazione dei nuovi poteri dal legislatore assegnati al giudice amministrativo in punto di risarcimento del danno cagionato dall’Amministrazione.
3. Il nuovo quadro normativo: l’art. 7, co. 3°, l. n. 1034/71.
Detto altrimenti, pare arduo ritenere che di quelle difficoltà e delle conseguenti aspirazioni ad un cambio di rotta nella allocazione presso i due distinti plessi giudiziari delle azioni
esperibili a salvaguardia di posizioni soggettive lese dalla medesima condotta dell’Amministrazione non abbia tenuto conto il legislatore del 2000 laddove, riformulando il richiamato art. 7, co.
3°, l. n. 1034/71, ha previsto che “il Tribunale amministrativo regionale, nell’ambito della sua giurisdizione, conosce anche di tutte le questioni relative all’eventuale risarcimento del
danno, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, e agli altri diritti patrimoniali consequenziali”.
E’ su questa disposizione, quindi, che occorre soffermarsi, non senza considerare che con essa continua a concorrere, in sede di delimitazione della sfera di giurisdizione spettante al
giudice amministrativo sui profili risarcitori, quella dell’art. 35, co. 1, d. lgs. n. 80/98, a tenore del quale, alla stregua della nuova formulazione assunta per effetto dell’art. 7, l. n.
205/2000, “il giudice amministrativo, nelle controversie devolute alla sua giurisdizione esclusiva, dispone, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, il risarcimento del danno ingiusto”.
Questo essendo il nuovo quadro normativo, occorre chiedersi entro quali limiti o, in forma alternativa, con quale grado di intensità, lo stesso sia in grado di soddisfare la indicata
esigenza di concentrazione della tutela giurisdizionale del cittadino nei confronti della pubblica amministrazione.
Un primo ed incontestabile passo in avanti rispetto all’assetto previgente è derivato dall’investitura del giudice amministrativo quale istanza giurisdizionale deputata a conoscere delle
questioni risarcitorie anche al di fuori delle materie in relazione alle quali gli è attribuita giurisdizione esclusiva; l’enucleazione di una previsione autonoma rispetto al preesistente art. 35,
co. 1, d. lgs. n. 80/98, parimenti intesa ad assegnare al giudice amministrativo il potere di conoscere tutte le questioni relative all’eventuale risarcimento del danno ogni qualvolta si trovi ad
operare “nell’ambito della sua giurisdizione”, rappresenta un dato normativo inequivocabilmente indicativo della chiara volontà del legislatore di estendere sul versante oggettuale la capacità
del giudice amministrativo di assicurare una pienezza di tutela.
Ne è conferma, in uno alla circostanza costituita dal conio di una disposizione autonoma, distinta ed ulteriore rispetto a quella già operante con riguardo alle materie di giurisdizione
esclusiva, il dato testuale, tanto più se lo si considera tenendo conto dell’evoluzione dallo stesso subito nel corso dei lavori preparatori.
Nel delimitare, infatti, la sfera di contenzioso in relazione alla quale il giudice amministrativo deve reputarsi fornito del nuovo potere cognitorio e decisorio, la versione definitiva della
disposizione che si esamina ha riguardo all’”ambito della sua giurisdizione”, non già, come invece appariva nel testo originario poi sostituito nel corso dei lavori parlamentari alla Camera,
alle “materie deferite alla sua giurisdizione”: sostituzione, questa, all’evidenza sintomatica della indiscutibile volontà legislativa di riconoscere al giudice amministrativo il potere di
assicurare il risarcimento del danno in tutto l’universo della sua giurisdizione e non nel solo caso in cui si verta nelle materia di
giurisdizione esclusiva, come invece “si sarebbe potuto opinare se fosse rimasto fermo il riferimento alle “materie”, termine tradizionalmente evocativo dei “blocchi” di giurisdizione
esclusiva” [14].
E’ questo il significato proprio dell’espresso riconoscimento in capo al giudice amministrativo, anche al di fuori del contenzioso riguardante le materie di giurisdizione esclusiva, della
capacità di occuparsi, oltre che del classico rimedio demolitorio, delle azioni di tipo risarcitorio eventualmente spiccate a fronte di una medesima iniziativa dell’Amministrazione.
La giurisdizione amministrativa, quindi, tende a connotarsi in termini di pienezza anche quando si tratti di giurisdizione di legittimità così superandosi almeno in parte gli evidenziati
inconvenienti applicativi connessi alla attribuzione in capo a due giudici diversi di una valutazione quanto meno parzialmente coincidente, quale quella
relativa alla legittimità dell’iniziativa dell’Amministrativa, considerata in sé o, nella prospettiva risarcitoria, quale fattore concorrente con altri nella ricostruzione dell’illecito
contestato.
Può considerarsi dunque un risultato acquisito e non superabile in via interpretativa che la disposizione in esame abbia fatta propria l’avvertita esigenza di accorpamento presso il
giudice amministrativo delle forme di tutela (caducatoria e risarcitoria) attivabili a fronte dell’agere amministrativo.
A questa chiarezza di obiettivi perseguiti non corrisponde, tuttavia, una linearità della formulazione testuale, idonea a suscitare dubbi
interpretativi già manifestatisi nel dibattito dottrinale, più che in quello giurisprudenziale.
Il principale è quello innescato dalla qualificazione del risarcimento del danno come oggetto di un diritto patrimoniale consequenziale,
desumibile dall’espressione “altri diritti patrimoniali consequenziali”.
Ne deriva un quadro di incertezza interpretativa atteso il dubbio che possa sopravvivere la possibilità per il giudice ordinario di pronunciare
sentenze di condanna nei confronti dell’amministrazione in presenza di un provvedimento amministrativo non impugnato o non annullato o a fronte di una condotta non provvedimentale, ma la cui
legittimità sia parimenti valutabile e rimediabile dal giudice amministrativo nel suo normale “ambito” di giurisdizione, quale, in particolare, un ritardo nel provvedere su una determinata
istanza.
Il problema interpretativo, per vero non di agevole soluzione, va affrontato utilizzando in modo congiunto i criteri propri del metodo ermeneutico, non limitandosi, quindi, ad una lettura
atomizzata della più complessa formulazione normativa, tutta volta ad esaltare la valenza consequenziale almeno apparentemente ascritta alla questione risarcitoria.
Preliminarmente, giova considerare che la disposizione in questione risponde all’esigenza di delineare i caratteri propri dell’intera giurisdizione amministrativa (di legittimità oltre
che esclusiva), improntando al connotato della pienezza la sua fisionomia; si è al cospetto, quindi, di previsione intesa ad arricchire, in un’ottica di concentrazione delle tecniche rimediali, l’ambito
cognitorio e l’armamentario decisorio del giudice amministrativo, piuttosto che a risolvere la questione (per la giurisdizione di legittimità nuova, oltre che rispetto alla prima logicamente
successiva e “conseguente”) dei rapporti reciproci tra le diverse azioni ora esperibili innanzi a quello stesso giudice.
La disposizione va, quindi, interpretata con l’intento di delimitare l’ambito entro cui va riconosciuta al giudice amministrativo la cognizione delle questioni risarcitorie riservando ad
un momento successivo l’analisi del tema relativo ai rapporti tra i due rimedi, così come, viceversa, è necessario esaminare quest’ultimo senza farsi
condizionare dalla prospettiva, all’evidenza distorta, delle conseguenze potenzialmente derivanti in punto di equilibrio degli assetti giurisdizionali dall’adesione all’una o all’altra
soluzione.
Ciò posto e venendo ad enunciare sin d’ora l’assunto che si intende sostenere, pare convincere la linea interpretativa che desume dal riscritto art. 7, co. 3°, l. n. 1034/71, il
riconoscimento in capo al giudice amministrativo di un’ampia disponibilità del rimedio risarcitorio, esteso a tutte le ipotesi in cui il danno di cui si chiede il ristoro derivi dal sacrificio non iure di posizioni soggettive che, in quanto correlate all’esercizio del potere, valgono a giustificare la sussunzione del contenzioso azionato “nell’ambito”
della giurisdizione storicamente propria del giudice amministrativo.
Con maggiore impegno esplicativo, la pretesa risarcitoria va azionata innanzi al giudice amministrativo ogni qualvolta il sacrificio da ristorare si ricolleghi ad una iniziativa
provvedimentale o anche comportamentale dell’Amministrazione il vaglio della cui legittimità è di pertinenza della giurisdizione del giudice amministrativo.
Unico e dirimente requisito di cui si impone la verifica, quindi, è quello riguardante la ricondcibilità del contenzioso mosso
avverso l’agere amministrativo “nell’ambito” della giurisdizione del giudice amministrativo.
L’assunto, oltre che offrire una soluzione estensiva alla questione di tipo quantitativo relativa alla delimitazione delle azioni a consistenza risarcitoria esperibili innanzi al giudice
amministrativo, si propone, come si dirà, di dare risposta a quella concernente la “qualità” assunta dalla giurisdizione del giudice amministrativo allorché lo stesso, chiamato a giudicare al di fuori delle materie espressamente ascritte alla sua giurisdizione esclusiva, lo faccia esercitando, ai sensi dell’art. 7,
co. 3°, i riconosciuti poteri cognitori e decisori in tema di risarcimento del danno: occorre chiedersi, infatti, se si tratti di una giurisdizione sempre di legittimità, ancorchè irrobustita per
effetto dei nuovi poteri esercitabili dal giudice, ovvero se si è al cospetto di una nuova, e per vero tutta peculiare, ipotesi di giurisdizione esclusiva.
Con l’intento di argomentare l’esposto approccio ermeneutico, giova illustrare le ragioni, di tipo storico-teleologico, letterale e sistematico, ostili alla restrittiva tesi, pure sostenuta in dottrina, secondo cui con la riformulazione dell’art. 7, co. 3°, l. n. 1034/71, si è inteso assegnare al giudice amministrativo il limitato potere di conoscere questioni di tipo risarcitorio “consequenziali” all’annullamento dell’atto [15] restando di pertinenza della giurisdizione ordinaria le questioni risarcitorie non consequenziali o autonome ovvero quelle connesse ad iniziativa non provvedimentale, ancorché scrutinabile “nell’ambito” della giurisdizione del giudice amministrativo.
Ribadito quanto in via generale osservato in merito alla finalità genetica della disposizione in esame, volta ad accordare nuovi ambiti di cognizione ed aggiuntivi poteri al giudice amministrativo, non già a regolamentare il meccanismo di interazione tra questi e quello classico di caducazione dell’atto impugnato, preme in primo luogo evidenziare la difficile armonizzabilità dell’esposta lettura riduttiva con le ragioni storiche sottese alla genesi dell’art. 7, co. 4, l. n. 205/2000, inteso alla sostituzione dell’art. 7, co. 3, l. n. 1034/71: ragioni, peraltro, di cui si avverte, come si dirà, la persistenza presenza in alcuni passaggi testuali della riscritta disposizione.
Orbene, la opzione interpretativa di tipo restrittivo non sembra in linea con l’obiettivo perseguito dal legislatore del 2000, propenso a consentire l’attivazione, davanti all’unico giudice amministrativo, delle diversi tecniche di reazione processuale dall’ordinamento approntate a fronte di una non illegittima condotta dell’Amministrazione: con quell’esigenza di accorpamento, avvertita in un’ottica di semplificazione, di concentrazione, oltre che di omogeneizzazione dei canoni del sindacato, pare inconiugabile il tentativo ermeneutico inteso a sortire un nuovo effetto di distinzione delle istanze giurisdizionali da adire a seconda che il danno derivi da un comportamento o da un atto e, in quest’ultimo caso, a seconda che lo stesso sia stato o meno impugnato.
L’argomento storico-teleologico pare, del resto, confortato da ragioni attente al dato testuale, oltre che al più ampio panorama normativo con il quale, quindi, va coordinata la previsione di cui al nuovo art. 7, co. 3, l. n. 1034/71, sì da evitare illogicità ed incoerenze di sistema.
Sul primo fronte, deve riconoscersi che una diffusa voglia di universalizzazione o generalizzazione della nuova cognizione risarcitoria del giudice amministrativo sembra trasudare da diversi elementi di tipo testuale, non trascurabili in sede di complessiva ed unitaria interpretazione della disposizione da ultimo citata.
Due, in particolari, i riferimenti di tipo letterale degni di rilievo, tanto più se valutati in modo coordinato.
In primo luogo, non può essere del tutto obliterata -ancorchè intesa ancora a delimitare dall’esterno la sfera di giurisdizione entro cui riconoscere i nuovi poteri cognitori e decisori del giudice amministrativo- l’utilizzazione della formula, particolarmente ampia, con la quale si fa riferimento all’“ambito della sua giurisdizione”: il legislatore ha inteso, quindi, avere riguardo a tutte le ipotesi in cui il danno di cui si intende chiedere il risarcimento si ricolleghi ad un operato dell’amministrazione normalmente sindacabile dal giudice amministrativo, sì da assegnagli in relazione allo stesso una giustiziabilità piena, non destinata ad esaurirsi nella pronuncia caducatoria o nella declaratoria di illegittimità.
La stessa ampiezza di formulazione usata nel tracciare dall’esterno i confini dei nuovi poteri connota, del resto, la medesima disposizione laddove in concreto provvede ad ascrivere la nuova sfera cognitoria e decisoria: si legge, infatti, che il giudice amministrativo conosce “anche di tutte le questioni relative all’eventuale risarcimento del danno …”: l’intento di generalizzare, senza che siano consentite distinzioni introdotte in via interpretativa, l’attitudine di quel giudice a conoscere “anche” dei profili risarcitori emerge con indiscutibile evidenza dall’espresso, ed altrimenti inutile, riferimento alle questioni “tutte” relative ai danni.
Si tratta di un dato letterale affatto trascurabile, già di per sé idoneo ad orientare l’interprete intento a dare soluzione ai dubbi ingenerati dalla successiva parte della previsione normativa, laddove fa riferimento “agli altri diritti patrimoniali consequenziali”.
E’ opportuno anteporre a tale disamina un’ulteriore osservazione tratta dall’interpretazione coordinata dell’art. 7, co. 3°, l. n. 1034/71, e dell’art. 35, co. 1, d. lgs. n. 80/98, che, anche nella nuova formulazione introdotta dall’art. 7, l. n. 205/2000, continua a prevedere il potere del giudice amministrativo, nelle materie di giurisdizione esclusiva, di “disporre, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, il risarcimento del danno ingiusto”.
Si tratta di disposizione ormai superflua in quanto riproduttiva, limitatamente alla giurisdizione esclusiva, di un contenuto precettivo posto con portata generale, con riguardo quindi all’intero “ambito” della giurisdizione propria del giudice amministrativo, dal nuovo art. 7, co. 3°, l. n. 1034/71 [16].
Il carattere pleonastico della previsione normativa non esclude tuttavia la sua rilevanza quale dato utile per un raffronto sistematico con la nuova formulazione del citato art. 7, nel tentativo, quindi, di verificare entro quali limiti il legislatore abbia inteso assegnare al giudice amministrativo i nuovi poteri sui profili risarcitori.
Ed invero, per quanto ormai superfluo l’art. 35, co. 1, d. lgs. n. 80/98, continua ad assegnare al giudice amministrativo il compito di assicurare il risarcimento del danno cagionato dall’Amministrazione mediante attività espletate in materie attratte nella giurisdizione esclusiva senza introdurre alcuna distinzione tra le ipotesi in cui il sacrificio sia stato cagionato con comportamento o con determinazione attizia e, in quest’ultimo caso, a seconda che la stessa sia stata impugnata nel termine decadenziale o meno: tanto la questione afferente la natura della condotta causativa del danno di cui si invoca il ristoro quanto quella relativa all’esercizio autonomo o meno dell’azione risarcitoria rispetto all’impugnazione dell’eventuale atto amministrativo (non necessariamente esistente) paiono ininfluenti e non in grado di condizionare l’operatività della norma laddove attribuisce al giudice amministrativo la nuova cognizione risarcitoria.
Ad assumere esclusivo rilievo perché possa e debba ammettersi l’esercizio innanzi a quel giudice della pretesa risarcitoria è che il danno derivi da una condotta ricompresa entro il perimetro oggettuale della giurisdizione esclusiva vertendosi, quindi, in accordo con la terminologia utilizzata dall’art. 7, co. 3°, l. n. 1034/71, “nell’ambito della sua giurisdizione”.
Ciò posto, sarebbe quanto meno sorprendente che, tanto più in considerazione dei suevidenziati dati teleologici e testuali militanti in favore di un’interpretazione ampia dell’art. 7, co. 3°, l. n. 1034/71, si pervenga, invece, ad un’opzione ermeneutica destinata a distinguere i confini di praticabilità dei nuovi poteri cognitori e decisori del giudice amministrativo a seconda che venga in rilievo la giurisdizione esclusiva o quella di legittimità, sì da estenderli nel primo caso in applicazione della formulazione ampia dell’art. 35, co. 1°, d. lgs. n. 80/98 (ancorchè ormai superata e ricompresa in quella generale di cui all’art. 7, co. 3°, l. n. 1034/71) e da comprimerli nel secondo caso.
E ciò per un malinteso omaggio formale all’unico, ma non certo inequivoco ed insuperabile, dato testuale contenuto nell’art. 7, co. 3°, l. n. 1034/71: quello, cioè, relativo alla natura consequenziale della pretesa risarcitoria azionabile [17].
Le esposte argomentazioni, tutte convergenti quindi nel sostenere la bontà di una lettura a maglie larghe dell’art. 7, co. 3°, l. n. 1034/71, non paiono pertanto recessive rispetto al suddetto dato testuale da taluni valorizzato, in quanto isolatamente considerato, per ritenere che permane la giurisdizione del giudice ordinario sul giudizio risarcitorio involgente la responsabilità dell’amministrazione ogni qualvolta lo stesso non si presenti come accessorio rispetto a quello demolitorio, collegandosi il sacrificio lamentato ad una mera condotta ovvero ad una determinazione attizia non impugnata nel prescritto termine decadenziale.
Senza –si ribadisce- prendere posizione per il momento sul tema dei rapporti tra le due azioni, preme solo rimarcare che l’apparente riferimento alla natura consequenziale della questione risarcitoria si presta ad una lettura interpretativa che vale a renderlo compatibile con l’intonazione complessiva, teleologica, letterale e sistematica del più ampio quadro normativo descritto.
Non va obliterato, soprattutto, quale circostanza incontestabile, che con la legge 205 del 2000, il legislatore ha manifestato il proposito di concentrare in capo al giudice amministrativo l’intero giudizio sull’interesse legittimo, in funzione di annullamento dell’atto illegittimo e di risarcimento del danno conseguente alla sua lesione, escludendo su questo terreno la giurisdizione del giudice ordinario [18].
Ciò posto, va in primo luogo rilevato che non è inequivoca la formulazione dell’art. 7, co. 3°, l. n. 1034/71, laddove si riferisce agli “altri diritti patrimoniali consequenziali”.
La disposizione, infatti, si presta ad una pluralità di soluzioni interpretative [19].
In primo luogo, infatti, potrebbe anche dubitarsi, attesa la non univocità al riguardo della formulazione testuale, che l'aggettivo "conseguenziali"
si riferisca propriamente alle questioni risarcitorie [20].
Ma anche a voler condividere una lettura più aderente al testo normativo, così ritenendo che anche queste ultime siano di pertinenza della giurisdizione amministrativa in quanto “consequenziali”
al pari di “altre”, giova interrogarsi sul significato da ascrivere, nel rinnovato assetto degli equilibri giurisdizionali, al connotato della consequenzialità.
Come è noto, l'espressione è storicamente sorta per delineare il limite esterno frapposto al dispiegarsi dei poteri cognitori ascritti al giudice amministrativo nelle materie attratte nella
sua giurisdizione esclusiva: con questa, infatti, si indicavano le questioni di diritto soggettivo, nascenti dall’annullamento di un provvedimento amministrativo, la cui cognizione veniva
eccezionalmente mantenuta al giudice ordinario.
La formula “diritti patrimoniali consequenziali” appare, infatti, nel 1923 quando il sistema era ancora imperniato sull’impugnazione dell’atto, onde le relative questioni riguardavano
appunto diritti “consequenziali” rispetto all’annullamento del provvedimento: diritti, quindi, che non trovano fonte diretta nel rapporto dedotto in giudizio, ancorché esso ne costituisca il
presupposto, atteso che la pretesa assume rilevanza solo a seguito dell’annullamento di un provvedimento [21].
L’espressione, quindi, era destinata a tracciare un confine esterno della giurisdizione esclusiva assegnando al giudice ordinario le questioni involgenti diritti per l’appunto
consequenziali rispetto alla pronuncia di illegittimità dell’atto.
Il quadro complessivo è però da allora profondamente mutato, ancor prima dell’intervento della legge n. 205/2000.
In primo luogo, infatti, deve constatarsi che spesso un provvedimento non è necessariamente ravvisabile in molte ipotesi di controversie devolute alla giurisdizione esclusiva, originate da
comportamenti dell’amministrazione [22].
In assenza di un provvedimento, la pretesa del ricorrente trova la sua genesi nel rapporto, onde la difficoltà di configurare un autentico diritto patrimoniale conseguenziale, storicamente
destinato a rinvenire nell’illegittimità dell’atto contro cui si ricorre, non già nel rapporto, il proprio titolo immediato e diretto.
Già questa constatazione, dunque, impone una rivisitazione in senso ampliativo della nozione, salvo a voler escludere la ravvisabilità in queste ipotesi di una questione attinente a diritti
patrimoniali consequenziali [23].
Ma soprattutto nel rinnovato assetto degli equilibri giurisdizionali la nozione di consequenzialità perde la sua tradizionale funzione di discrimen esterno tra attribuzioni proprie della giurisdizione amministrativa di tipo esclusivo e residuali attribuzione del giudice ordinario per divenire concetto interno alla stessa giurisdizione amministrativa, interamente intesa, esclusiva ma anche di legittimità.
Da un lato, infatti, la nozione di diritti consequenziali “viene ora
affrancata dal legame originario che la correlava ad un peculiare ambito della giurisdizione del giudice amministrativo (essa era infatti nata come limite esterno alla giurisdizione esclusiva), per
trasformarsi in un istituto annesso alla giurisdizione anche di legittimità e di merito e, dunque, in grado di sussistere pure in assenza di giurisdizione esclusiva” [24].
Dall’altro, per quel che forse più conta, in un sistema ispirato, anche al di là delle materie di giurisdizione esclusiva, ad
un’esigenza di accorpamento in capo ad un unico giudice (quello amministrativo) di tutte le potenziali tecniche di tutela azionabili a fronte di una non condivisa iniziativa dell’amministrazione,
la consequenzialità perde la sua funzione di delimitazione degli ambiti di giurisdizione propri del giudice amministrativo e di quello ordinario; dismette, quindi, il suo originario significato per
assumerne uno nuovo, molto più ampio, comprensivo di tutte le questioni anche risarcitorie con le quali si avanzano pretese eziologicamente conseguenti ad ogni forma di condotta e di provvedimento
dell’Amministrazione, sempre che, l’una e l’altro, rientrino, sulla scorta degli ordinari criteri di riparto, nell’“ambito” della giurisdizione, esclusiva o di legittimità, del giudice
amministrativo [25].
Concludendo questa prima parte dell’analisi può sostenersi, dunque, che, per effetto delle novità introdotte dalla legge n. 205/2000, la pretesa risarcitoria va azionata innanzi al
giudice amministrativo ogni qualvolta il sacrificio da ristorare si ricolleghi ad una iniziativa provvedimentale o anche comportamentale dell’Amministrazione la cui legittimità debba essere
vagliata, sulla scorta dei consueti criteri di riparto della giurisdizione, dal giudice amministrativo, sicchè si rientri “nell’ambito della sua
giurisdizione”.
Si può a questo punto procedere, in applicazione delle esposte coordinate di tipo teorico, ad un esame di talune questioni più problematiche, soprattutto con l’intento di verificare se,
ed entro quali limiti, possa residuare un ambito tuttora riservato al giudice ordinario in relazione alle controversie relative alla responsabilità della pubblica amministrazione.
