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n. 2/2004
In data 22 gennaio 2004, l'ARAN e le
Confederazioni ed Organizzazioni sindacali rappresentative hanno sottoscritto
il contratto collettivo nazionale di lavoro del personale del comparto delle
regioni e delle autonomie locali per il quadriennio normativo 2002-2005 e per
il biennio economico 2002-2003.
L'accordo sottoscritto si muove nell'ambito
delle linee portanti della generale riforma del rapporto di lavoro pubblico
attuata con il D.Lgs. n.29 del 1993, e successive modificazioni ed
integrazioni (poi confluite nel Testo unico recepito nel D.Lgs. n.165/2001),
che, come è noto, ha configurato la privatizzazione e contrattualizzazione del
rapporto di lavoro dei pubblici dipendenti come strumenti essenziali, non solo
per l'avvio di un effettivo processo di ammodernamento e razionalizzazione
delle pubbliche amministrazioni, ma anche, e contestualmente, di contenimento
e controllo del costo del lavoro pubblico. In tale ambito, la fonte negoziale
è assunta, espressamente, al ruolo di principale strumento per l'attuazione
dei citati obiettivi.
Il processo di definitivo superamento, con la
loro contestuale disapplicazione, degli istituti regolati da norme
pubblicistiche si è concluso, come è noto, nei primi due quadrienni
contrattuali relativi agli anni 1994-1997 e 1998-2001, esattamente come
previsto dalle leggi di riforma.
Poiché le trattative per il rinnovo contrattuale
si sono avviate con significativo ritardo rispetto alla scadenza del
precedente CCNL quadriennale (31.12.2001), la necessità di pervenire ad una
sollecita definizione della vertenza relativa al comparto delle regioni e
delle autonomie locali, ha indotto le parti negoziali ad optare per un
contratto "leggero" che, entro la fine della stagione negoziale, sarà poi
organicamente integrato in un testo unificato, comprensivo di tutte le
disposizioni contrattuali da considerarsi attualmente vigenti.
In tale contesto, l'attività contrattuale è
stata indirizzata:
Per quanto riguarda il trattamento economico,
in generale, gli incrementi retributivi previsti dal CCNL, come precisato
nella specifica relazione tecnica sui costi contrattuali , sono stati
distribuiti secondo i meccanismi utilizzati nelle precedenti tornate
contrattuali ed in conformità agli indirizzi formulati all'ARAN sia
dall'organismo di coordinamento dei Comitati di settore per tutti i comparti
di contrattazione, in data 11 giugno 2002, sia dal competente Comitato di
settore del comparto delle regioni e delle autonomie locali, in data 30 luglio
2003, con le integrazioni contenute nella nota aggiuntiva del 6 ottobre 2003.
luglio 2003.
In tal modo si è posto in essere un altro
tassello per la concreta realizzazione di un nuovo sistema di relazioni nel
rapporto di lavoro, effettivamente funzionale al perseguimento degli obiettivi
di razionalizzazione dell'organizzazione e del funzionamento degli enti del
comparto e di revisione della disciplina del lavoro pubblico, in un'ottica di
ulteriore avvicinamento al regime del lavoro privato.
Il tutto nel rigoroso rispetto dei vincoli
derivanti dalla legge finanziaria e dall'atto di indirizzo del Comitato di
settore.
Il testo del CCNL è articolato in cinque Titoli,
per un totale di 47 articoli. Allo stesso sono allegate 4 tabelle (denominate
A, B, C, D) per l'illustrazione degli effetti economici dell'accordo.
Completano il testo contrattuale alcune dichiarazioni congiunte delle parti
nonché il Codice di comportamento dei dipendenti delle pubbliche
amministrazioni che, pure non essendo un atto negoziale, deve essere
obbligatoriamente allegato al CCNL (art. 54, comma 3, del D.Lgs .n.165/2001).
Di seguito sono specificamente analizzate ed
illustrate le singole disposizioni contrattuali.