Giova, tuttavia, previamente interrogarsi sulla natura della giurisdizione propria del giudice amministrativo, laddove estesa, anche al di fuori delle materie attratte nella giurisdizione
esclusiva, alle “questioni relative all’eventuale risarcimento del danno”.
Occorre, nel dettaglio, verificare se si tratti di una giurisdizione sempre di legittimità, ancorchè arricchita dai riconosciuti poteri
cognitori e decisori di cui al riscritto art. 7, co. 3°, l. n. 1034/71, ovvero se si è al cospetto di una nuova, e per vero tutta peculiare, ipotesi di giurisdizione esclusiva [26].
La questione, particolarmente complessa sul piano teorico laddove impone la verifica della natura delle posizioni soggettive di cui si riconosce la tutela risarcitoria, oltre che delicata per
le conseguenze che in punto di compatibilità costituzionale dello stesso art. 7, co. 3, l. n. 1034/71, possono derivare in caso di adesione all’ultima
delle prospettate soluzioni, assume un non indifferente rilievo sul versante applicativo.
Basti pensare alle conseguenze che, sul piano squisitamente processuale, possono derivare, a seconda che si aderisca all’una o all’altra soluzione, in punto di applicabilità ai giudizi
risarcitori azionati in relazione ad attività estranea alle materie di giurisdizione esclusiva delle disposizioni dettate dall’art. 35, d.lgs. n. 80/98 in tema di poteri istruttori del giudice
amministrativo (co. 3) o nel delineare quel peculiare meccanismo di quantificazione del danno risarcibile che consente al giudice l’indicazione dei criteri di cui l’Amministrazione o il gestore di
pubblico servizio dovranno tener conto in sede di elaborazione della proposta di liquidazione (co. 2): disposizioni, queste, testualmente riguardanti l’ipotesi in cui si tratti di controversia
devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo [27].
Analoghe osservazioni valgono per quel che attiene all’applicabilità delle dirompenti novità introdotte dall’art. 8, l. n. 205/2000, inteso a consentire l’adozione di provvedimenti
del tutto nuovi per il tradizionale processo amministrativo: decreti ingiuntivi e ordinanze anticipatorie di condanna ex artt. 186-bis e 186-ter c.p.c., ammessi al fine di consentire al giudice
amministrativo l’adeguata ed effettiva tutela delle nuove posizioni di diritto soggettivo a contenuto patrimoniale ora sottoposte al suo vaglio e tipiche delle “controversie devolute alla
giurisdizione esclusiva” di quel giudice [28].
In termini generali, infatti, è utile certo tenere conto che è in atto un fenomeno di avvicinamento della giurisdizione di legittimità a quella esclusiva, manifestatosi anche e soprattutto con il riconoscimento del generalizzato potere del giudice amministrativo di conoscere dei profili risarcitori [29]: fenomeno che, rimarcato da attenta dottrina per evidenziare il progressivo accostamento del giudice amministrativo nel suo complesso al giudice ordinario [30], affonda la sua ineludibile ragione nell’esigenza di assicurare, anche nel giudizio amministrativo, una tutela piena alle posizioni soggettive vantate nei confronti dell’Amministrazione, non più connotata quindi da ormai inacettabili lacune e carenze di tecniche rimediali.
Si tratta, peraltro, di un processo inevitabile, probabilmente destinato a stimolare una graduale evoluzione complessiva dell’intero giudizio amministrativo, sì da ispirarne almeno in parte la conformazione alla “logica della spettanza”, ma che non intacca le ragioni della sua specialità, costituendone dato ineliminabile il sindacato dell’esercizio del potere (ancorchè condotto in un’ottica non più solo o necessariamente demolitoria) o, comunque, la valutazione del modo attraverso cui si dispiega un rapporto assoggettato a regole almeno in parte diverse da quelle proprie del diritto comune.
E’ altrettanto utile, tuttavia, non obliterare le diversità che
ancora permangono, sulla scorta della vigente disciplina processuale, tra giurisdizione di legittimità e giurisdizione esclusiva. Senza addentrarsi nella quanto mai complessa questione relativa alla natura delle posizioni dedotte nel giudizio risarcitorio, va dato atto delle perplessità manifestate in merito alla tesi
che identifica le controversie risarcitorie con una nuova “materia” devoluta alla giurisdizione esclusiva [32].
Si è in particolare rimarcata la difficoltà di ipotizzare
una “materia” senza confini, non delimitata cioè sulla scorta di un parametro di tipo contenutistico specifico ed omogeneo, ma connotata solo dalla specificità del potere cognitorio e decisorio
ascritto al giudice; una materia, peraltro, del tutto “trasversale”, destinata talvolta ad integrare la giurisdizione di legittimità e quella di merito, talaltra ad affiancarsi alle altre materie
devolute alla giurisdizione esclusiva [33].
La
profondità delle esposte argomentazioni non esclude, tuttavia, che meriti attenzione e meditata riflessione la tesi contrapposta intesa a ritenere l’ammissibilità di un’accezione di tipo
evolutivo del concetto stesso di “materia” cui ha riguardo l’art. 103 della Carta fondamentale, elaborata non già con riferimento ad un ambito contenutistico ben definito ma in considerazione
di differenti parametri, quale può essere quello, altrove preso in considerazione, relativo alle modalità comportamentali in relazione alle quali verte il contenzioso (è l’ipotesi degli accordi
di cui all’art. 11, l. n. 241/90) [34]. Si tratta di impostazione degna di
attenzione tanto più in considerazione delle tendenze evolutive dell’ordinamento amministrativo, sempre più connotato da una dequotazione della posizione autoritativa dell’amministrazione e dal
corrispondente riconoscimento in capo al privato di posizioni soggettive che, non ancora ben definite quanto alla collocazione dogmatica, evocano sempre più insistentemente la nozione di derivazione
civilistica del diritto all’affidamento nella altrui correttezza comportamentale.
4. I casi dubbi. Ipotesi in relazione alle quali
residua la giurisdizione del giudice ordinario: danno da attività materiale. Le implicazioni in punto di giurisdizione risarcitoria derivanti dall’art. 34, d.lgs. n. 80/98: occupazione, acquisitiva
e usurpativa, denuncia di inizio attività.
Passando, quindi, all’identificazione dei residui casi di
giurisdizione del giudice ordinario in relazione a controversie relative alla responsabilità della pubblica amministrazione, è necessario in via generale ricostruire il criterio di cui avvalersi in
sede di soluzione delle singole questioni. Orbene, il parametro discretivo lo enuncia il legislatore allorchè, nell’assegnare la cognizione di tutte le questioni relative all’eventuale
risarcimento del danno, delimita la sfera oggettuale entro cui i nuovi poteri cognitori e decisori del giudice amministrativo devono reputarsi ascritti ponendo la condizione che si sia “nell’ambito della sua giurisdizione”, indifferentemente, quindi, di legittimità od esclusiva. È necessario, pertanto, perché il profilo risarcitorio possa essere
conosciuto dal giudice amministrativo, che il danno lamentato sia stato cagionato da una attività o più in generale da una condotta assoggettata, quanto a sindacato, alla giurisdizione del giudice
amministrativo. Sono pertanto destinate a restare sottratti alla sfera cognitoria del giudice amministrativo le pretese risarcitorie aventi ad oggetto il danno dall’amministrazione arrecato mediante
comportamenti meramente materiali: si pensi al caso classico del pregiudizio da insidia stradale sofferto per effetto della cattiva manutenzione delle strade o da fauna selvatica ovvero ancora da
omesso controllo dell’amministrazione scolastica sulla condotta dei discenti. Si tratta di questioni risarcitorie che, in quanto afferenti lesioni derivanti da attività del tutto estranee al
tradizionale “ambito” della giurisdizione amministrativa, di legittimità ed esclusiva, non possono che continuare ad essere conosciute dal giudice ordinario. Non sempre, tuttavia, il danno da
comportamento materiale può dirsi sottratto al giudice amministrativo. La regola conosce un’importante eccezione innescata dalla previsione introdotta dall’art. 34, d. lgs. n. 80/98, a tenore del
quale, “sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie aventi ad oggetto gli atti, i provvedimenti e i comportamenti delle amministrazioni pubbliche e dei
soggetti alle stesse equiparati in materia urbanistica ed edilizia” [35]. Tra le più delicate questioni interpretative determinate dalla citata disposizione si
è imposta all’attenzione di un dibattito giurisprudenziale quanto mai articolato e vivace quella riguardante la riconducibilità entro il nuovo ambito
di giurisdizione esclusiva delle controversie relative alla c.d. accessione invertita: istituto di creazione pretoria almeno in parte
destinato a scomparire per effetto della prossiima
entrata in vigore del t.u. sull’espropriazione per pubblica utilità (d.p.r. 8 giugno 2001, n. 327) [36]. Dibattito che assume connotati di
ancor più intensa consistenza per effetto della necessità di distinguere tra le ipotesi di c.d. occupazione acquisitiva e quelle di c.d. occupazione usurpativa.
Dopo non poche oscillazioni interpretative tanto da parte del giudice
ordinario, quanto da parte del giudice amministrativo [37], le Sezioni unite di Cassazione sono giunte a sollevare
questione di costituzionalità - per eccesso di delega - del citato art. 34, nel presupposto che esso trasferisca al giudice amministrativo "per l’indicato settore delle espropriazioni, le
controversie in cui si faccia valere il diritto alla riacquisizione del bene occupato senza titolo (per originaria carenza o successiva inefficacia del titolo stesso), il diritto al risarcimento del
danno per occupazione illegittima, od il diritto al risarcimento del danno prodotto dal tradursi dell’occupazione medesima nella cosiddetta accessione invertita od espropriazione sostanziale". Nel dettaglio, le Sezioni unite, sul presupposto della riconducibilità delle controversie in tema di occupazione appropriativa nell’alveo di efficacia dell’art.
34, d.l.gs. n. 80/98, hanno tacciato la stessa disposizione di contrasto con l’art. 76 Cost. per eccesso di delega nella parte in cui devolve al giudice amministrativo le controversie relative a
diritti soggettivi connessi a comportamenti materiali dell’amministrazione in procedure espropriative: ad avviso della Suprema corte nella legge delegata mancherebbe ogni accenno ai diritti
scaturenti da comportamenti dell’amministrazione [38].
A tale esito interpretativo è per vero consentito giungere sulla scorta di una pluralità di argomenti.
Oltre all’espresso riferimento ai “comportamenti” [39]
contenuto nel primo comma della citata disposizione, infatti, militano in favore della tesi estensiva almeno due considerazioni, entrambe desunte dalla formulazione testuale della previsione in esame.
Da un lato, la materia urbanistica, ai sensi dello stesso art. 34, co. 2, d.lgs. n. 80/98, comprende "tutti gli aspetti dell’uso del territorio": si tratta, quindi,
di nozione volutamente ampia della materia intesa a ricomprendere non solo il momento propriamente programmatorio, ma anche quello per così dire gestionale [40].
La descritta nozione di urbanistica è ampia al punto da assorbire tutti gli aspetti dell’uso del territorio. Essa si estende ai procedimenti di esproprio, comprensivi sia
della dichiarazione di pubblica utilità, sia degli atti di occupazione d’urgenza e relativi comportamenti esecutivi, come confermato da due argomenti entrambi decisivi, l’uno di carattere
letterale e l’altro teleologico.
Il primo è quello desunto dal successivo comma 3 dell’art. 34, che espressamente sottrae alla giurisdizione del giudice amministrativo le controversie in materia di
indennità derivanti da atti di natura espropriativa od ablativa [41]. La circostanza che
il legislatore abbia avvertito l’esigenza di introdurre questa precisazione conferma la precisa intenzione di assegnare alla materia urbanistica la latitudine necessaria a coprire anche il
procedimento di espropriazione.
D’altra parte, il riferimento alle sole controversie in materia di indennità non è idoneo a ricomprendere il contenzioso in tema di occupazione invertita, fonte di un
obbligo di risarcimento e non di mero indennizzo.
Sul versante teleologico non può non sottolinearsi lo stretto legame che intercorre tra la materia urbanistica e quella dell’espropriazione. Una diversa scelta sarebbe stata
difficilmente compatibile con l’esigenza di concentrazione e coordinamento di controversie tra loro collegate, oltre che con le ragioni stesse sottese alla creazione di forme di giurisdizione
esclusiva, volte a neutralizzare la difficoltà e la confusione innescate da criteri insicuri di riparto della giurisdizione in settori cruciali.
“Renderebbe un pessimo servizio alla pratica il legislatore che separasse questi due momenti, assegnando i profili controversi dell’uno e dell’altro a giudici appartenenti
a diverse giurisdizioni. Sicché il settore delle espropriazioni è assorbito nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sulla materia dell’urbanistica” [42].
L’esposto indirizzo ermeneutico è fatto proprio dall’art.
53 del non ancora vigente testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica utilità a tenore del quale “sono devolute alla giurisdizione esclusiva
del giudice amministrativo le controversie aventi per oggetto gli atti, i provvedimenti, gli accordi e i comportamenti delle amministrazioni pubbliche e dei soggetti ad esse equiparati, conseguenti
alla applicazione delle disposizioni del testo unico”; per completezza espositiva, si consideri che il comma 2 prevede l’applicazione della disciplina di cui all’art. 23 bis, l. Tar, ai “giudizi
relativi alle procedure di occupazione e di espropriazione delle aree destinate all’esecuzione di opere pubbliche o di pubblica utilità”, mentre il comma 3 conferma che “resta ferma la
giurisdizione del giudice ordinario per le controversie riguardanti la determinazione e la corresponsione delle indennità in conseguenza dell’adozione di atti di natura espropriativi o ablativa”.
Concludendo, può dunque sostenersi, in linea con l’ormai dominante giurisprudenza, che l’espressa indicazione dei comportamenti, oltre che degli atti e dei provvedimenti,
quale oggetto del settore contenzioso devoluto alla nuova giurisdizione esclusiva ex art. 34, d.lgs. n. 80/98 e la possibilità di ricomprendere anche la materia espropriativa nella lata nozione di
urbanistica fornita dalla medesima previsione militano in favore della appartenenza al giudice amministrativo ai sensi degli artt. 34 e 35, d.lgs. n. 80/98 delle controversie innescate dai fenomeni di
occupazione acquisitiva, ivi compresi i profili risarcitori [43].
Sullo sfondo vi è, tuttavia, l’assunto della stretta interferenza tra la materia urbanistica, di cui l’art. 34, co. 2°, fornisce una nozione molto ampia, comprensiva di
“tutti gli aspetti dell’uso del territorio”, e quella espropriativa, così ricompresa nella prima quale momento di attuazione delle più ampie scelte programmatorie [44].
Proprio la difficoltà di ravvisare tale stretta connessione con la fase di vera e propria programmazione suscita
serie perplessità quanto alla riconducibilità entro l’ambito di efficacia dell’art. 34, d.lgs. n. 80/98, del contenzioso riguardante l’occupazione non acquisitiva, bensì quella usurpativa, caratterizzata dalla mancanza di dichiarazione di pubblica utilità e, sul versante disciplinare, dalla non assoggettabilità, per
indirizzo della più recente giurisprudenza, alle previsioni dettate dall’art. 5 bis della legge n. 359/1992 in
tema di riduzione del quantum dovuto a titolo di risarcimento dei danni [45].
In caso di occupazione usurpativa non è agevole infatti configurare il comportamento dell'amministrazione come momento di attuazione della gestione territoriale.
In tale direzione si è di recente mosso il Consiglio di Stato secondo cui in difetto di una valida e perdurante dichiarazione di pubblica utilità dell’opera in ragione della quale è
stata disposta l’espropriazione di un fondo non si realizza il fenomeno della c.d. accessione invertita, ma soltanto un fatto illecito, generatore di danno, in relazione al quale, quindi, si radica
la giurisdizione del giudice ordinario[46].
Sempre al fine di delimitare l’ambito della cognizione da assegnare al giudice amministrativo in tema di risarcimento del danno, giova ancora
osservare che tra i comportamenti cui ha riguardo l’art. 34, d.lgs. 80/98, vanno inclusi inclusi, oltre a quelli illeciti [47], il silenzio dell’amministrazione, nonché il controllo che all’amministrazione compete a fronte della presentazione di denuncia di inizio attività [48].
Va esclusa, a quest’ultimo riguardo, nonostante alcune pronunce di segno contrario [49], la possibilità di un’impugnazione diretta della denuncia, attesa la natura non certo provvedimentale del titolo abilitativo di formazione privatistica.
Potrebbe, viceversa, ammettersi la tutela del terzo innanzi al giudice amministrativo in forza del citato art. 34, d.lgs. n. 80/98.
Deve riconoscersi, infatti, che il terzo possa lamentare, in prospettiva risarcitoria, il comportamento dell’amministrazione che abbia omesso di inibire l’attività edificatoria rappresentata con la denuncia di inizio attività reputata irregolare[50]: sempre che il terzo si dolga di una condotta omissiva dell’amministrazione comunale che, in quanto violativa del dovere di verificare la regolarità urbanistico edilizia del progetto, abbia finito per cagionare il sacrificio del proprio diritto dominicale. Tra i comportamenti sono stati inoltre ricompresi la mancata stipulazione di una convenzione di attuazione di un piano urbanistico [51], nonché la omessa vigilanza e la mancata tempestiva adozione di varianti nella fase di attuazione di un piano di lottizzazione che abbiano cagionato un danno [52]. Devono reputarsi viceversa estranei all’ambito di operatività dell’art. 34, d.lgs. 80/98, se non altro perché in alcun modo interferenti con l’uso del territorio, le controversie relative alle attività di diritto privato [53], comprese quelle di semplice vicinato tra proprietà, pubblica e/o privata [54].
4.1. Danno da attività giuridica di tipo ricognitivo.
La giurisdizione del giudice ordinario permane in talune ipotesi anche in relazione alle questioni risarcitorie aventi ad oggetto danno da attività non materiale, ma al
contrario squisitamente giuridica dell’amministrazione.
Si ha riguardo, in particolare, alle non infrequenti fattispecie in cui l’atto dell’amministrazione, in quanto adottato sulla base di riscontro di tipo vincolato in merito
alla sussistenza dei presupposti richiesti dalla norma per la produzione di taluni effetti, assume natura meramente dichiarativa [55], privo in quanto tale di quell’attitudine degradatoria che sola determina l’afferenza
a posizione di interessi legittimi della conseguente controversia: ne deriva, quindi, che non si verte “nell’ambito” della giurisdizione del giudice amministrativo, come imposto dall’art. 7,
co. 3°, l. n. 1034/71, perché possa riconoscersi la titolarità in capo al giudice amministrativo del potere di conoscere dei profili risarcitori.
Si pensi, per esempio, ai danni derivanti dall’erroneo disconoscimento dei presupposti richiesti per l’iscrizione o la permanenza nelle liste di collocamento.
Ed invero, come ripetutamente ribadito dalle Sezioni unite di Cassazione, in tema di collocamento obbligatorio di invalidi e minorati ai sensi della l. n. 482 del 1968,
l'iscrizione negli elenchi previsti dalla predetta legge non ha efficacia costitutiva dello status di invalido, ma si configura come atto di accertamento dei requisiti previsti dalla norma, con la conseguenza che i soggetti che si trovano nelle condizioni prescritte possono
vantare un vero e proprio diritto soggettivo all'iscrizione nei suddetti elenchi e che le relative controversie vanno devolute alla giurisdizione del giudice ordinario [56].
Nel dettaglio, è stato osservato che l'iscrizione nelle liste del collocamento obbligatorio, a norma della l. n. 482 del 1968 (ora abrogata e sostituita dalla l. n. 68 del
1999) si configura come atto di accertamento dei requisiti previsti dalla disciplina di settore, sicché la p.a. svolge un'attività di mera «certazione», che può presupporre valutazioni basate
sulla discrezionalità tecnica (probabilmente su un mero accertamento ancorché tecnico) e non anche sulla discrezionalità amministrativa; ne consegue che i soggetti che si trovano nelle condizioni
prescritte possono vantare un diritto soggettivo all'iscrizione nei suddetti elenchi, e che le controversie in materia appartengono alla giurisdizione del giudice ordinario [57].
4.2. Risarcimento del danno nel settore del pubblico impiego.
Non sempre agevole la
soluzione dei problemi di riparto con riguardo alle controversie risarcitorie connesse alla materia dell’impiego alle dipendenze dell’amministrazione.
Nessuna difficoltà si pone allorchè
la pretesa risarcitoria sia avanzata da dipendenti rientranti nelle categorie escluse dal processo di privatizzazione (art. 2, comma 4 del D.lgs. 29/93 ora art. 3 del D.lsg 165 del 2001), per le quali
permane il carattere pubblico del rapporto con il conseguente perdurare della giurisdizione esclusiva del G.A.
Si tratta delle seguenti categorie:
a)
magistrati ordinari, amministrativi e contabili;
b)
gli avvocati e procuratori dello Stato;
c)
il personale militare e quello delle forze di polizia;
d) il personale appartenente alle carriere prefettizie e diplomatiche a partire dal vice-consigliere di Prefettura;
e) i soggetti impiegati nelle attività di cui all'art. 1 del D.Lgs. C.P.S. 17 luglio 1947 n. 691 e dalle ll. 4 giugno 1985, n. 281 e 10 ottobre 1990, n. 287 (vale a dire
quelle afferenti la tutela del risparmio ed il mercato dei valori mobiliari, la tutela della concorrenza del mercato), i dipendenti della Consob, i dipendenti dell'Autorità garante della concorrenza
e del mercato, i dipendenti dell'Autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità [58] e dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni[59].
Per siffatte categorie
non resta che rinviare a quanto osservato in termini generali in sede di esame degli artt. 35, co. 1, d.lgs n. 80/98 (ora esteso a tutte le materie di giurisdizione esclusiva dopo la legge 205/2000 e
non più limitato, come in origine, alle materie di cui agli artt. 33 e 34) e 7, co. 3°, l. n. 1034/71.
La natura esclusiva
della giurisdizione implica, peraltro, l’operatività dell’intera disciplina dettata dall’art. 35, d.lgs. n. 80/98, in specie con riguardo all’armamentario istruttorio ora riconosciuto al
giudice amministrativo dal comma 3° ed al meccanismo di liquidazione del danno di cui al precedente comma 2°.
Le difficoltà sorgono
allorché il danno sia chiesto in relazione ad attività espletata in seno a rapporto di impiego privatizzato.
Come è noto, l'art. 68
del decreto legislativo del 1993, ora confluito nell’art. 63 del D.lgs. 165 del 2001, assegna al Giudice ordinario la giurisdizione generale per tutte le controversie relative ai rapporti di lavoro
alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni e, in particolare, l'assunzione al lavoro, l'indennità di fine rapporto, il conferimento e la revoca degli incarichi dirigenziali e la responsabilità
dirigenziale, le controversie relative ai comportamenti antisindacali, nonché quelle attinenti alla contrattazione collettiva promosse dall'ARAN, dalla P.A. o dalle organizzazioni sindacali.
Residua in capo al
giudice amministrativo la giurisdizione sulle procedure concorsuali di ammissione, antecedenti quindi la costituzione del rapporto e all’evidenza connotate dall’espletamento di attività a matrice
spiccatamente pubblicistica.
Le indicate previsioni hanno suscitato non poche difficoltà in sede di delimitazione degli spazi di giurisdizione propri del giudice ordinario e di quello amministrativo:
difficoltà destinate di riflesso a riverberarsi sul tema relativo all’individuazione del giudice dinanzi al quale spiccare eventuali azioni risarcitorie.
Come rilevato, mentre
il comma 4 dell'art. 68 (ora art. 63 T.U. del 2001) assegna alla giurisdizione amministrativa le controversie concernenti le « procedure concorsuali per l'assunzione dei dipendenti delle pubbliche
amministrazioni », il primo comma della medesima disposizione affida al giudice ordinario le controversie circa « l'assunzione al lavoro ».
Al giudice amministrativo è pertanto
riservato il contenzioso strettamente concernente la procedura concorsuale, dalla pubblicazione del bando all'approvazione della graduatoria dei vincitori [60]; ne consegue che i
danni asseritamente subiti per effetto di illegittimità verificatesi nella gestione della procedura selettiva vanno chiesti al giudice amministrativo ai sensi dell’art. 7, co. 3°, l. n. 1034/71,
trattandosi di controversia rientrante nella sua generale giurisdizione di legittimità, involgente posizioni di interesse legittimo, sol che si consideri l’afferenza della vecchia giurisdizione
esclusiva del G.A. alle mere controversie successive all'instaurazione del rapporto [61].
Tra questi, in particolare, quello da ritardata assunzione subito per effetto della illegittimità del provvedimento di approvazione della graduatoria: è il caso dell’aspirante ad un impiego presso l’amministrazione il quale, non collocatosi in posizione utile, chieda l’annullamento dell’atto di approvazione della graduatoria, oltre che il risarcimento del danno.
E’ utile sottolineare, al riguardo, che una questione di risarcimento del danno da ritardo nella assunzione può proporsi sia per la lesione del diritto soggettivo alla assunzione, da prospettare innanzi al giudice ordinario allorché, conclusa la procedura concorsuale con l’approvazione della graduatoria, l’amministrazione abbia tardato nella stipula del contratto con il vincitore del concorso [62], sia dinanzi al giudice amministrativo, nella diversa ipotesi in cui il soggetto non vincitore contesti la legittimità del provvedimento di approvazione della graduatoria istando oltre che per l’annullamento dell’atto anche per il conseguente risarcimento del danno. E’ questo il sistema di riparto, dunque, sulla scorta del rinnovato quadro normativo implicante il venir meno della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sulla materia del pubblico impiego.Per le vicende antecedenti al passaggio della giurisdizione al giudice ordinario, invece, è prevalente l’indirizzo secondo cui la pretesa al conseguimento delle retribuzioni non percepite per effetto della ritardata costituzione del rapporto di impiego pubblico vada azionata innanzi al giudice amministrativo in sede esclusiva collegandosi in via diretta e non occasionale al rapporto di lavoro già esistente, costituito con efficacia retroattiva: la questione non involge, pertanto, diritti patrimoniali consequenziali [63].
A regime, quindi, il riparto di giurisdizione va effettuato tenendo conto del petitum sostanziale: la controversia spetta al giudice amministrativo se viene impugnata la graduatoria al fine di ottenere il bene della vita dell’assunzione e il risarcimento del danno da ritardo derivante dalla illegittimità della graduatoria approvata, al giudice ordinario, invece, laddove, essendosi conclusa la procedura concorsuale con il riconoscimento in capo al ricorrente di un’utile collocazione in graduatoria, lo stesso si dolga del solo diniego o ritardo nell’assunzione in una prospettiva esclusivamente risarcitoria.
In termini una recente sentenza del Tar Sardegna [64], che ha per l’appunto fatto perno sulla natura della situazione giuridica sottostante per sciogliere il nodo della giurisdizione: se la contestazione attiene alla violazione di norme di azione dell’Amministrazione (come in caso di illegittimo espletamento di una procedura concorsuale, con conseguente annullamento da parte del G.A.), la situazione soggettiva dedotta si atteggia ad interesse legittimo alla corretta azione dell’amministrazione, sicché si radica la giurisdizione del giudice amministrativo [65]; se invece è in discussione il diritto soggettivo all’assunzione la domanda rientra nella giurisdizione del giudice ordinario [66].
Rinviando l’esame di
quest’ultima ipotesi e soffermando per ora l’attenzione sul caso in cui va riconosciuta la giurisdizione del giudice amministrativo avendo la
controversia ad oggetto la legittimità del procedimento concorsuale di selezione per l’accesso all’impiego pubblico, è utile esaminare nel merito la
questione relativa alla possibilità di condannare l’amministrazione al pagamento delle retribuzioni non percepite dal soggetto che abbia ottenuto l’annullamento di una graduatoria di concorso con
conseguente nomina ad efficacia retroattiva.
Opportuno appare rammentare che, per prevalente indirizzo giurisprudenziale, l’annullamento dell’atto della graduatoria concorsuale
illegittimo, pure seguito dall’adozione di un provvedimento di nomina con effetti retroattivi, non comporta anche il diritto di percepire le retribuzioni
dal momento della decorrenza della nomina non essendo stata eseguita la prestazione di servizio. Pur riconoscendo con
indirizzo costante il diritto alla piena reintegrazione giuridica ed economica del dipendente delle pubbliche amministrazioni in ipotesi di illegittima interruzione di un rapporto di lavoro già
instaurato [67], la giurisprudenza amministrativa
riconosce, in caso di illegittima mancata costituzione del rapporto di lavoro, ovvero di ritardo o diniego di assunzione, il diritto alla retrodatazione della nomina nella sola prospettiva della
reintegrazione giuridica, non anche il diritto alla corresponsione delle retribuzioni arretrate, atteso il mancato espletamento medio tempore della prestazione lavorativa [68].
Ne consegue, quindi, il carattere non del tutto satisfattivo della pronuncia demolitoria e della conseguente nomina “ora per allora” del concorrente non risultato vincitore per effetto di un’illegittima gestio della procedura selettiva: non risultano ristorati i danni economici verificatisi medio tempore per la mancata percezione delle retribuzioni.
Il recupero economico non può che essere conseguito, in sede processuale, avanzando domanda di risarcimento del danno prodotto dalla
tardiva assunzione.
E’ quanto ammesso da una recente sentenza del Tar Abruzzo che ha riconosciuto il diritto al risarcimento del danno per mancata percezione delle retribuzioni, derivante dalla tardiva assunzione in servizio [69].
In applicazione dei principi enunciati nella sentenza delle Sezioni unite di Cassazione n. 500/99 in relazione all’ipotesi di danno da lesione di interessi di tipo pretensivo, è stata così riconosciuta la sicura spettanza al ricorrente del bene della vita dell’assunzione, disposta con provvedimento di nomina retroattivo, parametrando il danno agli emolumenti non percepiti dalla data di decorrenza giuridica della nomina.
Si qualifica, dunque, in termini di interesse la posizione soggettiva da tutelare in via risarcitoria sul presupposto secondo cui la questione verte attorno alla corretta gestione della procedura concorsuale nell’ottica del conseguimento del bene della vita finale della assunzione tempestiva. Nella specifica ipotesi, infatti, la situazione soggettiva lesa in caso di ritardata assunzione si atteggia ad interesse legittimo in quanto correlata al corretto svolgimento della procedura concorsuale.Quanto, invece, alla tecnica risarcitoria, i giudici amministrativi hanno per lo più riconosciuto un risarcimento pari alle retribuzioni non percepite attesa la certezza (sempre che sussista) circa la spettanza del bene di cui va ristorato il ritardato conseguimento [70].
Il risarcimento è quindi pieno, non abbattuto come nelle differenti ipotesi in cui, attesa l’impossibilità di attendere ad un giudizio prognostico concluso con una valutazione di certezza circa la spettanza del bene negato dall’amministrazione, sia necessario ricorrere a risarcire il danno da perdita di chance, inteso come danno attuale derivante dalla lesione della possibilità di conseguire il risultato favorevole [71]. Criterio di valutazione e quantificazione, quest’ultimo, come noto, utilizzato di frequente dalla giurisprudenza amministrativa con riferimento alle ipotesi di danno da illegittimità della procedura per l’affidamento di lavori o servizi pubblici allorché non sia possibile una valutazione certa dell’esito della gara [72].
Come osservato, va viceversa
riconosciuta la giurisdizione del giudice ordinario per il contenzioso riguardante le assunzioni di tipo non concorsuale (ad esempio avviamento attraverso le
liste di collocamento), ancorché preceduto dall’espletamento di verifiche idoneative aventi ad oggetto la sussistenza dei requisiti soggettivi [73].
Non mancano tuttavia
ipotesi di confine di problematica collocazione in seno all’una o all’altra giurisdizione.
Tra queste, quella, cui si è già
fatto cenno, relativa al caso in cui l’amministrazione neghi o ritardi l'assunzione del soggetto utilmente posizionato nella graduatoria del concorso, in
relazione al quale prevale la tesi favorevole a ritenere che si radichi la giurisdizione ordinaria sul presupposto che si tratta di comportamenti successivi all'esaurimento del concorso e
all'approvazione quindi della graduatoria, oltre che sull’assunto secondo cui, privatizzato il rapporto e la sua stessa fase genetica, non sarebbe più
ravvisabile in capo al vincitore del concorso una posizione di interesse legittimo, bensì un vero e proprio diritto soggettivo [74].
Il mutato assetto del
riparto della giurisdizione, ora regolamentato dall’art. 63 del D. lgs. 165 del 2001, nonché l’applicazione dei principi del codice civile al rapporto di lavoro alle dipendenze della pubblica
amministrazione giustificano, quindi, una nuova ricostruzione dogmatica della natura della situazione soggettiva del vincitore del concorso, destinata ad atteggiarsi, una volta conclusa la procedura
selettiva, a vero e proprio diritto cui si contrappone l’obbligo dell’amministrazione di stipulare il contratto individuale di lavoro.
La giurisprudenza amministrativa antecedente alla c.d. privatizzazione del pubblico impiego riteneva infatti costantemente che anche il vincitore del concorso, utilmente posizionatosi in graduatoria, non vantasse un diritto soggettivo all’assunzione, ma un interesse legittimo rispetto alla emanazione del provvedimento di nomina.
Oggi, invece, a fronte di una parte minoritaria della dottrina e della giurisprudenza propense ancora a ritenere che non sia venuta meno la natura di interesse legittimo di tale situazione soggettiva [75], continuando essa ad essere fortemente connessa al perseguimento dell’interesse pubblico, si registra un fronte dottrinale e giurisprudenziale maggioritario [76] inteso a riconoscere, dopo e per effetto della proclamazione dei vincitori, un vero e proprio diritto all’assunzione: si sostiene, infatti, che l’atto di nomina perda natura di provvedimento amministrativo discrezionale [77], assumendo l’amministrazione, già con l’emanazione del bando, l’obbligo di concludere con il vincitore il contratto individuale di lavoro [78].
La giurisdizione
sarebbe dunque del giudice ordinario anche per quel che attiene alle pretese risarcitorie azionabili [79].
Viceversa, la prevalente giurisprudenza amministrativa[80] ha escluso la configurabilità di un diritto soggettivo alla assunzione allorchè si controverta di una mancata o illegittima applicazione dello scorrimento delle graduatorie per l’assunzione degli idonei, non sussistendo in questi casi alcun obbligo giuridico di assumere in capo all’amministrazione, cui spetta per contro decidere nella sua discrezionalità se avvalersi della graduatoria o bandire un nuovo concorso [81].
Diverso, ancora, il caso in cui l’amministrazione, deciso di avvalersi dello scorrimento
delle graduatorie, si determini all’indizione di nuovo concorso a seguito di rinuncia dei primi chiamati, non chiamando il soggetto posizionatosi al posto successivo. In tale ipotesi verrebbero in
gioco posizioni di diritto soggettivo, avendo l’amministrazione consolidato, con la scelta di avvalersi della graduatoria, la posizione di aspettativa degli idonei all’assunzione.
Significativi problemi si profilano,
inoltre, con riferimento alle controversie riguardanti i concorsi interni, le procedure concorsuali cioè relative a rapporti di lavoro già incardinati,
espletate al fine di assicurare la progressione in carriera di soggetti già legati da un rapporto con l'amministrazione [82].
Sulla questione sono intervenute le Sezioni unite di Cassazione [83] affermando la giurisdizione del giudice ordinario in materia, sull’assunto secondo cui si tratta di contenzioso involgente atti di gestione di un rapporto di lavoro già instaurato, non già, quindi, procedure concorsuali vere e proprie, tali dovendosi intendere, ai sensi del citato art. 68, co. 4°, solo quelle finalizzate all’assunzione.
Di non meno agevole soluzione le difficoltà sorte in relazione al contenzioso riguardante conferimento e revoca degli incarichi dirigenziali, dall’art. 63 del d.lgs. n. 165/2001 espressamente devoluto alla
giurisdizione del giudice ordinario.
Senza ripercorrere il complesso dibattito, ora ancor più stimolante per effetto delle novità
introdotte dalla legge n. 145 del 2002 recante “Disposizioni per il riordino della dirigenza statale e per favorire lo scambio di
esperienze e l’interazione tra pubblico e privato” [84], ci si
limita a dare atto del ripetuto intervento delle Sezioni unite giunte, sia pure sulla scorta di percorsi logici non sempre omogenei, a sostenere la devoluzione del settore di contenzioso in capo al
giudice ordinario [85].
Ad analoga conclusione parte della giurisprudenza perviene con riguardo al contenzioso relativo al conferimento di incarichi dirigenziali c.d. esterni pur non mancando arresti che optano per una soluzione più articolata del problema relativo al riparto di giurisdizione muovendo dal rilievo secondo cui la procedura selettiva per la individuazione del soggetto cui conferire l’incarico esterno sia da assimilare ai concorsi per l’assunzione dei pubblici dipendenti, posto che solo dopo il conferimento dell’incarico e la stipula del contratto verrebbe in essere il rapporto di lavoro di natura privatistica [86]: si ritiene, quindi, che mentre le controversie relative alla fase procedimentale rientrino nella giurisdizione del giudice amministrativo, quelle concernenti la fase di revoca dell'incarico vadano ascritte al giudice ordinario allorchè la stessa sia fondata sul ritenuto inadempimento di obblighi contrattuali, anziché su di una rivalutazione della procedura di scelta [87].
Ulteriore complicazione è infine quella derivante dalla necessità di
dare soluzione ai profili di diritto intertemporale.
L'art. 45, comma 17, del D.Lgs. 80/1998 prevede, al riguardo, l'attribuzione al giudice ordinario delle controversie contemplate
dall'art. 68 n. 29/93, « relative a questioni attinenti al periodo del rapporto di lavoro successivo al giugno 1998 ».
Si è quindi indicato,
quale discrimen temporale, non il momento in cui viene esercitata l'azione, bensì quello in cui è sorta la pretesa sostanziale.
Il criterio adottato,
peraltro, pone non poche difficoltà sol che si consideri l'unicità e la indivisibilità del rapporto, oltre che il carattere spesso permanente delle situazioni sulle quali si innesta la pretesa che
il dipendente intende azionare.
Sul punto, sono di recente intervenute
le Sezioni unite di Cassazione chiarendo l’irrilevanza del momento di instaurazione della controversia o di adozione di un certo atto giuridico o di
produzione dei suoi effetti ai fini della soluzione dei profili di giurisdizione, rispetto al quale assume rilievo il « dato storico dell'avverarsi dei fatti materiali e delle circostanze, cosí come
poste a base della pretesa avanzata, in relazione alla cui giuridica rilevanza sia insorta la controversia » [88]; sicché quando il dipendente adduce a fondamento della pretesa un comportamento illecito
permanente del datore di lavoro, si deve aver riguardo al momento di realizzazione del fatto dannoso e più precisamente a quello di cessazione della permanenza [89].
Diverso è tuttavia il caso in cui la
controversia tragga origine dalla lesione asseritamente arrecata alla sfera giuridica del dipendente da un atto lesivo dell’amministrazione, quale può per esempio essere una sanzione disciplinare.
Secondo un indirizzo già emerso in giurisprudenza, infatti, in ipotesi siffatta occorre avere riguardo non già all'epoca in cui si sono verificati i fatti valorizzati ai fini dell'incolpazione
disciplinare bensì alla data del provvedimento, essendo qui involta non già una posizione pretensiva, per la cui nascita è irrilevante l'atto negativo dell’amministrazione, ma una posizione
oppositiva, venuta in essere per effetto proprio dell’intervenuto atto datoriale a carattere lesivo [90].
Problematica, sempre
sotto il profilo intertemporale, appare l’individuazione del giudice allorché si tratti di azione risarcitoria spiccata dopo l’entrata in vigore della l. n. 205/2000, ma in relazione a
fattispecie lesive consumatesi anteriormente al passaggio del settore di contenzioso in esame in capo al giudice ordinario.
Si pensi ad una pretesa
risarcitoria fatta valere dopo il varo della legge di riforma del processo amministrativo ma correlata alla mancata assunzione di soggetto utilmente collocato in graduatoria all’esito di procedura
selettiva conclusasi prima del 1998.
La questione è stata esaminata da Tribunale Napoli, sez. III, sentenza 26 giugno 2002 n. 8738
dinanzi al quale era stata proposta azione risarcitoria da parte di un soggetto che, avendo partecipato ad un concorso pubblico bandito nel 1988 dalla U.S.L. 44 di Napoli, per la copertura di alcuni
posti di "coadiutore amministrativo", si era collocato nel 1991 in posizione utile ai fini dell’assunzione. L’amministrazione, tuttavia, agendo in autotutela, aveva deciso di non
approvare gli atti della procedura concorsuale provvedendo, anzi, alla loro revoca: determinazione impugnata e annullata dal Consiglio di Stato con decisione del 1997.
Non soddisfatto della successiva presa di posizione dell’Amministrazione la quale, dopo il giudicato amministrativo, si era limitata ad adottare l’atto di nomina con effetti
anche giuridici ex nunc, l’attore invocava la ricostruzione della carriera ai fini giuridici, economici e previdenziali proponendo ricorso per l’ottemperanza
innanzi al Consiglio di Stato il quale, accogliendone le richieste, imponeva all’amministrazione la retrodatazione a tutti gli effetti giuridici della nomina al 8 giugno 1992. Con la medesima
pronuncia il Consiglio precisava anche che, a fronte della avanzata richiesta di risarcimento del danno, sarebbe "spettato all’interessato dimostrare i reali pregiudizi subiti a seguito dell’illegittima
mancata assunzione, in sede di azione per il risarcimento per danni davanti al giudice ordinario".
Il Tribunale partenopeo ha quindi osservato che dal combinato disposto dell’art 7, lettera c), n. 1, della Legge 205/2000 (sostanzialmente reiterativo dell’art. 35 del DLgs
80/1998) – il quale prevede che "il giudice amministrativo, nelle controversie devolute alla sua giurisdizione esclusiva, dispone, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, il
risarcimento del danno ingiusto" – e dell’art. 7, comma 4°, della stessa Legge 205/2000 – il quale, sostituendo il primo periodo del terzo comma dell’art. 7 della Legge 1034/1971,
prevede che il TAR "nell’ambito della sua giurisdizione" (senza cioè alcun specifico riferimento alla giurisdizione esclusiva) "conosce anche di tutte le questioni relative all’eventuale
risarcimento del danno, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, e gli altri diritti patrimoniali consequenziali" – deriva che al Giudice amministrativo sia stata assegnata la
cognizione della materia risarcitoria non solo nelle materie ad esso assegnate in via di giurisdizione esclusiva, ma anche nelle materie rientranti nella generale giurisdizione di legittimità e cioè
relative alle situazioni soggettive qualificabili come interesse legittimo. Sulla base di tale ricostruzione del nuovo panorama normativo, quindi, ha dichiarato il difetto di giurisdizione del G.O. in
ordine all’azione con la quale era stata chiesta la condanna dell’Amministrazione al risarcimento del danno derivante dalla illegittima ritardata assunzione in servizio.
La pronuncia sembra fare applicazione, quindi, del principio di cui all’art. 5 c.p.c. a tenore del quale "la giurisdizione […] si determina con riguardo alla legge
vigente al momento di proposizione della domanda […]", in combinato disposto con le previsioni di cui all’art. art. 7, co. 3°, l. n. 1034/1971, laddove attribuisce al giudice amministrativo
la cognizione di tutte le questioni relative all'eventuale risarcimento del danno nelle materie devolute alla sua giurisdizione.
Ciò posto quanto alle principali questioni sul tappeto, deve ritenersi che, sulla scorta dell’odierno sistema di riparto, ogni qualvolta sussista la giurisdizione del giudice
ordinario allo stesso compete anche la tutela risarcitoria.
Innanzi al giudice ordinario, quindi, dovranno essere azionate pretese volte ad ottenere
il ristoro del danno subito, compreso quello alla vita e alla integrità fisica del dipendente pubblico.
In passato, in tempi di giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sulla materia del pubblico impiego, si riteneva, a quest'ultimo riguardo, la giurisdizione ordinaria se il dipendente esercitasse l’azione risarcitoria di tipo extracontrattuale, quella amministrativa, invece, allorché lo stesso facesse valere la violazione degli obblighi derivanti dal contratto o dalla legge circa la protezione delle condizioni di lavoro.
La questione è stata di recente esaminata da Cons. Stato, sez. VI, 12 agosto 2002, n. 4180 [91] che ha per l’appunto affrontato il profilo della giurisdizione con riferimento ad un’azione risarcitoria esercitata da un docente in relazione ai danni asseritamente subiti per effetto del comportamento vessatorio tenuto nei suoi confronti dal Preside dell’Istituto e consistente nella illegittima rimozione dalla cattedra, nel ripetuto diniego opposto alle richieste di permessi oltre che nella segnalazione alla Corte dei conti di informazioni non esatte: condotta nel suo complesso foriera di ostacoli all’espletamento della libera professione e di un’ingiusta lesione della stessa immagine professionale.
Nel confermare la sentenza con cui il Giudice amministrativo di prime cure, in applicazione del suddetto consueto criterio di riparto, ha declinato la giurisdizione, i Magistrati di Palazzo Spada hanno ribadito il principio, già enunciato in numerosi precedenti giurisprudenziali, secondo cui, “in ordine all’azione risarcitoria per la lesione dell’integrità fisica esercitata da soggetto legato da rapporto di pubblico impiego attribuito, prima del d. lgs. n. 29 del 1993 (…) alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, la qualificazione dell’azione in funzione del riparto di giurisdizione (azione contrattuale al g.a.; azione extracontrattuale al g.o.) deve avvenire, stante il carattere autonomo e prioritario della tutela del diritto assoluto alla vita ed all’integrità fisica, nel senso prevalente della extracontrattualità, non soltanto quando sia invocata espressamente la responsabilità aquiliana, ma pure tutte le volte che non emerga una precisa scelta del danneggiato in favore della responsabilità contrattuale, come nell’ipotesi in cui la richiesta risarcitoria non si riconnetta puntualmente all’inosservanza di una specifica obbligazione contrattuale”; in particolare, hanno osservato che “la semplice prospettazione dell’inosservanza dell’art. 2087 c.c. o di altre disposizioni legislative strumentali alla protezione delle condizioni di lavoro non è di per sé sola sufficiente a giustificare la qualificazione dell’azione come contrattuale, potendo detta citazione essere stata effettuata in funzione esclusiva della dimostrazione della sussistenza dell’elemento soggettivo e/o della configurabilità dell’illecito come extracontrattuale”.
Per effetto, invece, del rinnovato quadro normativo si registra oramai una concentrazione del contenzioso in capo al giudice ordinario.
Occorre, peraltro, tenere conto che anche in relazione alle controversie lavoristiche ora attratte alla giurisdizione del giudice ordinario non possono del tutto escludersi forme di intervento del giudice amministrativo.
Si
consideri, al riguardo, che in base all’art. 63, comma 2, del testo unico, il giudice ordinario, nelle materie in cui ha giurisdizione, esercita il suo sindacato “ancorché vengano in questione
atti amministrativi presupposti. Quando questi ultimi siano rilevanti ai fini della decisione, il giudice li disapplica, se illegittimi. L'impugnazione davanti al giudice amministrativo dell'atto
amministrativo rilevante nella controversia non e' causa di sospensione del processo.”
Se è riconosciuto, quindi, il potere del giudice ordinario di disapplicare i presupposti atti di macro-organizzazione concernenti, quindi, l’organizzazione complessiva degli uffici e indirettamente incidenti sul rapporto di lavoro del singolo dipendente, non può escludersi tuttavia che quegli stessi atti, in quanto muniti di attitudine immediatamente lesiva della situazione giuridica del dipendente, possano –o secondo taluni debbano [92]- essere impugnati immediatamente innanzi al giudice amministrativo (è il caso, ad esempio, della soppressione di uffici o della modifica della dotazione organica implicanti il trasferimento del dipendente).
In questi casi ed entro tali limiti residuerebbe, quindi, giusta la previsione di cui all’art. 7, co. 3°, l. n. 1034/71, un ambito cognitorio proprio del giudice amministrativo esteso alle domande con le quali si chiede il risarcimento del danno asseritamente subito per effetto dell’atto di macroorganizzazione.