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TITOLO I - DISPOSIZIONI GENERALI
Il Titolo 1 contiene disposizioni di ordine
generale sul campo di applicazione e sulla durata, tempi, modalità e procedure
per il rinnovo dello stesso contratto nazionale e si suddivide in due
articoli.
Art.1 (Campo di applicazione)
Tale articolo
delimita il campo di operatività del
contratto collettivo nazionale, prevedendone l'applicazione, in coerenza con
l'art.10, comma 1, del CCNQ del 18.12.2002 sulla definizione dei comparti di
contrattazione collettiva, a tutto il personale dipendente dagli enti e dalle
amministrazioni inserite nel comparto delle regioni e delle autonomie locali,
con rapporto di lavoro a tempo determinato o indeterminato, esclusi i
dirigenti.
Rispetto alla precedente formulazione del
medesimo articolo, contenuta nell'art.1 del CCNL dell'1.4.1999, rappresentano
sicuramente una novità le previsioni dei commi 2 e 3.
Infatti, il comma 2, a tutela della posizione
giuridica ed economica del personale delle IPAB interessate da processi di
riforma o di ristrutturazione, ai sensi della vigente legislazione, stabilisce
che allo stesso continuano ad applicarsi le disposizioni del CCNL del comparto
delle regioni ed autonomie locali sino alla individuazione o definizione,
previo confronto con le organizzazioni sindacali firmatarie del CCNL, della
nuova e specifica disciplina contrattuale da applicare per il futuro al
suddetto personale.
Il successivo comma 3 prevede una garanzia di
continuità del trattamento contrattuale, analoga a quella già illustrata, a
favore del personale in servizio presso altre tipologie di enti del comparto,
assoggettato a processi di mobilità in conseguenza di provvedimenti di
soppressione, scorporo, trasformazione e riordino, ivi compresi i processi di
privatizzazione, che abbiano riguardato gli enti stessi.
Si tratta, come appare evidente, di norme
finalizzate alla ultroattività della tutela contrattuale del personale nelle
particolari ipotesi considerate, che non comportano oneri aggiuntivi.
Art. 2 (Durata, decorrenza, tempi e procedure
di applicazione del contratto)
L'articolo disciplina, in termini
sostanzialmente analoghi a quelli delle precedenti tornate contrattuali,
diversi aspetti connessi al contratto collettivo nazionale di lavoro:
Il perdurare di perplessità interpretative in
ordine alla diversità sostanziale che deve contraddistinguere la
individuazione del periodo temporale di riferimento, da un lato, e la data di
efficacia delle clausole contrattuali, dall'altro, suggerisce un più puntuale
chiarimento su questa problematica.
Il periodo quadriennale normativo (2002-2005) e
biennale economico (2002-2003), indicati nel comma 1, tendono a delimitare il
riferimento temporale che caratterizza il rinnovo del CCNL, secondo le cadenze
previste dall'accordo sul costo del lavoro del luglio 1993 i cui contenuti
sono applicabili anche ai comparti di contrattazione delle pubbliche
amministrazioni.
Questa previsione non significa, pertanto, che
tutte le clausole contrattuali hanno anche decorrenza del mese di gennaio
dell'anno 2002.
Per questo specifico aspetto, deve essere tenuto
presente il contenuto del comma 2 che chiaramente afferma, come regola
generale di tutti i CCNL del lavoro pubblico, che i singoli istituti previsti
possono trovare applicazione con decorrenza dal giorno successivo a quello di
definitiva sottoscrizione e non hanno efficacia retroattiva. Limitati effetti
retroattivi sono collegati esclusivamente a specifiche ed espresse previsioni
contrattuali che ne definiscono, di volta in volta, anche la data di
decorrenza e riguardano, prevalentemente, la corresponsione degli incrementi
economici.
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TITOLO II - RELAZIONI SINDACALI E PARTECIPAZIONE.