4.3. Danno da omessa vigilanza e art. 33, d.lgs. n. 80/98: la responsabilità delle Autorità indipendenti.
Salvo quanto si dirà con riguardo al Garante per i dati personali, va ormai esclusa la permanenza di un ambito di giurisdizione proprio del giudice ordinario sul contenzioso
riguardante la responsabilità delle c.d. autorità indipendenti per illegittimo, omesso o insufficiente esercizio delle attività di controllo e vigilanza loro assegnate in relazione ai settori di
rispettiva pertinenza.
Quanto alla astratta ammissibilità di siffatta responsabilità, la stessa va senz’altro
riconosciuta, tanto più dopo la svolta segnata dalla sentenza delle Sezioni unite n. 500/99, per quel che riguarda le lesioni arrecate direttamente ai soggetti sottoposti all’esercizio delle
attività di vigilanza e controllo: anche a voler qualificare come di interesse la posizione di chi è assoggettato all’espletamento di tali compiti istituzionalmente ascritti alle autorità, la
responsabilità di tipo risarcitorio non può essere più pregiudizialmente esclusa.
Ad un esito positivo la giurisprudenza è ormai giunta, peraltro, anche per quel che attiene alla differente questione della responsabilità per i danni derivanti dall’illegittima
omissione o carenza del dovuto controllo in capo ai soggetti dall’ordinamento tutelati mediante l’istituzione degli organismi di vigilanza, quali consumatori, risparmiatori, utenti.
Senza per vero esaminare la difficile questione relativa alla definizione della natura giuridica ascrivibile alla posizione soggettiva dagli stessi vantata, probabilmente
sussumibile nella categoria dell’interesse all’integrità patrimoniale, anziché in quella dell’interesse legittimo (non essendo agevole qualificarla come situazione di interesse differenziato
alla legittimità dell’azione amministrativa) [93], la Suprema corte ha infatti di recente ammessa la ipotizzabilità di una responsabilità della Consob per i danni subiti dai risparmiatori coinvolti in
operazioni di sottoscrizione di titoli azionari in relazione alle quali l’organo di vigilanza non abbia esercitato i riconosciuti poteri di vigilanza [94].
Nel dettaglio, la Corte di cassazione, pronunciandosi in relazione a vicenda anteriore all’entrata in vigore del d.lgs. n. 80/98, ha osservato che, una volta
accertato che ex actis risultava la falsità di essenziali dati della prescritta comunicazione e della necessaria
informazione pubblica (il prospetto), l’organo pubblico istituzionalmente preposto ad assicurare l’effettività di minimi standards informativi avesse la potestà legale di intervenire con
iniziative istruttorie, integrative, repressive su operazioni che, prima facie, quel livello di veridica informazione non fornivano.
Richiamando la disciplina dettata dalla legge n. 77/83, in particolare, i giudici di Cassazione hanno osservato che la “Consob, fermo restando il potere (articolo 18
comma 3°) di innovare alle proprie metodologie informative dell’offerta e di pretendere l’addizione dei dati (rispetto a quelli generalmente richiesti), aveva poi il ben più penetrante e diffuso
potere di controllo della completezza-veridicità delle notizie (articolo 18quater) lungo tutto l’arco procedimentale corrente dalla data della comunicazione della operazione, un potere espressivo
della scelta legislativa di assegnare alla Consob la massima funzione di garante della legalità dell’agire delle società e tradotto in plurime potestà di intervento (articoli 3-4),
significativamente richiamate per la fase del controllo dell’operazione di sollecitazione del pubblico risparmio (articolo 18quater cit.), tra le quali, e per quel che rileva, la potestà di
disporre esibizioni ed integrazioni documentali, ispezioni ed inchieste, al fine di accertare ...l’esattezza e completezza dei dati e delle notizie comunicati o pubblicati.... Ed a chiusura
razionale di tale sistema di poteri, sussisteva, poi, la potestà (articolo 18 comma 4) di vietare in limine l’operazione o di intervenire nel suo corso (non già, come ripetutamente quanto
inutilmente ribadito dalla sentenza impugnata, per l’inopportunità o la rischiosità della stessa bensì) per l’inosservanza delle prescrizioni generali o speciali – poste a garanzia
della genuinità dei richiesti standards informativi”; sicchè, “se è indiscutibile che appartenga alla sfera riservata alle scelte dell’organo quella di utilizzare questo o quello strumento
istruttorio, correttivo, repressivo a fronte di elementi di incompletezza o non veridicità della comunicazione di cui all’articolo 18, è altrettanto indiscutibile – trattandosi di strumenti
assegnati all’organo pubblico per l’esercizio di una funzione di vigilanza – che l’omissione di alcuna iniziativa funzionale allo scopo assegnato non può trovare esimente nell’appartenenza
anche di tale omissione all’ambito della funzione stessa, tal funzione avendo oltre i noti limiti esterni della imparzialità, correttezza e buona amministrazione (Su 500/99 cit.) il vincolo interno
costituito dalla attivazione della vigilanza nell’interesse pubblico, quello che questa Corte ha già avuto occasione di definire come l’interesse alla trasparenza del mercato dei valori mobiliari
(Cassazione 10976/96). …. ipotizzare che l’intero procedimento di comunicazione di dati, di allegazione di documentazione e di pubblicazione del prospetto riassuntivo fosse stato ideato al solo
fine di consentire una programmata pubblicità della operazione ed affermare che in tal quadro alla Consob spettasse solo di regolare-integrare i modi di pubblicizzazione, significherebbe ridurre il
ruolo dell’Organo di garanzia a quello di un ufficio di deposito atti, con la ineluttabile conseguenza di veder attribuita ad un organo in tesi privo di alcun potere di controllo sulla veridicità
degli atti il ruolo di pubblico promotore della genuinità degli atti quale dichiarata dagli interessati”.
Ciò posto quanto alla teorica ipotizzabilità di una responsabilità delle c.d. autorità di vigilanza per danni derivanti da illegittimo, omesso o insufficiente
esercizio dei compiti di vigilanza e controllo loro istituzionalmente assegnati, occorre esaminare il profilo della giurisdizione.
Il quadro è stato profondamente modificato per effetto dell’entrata in vigore dell’art. 33, d.lgs. n. 80/98, come riscritto dall’art. 7, l. n. 205/2000. Già nel panorama previdente operava, congiuntamente al consueto criterio di riparto fondato sulla consistenza della posizione soggettiva dedotta
in giudizio, una pluralità di previsioni intese ad assegnare al giudice amministrativo una cognizione esclusiva. Volendo passarle in rassegna, viene in considerazione l’art. 33 della legge 287 del 90, che ha attribuito la giurisdizione
esclusiva al giudice amministrativo sui provvedimenti amministrativi del Garante della Concorrenza, pur riservando al giudice ordinario la cognizione delle questioni relative al risarcimento del danno per le
nullità degli accordi anticoncorrenziali oltre che i poteri di urgenza (comma 2); la legge n. 481 del 95 che, in tema di servizi pubblici, ha fissato la giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo per quanto riguarda l’autorità dell’energia elettrica e del gas occupandosi anche del problema della competenza con la fissazione della competenza
territoriale del tribunale presso la sede dell’autorità [95]; la legge sull’autorità delle telecomunicazioni (la legge 249 del 97), che, all’art.
1 comma 26, prevede la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo; l’articolo 4 comma 7 della legge Merloni (legge 109/1994), come modificato dalla Merloni ter, legge 415/1998, che fissa la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo per quanto riguarda gli atti del Garante dei lavori
pubblici, con particolare riguardo ai provvedimenti sanzionatori.
Opzione diametralmente
opposta è stata effettuata, invece, con riguardo agli atti del Garante dei dati personali, posto che l’art. 29 della legge n. 675/1996 ha fissato la giurisdizione del giudice ordinario per tutte le controversie che derivano dall’applicazione della legge stessa: trattasi, peraltro, di scelta
senz’altro giustificata dal carattere per lo più privatistico delle controversie in questione, oltre che dalla difficile emersione nella materia de qua
di posizioni di interesse legittimo, se solo si considera che la legge si pone a tutela di un diritto fondamentale difficilmente affievolibile quale la riservatezza. Resta, tuttavia, ferma la
giurisdizione del giudice amministrativo ex art. 25, l. n. 241/90, laddove si verta in tema di accesso a documenti amministrativi concernenti dati protetti ai sensi della legge sulla privacy .
Per tutte le altre Authotities (Banca d’Italia, Consob, Isvap), invece, restava fermo il tradizionale criterio di riparto. Lo scenario muta
radicalmente per effetto delle novità introdotte dal d.lgs. n. 80/98 che ha dilatato la scelta per la giurisdizione esclusiva toccando in modo trasversale, in chiave ricognitiva o costitutiva,
numerose autorità indipendenti.
L’art. 33, come da ultimo modificato, estende la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo a tutte le controversie in materia di servizi pubblici, ivi compresi quelli afferenti alla vigilanza sul credito, sulle assicurazioni e sul mercato mobiliare, al servizio farmaceutico, ai trasporti alle telecomunicazioni ed ai servizi di cui alla legge 14 novembre 1995, n. 481.
Il riferimento all’attività di vigilanza, dalla legge n. 205/2000 esteso oltre che all’attività assicurativa al mercato mobiliare e al credito, costituisce senza dubbio un’anomalia nel più ampio contesto del citato art. 33.
Pare arduo, infatti, scindere e distinguere, dal punto di vista della qualificazione in termini di pubblico servizio, l’attività assicurativa da quella afferente la relativa vigilanza: “l’attività di regolazione di un settore non è, ordinariamente, un pubblico servizio”, tale essendo, anche alla stregua dell’accezione oggettiva, “l’attività vigilata, non l’attività di vigilanza”.
In realtà, l’intento perseguito dal legislatore è quello di realizzare un’omogeneizzazione processuale delle attività svolte da organismi in qualche modo preposti all’espletamento di funzioni tutorie, oltre che di regolazione: a tal fine il legislatore del 2000 ha per l’appunto ricompreso nel perimetro della nuova giurisdizione del giudice amministrativo gli atti della Banca d’Italia, in uno a quelli dell’Isvap e della Consob, al pari di quanto già si verificava per gli atti delle Autorità istituite con ll. nn. 287/90, 481 del 1995, 247/97 [96].
La disposizione, quindi, se da un lato conferma la scelta per la giurisdizione esclusiva compiuta dalle leggi citate per quanto riguarda le autorità in materia di servizi pubblici, ossia l’autorità per l’energia elettrica ed il gas e l’autorità per le telecomunicazioni, fissa invece in modo innovativo la giurisdizione esclusiva con riferimento all’ISVAP, alla Banca d’ Italia e alla Consob, visto che il legislatore si occupa dei servizi pubblici in generale, e poi specifica il servizio della vigilanza sul credito , sulle assicurazioni e sul mercato immobiliare.
Ne deriva che per dette autorità
indipendenti, prima interessate dal riparto di giurisdizione sulla base della causa petendi con conseguente radicarsi della
giurisdizione amministrativa di sola legittimità in tema di interessi legittimi, il decreto del 1998 attribuisce carattere esclusivo alla giurisdizione.
Ne consegue, quindi, l’ascrizione in capo al giudice amministrativo
della cognizione sulle pretese aventi ad oggetto il risarcimento del danno derivante dalle condotte attive od omissive delle stesse Autorità, giusto il disposto dell’art. 35, co. 1°, d.lgs. n.
80/98: indifferente, quindi, la circostanza che le stesse siano avanzate dai soggetti sottoposti al controllo ed alla vigilanza di siffatti organismi indipendenti ovvero da coloro per la salvaguardia
dei quali le medesime funzioni di vigilanza sono istituzionalmente riconosciute.
Attesa la persistente previsione di cui al citato art. 29, l. n. 675/96, residua invece la giurisdizione del giudice ordinario sulle controversie risarcitorie che
coinvolgono il garante per la privacy, sia in contestazione il mancato intervento dello stesso ovvero l’adozione di provvedimenti asseritamente dannosi. Resta ferma, tuttavia, ai sensi dell’art.
7, co. 3, l. n. 1034/71, la giurisdizione del giudice amministrativo per i danni connessi all’attività espletata dall’amministrazione in relazione alle richieste di ostensione di atti, ancorchè
contenenti dati involgenti la sfera personale del terzo: come rilevato, infatti, si tratta di settore di contenzioso proprio di quel giudice ex art, 25, l. n. 241/90.
L’indicata
giurisdizione del giudice ordinario non può essere del resto messa in dubbio valorizzando la portata testuale dell’art. 4, l. n. 205/2000, che, nel coniare e disciplinare un rito improntato a
canoni di particolare celerità con riguardo a talune tipologie di controversie, ha riguardo, senza distinzioni, a quelle riguardanti i “provvedimenti delle autorità amministrative indipendenti”
(lett. d).
Non è consentito
trascurare, infatti, che, nel complessivo impianto della l. n. 205/2000, il citato art. 4 è disposizione sul processo, non già certo sulla giurisdizione, intesa, quindi, a dettare regole di
accelerazione processuale da osservare per talune categorie di controversie, a condizione, tuttavia, che sussista la giurisdizione del giudice amministrativo.
La giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo resta invece retta, anche in considerazione della peculiarità del delineato modello di riparto di cui si è detto, dalla legge n. 287/1990, per quel che riguarda il Garante della concorrenza: continua, così, ad essere riservata al giudice
ordinario la cognizione delle questioni relative al risarcimento del danno per le nullità degli accordi anticoncorrenziali, salvo a ritenere la previsione
implicitamente abrogata per effetto del successivo riconoscimento in testa al giudice amministrativo del potere di conoscere, in tutto il suo ambito di giurisdizione ed in specie in quello di tipo
esclusivo, dei profili risarcitoriv[97].
4.4. Danno da illegittimo esercizio di potestà sanzionatoria e art. 33, d.lgs. n. 80/98.
Ancora al giudice ordinario va riconosciuta la cognizione delle pretese aventi ed oggetto il danno subito in conseguenza dell’illegittima inflizione delle sanzioni
amministrative di tipo pecuniario cui ha riguardo la legge n. 689/81: le pretese involgono, infatti, questioni connesse all’adozione di atti il cui
vaglio di legittimità fuoriesce dall’ambito della generale giurisdizione di legittimità del giudice amministrativo, sicché non pare invocabile l’art. 7, co. 3, l. n. 1034/71.
Ad esito diverso deve pervenirsi, tuttavia, qualora la controversia riguardante l’attività sanzionatoria al cui contestato esercizio si riconnette l’azione risarcitoria sia
attratta nell’ambito della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo: in ipotesi siffatta spetta a quest’ultimo la cognizione anche delle pretese risarcitorie in applicazione dell’art.
35, co. 1, d. lgs. n. 80/98, oltre che del citato art. 7, co. 3, l. n. 1034/71.
La questione assume un certo rilievo interpretativo in sede di lettura dell’art. 33, co. 1, d. lgs. n. 80/98, a tenore del quale “sono devolute alla giurisdizione esclusiva
del giudice amministrativo tutte le controversie in materia di servizi pubblici, ivi compresi quelli afferenti alla vigilanza sul credito, sulle assicurazioni e sul mercato mobiliare, al servizio farmaceutico, ai trasporti alle telecomunicazioni ed ai servizi di cui alla legge 14 novembre 1995, n. 481”,
e comma 2, lett. c), in forza del quale nell’ambito della medesima giurisdizione rientra il contenziosi “in materia di vigilanza e di controllo nei confronti dei gestori dei pubblici servizi”.
Le difficoltà ermeneutiche sono dettate dalla necessità di coordinare le suindicate previsioni introdotte dal d.lgs. n. 80/98 con le discipline di settore che prevedono in talune ipotesi la giurisdizione del giudice ordinario: è quanto si verifica in relazione alle impugnazioni delle ordinanze-ingiunzioni adottate nell’esercizio dei poteri di vigilanza.
Il coordinamento delle due indicazioni normative potrebbe condurre a risultati diametralmente opposti a seconda che si adotti, quale canone di individuazione della disposizione applicabile, quello cronologico della lex posterior, la cui utilizzazione implicherebbe la concentrazione presso il giudice amministrativo di tutte le controversie in materia di vigilanza e controllo nei confronti dei gestori di pubblici servizi, ovvero quello inteso a distinguere tra poteri di vigilanza, attratti nella nuova giurisdizione esclusiva, e poteri sanzionatori in senso stretto, sottoposti alla giurisdizione del giudice ordinario, anche in applicazione di preesistenti disposizioni, ritenute prevalenti alla stregua del criterio della lex specialis.
Non mancano, per vero, precedenti giurisprudenziali che, formatisi in relazione alla questione della riconducibilità in altre materie riservate alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo di controversie concernenti l’impugnazione di provvedimenti sanzionatori, possono fornire indicazioni utili in sede di soluzione del dilemma prospettato.
Si può fare riferimento all’orientamento seguito dalle Sezioni unite di Cassazione in materia di poteri dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato: la l. 10 ottobre 1990, n. 287, da un lato, prevede che “i ricorsi avverso i provvedimenti amministrativi adottati sulla base delle disposizioni di cui ai titoli dal I al IV della presente legge rientrano nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo” (art. 33), dall’altro, stabilisce che “per le sanzioni amministrative pecuniarie conseguenti alla violazione della presente legge si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni contenute nel capo I, sezioni I e II, della legge 24 novembre 1981, n. 689” (art. 31), ossia quelle che, nell’integrare la disciplina generale in materia di sanzioni amministrative, dispongono la competenza funzionale del giudice ordinario sui giudizi di impugnazione delle ordinanze ingiunzione.
Come è noto, le Sezioni unite, mosse dall’intento di garantire la massima concentrazione dei giudizi nelle materie devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, hanno affermato che la cognizione dei ricorsi avverso i provvedimenti sanzionatori adottati dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato va riconosciuta, ai sensi dei citati artt. 31 e 33, al giudice amministrativo in sede esclusiva, precisando che il riferimento fatto dallo stesso art. 31 alle disposizioni della l. n. 689/81 è unicamente volto a richiamare la disciplina di taluni aspetti sostanziali dell’illecito o della procedura di irrogazione della sanzione e di riscossione (Cass. civ. sez. un., 5 gennaio 1994, n. 52).
Un’interpretazione diametralmente opposta è stata, invece, accolta nella sentenza, 15 aprile 1999, n. 181, del T.A.R. Liguria[98] resa su ricorso volto d impugnare l’ordinanza con cui il presidente della provincia di La Spezia ha ingiunto al direttore della centrale ENEL di zona il pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria, a seguito della realizzazione di una discarica ritenuta abusiva, atteso lo stoccaggio, in assenza della prescritta autorizzazione, di enormi quantità di ceneri umide derivanti dal funzionamento della centrale stessa.
E’ opportuno riportare le argomentazioni sviluppate dalla provincia resistente al fine di supportare la tesi, accolta dal giudice amministrativo, della non riconducibilità del potere sanzionatorio nella nozione di “vigilanza e controllo” utilizzata dall’art. 33, co. 2, lett. d).
La vigilanza e il controllo, infatti, sostiene la provincia, costituisce solo il presupposto dell’eventuale sanzione: la formulazione testuale della disposizione in commento, pertanto, impedisce che il giudice amministrativo possa giudicare della legittimità di un’ordinanza-ingiunzione di pagamento di una multa, espressione di un potere punitivo e sanzionatorio (parapenale), oggetto di esclusiva cognizione del giudice ordinario, non già manifestazione del potere di vigilanza e controllo.
L’approccio ermeneutico è accolto dal T.A.R. Liguria che, sia pure con riferimento alla disposizione in tema di edilizia ed urbanistica, afferma che la sanzione amministrativa pecuniaria, in quanto “espressione tipica di potere sanzionatorio, non sembra possa rientrare nell’ambito di applicazione dell’art. 34 G. Lgs. 31 marzo 1998, n. 80”.
La illustrata soluzione riduttiva delle potenzialità applicative dellart. 33, co. 2, lett. d), oltre che dell’art. 34, è stata sottoposta a stringenti rilievi critici, volti a sottolineare il paradossale contrasto che la stessa finisce per determinare in sede di coordinamento delle nuove previsioni normative con altre e previgenti disposizioni.
Si è osservato, infatti, con specifico riferimento all’edilizia, che esistevano già sfere di giurisdizione amministrativa estese all’impugnazione di provvedimenti amministrativi: nel dettaglio, l’art. 16, l. 28 gennaio 1977, n. 10, come interpretato dalle Sezioni unite di Cassazione, devolve alla cognizione del giudice amministrativo, non solo i ricorsi proposti avverso il provvedimento di concessione o di diniego della stessa, ma anche quelli concernenti la determinazione o liquidazione del contributo a carico del beneficiario della concessione, nonchè, per quel che più conta, l’irrogazione delle sanzioni [99].
L’interpretazione seguita dal T.A.R. Liguria, pertanto, induce “alternativamente a ritenere che la richiamata disposizione dell’art. 16 legge 28 gennaio 1977, n, 10, rimanga applicabile come lex specialis, introducendo così una asimmetria nel blocco di giurisdizione creato dall’art. 34 del D. Lgs. 31 marzo 1998, n. 80, in materia di urbanistica ed edilizia, oppure ad opinare che la disposizione debba ritenersi abrogata, con il paradossale risultato che il legislatore delegato avrebbe, sia pure marginalmente, ridotto la persistente giurisdizione del giudice amministrativo” [100].
Probabilmente, è più corretto sostenere, peraltro in linea con l’orientamento seguito dalle Sezioni unite di Cassazione in tema di provvedimenti sanzionatori dell’Autorià garante per la concorrenza ed il mercato, che la nuova giurisdizione esclusiva si estenda fino a ricomprendere le azioni relative alle ordinanze volte ad ingiungere il pagamento di sanzioni pecuniarie: anch’esse considerate quale manifestazione dei poteri di vigilanza.
Un implicito supporto alla tesi
estensiva si rinviene in Cons. Stato, sez. V, 9 novembre 1999, n. 2440 [101].
Sia pure nell’ambito di un ben
diverso percorso argomentativo, volto a porre in risalto i dubbi di legittimità costituzionale sollevati dalle nuove clausole di attribuzione della giurisdizione esclusiva, segnatamente nella parte
in cui sembrano estendere la cognizione del giudice amministrativo anche a domande di carattere patrimoniale, prive della benchè minima correlazione con gli interessi generali al corretto
espletamento del servizio pubblico, i Magistrati di Palazzo Spada prendono in considerazione, in modo incidentale il tema del riparto di giurisdizione in materia di sanzioni amministrative.
Al riguardo, osservano come,
aderendo alla tesi che, ritenendo prevalente il criterio speciale di riparto fissato dalla legge n. 689/1981, tiene ferma la giurisdizione ordinaria in materia di opposizione a sanzioni pecuniarie o
cumulative, ancorchè l’illecito amministrativo sia costituito dalla violazione di norme concernenti, in modo diretto e specifico, l’espletamento del servizio, le modalità della vigilanza
affidata agli organi amministrativi competenti e la stessa sanzione accessoria (...) incidente sullo svolgimento regolare del servizio, si perviene “ad un risultato interpretativo di dubbia
ragionevolezza”. Da un lato, infatti, “il giudice ordinario continua a conoscere di controversie che riguardano la liceità delle condotte dei soggetti privati nell’esercizio di pubblici
servizi, alla stregua di parametri normativi che, spesso, involgono, la valutazione della legittimità e della correttezza degli atti generali e particolari, adottati dalle autorità amministrative di
governo del settore”; dall’altro, “il giudice amministrativo è investito di controversie che concernono, puramente e semplicemente, le conseguenze dell’inadempimento di un’obbligazione
pecuniaria”.
4.5. Danno alla persona e giurisdizione. Il c.d. danno esistenziale e la sua risarcibilità in ipotesi di illegittimo
diniego di accesso.
Non agevole il tentativo di delimitare gli ambiti delle giurisdizioni con riferimento alle pretese risarcitorie aventi ad oggetto il danno alla persona asseritamente derivante
da iniziative assunte dall’amministrazione.
Il legislatore ha assunto un atteggiamento netto nel senso dell’estraneità di siffatto contenzioso rispetto alla sfera di cognizione del giudice amministrativo con la
previsione di cui all’art. 33, d.lgs. n. 80/98, riguardante, tuttavia, la sola materia dei servizi pubblici.
Ed invero, a tenore della lett. e) del comma 2° della citata disposizione, nella versione risultante per effetto delle novità introdotte dall’art. 7, l. n. 205/2000,
spettano al giudice amministrativo in sede esclusiva le controversie “riguardanti le attività e le prestazioni di ogni genere, anche di natura patrimoniale, rese nell’espletamento di pubblici
servizi, ivi comprese quelle rese nell’ambito del servizio sanitario nazionale e della pubblica istruzione, con esclusione dei rapporti individuali di utenza con soggetti privati, delle controversie meramente risarcitorie che riguardano il danno alla persona o a cose e delle controversie in materia di invalidità”.
Restano escluse dalla giurisdizione esclusiva non soltanto le controversie meramente risarcitorie riguardanti il danno alla persona (come già nell’originaria formulazione dell’art. 33, d. lgs. n. 80/98), ma anche quelle attinenti al danno alle cose, così evitandosi la paradossale eventualità che dal medesimo comportamento, causa al contempo di danni a persone e cose, prendano avvio due giudizi instaurati dinanzi a giudici differenti.
Al di fuori di tale ipotesi, tuttavia, anche le controversie riguardanti il danno alla persona sono destinate a ripartirsi tra i due giudici sulla scorta dei richiamati criteri
desumibili dall’illustrato quadro normativo, sicché non deve certo escludersi che anche il giudice amministrativo abbia ad imbattersi in pretese risarcitorie aventi ad oggetto peculiari voci di
danno, quale quello biologico ovvero quello, di recente emersione nel dibattito giurisprudenziale, c.d. esistenziale [102].
La questione è stata di recente esaminata dalle Sezioni unite di Cassazione con riferimento all’azione di risarcimento dei danni
conseguenti ad errori commessi dall’Università in seno a procedimenti di iscrizione a corsi universitari [103].
La pretesa risarcitoria, avanzata innanzi al Giudice di Pace di Bologna, aveva ad oggetto danni asseritamente sofferti in conseguenza dell’esclusione, dovuta ad un errore
materiale di calcolo, dalla graduatoria degli ammessi alla frequenza della Facoltà di Scienza della Comunicazione.
Nel condannare l’Università al risarcimento del danno quantificato in L. 750.000, il Giudice individuava il danno ristorabile nelle difficoltà incontrate dalla studentessa
nell’iscrizione ad altre Università, dovute al ritardo di oltre due mesi nella restituzione della tassa di iscrizione e nell’ansia e paura determinate dalla condotta del personale dell’amministrazione
“in relazione all’invito rivolto … per la personale presentazione”.
Nel confermare la correttezza in punto di giurisdizione della sentenza di primo grado, le Sezioni unite hanno rimarcato l’esattezza del criterio discretivo osservato, nella
parte in cui la spettanza al giudice ordinario della controversia è stata argomentata sull’assunto secondo cui non si trattava dell’impugnativa di un atto amministrativo, siccome affidata
esclusivamente al giudice amministrativo, bensì di un’azione intesa a far valere la responsabilità dell’ente pubblico per i danni subiti “in conseguenza nella specie di negligenze e leggerezze
commesse nell’esercizio di poteri di controllo, facendosi così valere nel caso un diritto soggettivo (v. Cass. S.U. 23.10.1997 n. 10453; Cass. S.U. 17.11.1998 n. 11575)”.
Nel merito, la segnalata vicenda processuale si segnala, invece, per aver individuato “nell’ansia” e nella “paura” determinate dal comportamento dell’amministrazione una voce di
danno risarcibile. Sulla stessa linea tracciata dalla indicata decisione delle Sezioni unite quanto al profilo della giurisdizione, si colloca la decisione del
Giudice di pace di Bologna [104] che ha risarcito il danno da stress causato da una pubblica amministrazione che, in violazione del principio del neminem laedere, non tenga conto delle legittime
aspettative di un candidato e comunichi con ritardo un motivo di esclusione dalle prove orali, così rendendo inutile l’impegno di preparazione a successive prove orali.
Non senza considerare che anche il danno da scorrettezza, allorché la stessa si manifesti in seno ad un procedimento
amministrativo attivato per l’esercizio di attività rientranti nell’“ambito” della giurisdizione amministrativo, va ricondotto alla cognizione del giudice amministrativo ai sensi del
riscritto art. 7, co. 3, l. n. 1034/71, va riconosciuta siffatta giurisdizione in relazione a pretese di risarcimento del danno alla persona connesso all’esercizio delle funzioni amministrative
ovvero a comportamenti rientranti in materie attratte alla giurisdizione esclusiva, sempre che non sussista un’espressa previsione eccettuativa quale quella di cui al richiamato art. 33, co. 2°,
lett. e), d.lgs. n. 80/98.
Non può escludersi, quindi, che anche il giudice amministrativo debba iniziare ad occuparsi dei danni arrecati da non condivise iniziative amministrative
non solo alla sfera patrimoniale della persona (per esempio per quel che concerne la mancata percezione di fonti di reddito o la mancata realizzazione di aspettative patrimoniali meramente
potenziali), ma anche alla vita o all’integrità fisica (si pensi ai pregiudizi subiti da chi sia stato arruolato per effetto di errori diagnostici nelle operazioni di valutazione dell’idoneità
fisica [105]) se non addirittura, in una prospettiva del tutto nuova per quell’istanza giurisdizionale, alla sfera esistenziale, a quel fascio di interessi nella “ricerca
del lavoro, nella prosecuzione di studi postuniversitari, nell'avvio di attività professionali od autonome, nei rapporti familiari” [106],
dalla dottrina compendiato con la elaborazione del c.d. “diritto al tempo di vita” [107].
Non priva di rilevo, a quest’ultimo riguardo, la questione relativa alla ristorabilità innanzi al giudice amministrativo dei danni di tipo non squisitamente patrimoniale derivanti da illegittima reiezione di istanza ostensiva.
Si tratta di problematica per vero non scandagliata in ambito giurisprudenziale e solo raramente emersa nel dibattito dottrinale [108].
Nessun dubbio può sorgere quanto alla appartenenza di
siffatte pretese risarcitorie alla giurisdizione amministrativa: può al più discutersi circa la invocabilità dell’art. 35, co. 1, d. lgs. n. 80/1998, posto che non è affatto certo che quello all’accesso
sia un vero e proprio diritto soggettivo e che sia conseguentemente esclusiva la giurisdizione in tale settore riconosciuta al giudice amministrativo, ma è senz’altro fuor di discussione l’applicabilità
dell’art. 7, co. 3°, l. n. 1034/1971, che, nella nuova formulazione, assegna a quel giudice la cognizione sui profili risarcitori ancorché connessi ad attività assoggettate alla generale
giurisdizione di legittimità [109].
Passando al merito della
questione, giova in primo luogo osservare come, ben prima della sentenza n. 500/1999 delle Sezioni unite di Cassazione e del successivo confronto tra le tesi che ascrivono natura aquiliana o
contrattuale da contatto alla responsabilità dell’amministrazione, si è registrato un interessante dibattito relativo alla natura della responsabilità appunto derivante dalla violazione della
normativa in tema di accesso.
Se da un lato, infatti,
si è rimarcata l'assenza di un vincolo contrattale tra P.A. e privato richiedente per desumere la etichettabilità della fattispecie risarcitoria per diniego illegittimo dell'accesso alla stregua di
responsabilità aquiliana sussumibile nella clausola generale di cui all'art. 2043 del codice civile [110], non è tuttavia mancata una ricostruzione, ispirata alla logica della responsabilità
contrattuale, secondo cui « potrebbe riconoscersi — e forse sarebbe più corretto — che la legge, ponendo a carico dell'amministrazione l'obbligo di organizzarsi per accettare e per eseguire
direttamente le richieste di accesso ai documenti amministrativi, costituisce un rapporto con il richiedente che sia titolare del corrispondente diritto (l'identità del richiedente viene conosciuta,
appunto, con la formulazione della richiesta). L'integrazione della disciplina del rapporto, per quanto attiene al luogo, al tempo ed alle modalità dell'esecuzione della prestazione dovuta, verrebbe
puntualmente soddisfatta dal ricorso alla disciplina delle obbligazioni in generale ». Si conclude pertanto, secondo tale tesi, che, stante l'applicabilità dei principi di buona fede e e della
correttezza, « la disciplina dell'obbligo ex lege posto a carico della P.A. di assicurare l'accesso ai documenti amministrativi, riceverebbe dalla disciplina
delle obbligazioni in generale una risposta anche alle questioni circa l'onere della prova e la prescrizione » [111].
Ancor più interessante,
tuttavia, si profila il tema relativo alla identificazione dei pregiudizi in astratto ristorabili in conseguenza dell’illegittimo diniego opposto a fronte di una fondata actio ad exhibendum.
Secondo una prima
impostazione, gli estremi della fattispecie illecita vanno rinvenuti non già nella mera lesione della posizione dell’accedente, autonomamente considerata, quanto piuttosto nella conculcazione
dell'integrità economica cagionata dal comportamento illecito nel quale si risolve l'attività provvedimentale della quale si sia accertata, anche se a posteriori, l'illegittimità.
“Sul versante
risarcitorio, in particolare, il pregiudizio non è ex se sotteso al mancato soddisfacimento del diritto di accesso ma alle conseguenze sfavorevoli che si determinano nel patrimonio del soggetto per le ingerenze, gli ostacoli e gli
impedimenti derivanti allo svolgimento della sua attività in virtù del mancato accesso. Sono sul punto richiamabili le ormai collaudate trame dottrinali a tenore delle quale cosí come non
necessariamente l'illecito richiede la violazione di un diritto soggettivo, parimenti la vulnerazione di quest'ultimo non è sufficiente per dare la stura ad un illecito extracontrattuale” [112].
Il problema si sposta,
allora, sul versante probatorio dovendo l’interessato dimostrare in sede processuale il pregiudizio patrimoniale patito per effetto della mancata
ostensione della documentazione richiesta.
Si è così ritenuto che,
nel caso in cui l'interesse giuridicamente rilevante che legittima l'istanza ex art. 22 della legge 241 sia un diritto soggettivo preesistente, il pregiudizio
potrà consistere nelle «maggiori difficoltà ed onerosità dell'esercizio di attività lecite causate da diniego illegittimo» [113].
Viceversa, allorché la
situazione sottostante assuma connotazione pretensiva, mirando ad un ampliamento della sfera giuridica per effetto di un successivo provvedimento amministrativo (ad esempio autorizzazione), si è
distinto a seconda che l'espansione della sfera giuridica presupponga, o non, un potere valutativo di carattere discrezionale.
“Ove si verta in tema
di meri accertamenti circa la ricorrenza dei presupposti per la produzione di un effetto stabilito dall'alto dalla legge, ossia si tratti di mera declaratoria della produzione ex lege di determinati effetti (accertamenti vincolati), il privato potrà de plano richiedere i danni derivanti dal
mancato riconoscimento tempestivo di detti effetti. Si pensi all'ipotesi in cui l'acquisizione di un documento sia necessaria per ottenere un provvedimento vincolato di erogazione di un beneficio
economico. In tal caso il Giudice del danno, verificata la illegittimità del diniego e soprattutto la spettanza del contributo, dovrà accordare il risarcimento del danno per il mancato e tardivo
conseguimento del contributo.
Nel caso in cui invece
l'arricchimento della sfera giuridica al quale mira l'accesso postuli l'esplicazione di un apprezzamento discrezionale da parte della P.A., ossia si verta in tema di interessi legittimi puri, non
sembra vi siano ostacoli soverchi acché .. si ricostruiscano ex post le situazioni giuridiche soggettive che sono state lese dal comportamento della pubblica
amministrazione, laddove, a posteriori, l'atto risulti dovuto” [114].
In seno a tale primo
orientamento, peraltro, non si è mancato di rimarcare la spinta propulsiva che, nel senso di un deciso ampliamento delle voci di danno risarcibile in caso di illegittimo diniego di informazioni, può
derivare da un importante pronunciamento della Corte europea dei diritti dell’uomo.
Si ha riguardo ad una
decisione con la quale la Corte si è occupata dei profili risarcitori del diritto di accesso, pur se con riferimento alla particolare fattispecie dei
danni derivanti da omesso adempimento, da parte del Prefetto, dell'obbligo di informazione delle popolazioni interessate circa le misure di sicurezza adottate, in caso di emergenza ambientale, al fine
di prevenire un incidente maggiore e sulle norme da seguire in caso di incidente (art. 17 D.P.R. n. 175/1988) [115]. Nella specie ai ricorrenti, abitanti di un paese in provincia di Manfredonia, titolari di un vero e proprio diritto soggettivo all'informazione circa i rischi derivanti
dalle emissioni nell'atmosfera provenienti da uno stabilimento di fertilizzanti, è stato riconosciuto un danno nella misura di L. 10.000.000 cadauno sulla scorta del rilievo che la comunicazione
delle informazioni in parola avrebbe consentito loro di valutare i rischi « a cui soggiacevano continuando a risiedere nel Comune di Manfredonia, un comune cosí esposto a pericolo in caso di
incidente dentro la fabbrica ». Secondo la Corte, in definitiva, stante la qualificazione del diritto all'informazione come diritto soggettivo perfetto, è la mancata informazione in sé ad integrare
la violazione dell'art. 8 della convenzione e ad essere ritenuta produttiva di una pretesa autonomamente risarcibile.
Come rilevato, quindi, la
Corte riconosce la rilevanza sul versante risarcitorio della lesione di un puro diritto immateriale (il diritto ad ottenere informazioni sullo stato dell'ambiente), qualificabile come diritto
fondamentale dell'individuo, ricompreso nel più composito diritto all'ambiente, a prescindere dai riflessi squisitamente patrimoniali derivanti dal vivere a latere dell'impianto medesimo. Sembra allora che ancora una volta dal diritto pubblico venga la spinta ad un ulteriore allargamento delle mobili frontiere del danno ingiusto, alla luce
della cogente constatazione che « L'Etat défendeur a fali à sono obligation de garantr le droit des reqérantes an respect de leur vie privée ed familiare
» [116].
Le osservazioni da ultimo riportate sono state acutamente riprese e sviluppate da una dottrina sempre attenta al
tema delle conseguenze pregiudizievoli di tipo “esistenziale” potenzialmente derivanti dall’agere amministrativo [117].
Si osserva, in particolare, come la citata decisione della Corte europea dei diritti dell’uomo superi l’impostazione
dottrinale volta a circoscrivere “l’oggetto dell’azione risarcitoria alla lesione dell’interesse “finale” che giustifica la presentazione dell’istanza di accesso e non in una posizione
soggettiva autonoma del richiedente l’accesso; nel dettaglio, si sostiene che nella ricostruzione seguita dalla Corte europea il danno risarcito non è
costituito dalle conseguenze biologiche o patrimoniali dalla mancata acquisizione di quelle <<informazioni essenziali che avrebbero consentito…….di valutare i rischi potenziali, per sé e
per i propri familiari, della permanenza sul territorio di Manfredonia, un comune tanto esposto al pericolo in caso di incidente nell'ambito della fabbrica>>.
Prima ancora, quindi, delle ulteriori conseguenze nella sfera patrimoniale o biologica, l’ingiustificato
diniego di accesso può provocare una lesione pura del diritto all’autodeterminazione, alla sfera esistenziale, a sua volta da qualificare in termini non già di “danno morale, come tale
sottoposto alle limitazioni risarcitorie ex art. 2059 c.c. [118], bensì di danno “esistenziale”, coincidente non con le lacrime, le sofferenze, i
dolori, i patemi d’animo delle vittime dell’illecita condotta, bensì con le loro rinunce alla quotidianità, con le compromissioni delle proprie sfere di esplicazione personale; nel caso portato
all’attenzione della Corte europea, in particolare, “la conoscenza delle misure predisposte dalle autorità avrebbe infatti permesso ai cittadini di porre in essere delle decisioni ponderate
in ordine alla scelta di abbandonare la città e trasferirsi (nell’ipotesi in cui i cittadini avessero giudicato insufficienti le misure di sicurezza) o, al contrario, di continuare a vivere a
Manfredonia (nell’ipotesi in cui, al contrario, i cittadini avessero giudicato le misure di sicurezza sufficienti)” [119].
Diversa questione attiene alla proponibilità della domanda risarcitoria nell’ambito del processo delineato
dall’art. 25, l. n. 241/1990.
Il tema è stato di recente esaminato da T.a.r. Lazio, Sez. II bis, 28 febbraio 2003, n. 1669, che, implicitamente ammettendo la ristorabilità dei pregiudizi sofferti in conseguenza di illegittimi rigetti di istanze ostensive,
ha concluso per la non utilizzabilità del rito speciale per la proposizione delle pretese risarcitorie in questione.
Hanno osservato i Giudici capitolini che è inammissibile la domanda di risarcimento del danno derivante da lesione del diritto di accesso agli atti della P.A., nel caso in cui detta domanda sia stata proposta con il rito accelerato ex art. 25, l. n.241/1990, e non già con il rito ordinario, atteso che la diversità del rito che contraddistingue il rimedio ex art. 25 l. n. 241/1990 da quello ordinario, consente soltanto l’esercizio giurisdizionale del diritto di accesso alla documentazione amministrativa, senza possibilità di introdurre nel relativo procedimento domande diverse da quelle sull’accesso medesimo.
![]()
(*) Il presente saggio è tratto da R. GAROFOLI - G. RACCA - M. DE PALMA, Responsabilità
della pubblica amministrazione e risarcimento del danno innanzi al giudice amministrativo, Giuffrè, 2003.
[1] Secondo l’interpretazione della
normativa di riforma che offrono, ad esempio, C. Consolo, Il processo amministrativo tra snellezza e “civilizzazione”, in Corr. giur., 2000, 1265 e ss., F. P. Luiso, Pretese risarcitorie verso la pubblica amministrazione fra
giudice ordinario e amministrativo, in Riv. dir. proc. 2002, 44 ss., F. Trimarchi Banfi, Tutela specifica e tutela risarcitoria degli interessi legittimi, Torino, 2000, p. 43 e ss.; nel senso che la norma non affiderebbe al giudice amministrativo tutta la giurisdizione sul
risarcimento del danno, anche E. Casetta, Manuale di diritto amministrativo, 3° ed., Milano 2001, p. 613.
[2] Gli aspetti di connessione fra i due
problemi e le possibili alternative sono considerati da R. Tiscini, La giurisdizione esclusiva, in B. Sassani e R. Villata (a cura di), Il processo davanti
al giudice amministrativo, cit., p. 357 e ss..
[3] Come è noto l’Adunanza plenaria del
Consiglio di Stato con pronuncia 26 marzo 2003, n. 4, ha ribadito il consolidato indirizzo giurisprudenziale delle Sezioni semplici secondo il quale la pronuncia di annullamento, tanto nei casi di giurisdizione esclusiva che
in quelli di giurisdizione di legittimità, è pregiudiziale rispetto a quella di risarcimento, considerandolo espressione di “opzione ermeneutica pienamente aderente alla ratio della riforma
culminata con la legge n. 205 del 2000, giusta la quale il legislatore ha attribuito al g.a. in via generale la cognizione "anche" sul risarcimento del danno, senza alcuna distinzione tra la
stessa giurisdizione esclusiva e quella di legittimità”. Nel dettaglio
il massimo Consesso della Giustizia amministrativa ha sostenuto che, una volta concentrata presso il giudice amministrativo la tutela
impugnatoria dell’atto illegittimo e quella risarcitoria conseguente, non è possibile l’accertamento incidentale da parte del giudice amministrativo della illegittimità dell’atto non impugnato
nei termini decadenziali al solo fine di un giudizio risarcitorio; in altri termini, non è possibile ritenere che l’azione di risarcimento del danno possa essere proposta sia unitamente all’azione
di annullamento che in via autonoma, essendo la stessa ammissibile solo a
condizione che sia stato impugnato tempestivamente il provvedimento illegittimo e che sia stato coltivato con successo il relativo giudizio di annullamento.
[4] Si tratta dell’originaria formulazione
dell’art. 35, co. 1°, vigente prima dell’entrata in vigore dell’art. 7, l. n. 205/2000, intervenuto ad estendere la potestà del giudice amministrativo di conoscere dei profili risarcitori ad
ogni ipotesi di giurisdizione esclusiva. Il riscritto art. 35, co. 1°, d. lgs. n. 80/98, infatti, così recita: “Il giudice amministrativo, nelle materie devolute alla sua giurisdizione esclusiva,
dispone, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, il risarcimento del danno ingiusto”. Già prima che vi provvedesse il legislatore del 2000, del resto, le Sezioni unite di Cassazione,
invocando esigenze di coerenza sistematica, avevano ritenuto, con la nota sentenza n. 500/99, che la giurisdizione sulle questioni di tipo risarcitorio spettasse al Giudice amministrativo anche
qualora arrecato con attività propria delle materie appartenenti alla nuova, anziché vecchia, giurisdizione esclusiva. Prima dell’entrata in vigore della legge n. 205/2000, infatti, ci si chiedeva
se le nuove regole del giuoco, ivi compresa l’ascrizione in testa al Giudice amministrativo del potere di assicurare il risarcimento del danno, venissero in rilievo solo per la nuova giurisdizione
esclusiva o anche (si pensi all’accesso ai documenti ed agli accordi tra PA e privati ai sensi della legge 241) per le materie già in precedenza
sottoposte alla cognizione esclusiva del giudice amministrativo. Se si optasse per la soluzione restrittiva l’interessato sarebbe stato costretto a rivolgersi a due Giudici, l’uno per l’annullamento
e l’altro per il risarcimento, in chiara antitesi rispetto allo spirito semplificante e concentrazionista che è alla base della stessa idea di giurisdizione esclusiva. Lo stesso problema si poneva
per le novità processuali e probatorie coniate dal decreto 80, delle quali si ventilava in via dubitativa l’esportabilità all’universo tutto della giurisdizione esclusiva. Le Sezioni Unite, ritenendo non decisivo il dato formale della formulazione testuale al pari dei limiti rivenienti dalla legge delega, hanno concluso che la
concentrazione in capo al GA del potere risarcitorio oltre che di quello caducatorio dovesse reputarsi esteso, in omaggio alla detta esigenza di concentrazione, anche alle vecchie materie di
giurisdizione esclusiva. Analogo discorso, mutatis mutandis, non poteva non valere quanto al potenziamento dell’armamentario processuale ed istruttorio del Giudice amministrativo.
[5] F. CARINGELLA-R. GAROFOLI, Riparto di giurisdizione e prova del danno dopo la sentenza 500/99, in www.lexitalia.it
[6] R. CARANTA, Attività amministrativa ed illecito aquiliano. La responsabilità della P.A. dopo la l 21 luglio 2000, n. 205, Milano, 2001, 37.
[7] S. GIACCHETTI, La risarcibilità degli interessi legittimi è “in coltivazione”, in Cons. Stato, 1999, II, 1599 ed in www.lexitalia.it.
[8] S. GIACCHETTI, op. cit., 1599. Lucide osservazioni si leggono in P. CIRILLO, La tutela in via arbitrale delle conseguenze patrimoniali derivanti dalla lesione dell’ interesse legittimo, in Giustizia-amministrativa.it,
il quale, osservato che “la situazione susseguente all’annullamento dell’atto è stata dalla dottrina costruita in termini di diritto”, così tenendo “separata la tutela specifica dell’interesse
legittimo dalla tutela risarcitoria del danno ingiusto”, osserva: “Tale separazione serviva, in fondo, ad equiparare le posizioni, nel senso che, quale
che fosse la situazione iniziale (diritto o interesse), la tutela risarcitoria susseguente all’annullamento del provvedimento illegittimo era sempre da ricostruire in termini di diritto soggettivo.