Si tratta di una serie di disposizioni che, da
un lato, sostanzialmente confermano il precedente impianto contenuto nel
Titolo II del CCNL dell'1.4.1999, e, dall'altro, vi introducono, sulla base di
specifiche esigenze degli enti del comparto e manifestate dal Comitato di
Settore, alcune modifiche ed integrazioni. In tal modo si è cercato di rendere
più certo il quadro dei diversi modelli relazionali, assicurando, al tempo
stesso, anche una maggiore funzionalità degli stessi, nel rispetto dei
distinti ruoli e responsabilità degli enti e delle organizzazioni sindacali.
Sicuramente innovative sono le disposizioni relative all'istituzione del
Comitato paritetico sul fenomeno del "mobbing".
Il Titolo si suddivide organicamente in due
Capi, il primo dedicato in modo stretto alle relazioni sindacali, il secondo
alle forme di partecipazione e di raffreddamento dei conflitti, per un totale
di sette articoli.
Capo I - Relazioni sindacali
Art. 3 (Conferma sistema relazioni sindacali)
Il primo comma conferma integralmente il sistema
di relazioni sindacali già previsto dal CCNL dell'1.4.1999, nel quale vanno a
collocarsi le modifiche e le integrazioni contenute nel CCNL.
Il secondo comma svolge solo una funzione di
richiamo degli enti del comparto sulla necessità di attenersi ai diversi
modelli di relazioni sindacali già previsti, con riferimento alle singole
fattispecie, dal CCNL dell'1.4.1999, nel momento in cui assumono l'iniziativa
per l'avvio di quei processi di riforma, di trasformazione, fusione, di
scorporo o di privatizzazione indicati nell'art.1, commi 2 e 3, del CCNL.
Art. 4 (Tempi e procedure per la stipulazione
dei contratti decentrati)
L'art. 4 ripropone, con alcuni marginali
adattamenti, le disposizioni già contenute nell'art. 5 del CCNL dell'1.4.1999.
Vengono, infatti, pienamente confermate le precedenti previsioni concernenti:
Le modifiche introdotte concernono
esclusivamente una parte degli aspetti procedurali di cui alla lett. d).
Infatti, nel nuovo testo dell'art.5, comma 3, del CCNL dell'1.4.1999 (comma 3
del CCNL), innanzitutto, al fine di evitare ogni possibile dubbio od equivoco,
viene utilmente specificato che, a seguito delle modifiche introdotte nella
originaria struttura del D.Lgs. n. 29/1993 dai successivi D.Lgs. n. 80/1998 e
n. 387/1998, i soggetti competenti ad effettuare il controllo sulla
compatibilità dei costi della contrattazione collettiva integrativa con i
vincoli di bilancio e a rendere la relativa certificazione degli oneri, nel
caso di enti privi del collegio dei revisori dei conti, sono i servizi di
controllo interno, secondo le previsioni espresse dell'art. 2 del D.Lgs. n.286/1999,
in materia di controlli nella pubblica amministrazione. Tale scelta si
giustifica con la circostanza che il venire meno delle previsioni
dell'originario testo dell'art. 20, comma 2, dello stesso D.lgs. n.29/1993,
relative ai nuclei di valutazione, ha privato di fondamento giuridico la
precedente disciplina contrattuale che ammetteva che, in mancanza del collegio
dei revisori dei conti, i controlli interni sui costi della contrattazione
integrativa fossero esercitati, in alternativa ai servizi di controllo
interno, anche dai nuclei di valutazione.
Inoltre, sempre con riferimento agli aspetti
procedurali, è stato precisato (comma 3) anche che, nel caso di rilievi da
parte degli organi preposti al controllo, la trattativa deve essere ripresa
nel termine di cinque giorni. Si tratta di una regola, prima assente, volta ad
assicurare una sollecita ripresa, in tempi certi, della trattativa, ove una
modifica del testo già concordato tra le parti si renda necessaria per
superare i rilievi del soggetto preposto al controllo. In sostanza, viene
trasposta, con gli opportuni adattamenti, nella disciplina della
contrattazione decentrata integrativa la regola già contenuta nell'art. 47,
comma 6, del D.Lgs. n.165/2001 per la contrattazione collettiva nazionale nel
caso di certificazione non positiva.