Peraltro tale lettura è stata fatta propria dalla sentenza n. 500 del 1999 che considera giustamente l’art. 2043 del cod. civ. una norma primaria e non meramente sanzionatoria. Tuttavia tali
impostazioni debbono essere riviste in quanto superate dalla legge n. 205 del 2000, laddove concentra tutte le questioni, anche quelle di natura patrimoniale, innanzi al giudice amministrativo. A mio
avviso, staccare la situazione iniziale da quella susseguente l’annullamento dell’atto e qualificare quest’ultima "diritto" era il risultato di una triplice forzatura; ovverosia era
una forzatura scindere le due situazioni giuridiche soggettive (quella iniziale e quella susseguente all’annullamento dell’atto); era una forzatura immaginare che alla situazione iniziale di
interesse legittimo succedesse un diritto soggettivo ed era, infine, una forzatura dare una dimensione sostanzialistica alla situazione di chi, avendo ottenuto il giudicato da annullamento, aveva la
possibilità o di chiedere l’ottemperanza o il risarcimento del danno. Quest’ ultima duplice possibilità aveva solo una valenza di ordine processuale, dal momento che tali situazioni giuridiche
soggettive potevano definirsi diritti nella misura in cui riceve tale qualificazione il potere di proporre azione innanzi al giudice, senza nessuna connotazione sostanzialistica. Esse, in breve,
stavano ad indicare solamente il diritto di avvalersi di taluni strumenti processuali. E’ nostra convinzione – anche se non è questa la sede per dimostrarlo – che quello di dare una dimensione
"sostanzialistica" di diritto ad un semplice strumento processuale (l’azione risarcitoria) non sia più necessario ora che l’oggetto del giudizio di legittimità del giudice
amministrativo può estendersi anche alle questioni risarcitorie. Così come non è più necessario continuare a separare la situazione inizialmente lesa (l’interesse legittimo) da quello
susseguente l’accertamento dell’illegittimità e il conseguente annullamento dell’atto, configurandola in termini di diritto. Infatti ciò significa inserire una inspiegabile nuova categoria
soggettiva sostanziale nella sequenza, finendo in fondo per negare la tutela risarcitoria dell’interesse legittimo in quanto tale. La situazione lesa è unica e il risarcimento relativo alle
conseguenze patrimoniali negative, derivanti dall’illegittimità dell’atto o dalla illegittima insoddisfazione della pretesa del privato da parte dell’amministrazione, è un momento processuale
eventuale e sussidiario rispetto all’annullamento dell’atto”.
[9] S. GIACCHETTI, op. cit., il
quale osserva che “ gli artt. 24, 103 e 113 dell'ancora vigente Costituzione affermano qualcosa di diverso e di più: e cioè che al giudice ordinario spetta non la cognizione ma la tutela dei
diritti, così come al giudice amministrativo spetta non la cognizione ma la tutela degli interessi legittimi. Il problema reale è quindi di stabilire se il risarcimento derivante dalla lesione di
una situazione soggettiva attenga alla cognizione o alla tutela della situazione soggettiva stessa”. Proseguendo lo stesso A. osserva, quindi, che “ dal momento che quello al risarcimento del
danno è sicuramente un «diritto» strumentale, … la soluzione più corretta sarebbe stata non quella di affermare tout court la giurisdizione ordinaria, in base alla considerazione - necessaria ma
non sufficiente - che sì tratta dì un diritto; ma semmai quella di sollevare questione di legittimità costituzionale delle attuali norme attributive di giurisdizione amministrativa nella parte in
cui non prevedono che la tutela risarcitoria per equivalente degli interessi legittimi spetti al giudice amministrativo, così come ad esso già spetta la reintegrazione in forma specifica con lo
strumento del giudizio d'ottemperanza”. Cfr., pure, F. CARINGELLA, in F. CARINGELLA, P. DE MARZO, F. DELLA VALLE, R. GAROFOLI, La nuova giurisdizione esclusiva
alla luce del D. Lgs. n. 80/1998 e della L. n. 205/2000, Milano, 2000, 386, il quale contesta “l’asserzione secondo cui il diritto strumentale al risarcimento del danno accede ad una diversa
posizione sostanziale, rispetto alla quale la lesione dell’interesse legittimo non sarebbe oggetto di tutela ma semplicemente l’occasione , il motivo, con la correlativa affermazione che la tutela
risarcitoria soltanto in via indiretta e riflessa sarebbe riconducibile alla lesione dell’interesse legittimo”.
[11] Propone una spiegazione in questi
termini dell’inciso della sent. 500 G. Falcon, Il giudice amministrativo fra giurisdizione di legittimità e
giurisdizione di spettanza, cit., p. 244-5.
[14] F. CARINGELLA, Giudice amministrativo e risarcimento del danno, in F. CARINGELLA-M PROTTO, Il nuovo processo amministrativo, Milano, 2002, 667.
[15] Secondo l’interpretazione della
normativa di riforma che offrono, ad esempio, C. Consolo, Il processo amministrativo tra snellezza e “civilizzazione”, in Corr. giur., 2000, 1265 e ss., F. P. Luiso, Pretese risarcitorie verso la pubblica amministrazione fra
giudice ordinario e amministrativo, in Riv. dir. proc. 2002, 44 ss., F. Trimarchi Banfi, Tutela specifica e tutela risarcitoria degli interessi legittimi, Torino, 2000, p. 43 e ss.; nel senso che la norma non affiderebbe al giudice amministrativo tutta la giurisdizione sul
risarcimento del danno, anche E. Casetta, Manuale di diritto amministrativo, 3° ed., Milano 2001, p. 613.
[16] R. CARANTA, Attività amministrativa ed illecito aquiliano. La responsabilità della P.A. dopo la l 21 luglio 2000, n. 205, cit., 51
[17] F. CARINGELLA, Corso di diritto amministrativo, Milano, 2001, 669, il quale acutamente osservato, infatti,
“non essendo logico che i destini della giurisdizione del risarcimento seguano canali diversi a seconda che venga in rilievo la giurisdizione di legittimità o esclusiva, si deve allora ritenere che
l’art. 7 della legge n. 205/2000, riferito indistintamente alla giurisdizione esclusiva e di legittimità, abbia, con formulazione ampia, inteso devolvere alla giurisdiozne amministrativa la
cognizione dei danni scaturenti da provvedimenti e da condotte non conformi a diritto >(ossia illecite nella prospettiva dell’art. 2043 c.c.), senza che all’uopo sia necessaria in via
pregiudiziale una illegittimità provvedimentale consacrata nella pronuncia di annullamento”
[18]
Accentua questo profilo, fra gli altri, P. Stella Richter, Il principio di concentrazione nella legge di riforma della giustizia amministrativa, cit.; v. inoltre, molto diffusamente con riguardo a tutta la
giurisdizione esclusiva, A. Police, Il ricorso di piena giurisdizione, voll. I e II, Padova 2000 e 2001.
[19] Sostengono, sia pure sulla scorta di
differenti percorsi logici, che vi sia piena autonomia tra azione di annullamento e azione risarcitoria anche nella giurisdizione generale di legittimità, A. ROMANO TASSONE, Giudice amministrativo e risarcimento del danno, Relazione al Convegno La riforma del processo amministrativo in Italia e
Spagna (Palermo, marzo 2001), (analogamente Id., Sul problema della pregiudizialità amministrativa, in G.D. FALCON, La
tutela dell’interesse al provvedimento, cit., 279 e ss.); C. VARRONE, Giurisdizione amministrativa e tutela risarcitoria, in V. CERULLI IRELLI (a cura di), Verso il nuovo processo amministrativo, cit., 79; L. V.
MOSCARINI, Risarcibilità degli interessi legittimi e termini di decadenza, cit., Id., Risarcibilità degli interessi legittimi e termini di decadenza: riflessioni a margine dell’ordinanza dell’ad. plen. del Consiglio di Stato 2 gennaio 2000, in Dir. proc. ammin., 2001, 1 e ss.; A. POLICE, Il ricorso di piena giurisdizione davanti al giudice amministrativo, Padova,
2001, 384 e ss. (secondo il quale l’inutile decorso del termine decadenziale per impugnare l’atto precluderebbe unicamente la possibilità di conseguire la particolare tutela costitutiva o
consistente nella condanna ad un facere¸senza invece incidere sulla proponibilità dell’azione per la tutela risarcitoria). Cfr., sul tema, G.D. FALCON, Il giudice amministrativo tra giurisdizione di legittimità e giurisdizione di spettanza, in Dir. proc. ammin., 2001, 512.
[20] Il dubbio, ancorchè superato, è
posto in luce da A. ROMANO TASSONE, Giudice amministrativo e risarcimento del danno,
in www.lexitalia.it
[21] E’ noto, peraltro, l’impegno
mostrato dalla giurisprudenza amministrativa per fornire una lettura di tipo restrittivo al limite frapposto all’esplicarsi della giurisdizione del giudice amministrativo dalla natura consequenziale
delle questioni sì da limitarne l’ambito di fatto esaurito ai profili di tipo risarcitorio. E’ quanto registratosi soprattutto nella materia del pubblico
impiego con il riconoscimento del radicarsi della giurisdizione amministrativa sulle questioni involgenti tutto quel novero dei diritti patrimoniali
del pubblico dipendente che, in quanto non più qualificati come conseguenziali alla stregua della vecchia formulazione dell’art. 7, co. 3, L. T.A.R., erano
sottratti alla giurisdizione ordinaria. Approccio interpretativo attraverso cui la giurisprudenza ha contribuito al più generale processo di estensione della
giurisdizione esclusiva
[22] Sul punto v. M. NIGRO, Giustizia amministrativa, 1994, 208-209. V. altresì A. ROMANO TASSONE, Sulla genesi della formula “diritti patrimoniali
consequenziali”, in Studi per Lorenzo Campagna, II, Milano, 1980, 303 e ss.
[23] Circa la possibilità di intendere in
senso estensivo la conseguenzialità, v. Cons. Stato, ad. plen., ord. n. 1/2000, cit., punto 8.1 della motivazione. Per un quadro complessivo dell’orientamento seguito in passato dalla Cassazione,
v. E.A. APICELLA, Riconoscimento di debito, diritti patrimoniali conseguenziali e giurisdizione sulle controversie di impiego pubblico, in Giust. civ., 1997, I,
2793 e ss.
[24] D. DE PRETIS, Azione di annullamento e azione risarcitoria nel processo amministrativo, in Lexfor, 2002.
[25]
In dottrina M.E. SCHINAIA, Lo stato attuale dell’ordinamento italiano in relazione al processo di arminizzazione europea in materia di responsabilità della
pubblica amministrazione, in Cons. Stato, 2002, 283, in part. 291; F. CARINGELLA, Corso, cit., 670. Per le
ragioni esposte nel testo, quindi, non si condividono le altre astrattamente possibili letture dell’art. 7, co. 3, l. n. 1034/71, sintetizzate da A.ROMANO TASSONE, op. cit., il quale esposta l’interpretazione più estensiva, per la quale “a dispetto della lettera della legge, che parla di risarcimento del danno e degli
altri diritti conseguenziali, si può sostenere o che l'aggettivo "conseguenziali" non si riferisca propriamente alle questioni risarcitorie, ovvero anche che esso ne indichi la semplice
dipendenza da un provvedimento amministrativo, e non dal suo annullamento” osserva: “ Se si rifiuta questa prospettiva, si apre la strada ad una lettura indubbiamente più rispettosa del testo
della disposizione in esame, per la quale le questioni risarcitorie attribuite alla cognizione del giudice amministrativo sarebbero "conseguenziali" all'annullamento del provvedimento da
parte dello stesso giudice amministrativo. Anche il 5° comma del nuovo art. 35 del D. Lgs. n. 80/98, in cui si parla di "risarcimento del danno conseguente all'annullamento di atti
amministrativi", porterebbe a tale conclusione. Su questa comune base, sono tuttavia possibili due letture radicalmente diverse della norma in esame. La prima interpretazione, probabilmente la
più corretta considerata la sedes materiae, legge la disposizione come pura norma di diritto processuale. Essa dunque andrebbe interpretata nel senso che spettano alla cognizione del giudice
amministrativo, nell'ambito della sua giurisdizione, le sole questioni risarcitorie che siano effettivamente "conseguenziali" all'annullamento del provvedimento amministrativo impugnato
davanti a tale giudice, mentre resterebbero nella cognizione del giudice ordinario le questioni risarcitorie che non abbiano un tale legame di conseguenzialità con la pronuncia d’annullamento.
Sulla base di questa interpretazione, e tenendo conto della generale ricostruzione dell'illecito civile proposta dalla Sezioni Unite, il giudice amministrativo potrebbe avere, in concreto, una
cognizione risarcitoria di ambito estremamente ridotto, perché la stragrande maggioranza delle pretese risarcitorie collegate ad un provvedimento illegittimo prescinde dall'annullamento di
quest'ultimo. “Conseguenziale" a tale annullamento -mi si consenta qui di esporre solo la sintesi di un ragionamento che verrà svolto più oltre- potrebbe sicuramente dirsi soltanto la
questione "risarcitoria" che attenga in realtà alla reintegrazione, tendenzialmente in forma specifica, del soggetto leso dal provvedimento. La norma non avrebbe dunque alcuna influenza sul
problema della autonomia o della dipendenza di azione di annullamento e azione risarcitoria, perché essa opererebbe a valle, attribuendo al giudice amministrativo la cognizione delle sole questioni
genericamente risarcitorie che risultino sostanzialmente condizionate all'annullamento stesso. Tutte le altre pretese risarcitorie, invece, verrebbero conservate alla cognizione del giudice ordinario.
c) La terza soluzione è quella che vede nella norma in esame l'affermazione della strutturale dipendenza dell'azione risarcitoria dall'azione di annullamento. In base a tale lettura, l'art. 7 non
avrebbe carattere puramente processuale, ma acquisterebbe significato propriamente sostanziale, qualificando le questioni risarcitorie (tutte le questioni risarcitorie) collegate ad un provvedimento
illegittimo, come questioni "conseguenziali" rispetto all'annullamento di quest'ultimo. Sul piano della giurisdizione, le conseguenze pratiche sarebbero assai vicine a quelle viste nel primo
caso: (quasi) tutte le questioni risarcitorie che fossero collegate alla illegittimità del provvedimento sfavorevole per il ricorrente troverebbero ingresso davanti al giudice amministrativo, mentre
resterebbero (in questo caso con maggior probabilità) affidate al giudice ordinario le questioni risarcitorie relative a danni arrecati da un comportamento dell'amministrazione autorità.
Tendenzialmente assai diverse, invece, le conseguenze sul piano della autonomia delle due azioni: ogni qual volta si faccia questione del risarcimento del danno discendente da un provvedimento
sfavorevole ed illegittimo, la qualificazione normativa dell'azione risarcitoria in termini di conseguenzialità rispetto all'annullamento del provvedimento stesso, farebbe sì che la prima non possa
esser esperita se non insieme o conseguentemente alla proposizione dell'azione di annullamento, il cui esito negativo ne precluderebbe in assoluto l'accoglimento.
[26] Sulla giurisdizione esclusiva, v. A.C.
JEMOLO, Limiti della giurisdizione esclusiva del Consiglio di Stato in materia di pubblico impiego, in Riv. dir. pubbl.,
1926, 113 e ss; BOZZI, La competenza esclusiva del Consiglio di Stato e il rapporto di pubblico impiego, in Il Consiglio di Stato. Studi in occasione del centenario, III, Roma, 1932, 125 e ss.; G. ZANOBINI, Competenza della giurisdizione ordinaria od
amministrativa nelle controversie patrimoniali nascenti da un comportamento dell’amministrazione al di fuori di un atto amministrativo, in Scritti vari di
diritto pubblico, Milano, 1955, 465 e ss.; R. MEREGAZZI, La giurisdizione esclusiva del Consiglio di Stato, in Atti del
Convegno celebrativo del centenario delle leggi amministrative di unificazione, Vicenza, 1968, 199 e ss.; M.S. GIANNINI-A. PIRAS, “Giurisdizione amministrativa e giurisdizione ordinaria nei
confronti della pubblica amministrazione”, voce dell’Enc. dir., XIX, Milano, 1970, 229 e ss., S. GIACCHETTI, La
giurisdizione esclusiva, in Foro amm., 1985, 2068; F. MANGANO, L’azione di accertamento nella giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo: analisi della giurisprudenza, in Aa. Vv., Diritto amministrativo e giustizia amministrativa nel bilancio di un decennio
di giurisprudenza, Rimini, 1987, 599 e ss.; V. DOMENICHELLI, Giurisdizione esclusiva e processo amministrativo, Padova, 1988; E. M. BARBIERI, “Giurisdizione
esclusiva nel giudizio amministrativo”, voce dell’Enc. giur., XV, Roma, 1989; N.A. CALVANI, La giurisdizione
esclusiva del giudice amministrativo, Bari, 1992; P. M. VIPIANA, “Giurisdizione amministrativa esclusiva”, voce del Digesto pubbl., VII, Torino, 1991, 377 ss.; R. FERRARA, Giurisdizione
esclusiva e tutela dei diritti soggettivi non patrimoniali¸ in Dir. proc. amm., 1996, 673 e ss.; B.N. SASSANI, La giurisdizione esclusiva, in S. CASSESE (a cura di), Trattato di diritto amministrativo, IV, Milano, 2000, 3557 e ss.; A. PAJNO, Il riparto della giurisdizione, in S. CASSESE (a cura di), Trattato, cit., IV, 3203 e ss.; F. CARINGELLA, G. DE MARZO,
F. DELLA VALLE, R. GAROFOLI, La nuova giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo - Dopo la l. 21 luglio 2000 n. 205, Milano, 2000, V. CERULLI IRELLI (a cura di), Verso il
nuovo processo amministrativo, Torino, 2000, 91 e ss.; C. E. GALLO, Manuale di giustizia amministrativa, Torino, 2001, 55 e ss.; A. TRAVI, Giustizia amministrativa e giurisdizione esclusiva nelle recenti riforme, in Foro it., 2001, V, 68 e ss.; F. FRACCHIA,
La giurisdizione esclusiva, in F. CARINGELLA-M. PROTTO, Il nuovo processo amministrativo, Milano, 2003.
[27] Si rinvia, per la disamina, degli
evidenziati riverberi processuali al cap. III di questa Parte.
[28] Sia consentito rinviare per un’analisi
dei nuovi strumenti di tutela a R- GAROFOLI-M. PROTTO, Tutela cautelare, monitoria e sommaria nel nuovo processo amministrativo. Provvedimenti di urgenza, tutela possessoria, decreti ingiuntivi e ordinanze ex artt. 186-bis e 186-ter c.p.c.,
Milano, 2002
[29] A. PAJNO, Il riparto, cit., 3257. Ad avviso dell’A. la giurisdizione esclusiva, da “eccezione” alla “regola” di riparto, si ora propone come “modello” al quale si conforma la
giurisdizione generale del giudice amministrativo quanto meno in ordine alle controversie risarcitorie.
[30] F. FRACCHIA, cit.
[32] F. FRACCHIA, cit.
[33] F. FRACCHIA, cit. Scettico si mostra R. CARANTA, op. cit., il quale osserva che”se, in adesione all’orientamento
delle Sezioni unite, …, si accedesse all’opinione che le controversie in discorso attengono a diritti soggettivi in senso tecnico, si dovrebbe ritenere che la disposizione crea una nuova ipotesi
di giurisdizione esclusiva, relativa non ad una materia intesa come disciplina sostanziale di un determinato settore del giuridicamente rilevante, ma come tipologia di rimedio, quello risarcitorio. Se
così fosse, difficile sarebbe dubitare della compatibilità con l’art. 103 Cost., di una clausola che attribuisce alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo qualsiasi materia, purchè
richiesto sia il risarcimento del danno”. La profondità delle esposte argomentazioni non esclude, tuttavia, che meriti attenzione e meditata riflessione la tesi contrapposta intesa a ritenere l’ammissibilità
di un’accezione di tipo evolutivo del concetto stesso di “materia” cui ha riguardo l’art. 103 della Carta fondamentale, elaborata non già con riguardo ad un ambito contenutistico ben definito
ma in considerazione di differenti parametri, quale può essere quello della modalità comportamentale in relazione alla quale verte il contenzioso (è l’ipotesi degli accordi di cui all’art. 11,
l. n. 241/90) Cfr., in tema, le osservazioni di D. PALLOTTINO, Osservazioni sulla legittimita’ costituzionale del
nuovo sistema di riparto delle giurisdizioni, in Giustizia-amministrativa.it. il quale, richiamata la tesi che sostiene l’illegittimità costituzionale
della L. n. 205/00 nella parte in cui attribuisce al Giudice amministrativo il potere di risarcire il danno in ogni tipo di giurisdizione, e dunque anche in quella generale di legittimità, osserva:
“Tale orientamento, nel partire dal presupposto che l’azione risarcitoria presuppone la tutela di un diritto soggettivo, ritiene che il Legislatore del 2000 abbia introdotto un nuovo tipo di
giurisdizione esclusiva, concernente tutte le questioni risarcitorie, e conclude per l’incostituzionalità della stessa poiché in contrasto con l’art. 103 comma 1 Cost., che consentirebbe la
devoluzione al Giudice amministrativo di ipotesi eccezionali concernenti diritti soggettivi, nelle quali non può rientrare la materia, “assolutamente
indefinita”, delle questioni risarcitorie. A parte le considerazioni suesposte in ordine all’inesistenza di un limite quantitativo imposto dal Costituente al Legislatore nella devoluzione di
controversie concernenti diritti soggettivi al Giudice amministrativo, si ribadisce che l’art. 103 comma 1 non fa alcun riferimento alla locuzione “giurisdizione esclusiva”, ma si limita a
costituzionalizzare la giurisdizione del Giudice amministrativo sui diritti in “particolari materie”. A mio avviso, l’omesso riferimento all’aggettivo
“esclusiva” nella giurisdizione del Giudice amministrativo deve essere inteso come possibilità per il Legislatore di attribuire agli organi della giustizia amministrativa la conoscenza di ogni
tipo di questione relativa a diritti soggettivi nelle particolari materie oggetto della devoluzione, indipendentemente dal tipo di giurisdizione di legittimità, se generale ovvero esclusiva. Tale
considerazione si sposa perfettamente con le osservazioni svolte dalla stessa Corte Costituzionale nel 2000, che ha dichiarato l’incostituzionalità per eccesso di delega del D.Lgs. n. 80/98 poiché
il compito del Legislatore delegato era quello di attribuire il potere risarcitorio al Giudice amministrativo “nell’esercizio della sua giurisdizione, sia di
legittimità che esclusiva, di cui era già titolare in materia di edilizia, urbanistica e servizi pubblici”.
[34] Esclude che si sia in presenza di un
“semplice allargamento della giurisdizione generale di legittimità per quanto attiene agli aspetti risarcitori degli interessi legittimi”, per sostenere, invece, che si tratta di una nuova
materia di giurisdizione esclusiva, costituita dall’”illecito della P.A. conseguente all’illegittimo esercizio di pubbliche funzioni”, C. Varrone, Giurisdizione amministrativa e tutela risarcitoria, cit., p. 36 e ss.. L’A. supera inoltre il dubbio di
costituzionalità di un tale affidamento al giudice amministrativo sull’assunto secondo cui l’art. 103 Cost. consente di riservare al g.a. la giurisdizione sui diritti ogni qual volta sussista un
intreccio con posizioni di interesse legittimo.
[35]
In dottrina, sull’art. 34, d. lgs. 80/98 v. A. TRAVI Commento all’art. 34, in Nuove leggi civ., 1999, 1527 e ss.
(ove si effettua anche un’approfondita analisi del significato di “edilizia”); M. BREGANZE, Urbanistica
ed edilizia nel d.leg. 80/98 in Riv. giur. urbanistica, 1999, 81 ed in
http://www.lexitalia.it; G. ORSONI, La giurisdizione esclusiva del Tar in materia urbanistica, ibid., 247; L. STEVANATO, D. leg. 80/98 e giurisdizione esclusia
del giudice amministrativo, in particolare nella materia edilizia, in Riv. giur. edilizia, 1998, III, 604 e ss
[36] Prima delle novità introdotte dal D.lgs. n. 301/2002, infatti, il testo unico non contemplava
più l’occupazione di urgenza strumentale alla successiva espropriazione (artt. 22 e 23 t.u.) così incidendo sulla possibilità che la trasformazione irreversibile fosse innescata da un’occupazione
protrattasi oltre il termine legale ovvero non accompagnata dal tempestivo varo dell’atto espropriativo: residua invece spazio vitale per una trasformazione irreversibile realizzata sulla base di
una procedura ablatoria connotata da profili patologici. Per quest’ultima evenienza la risposta legislativa è nel senso della decapitazione dell’occupazione acquisitiva a favore di un modello che
consente l’acquisizione alla mano pubblica per via di un atto ablatorio in sanatoria, ossia l’atto di acquisizione ex art. 43 t.u. Si è così
inteso assicurare l’osservanza dei rilievi mossi dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (sent. 30 maggio 2000, Belvedere S.r.l. c. Italia) che aveva censurato l’istituto italiano dell’occupazione
appropriativa. Per un’acuta analisi, intesa anche ad evidenziare i dubbi di costituzionalità che possono prospettarsi quanto al rispetto dei limiti della delega in attuazione della quale il testo
unico è stato elaborato, G. MONTEDORO, L’occupazione appropriativa dopo il d.lgs. 8 giugno 2001, n. 327, in Urbanistica e appalti, 2001, 1171.