Per completezza di informazione sembra utile
precisare che la ipotesi di contratto decentrato integrativo, valutata
positivamente in sede di controllo di compatibilità economica e
successivamente esaminata favorevolmente anche dall'organo di governo
dell'ente (che ne verifica la coerenza con le direttive a suo tempo
impartite), acquista efficacia solo a seguito della definitiva sottoscrizione
della stessa da parte del presidente della delegazione di parte pubblica e da
parte della delegazione sindacale (appositamente riconvocata).
Art. 5 (Contrattazione collettiva decentrata
integrativa di livello territoriale)
L'art.6 del CCNL dell'1.4.1999 aveva già
introdotto, come tipologia contrattuale tipica ed esclusiva del comparto
regioni-autonomie locali, una prima forma di contrattazione decentrata
integrativa di livello territoriale. Si trattava di un modello nuovo,
destinato a soddisfare le esigenze contrattuali degli enti di minori
dimensioni del comparto, ivi comprese le IPAB, privi di dirigenza, per i
quali, in considerazione del ridotto o ridottissimo numero di dipendenti in
servizio presso gli stessi, l'attivazione di autonome e specifiche forme di
contrattazione poteva risultare eccessiva e dispendiosa. Per tale tipologia
negoziale venivano apprestate nel citato art. 6 regole particolari e
specifiche.
Tuttavia, la disciplina introdotta per tale
livello contrattuale nella pratica si è dimostrata eccessivamente complessa e
di non facile attuazione, soprattutto in considerazione della circostanza che
l'iniziativa finiva per essere riconosciuta esclusivamente alle associazioni
degli enti (ANCI ed UNCEM) interessati.
La espressione utilizzata dal testo
contrattuale: "associazioni nazionali degli enti", intende far riferimento
alle entità costituite come rappresentanza diffusa e generale su tutto il
territorio e ciò al fine di non favorire eventuali realtà più parcellizzate e,
comunque, prive di una capacità di omogenea rappresentazione degli effettivi
interessi degli enti. Il riferimento alle "associazioni nazionali",
naturalmente, non impone che la prevista capacità di iniziativa per la
contrattazione integrativa debba essere necessariamente e formalmente assunta
dal titolare della rappresentanza centrale. Il contratto, infatti, non può
disconoscere le modalità organizzative interne che derivano dagli statuti e
dai regolamenti; l'iniziativa in parola, pertanto, potrà essere legittimamente
assunta anche dalle articolazioni territoriali delle predette associazioni
nazionali, nel rispetto delle autonome regole vigenti presso le singole
associazioni.
Il nuovo testo dell'art. 6 del CCNL
dell'1.4.1999, introdotto dall'art. 5 del CCNL, detta una nuova disciplina
finalizzata ad un rafforzamento e ad una rivitalizzazione dell'istituto, data
l'indubbia utilità (sottolineata anche dal Comitato di settore) che ne può
derivare per gli enti di ridotte dimensioni.
Le modifiche introdotte possono così
riassumersi.
La prima, e più rilevante, è una più precisa
individuazione degli enti che possono avvalersi del livello di contrattazione
territoriale, che sono ora individuati sulla base del duplice criterio del
numero di dipendenti, non superiore a trenta unità, e quello della contiguità
territoriale. Tale ultimo criterio, di carattere generale (in quanto non
esattamente specificato nei suoi contenuti e quindi suscettibile di
valutazioni discrezionali ai fini della sua concreta applicazione), prende
atto della circostanza che una contrattazione collettiva territoriale può
avere un effettivo e concreto significato solo se riferita ad enti, di
corrispondente dimensione organizzativa ed operativa, collocati
sostanzialmente in un medesimo contesto geografico e sociale. Infatti, solo in
tale ipotesi la sostanziale identità o analogia delle esigenze della
collettività, che gli enti sono chiamati a soddisfare, può giustificare
l'opportunità degli stessi di adottare, in sede di contrattazione integrativa,
regole comuni in materia di organizzazione del lavoro e di gestione del
personale.