[37] Si vedano, a favore della
giurisdizione del giudice amministrativo Tribunale di Milano, Sez. I, 24 giugno 1999, Giudice unico del Tribunale di Palermo Sez. 1, 20 maggio 1999, T.A.R. Campania, 22 dicembre 1999; ed a favore
della giurisdizione del giudice ordinario: Tribunale di Napoli, 23.11.1999, Tribunale di Taranto, Sez I, 3 gennaio 2000, T.A.R. Sicilia, 28 aprile 2000, T.A.R. Reggio Calabria, 23 giugno 2000, n.
1025.
[38] Sez. un., ord. 25 maggio 2000, n. 43, in Foro it., 2000, I, 2143, con osservazioni di G. DE MARZO, Le procedure espropriative e la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo nella materia urbanistica ed edilizia. La Corte costituzionale, con ord. 23 gennaio 2001, n. 17, in Urbanistica e appalti, 2001, 499, con osservazioni di R. CONTI. La Corte costituzionale prende tempo sull’eccesso di delega dell’art. 34 d.lgs. n. 80/98, successivamente alla promulgazione della l. 205/2000, ha rimesso gli atti alle sezioni unite onde valutare gli effetti sulla questione della normativa sopravvenuta. Con successiva ordinanza 16 aprile 2002, n. 123, sempre in relazione a giudizi instauratisi davanti al giudice ordinario dopo il 30 giugno 1998 e prima del 10 agosto 2000, ma per i quali i provvedimenti di rimessione erano stati adottati successivamente all'entrata in vigore della legge n. 205 del 2000, la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibili le relative istanze, per non essere stata presa in considerazione l'opzione interpretativa secondo cui l'art. 7 della legge n. 205 del 2000, sostituendo il testo dell'art. 34 (nonché degli artt. 33 e 35) all'interno del d.lgs. n. 80 del 1998, non solo avrebbe trasformato la natura delle corrispondenti disposizioni, da leggi in senso materiale a leggi in senso formale, così emendandole dal vizio di eccesso di delega per il quale la stessa Corte con sentenza 17 luglio 2000, n. 292 aveva dichiarato l'incostituzionalità dell'art. 33, ma avrebbe anche disciplinato la giurisdizione per i giudizi sopra indicati, apportando eccezione all'art. 5 cod. proc. civ., mediante il mantenimento della norma dell'art. 45 diciottesimo comma del d.lgs. n. 80 del 1998 sulla devoluzione al giudice amministrativo a partire dal 1° luglio 1998 delle controversie di cui agli artt. 33 e 34. Con ord. 8506/2001, quindi, la Suprema Corte ha successivamente sollevato la questione di costituzionalità dell’art. 34, 1° e 2° comma e delll’art. 35, 1° comma, d.lgs. 80/98 per eccesso di delega conferita con l’art. 11, 4° comma, lettera g), l. 59/1997, sostenendo che non influirebbe sulla rilevanza della questione -relativamente ai giudizi pendenti dinanzi al giudice anteriormente al 10 agosto 2000- la sopravvenuta l. n. 205 del 2000, atteso che essa non ha efficacia retroattiva. Con recente ordinanza 21 ottobre 2002, n. 584, in www.lexitalia.it, le Sezioni unite di Cassazione hanno nuovamente sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 34, primo e secondo comma e 35, primo comma, originario testo, del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80, in relazione agli artt. 76 e 77, primo comma, della Costituzione, per eccesso rispetto alla delega conferita dall'art. 11, quarto comma lett. g) della legge 15 marzo 1997, n. 59, nella parte in cui, in materia edilizia ed urbanistica, non si limitano ad estendere alle controversie inerenti a diritti patrimoniali consequenziali la giurisdizione di legittimità od esclusiva già spettante al giudice amministrativo, ma istituiscono una nuova figura di giurisdizione esclusiva e piena, con riferimento all'intero ambito delle controversie aventi ad oggetto atti, provvedimenti e comportamenti delle amministrazioni pubbliche. Le osservazioni svolte dalla Corte costituzionale nelle decisioni richiamate, da ultimo ribadite con ordinanza 12 luglio 2002, n. 340, non hanno convinto le Sezioni unte che, a conferma di quanto già sostenuto con ordinanza 5 luglio 2002, n. 12198, hanno osservato che la "sostituzione" di una norma, in coerenza con il valore letterale del termine, di regola esprime una vicenda innovativa con effetti ex nunc, non comportando l'eliminazione o modificazione ab origine della disposizione sostituita ed anzi sottendendone la persistente efficacia fino a quando non ne prenda il posto la disposizione sostitutiva, e che un uso improprio di detto termine da parte dell'art. 7 della legge n. 205 del 2000, nel senso della rimozione ex tunc dell'art. 34 del d.lgs. n. 80 del 1998, non è ricavabile dalla mera appartenenza della norma sostituita ad un testo normativo del quale non sia modificata la data di entrata in vigore, trattandosi di elemento logicamente conciliabile anche con l'intento di conservare la medesima disposizione sostituita fino al momento della sostituzione.
[39] Cfr. al riguardo, di recente, Tar
Lazio, Sez. II bis, 2 luglio 2002, n. 6077, in www.lexitalia.it, secondo cui il risarcimento del danno ingiusto derivante da atti o comportamenti della P.A. in materia urbanistica ed edilizia
rientra nella nuova giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo prevista dagli artt. 34 e 35 del D.Lvo n. 80 del 1998, come modificato dall’art. 7 della legge 21.7.2000, n. 205, ma, ove la
questione risarcitoria attenga a rapporti tra privati, venendo in considerazione fatti e comportamenti di soggetti agenti iure privatorum, essa è proponibile
dinanzi alla giurisdizione ordinaria con il giudizio risarcitorio civile, in base al principio generale secondo cui il giudice ordinario è il giudice naturale delle controversie fra privati, mentre
il giudice amministrativo è il giudice naturale delle controversie fra privati e P.A. Va quindi esclusa la giurisdizione del giudice amministrativo in materia di illecito civile anche nei confronti
di soggetti privati non investiti di pubblici poteri, in relazione ad attività non consistenti nello svolgimento di funzioni o servizi pubblici.
[40] A conferma dell’esistenza di una
stretta interdipendenza tra urbanistica e espropriazione si consideri che l’imposizione del vincolo urbanistico espropriativo (afferente la programmazione dell’uso del territorio) è al contempo
il presupposto del procedimento espropriativo. Per un’analisi attenta dei rapporti tra urbanistica ed espropriazione Cons. Stato, Ad. gen., parere 29 marzo 2001, n. 4/2001, in Cons. Stato, 2001, 1891.
[41] La circostanza che si parli di atti di
natura ablativa è al fondamento della tesi secondo cui resterebbero attribuite alla giurisdizione del giudice ordinario le controversie in tema di indennizzo dovuto per la reiterazione di vincoli
sostanzialmente ablatori: così Tar Campania, sez. I, 8 febbraio 2001, n. 603, cit.
[42] Cons. Stato, IV Sez., 15 giugno 2001,
n. 3169. Analoghi argomenti sono valorizzati nel parere 29 marzo 2001, prot. n. 124/2000, reso dall’Adunanza Generale del Consiglio di Stato sullo schema di nuovo T.U. in materia di
espropriazione per pubblica utilità, la cui redazione era stata demandata dal Governo al medesimo Consiglio di Stato, in applicazione dell’articolo 7, comma 5, della legge 8 marzo 1999, n. 50. Dopo
aver ricordato la elaborazione, da parte della Corte di Cassazione, dell’istituto dell‘<occupazione appropriativa> (o "espropriazione sostanziale") e di quello, più recente, della
"occupazione usurpativa", l’A.G. ha testualmente affermato che: "l’articolo 34 del decreto legislativo n. 80 del 1998 (nel testo sostituito dalla legge n. 205 del 2000) ha disposto
la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, che nella materia espropriativa (rientrante, ai fini della giurisdizione, nell’ambito della materia dell’urbanistica, come definita dal
richiamato articolo 34) conosce di tutti gli atti, i provvedimenti ed i comportamenti (anche illeciti) di ogni pubblica amministrazione o soggetto ad essa equiparato"; "in materia di
espropriazione, in presenza di un illecito della pubblica amministrazione (o di un soggetto per legge equiparato), sussiste la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo". Proposizioni
poste a fondamento della nuova disciplina sostanziale e processuale, stabilita nel T.U. per il caso in cui il proprietario chieda la tutela del diritto di proprietà, con una azione petitoria o d’urgenza.
[43] Tra le obiezioni precedentemente mosse
a tale conclusione quella intesa a valorizzare il riferimento fatto dall’art. 35, comma 5, d.lgs. n. 80/98, al risarcimento del danno conseguente all’annullamento di atti amministrativi, cono noto
assenti nella fattispecie dell’occupazione acquisitiva (A. BAZZANI, L’espropriazione in bilico tra giurisdizione amministrativa e ordinaria, in Urbanistica e appalti, 2000, 259, nt. 30). Tra i più critici nei confronti della prevalsa lettura estensiva G. DE MARZO, Occupazione
sine titulo e giurisdizione esclusiva del G.A. dopo il d.lgs. 80/98, in Urbanistica e appalti, 1999, 958 e ss.; S. SALVAGO, Occupazione acquisitiva e giurisdizione in seguito al d.lgs. 80/98, in Corriere giur., 1999, 1290 e ss.; S. BENINI, Occupazione appropriativa e nuove regole di riparto delle giurisdizioni, in Foro it., 1999, I, 3592.
[44] Come acutamente osservato da F.
FRACCHIA, op. cit., del resto, “giusta la dequotazione della valenza programmatoria generale dei piani, sempre più spesso l’espropriazione diviene uno
strumento puntuale di gestione del territorio, nel senso che le scelte localizzative vengono effettuate al momento della decisione circa la realizzazione del singolo intervento, cui appunto può
seguire l’esproprio”.
[45] La distinzione fra occupazione appropriativa ( risarcibile con criteri indennitari se anteriore al 30 settembre 1996)
ed occupazione usurpativa ( risarcibile pleno iure) è destinata a scomparire per effetto della disciplina dettata a regime dal testo unico; il che è
coerente con nuova logica sottesa all’istituto dell’acquisizione in sanatoria delineato dall’art. 43 del testo in seno al quale la valutazione sulla prevalenza dell’interesse pubblico è
effetttuata ex post, sicchè la dichiarazione di pubblica utilità non appare più un presupposto indefettibile per l’acquisizione al patrimonio pubblico
senza decreto di esproprio valido ed efficace.
[46]
Cons. Stato, Sez. IV, 9 luglio 2002 n. 3819, in
www.lexitalia.it
[47] Sostiene che le controversie relative
al danno cagionato dall’esercizio illegittimo del potere ablatorio rientrano nella giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo ex artt. 23 bis, comma 1, l. 1034/71 e 7, comma
3, l. 1034/71, Cons. Giust. amm. reg. Sic., 14 gennaio 2001, n. 296, in www.Giust. it, ove peraltro si osserva che, “anche se non si dovesse concordare con la prospettazione fatta propria dal
collegio, si tratterebbe pur sempre di controversie rientranti in ogni caso nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 34, d.lgs. 80/98”.
[48] Così M.A. SANDULLI, Giurisdizione esclusiva, giudice ordinario e giudice amministrativo con riguardo all’urbanistica- Relazione all’Incontro di Studio su Le nuove
frontiere della giurisdizione esclusiva (Padova, 23 marzo 2001), in Riv. giur. edilizia, 2001, II, 87 e ss.
Per l’analisi del problema della possibilità di impiegare l’art. 34 per offrire tutela al terzo nel caso di denuncia di inizio attività. v. altresì G. AVANZINI, Commento all’art. 34, in A. TRAVI (a cura di), La nuova giurisdizione, cit., 217, nonché E. CASETTA, Manuale, cit., 452.
[49] TAR Lombardia, sez. Brescia, 1 giugno
2001 n. 397 in Giust. It, (rivista Internet), n. 6/2001.
[50] T.A.R. Marche, 29 luglio 1999, n.
911in Foro Amm., 2000, 1011.
[51] Cass., sez. un., n. 494/2000, cit. e
Tar Campania, 21 febbraio 2001, n. 810, in Trib. amm. reg., 2001, 1369.
[52] Cass., sez. un., ord. 21 giugno 2001,
n. 8506, cit.
[53] M. LIPARI, Urbanistica ed edilizia, cit. 154-155, che richiama anche l’analoga opinione di G. AVANZINI. In
giurisprudenza cfr. Trib. S. Angelo dei Lombardi, 9 aprile 2002, n. 206, in
www.lexitalia.it, secondo cui residuano in capo al giudice ordinario le
controversie di valenza meramente civilistica ancorchè parte del giudizio sia un soggetto pubblico. “In realtà tali controversie, anche se riguardano beni demaniali o pubblici non hanno attinenza
con l’urbanistica ed in esse non viene in contestazione l’esercizio di una potestà pubblica attinente ad una scelta che riguardi l’uso del territorio, comunque manifestata, né viene in rilievo
l’applicazione di norme urbanistiche ma di quelle generali poste a tutela del diritto di proprietà (cfr., in quest’ottica, Consiglio di Stato sez. V 22.09.2001 n. 4980 in materia di cattiva
manutenzione di una rete fognaria, Cass. 22.11.2001 n. 14848 in tema di omessa manutenzione di una scarpata comunale, Tribunale Milano 24.6.1999, Tar Friuli Venezia Giulia 21.8.1998 n. 154)”.
[54] V. Cons. Stato, sez. V, 22 settembre
2001, n. 4980, in Cons. Stato, 2001, 2121, secondo cui l’urbanistica riguarda gli aspetti “conoscitivi, normativi, di gestione e di uso del territorio pur
sempre nell’esercizio della pubblica funzione, non i singolari rapporti tra proprietà, pubblica e privata, ancorché localizzate sul territorio”.
[55] P.GOTTI, Gli atti amministrativi dichiarativi. Aspetti sostanziali e profili di tutela, Milano, 1996; R. CARANTA, Brevi note su atti ricognitivi e
giurisdizione del giudice ordinario, in Giur. It., 1994, III, 1, 245.
[56] Cass., sez. un., 24-08-1999, n. 591,
in Foro it., Rep., 2000, Lavoro (collocamento) [3840], n. 77
[57] Cass., sez. un., 17-12-1999, n. 911, Foro it., Rep., 1999, Lavoro (collocamento) [3840], n. 77
[58] Art. 2, comma 2 l. 14 novembre 1995, n. 481.
[59] Art. 1, comma 9 e 21 l. 31 luglio 1997, n. 249, istitutiva dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e norme
sui sistemi delle telecomunicazioni e radiotelevisivo.
[60] In termini Tar Catania, sez. III, 3 gennaio 2001, n. 20, che riconosce al giudice amministrativo la cognizione degli
atti situati a monte dell'approvazione della graduatoria e al G.O. la giurisdizione sugli atti a valle. In applicazione del suddetto criterio ha quindi ritenuto la giurisdizione del G.A. per la revoca
degli atti di un concorso mai giunto alla fase dell'approvazione della graduatoria.
[61] In termini Tar Abruzzo, Pescara, 25 maggio 2001, in Giust. it. con riguardo
ai danni pretesi da candidato reintegrato dal giudice all'esito del ricorso avverso l'esito del concorso.
[62] In tal senso Tribunale di Rimini -
Sentenza 13 luglio 2000 n. 433, in
www.lexitalia.it che ha affermato che nel
caso in cui la pubblica amministrazione, nonostante la proclamazione dei vincitori di un concorso, ritardi o rifiuti l’assunzione in servizio, competente a decidere sulla relativa controversia è il
giudice del lavoro, anche se ancora non sia stato costituito un rapporto di lavoro; nel caso invece in cui la controversia sia stata promossa da chi non risulti vincitore o sia stato escluso dal
concorso, la giurisdizione spetta al giudice amministrativo, non essendo sorto per l’ente un obbligo giuridico di assunzione; Tar Sardegna, sent. del 26.11.02, n. 1698 in
www.giustizia.amministrativa.it che ha affermato appunto la giurisdizione del giudice ordinario, trattandosi di questione concernente la ritardata assunzione di un soggetto già vincitore di concorso.
[63] Cass., sez. un., 4 giugno 2002, n. 8086, in Il giornale di diritto amministrativo, 2002, 879, secondo cui
la controversia avente ad oggetto la richiesta di risarcimento dei danni commisurato alle retribuzioni non percepite per il periodo anteriore alla effettiva immissione in servizio, appartiene alla
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ove riguardi una fase del rapporto antecedente al 30 giugno 1998. In termini Cass. sez. un. 27 marzo 2001, 139/SU in Rep. Foro it. 2001, voce Impiegato dello Stato e pubblico, n. 295; Cass. sez. un. 7 marzo 2001, n. 92/SU, in Rep. Foro it. 2001, voce Impiegato dello Stato e pubblico, n. 296; C. Cass., Sez Un. sent. 11 luglio 2000 n. 471 in
www.lexitalia.it che configura la pretesa alle retribuzioni non percepite come scaturente da responsabilità contrattuale della p.a.; Cass., S.u.. 10 maggio
1996, 4396, in Cons. St. 1996, II, 1728. Il presupposto è perè che vi sia stata restrodatazione degli effetti giuridici della nomina. In mancanza la giurisdizione dovrebbe spettare al giudice
ordinario, trattandosi in quest’ultimo caso di diritti patrimoniali consequenziali. Nel senso della appartenenza al giudice ordinario della giurisdizione in materia di risarcimento per i danni
derivanti da ritardata assunzione v. Cass. sez. un. 17.11.99, n. 790, citata dal Tar Sardegna cit.; Tar Lombardia, sez. Brescia, 11.9.2000, n. 687 in www.giustizia.amministrativa.it
[64] Tar Sardegna, sent. del 26.11.02, n.
1698 in www.giustizia.amministrativa.it
[65] Cfr. Cass., sez. un., 19-11-1999, n. 799 –Comune di Cinquefrondi c/ Petrullà, riportata dal Tar Sardegna cit.
[66] Cfr. sentenze Cass. SS.UU. 11-06-1998, n. 5806; Cass., sez. un., 27-05-1999, n. 302,
Cass., sez. un., 10-05-1993, n. 5338; Cass., sez. un. 17.11.99 n. 790 -Curto c/ Comune di Catanzaro riportate dal Tar Sardegna sopra cit..
[67] Cons. St. Sez. VI n. 378 del 31 marzo 1999, in Cons. St. 1999,
I, 497, ove si afferma che l’annullamento dell'atto amministrativo che fa cessare illegittimamente un rapporto d'impiego pubblico (o ne ritarda la progressione) determina come conseguenza la
reviviscenza del rapporto nella sua pienezza, quale si svolgeva e avrebbe dovuto continuare a svolgersi, con tutte le conseguenze di anzianità, di carriera e di retribuzione. In termini Cons. St.
sez. V, 19 settembre 2000, n. 4841 in Rep. Foro it. 2001 voce: impiegato dello Stato e pubblico n. 605, secondo cui
in caso di illegittima interruzione del rapporto di impiego sono dovute tutte le retribuzioni, detratto quanto eventualmente percepito nel medesimo periodo per diversa attività lavorativa.
[68] V. Cons. St., ad. plen., 12 dicembre 1991, 10 in Cons. St., 1991, I, 1805; Cons. st. IV Sez. 19 febbraio 1990 n. 97, VI Sez. 1 dicembre 1989 nn. 608, 1565 e 1495, 27 maggio 1988 n. 718, 10 giugno 1980 n. 667, 5 febbraio 1987 n. 23, 2 aprile 1982 n. 164 e 8 luglio
1980 n. 716, Csi. 2 novembre 1988 n. 171, in Cons. Stato 1990, I, 171; 1989, I, 708; 1988, I, 693; 1980, I, 1039; 1987, I, 175; 1982, I, 523; 1980, I, 1070; 1988, I, 1524; Tar Campania, 10 aprile
2002, n. 1978, in Il foro amministrativo: TAR, 2002, p. 1357, Tar Abruzzo, 12 aprile 2002, n. 392 in Il foro
amministrativo: TAR, 2002, p. 1320; TAR CAMPANIA-NAPOLI, SEZ. V - Sentenza 26 febbraio 2002 n. 1113 in
www.lexitalia.it
V. a Consiglio di Stato, Sezione Sesta, sent. n. 5858 del 20.11.01 in www.giustizia-amministrativa.it; Cons. St,, sez. IV, n. 49 del 4.1.2001, in Foro amm.,
2001, 25 ; Cons. St. sez V, 27 febbraio 2001, n. 1064, in Foro amm., 2001, 464; Cons. st. sez. VI, 4 luglio 2000, n. 3672, in Foro amm., 2000, 2691; Tar
Puglia lecce, sez. I, 1 febbraio 2001, n. 310, in TAR, 2001, I, 1428; Cons. St. sez. IV, 14 luglio 1997, n. 713, in Foro amm.
1997, 1941 ; Cons. St. Sez. VI n.133 del 1 febbraio 1993 in Cons. St. 1993, I, 217, secondo il quale: “La corresponsione del trattamento
economico al pubblico dipendente ha per presupposto l'effettiva prestazione del servizio, ovvero l'interruzione del servizio già in corso per causa di un atto dell'Amministrazione successivamente
riconosciuto illegittimo; in altri termini, l'obbligo dell'Amministrazione di corrispondere la retribuzione può essere affermato solo quando con l'adozione della nomina e l'assunzione del servizio si
è già perfezionato il sinallagma prestazione retribuzione ed è sorto, in capo al dipendente, un vero e proprio diritto soggettivo..
[69] Tar Abruzzo-Pescara, sent. 25 maggio
2001, n. 533, in Giur.it., p. 2404 e ss.
[70] Di diverso avviso, sia pure in relazione ad una vicenda più complessa, Cons. Stato, V, 2 ottobre 2002,
n. 5174, in Foro amm., 2002,con lucide osservazioni di M. L. MADDALENA, Il danno derivante da ritardata assunzione: natura della situazione soggettiva lesa e spunti critici sulla sua riconducibilità al danno da perdita di chance. Il
Consiglio ha ritenuto che non potesse essere liquidata una somma pari a quella che sarebbe spettata in caso di integrale reintegrazione economica del
dipendente sull’assunto che si dovesse tener conto del fatto che l’interessata non aveva impegnato le sue energie a favore della amministrazione ma alla cura di altri interessi (culturali,
familiari o di svago in genere). Ha quindi fatto luogo ad un abbattimento in via equitativa del 50% rispetto alle spettanze già liquidate in primo grado
pari alle retribuzioni e al valore delle contribuzioni previdenziali, detratte le somme fruite dalla interessata per altre attività eventualmente svolte.
[71]
Cons. St., sez. VI, sent. del 7 febbraio 2002, n. 686 in questa Rivista p. 453, vol. II, 2002 secondo cui la concretezza della porbabilità deve essere
statisticamente valutabile al 50 %. Trib. Reg.di Giust. Amm., Sez. Aut. Provincia di Bolzano – Sent. 9 gennaio 2001 n. 1 in www.lexitalia.it;
[72] CdS
sez. V, 8 gennaio 2002, n. 100 in questa Rivista, p. 83, vol. I, 2002 ; CdS, sez. V, 30 aprile 2002, n. 2299 in
questa Rivista p. 947 vol. IV 2002, Tar veneto, sez. I, 4 aprile 2002, n. 1263, in Il foro amministrativo: TAR,
2002, p. 1206; Tar Campania, sez. II, 7 febbraio 2002, n. 733 Il foro amministrativo: TAR, 2002, p.639. v. anche Tar Calabria, sez. II, 15 gennaio 2002, n. 8, in Il foro amministrativo: TAR, 2002, p. 261
secondo cui il risarcimento in forma specifica del danno da perdita di chance deriva dall’annullamento della procedura di selezione illegittima, ciò
naturalmente se se ed in quanto sia possibile un nuovo esperimento della gara.
[73] Secondo Cass., sez. unite, 23 novembre 2000, n. 1203, in Diritto e giustizia,
2000, n. 46, p. 58, in materia di pubblico impiego, nel sistema di reclutamento basato su graduatorie (nella specie per il conferimento di supplenze su posti di collaboratore scolastico) formate in
base a criteri fissi e prestabiliti da una pubblica amministrazione dotata di poteri di accertamento e di valutazione tecnica, il soggetto, che chiede l'inserzione nelle medesime, fa valere il suo
diritto al lavoro e le relative controversie debbono essere conosciute dal giudice ordinario ai sensi degli artt. 2 della legge n. 2248/1865, all. E, e 2907 c.c.
[74] Di diverso avviso, in dottrina, V. Tenore (a cura di), Devoluzione al giudice ordinario del contenzioso sul pubblico impiego, in Noviello, Sordi, Carugno, Tenore, Le controversie sul pubblico impiego privatizzato e gli uffici del contenzioso, op. cit., p. 22, sulla base delle
seguenti considerazioni: a) non esiste alcuna disposizione normativa o contrattuale che preveda tale diritto; b) la
privatizzazione del pubblico impiego non ha fatto venir meno la doverosa valutazione degli interessi pubblici che sono sottesi alle scelte della P.A.; c) la devoluzione al G.O. delle controversie di cui all'art. 68 cit. non ha determinato la trasformazione in diritti soggettivi delle situazioni soggettive azionate dal pubblico
dipendente. In senso contrario, si rileva che il legislatore delegato, nel dare attuazione alla delega contenuta nell'art. 11, comma 4, lett. a), ha
provveduto a completare l'integrazione della disciplina del lavoro pubblico con quella del lavoro privato, estendendo tra l'altro (art. 2, comma 2, del D.Lgs. 29/1993) al primo le disposizioni del
Capo I, Titolo II, del Libro V del codice civile e le leggi sui rapporti di lavoro subordinato, salve le disposizioni contenute nel D.Lgs. 29/1993. La privatizzazione è stata quindi sostanziale: da
ciò ne consegue l'estensione al rapporto di pubblico impiego privatizzato dei principi che la giurisprudenza ordinaria aveva elaborato con riferimento ai dipendenti degli enti pubblici economici.
[75] V. V. Tenore, Devoluzione al giudice ordinario del contenzioso sul pubblico impiego, in AAVV, Le nuove controversie sul pubblico impiego privatizzato, cit. p. 39 e ss. Cons. st. sez. V, 19 marzo 2001, n. 1632 in Foro amm. 2001, 525.
[76] Cons. St., sez. VI, 14 marzo 2002, n. 1505, in Foro amm., III, 2002, 771, secondo cui gli aspiranti all’accesso
a posti di insegnante elementare, allorché utilmente collocati in graduatoria, sono titolari di un vero e proprio diritto soggettivo alla immissione in ruolo, nei limiti dei posti indicati nella
dotazione organica ed ancorché la relativa disponibilità si sia verificata dopo il periodo di validità della graduatoria stessa. V. anche Tar Napoli 10 febbraio 2001, Conte c. regione Campania, in Rep. Foro it. Voce Impiegato dello Stato e pubblico n. 282 e Trib. Agrigento, 30 dicembre 1999, in Riv. Critica dir. lav. 2000, 722 e Rep.Foro it. n. 292, nonché TAR Puglia, sent. 19 marzo 2000, n. 1631
in www.lexitalia.it che ha riconosciuto la giurisdizione ordinaria in un caso
in cui era stata negata al vincitore di un concorso pubblico la formalizzazione dell’assunzione, dopo l’esaurimento della procedura concorsuale e l’approvazione della graduatoria con la nomina
dei vincitori.
[77] V. CdS, sez. VI, 6 marzo 2002, n.
1347, in questa Rivista, vol. III, 2002, p. 748, secondo cui il provveditore agli studi deve tenere conto della disponibilità e della vacanza dei posti, all’atto
del conferimento delle nomine, senza disporre di alcuna discrezionalità.
[78] In tale senso TAR Sicilia, Catania,
sent. 3 gennaio 2001, n. 20 in www.lexitalia.it
[79] TAR Puglia, sent. 19 marzo 2000, n.
1631 che ha riconosciuto la giurisdizione ordinaria in un caso in cui era stata negata al vincitore di un concorso pubblico la formalizzazione dell’assunzione, dopo l’esaurimento della procedura
concorsuale e l’approvazione della graduatoria con la nomina dei vincitori. Tribunale di Rimini - 13 luglio 2000 n. 433, in
www.lexitalia.it che ha affermato che nel caso in cui la
pubblica amministrazione, nonostante la proclamazione dei vincitori di un concorso, ritardi o rifiuti l’assunzione in servizio, competente a decidere sulla relativa controversia è il giudice del
lavoro, anche se ancora non sia stato costituito un rapporto di lavoro; nel caso invece in cui la controversia sia stata promossa da chi non risulti vincitore o sia stato escluso dal concorso, la
giurisdizione spetta al giudice amministrativo, non essendo sorto per l’ente un obbligo giuridico di assunzione; Tar Sardegna, sent. del 26.11.02, n. 1698 in www.giustizia.amministrativa.it che ha
ammesso appunto la giurisdizione del giudice ordinario, trattandosi di questione concernente la ritardata assunzione di un soggetto già vincitore di concorso.
[80] v. Tribunale di Rimini, sent. 13 luglio 2000, n. 433, in www.lexitalia.it in senso contrario, Tar Catania, sez. II, 9 febbraio 2001, n. 290, in www.lexitalia.it e commentata ne Il Giornale di diritto amministrativo, 2002, p. 49 e ss. da R. DIPACE, in relazione ad un caso in cui i soggetti utilmente collocati in
graduatoria in una precedente selezione avevano impugnato dinanzi al TAR l’indizione di una nuova procedura concorsuale. Il Tar ha ritenuto, in questa ipotesi, che la posizione soggettiva vantata
dai ricorrenti fosse un diritto soggettivo, non essendo il frutto di una scelta discrezionale amministrativa ma di autonomia privatistica la decisione sulle modalità di assunzione del personale,
ricorrendo alla graduatoria degli idonei o indicendo una nuova procedura concorsuale, e ha per tali ragioni declinato la sua giurisdizione. V. anche Trib. Gorizia, 14 aprile 2001, in Giust. Civ. 2001, I, 1976 secondo cui l’idoneo non ha diritto soggettivo pieno alla assunzione, ma subordinato alla decisione dell’ente di procedere a nuove
assunzioni
[81] Cons. St., sez. VI, 28 febbraio 2000, n. 1040, in questa Rivista, 2000, 555, Cons. rg. Sic. 25 febbraio
1994, n. 49 in Cons. St., 1994, I, 259, TAR Sicilia, sez. II, 15 marzo 2002, n. 711, Il foro amministrativo: TAR, 2002, p.1085.
[82] Il tema ha diviso per lungo tempo dottrina e giurisprudenza. A sostegno della prima tesi: Tar Palermo, sez. I, ord. 23
novembre 2000, n. 1925; Pret. Roma 26 novembre 1998 ordinanza Osiridù c. Comune di Monterotondo e Pretura Bari 13 ottobre 1998, N.n. c. Regione Puglia. In conformità nonché, da ultimo, Trib.
Trapani, sez. Lavoro, ord. 2 gennaio 2001, in Giust. it., Rivista informatica, a cura di G. Virga, ove si mette
bene in evidenza la differenza tra procedure per l'assunzione e selezioni interne (meglio definite « progressioni verticali nel sistema di carriera » dall'art. 4 del CCNL del 31.3.1999): a) le prime appartengono ancora all'area pubblicistica, richiedono l'adozione di provvedimenti amministrativi e, pertanto, danno luogo ad un contenzioso di pertinenza del Giudice
amministrativo; b) le seconde, derivando da una fonte negoziale, ricadono interamente nell'area del diritto civile, richiedono la formalizzazione delle decisioni con atti di diritto privato, sono
ricomprese, più precisamente nella vasta attività di gestione del rapporto di lavoro che è affidato alla competenza dei dirigenti e rientra nella giurisdizione del G.O. (vedi parere ARAN, 12 aprile
2000). A sostegno della tesi della giurisdizione amministrativa vedi Pret. Ancona, ord. 27 luglio 1998, Cairoli c. Regione Marche nonché Tar Emilia-Romagna 23 maggio 2001, n. 391.
[83] Cass. SU civ., sent. 10 dicembre 2001,
15602, in www.lexitalia.it e da ultimo Cass. SU civ. ord.25 ottobre 2001 – 27 febbraio 2002, n. 2954 in Diritto e giustizia, n. 12, p. 36 e ss.
[84]La legge ha riscritto quasi integralmente l’art. 19 del testo unico sul pubblico impiego specificando che l’atto di conferimento dell’incarico
ha natura provvedimentale e che con esso o con separato provvedimento del Presidente del consiglio dei ministri o del Ministro competente sono individuati l’oggetto dell’incarico, gli obiettivi da
conseguire e la durata dell’incarico. Ad esso accede un contratto, con il quale è definito il trattamento economico del dirigente. Quanto agli incarichi dirigenziali esterni la legge ne individua
la fonte nel solo atto contrattuale, provvedendo inoltre ad aumentare la percentuale di quelli consentiti: dal 5 al 10 percento della dotazione organica dei dirigenti appartenenti alla prima fascia e
dal 5 al 8 percento della dotazione organica di quelli appartenenti alla seconda fascia. La novella assume rilievo in sede di soluzione da dare al problema
della qualificazione, pubblicistica o privatistica, degli atti di conferimento e revoca degli incarichi dirigenziali: soluzione a sua volta destinata ad incidere sul tema del riparto di giurisdizione
o, quanto meno, della natura della giurisdizione ormai riconosciuta in capo al giudice ordinario. Sembra, al riguardo ripudiare la lettura “panprivatistica” della questione e presupporre,
viceversa, la natura di provvedimento amministrativo dell’atto di conferimento dell’incarico, l’ultimo intervento delle Sezioni unite di Cassazione laddove hanno qualificato come esclusiva la giurisdizione sul punto riconosciuta in capo al giudice ordinario (27 febbraio 2002). Sul connesso profilo di costituzionalità di una giurisdizione
esclusiva del GO in materia di pubblico impiego è di recente intervenuta la Corte costituzionale chiamata a pronunciarsi Tribunale di Genova (ord. 22 settembre 2000, n. 753, in
www.lexitalia.it) che,
muovendo dall’assunto della natura provvedimentale degli atti di conferimento e di revoca degli incarichi dirigenziali, ha prospettato il dubbio di contrasto di quella devoluzione al giudice
ordinario con i principi della legge delega (l. 57/97) e con il riferimento in essa contenuto alle sole controversie in materia di rapporto di lavoro alle dipendenze di amministrazioni pubbliche
incidenti su diritti soggettivi ed al potere di sola disapplicazione degli atti amministrativi presupposti. Con sentenza 23 luglio 2001, n. 275, la Corte
costituzionale, nel dichiarare l’infondatezza della questione, ha, da un lato, rimarcato la connessione logica la scelta del legislatore delegato e del legislatore delegante di privatizzare i
rapporti dei dipendenti della amministrazione pubblica (compresi i dirigenti) e quella, sul piano della giurisdizione, di assegnare al giudice ordinario la tutela delle posizioni soggettive dei
dipendenti pubblici, sussumibili, pur tenendo conto della specialità del rapporto e delle esigenze di perseguimento degli interessi generali, nell’ampia categoria dei diritti di cui all’art. 2907
c.c.; dall’altro, la discrezionalità del legislatore ordinario nel far luogo al “conferimento ad un giudice, sia ordinario sia amministrativo, del
potere di conoscere ed eventualmente annullare un atto della pubblica amministrazione”, con la precisazione per cui “la cognizione del giudice del
lavoro comprende tutti i vizi di legittimità”, così lasciando intendere che la stessa possa anche estendersi al sindacato di atti amministrativi.
[85] Cass. SU, ord. 25 ottobre 2001 – 27
febbraio 2002, in Diritto e giustizia, n. 12 del 2002, p. 36 e ss. In passato S.U. 24 febbraio 2000, n. 41, 11
giugno 2001, n. 7859, 17 luglio 2001, n.9650. Sulla questione, cfr. Corte cost. 23 luglio 2001, n. 275, con la quale è stata dichiarata infondata la questione di costituzionalità sollevata dal
Tribunale di Genova con ordinanza del 22 settembre 2000, n. 753, in www.lexitalia.it
[86] In tal senso v. T.A.R. Friuli Venezia Giulia, 10.5.1999, n.601, pubblicata in www.lexitalia.it che in una ipotesi di conferimento di incarico di dirigente sanitario di secondo livello ha ritenuto che, pur avvenendo l’accesso a
detta posizione nell’ambito di medici del SSN, tuttavia esso debba considerarsi come verificatesi dall’esterno, come dimostrerebbe il fatto che l’incaricato dovrebbe dimettersi dalla posizione
precedentemente ricoperta. La tesi è stata del tutto sconfessata dal Consiglio di Stato sez. V, sent. del 15.3.2001, n. 1519, pubblicata in www.lexitalia.it, che ha ritenuto trattarsi di un incarico interno.
[87] Da ultimo, ha affermato la
giurisdizione del G.A. il Tar Abruzzo, Pescara, 26 febbraio 2000, n. 132 (per il conferimento di incarichi di dirigente medico). Analogamente il Trib. Novara, con ord. del 28 gennaio 2000, ha
dichiarato il difetto di giurisdizione del g.o. In senso contrario, però, Tar Liguria, sez. II, 30 novembre 1999 e Tar Friuli-Venezia Giulia, 18 dicembre 1999, n. 1282. In questo senso, da ultimo, si
v. Tar Lazio, sez. II bis, sent. parziale 3 febbraio 2001, n. 869, in Giust.it., Rivista informatica. Le decisioni
richiamate sono consultabili sul sito internet Giust.it, nella rubrica Quale giurisdizione per le procedure per il
conferimento di incarichi?
[88] Cass., 20 novembre 1999, n. 808, in Giust. civ., 2000, 3. Da ultimo anche
Cass., SS.UU., 23 novembre 2000, n. 1204, in Diritto e Giustizia 2000, 46, p. 60.
[89] Sul punto si veda da ultimo Cass., sez. un., 21 dicembre 2000, n. 1323; 23 novembre 2000, n. 1204; 19 luglio 2000, n.
505; Cass., SS.UU., 24 febbraio 2000, n. 41/SU, in Foro it., 2000, 1483. Vedi anche Tar Pescara 30 dicembre 2000, n. 853.
[90] V. Tar Pescara, 30 dicembre 2000, n. 853.
[91] In Foro amm. C.d.s., 2002, 1821.
[92] V.TENORE, Devoluzione al giudice ordinario, cit., p.90-91
[93] In termini, R. CARANTA, op. cit., 85.
[94] Cass., 3 marzo 2001, n. 3132, in Resp. civ. prev., 2001, con nota di R. CARANTA, Responsabilità della CONSOB per mancata vigilanza e futuri problemi di
giurisdizione.
[95] Trattasi del TAR della Lombardia proprio in considerazione della fissazione della sede a Milano
[96] L’obiettivo è stato, tuttavia, perseguito mediante una previsione normativa collocata in un inappropriato contesto normativo, posto che
difficilmente sono riscontrabili nell’attività di vigilanza i tratti propri della nozione di servizio pubblico. L’infelicità della scelta legislativa trova del resto conferma se si procede ad
una lettura coordinata dei due commi dell’art. 33: fermo restando quanto rilevato in merito alla natura non esaustiva dell’elencazione di cui al secondo comma dell’art. 33, non si può
trascurare, infatti, che la relativa lett. c), nell’indicare le controversie in materia di pubblici servizi attratte nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, fa riferimento a quelle
sorte “in materia di vigilanza e controllo” espletati nei confronti dei soli “gestori dei pubblici servizi”, tali non potendo considerarsi, almeno normalmente, le imprese preposte all’espletamento
dell’attività bancaria, così come a quella assicurativa.
[97] Cfr., per una approfondita e lucida analisi della materia, M.E. SCHINAIA, Il controllo giurisdizionale sulle autorità amministrative indipendenti, Relazione tenuta al Convegno su “Le autorità amministrative indipendenti” svoltosi, in memoria di Vincenzo Caianiello a Palazzo Spada il 9 maggio 2003.
[98] Sez. I, 15 aprile 1999, n. 181, in Urbanistica e appalti, 1999, 1333, con nota critica di R. CARANTA, Impugnazione di provvedimenti sanzionatori e limiti
della nuova giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
[99] Cass., sez. un., 25 luglio 1980, n.
4831, in Giust. civ., 1980, I, 2399; Cass., sez. un., 16 ottobre 1989, n. 4144, in Giust. civ. Mass., 1989, fasc. 10.
[100] R. CARANTA, op. cit., 1335.
[101] In Urbanistica e appalti, 2000, 45 ss., con nota di M. DE PALMA, Giurisdizione esclusiva del G.A. ex art. 33 d.lgs. 80/1998 e procedimenti sommari
[102] Cfr., su tale catogoria, P. CENDON
e P. ZIVIV, Il danno esistenziale. Una nuova categoria della responsabilità civile, Milano, 2000; P. CENDON, Trattato
breve dei nuovi danni. Il risarcimento del danno esistenziale: aspetti civili, penali, medico legali, processuali, Padova, 2001. Per un quadro aggiornato degli indirizzi anche giurisprudenziali in
G. CASSANO, Fondamenti giuridici del danno esistenziale: novità giurisprudenziali e questioni in tema di prova, www.lexitalia.it. Con specifico riguardo alla prospettabilità di forme di responsabilità dell’amministrazione per il danno esistenziale cagionato cfr. le belle
pagine di L. VIOLA, Piccoli equivoci senza importanza: il danno esistenziale nella responsabilità civile della pubblica amministrazione, in I TAR, 2002, 233; Id., Arruolamento militare e danno esistenziale, in
www.lexitalia.it
[103] Cass. S.U., 10 maggio 2000, n.
5946, in ww.giust.it
[104] 18 marzo 2001 n. 813, in ww.giust.it
[105] Sul tema le lucide ed antesignane
osservazioni di P.CARETTI e G. MORBIDELLI, Obbligo di prestare il servizio militare e tutela delle posizioni soggettive, in Foro amm., 1970, III, 223. Cfr., con riguardo al contenzioso connesso all’espletamento del del servizio militare, Tribunale di Roma, Sez. I, 16 gennaio 2002,
n. 1288, in www.lexitalia.it, secondo cui le controversie riguardanti la regolarità dell’arruolamento ed in particolare quelle relative
alla tardiva chiamata alla armi sono esterne al rapporto di supremazia speciale tra amministrazione e cittadino, tipizzato dall’esercizio delle relative potestà; tali controversie, pertanto,
rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario.
[106] Corte cost. 2 febbraio 1990, n.
41, in Cons. Stato, 1990, II, 207.
[107] BETTINELLI, Tempo di vita e servizio militare, in Foro it., I, 1459.
[108]
Cfr. le attente riflessioni di L. VIOLA, La tutela risarcitoria del diritto di accesso e il danno esistenziale, in www.lexitalia.it
Come è noto, la questione relativa, da un lato, alla qualificazione della posizione soggettiva propria dell’accedente, qudall’altro
e conseguentemente, alla natura della giurisdizione spettante al giudice amministrativo, ha costituito oggetto di vivace dibattito. Nonostante la mancata specificazione, da parte del legislatore,
della valenza esclusiva della giurisdizione in parola, a sostegno della tesi sono sembrati militare differenti argomenti. In primo luogo, la posizione soggettiva vantata dall'accedente, postulando un
mero accertamento dei presupposti stabiliti dal legislatore ai fini dell'ostensione, e segnatamente l'assenza di profili ostativi tassativamente enunciati in sede legislativo-regolamentare, è
qualificabile come un diritto soggettivo in senso stretto la cui conculcazione implica la violazione da parte della P.A. di una norma di relazione; la situazione legittimante di cui all'art. 22, in
grado di sorreggere l'esercizio del diritto di accesso, può essere indifferentemente di diritto soggettivo o di interesse legittimo, per non dire della possibilità di tratteggiare un tertium genus di situazioni meritevoli di considerazione; la pronuncia del giudice amministrativo non si concreta, in conformità agli stilemi della
giurisdizione amministrativa di pura legittimità, nella demolizione dell'atto amministrativo lesivo della sfera privata ma nella condanna dell'amministrazione ad un facere (esibizione del documento), secondo schemi propri della giurisdizione esclusiva. A diverso esito è tuttavia giunta l’Adunanza plenaria del Consiglio di
Stato con decisione 24 giugno 1999, n. 16, in Foro. it, 1999, III, con nota di G. ROMEO, che, soprattutto in considerazione della previsione di un termine
decadenziale per l’esperimento della tutela giurisdizionale, ha ritenuto <<atecnico>> il riferimento al <<diritto di accesso>> contenuto in tutto il Capo V della l. 241/90,
concludendo per la natura di interesse legittimo. Sia consentito rinviare a F. CARINGELLA, R. GAROFOLI, M.T. SEMPREVIVA, L’accesso ai documenti amministrativi.
Profili sostanziali e processuali, Milano, II ed., 20023.
Sulla qualificabilità della posizione dell’accedente in termini di diritto soggettivo cfr., di recente, la elaborata argomentazione di Cons. Stato, sez.
VI, 27 maggio 2003, n. 2938,
in www.lexitalia.it
[110] Cfr.
F. CARINGELLA, R. GAROFOLI, M.T. SEMPREVIVA, L’accesso ai documenti amministrativi. Profili sostanziali e processuali, Milano, I ed., 1988, 492.
[111] Cosí M. COSTANTINO, Il
risarcimento del danno da diniego (illegittimo) all'accesso ai documenti amministrativi, in Dir. pubb., 1998, 167, il quale paventa la diversità della
disciplina applicabile, in caso di adesione alla tesi contrattualistica, in tema di onere della prova e prescrizione.
[112] Cfr. F. CARINGELLA, R. GAROFOLI,
M.T. SEMPREVIVA, L’accesso ai documenti amministrativi. Profili sostanziali e processuali, Milano, I ed., 1988, 493.
[113] COSTANTINO, cit., 176.
[114] Cfr. F. CARINGELLA, R. GAROFOLI, M.T. SEMPREVIVA, L’accesso ai documenti
amministrativi. Profili sostanziali e processuali, Milano, I ed., 1988, 492; COSTANTINO, cit., 177, il quale scandaglia anche la risarcibilità del danno ad associazioni di utenti e di
consumatori; E. CAPACCIOLI, Diritto e processo, in ID, Scritti vari di diritto pubblico, Padova, 1978, 13, il quale
osservava che non dovrebbe considerarsi scandaloso ammettere la constatabilità ex post di situazioni configurabili come diritti soggettivi, sulla base del
comportamento effettivamente tenuto da parte della pubblica amministrazione nella concreta situazione di fatto.
[115] Corte Europea 19 febbraio 1998, con nota di E. BOSCOLO, La Corte Europea dei diritto dell'uomo e il diritto ad una corretta informazione ambientale, in Urbanistica e appalti, n. 10/1998, 1151.
[116] F. CARINGELLA, R. GAROFOLI, M.T. SEMPREVIVA, L’accesso ai documenti
amministrativi. Profili sostanziali e processuali, Milano, I ed., 1988, 493; BOSCOLO, cit.
[117] L. VIOLA, op. ult. cit.
[118] Cfr., al riguardo, Cass. S.U. 21.2.2002 n. 2515,
in www.lexitalia.it