Anche il criterio del numero di dipendenti degli
enti non deve essere considerato come una ingiustificata limitazione, ma deve
essere apprezzato sotto il profilo della logica e della ragionevolezza. E'
indubitabile, infatti, che le esigenze operative e gestionali, e
conseguentemente anche i modelli di organizzazione del lavoro, degli enti
variano in relazione alla dimensione organizzativa degli stessi.
Conseguentemente, sarebbe stato del tutto improprio ipotizzare una forma di
contrattazione integrativa territoriale effettivamente idonea a soddisfare,
nello stesso tempo, esigenze di enti di diversa grandezza organizzativa.
Inoltre, al fine di rimediare all'iniziale
debolezza del precedente sistema, l'iniziativa per l'attivazione della
contrattazione integrativa territoriale è rimessa non solo alle associazioni
nazionali rappresentative degli enti del comparto, come già avveniva nel
pregresso regime dell'originario art. 6 del CCNL dell'1.4.1999, ma anche
disgiuntamente ed a prescindere dalla manifestazione di volontà delle
associazioni, ai soggetti titolari della contrattazione decentrata integrativa
nei diversi enti potenzialmente interessati e, quindi, sia alle organizzazioni
sindacali (rappresentanti territoriali delle OO.SS. firmatarie del CCNL e RSU)
sia agli enti territorialmente contigui. E' appena il caso di sottolineare
che, poiché ciascuno dei soggetti, di cui si è detto, è titolare di un
autonomo potere negoziale, l'iniziativa per il ricorso alla contrattazione
territoriale integrativa non può essere legata alla sola volontà dei datori di
lavoro pubblici o delle sole organizzazioni sindacali, essendo necessario,
invece, un espresso consenso, in tal senso, di entrambe le parti.
Sono oggetto, poi, di specifica disciplina sia i
contenuti dei protocolli d'intesa ai quali gli enti interessati potranno
aderire liberamente per l'avvio della contrattazione territoriale; sia le
procedure per la stipulazione ed il rinnovo del contratto decentrato, con la
sostanziale conservazione dell'impianto del precedente CCNL, salvo che per gli
aspetti di seguito indicati.
Per il concreto avvio della contrattazione
territoriale, gli enti interessati stipulano appositi protocolli d'intesa con
le organizzazioni sindacali territoriali firmatarie del CCNL, per la
regolamentazione di specifiche materie, espressamente indicate nella clausola
contrattuale, che richiama in larga parte quelle già previste nel precedente
art. 6 del CCNL dell'1.4.1999, e cioè:
Gli enti che hanno aderito alla iniziativa di contrattazione territoriale concordano, con un autonomo protocollo, gli aspetti organizzativi e procedurali utili per favorire il negoziato, tra i quali:
Art. 6 (Concertazione)
L'art.6 ridefinisce la disciplina del modello
relazionale della concertazione. Fermo restando l'impianto complessivo
dell'istituto come delineato nell'art. 8 del CCNL dell'1.4.1999, vengono
introdotti alcuni correttivi.
Innanzitutto, e questo rappresenta un aspetto
sicuramente rilevante, viene ribadito che la concertazione rappresenta un
modello di relazioni sindacali del tutto autonomo dagli altri previsti dal
CCNL. Infatti, attraverso la specifica precisazione che, nelle materie ad essa
demandate, la concertazione non può essere surrogata da altri modelli
relazionali, si è voluto porre una netta distinzione tra questa e gli altri
modelli relazionali, in modo da evitare il reiterarsi di quelle prassi
applicative presso gli enti che avevano portato a considerare la
"concertazione" come mero sinonimo di contrattazione collettiva (con la
conseguenza ulteriore che in tal modo venivano "contrattate" varie materie
senza il rispetto delle procedure previste per la contrattazione collettiva
decentrata soprattutto sotto il profilo della compatibilità dei costi con i
vincoli di bilancio).
La precisa volontà delle parti di differenziare
nettamente la concertazione dalla contrattazione, in modo da evitare ogni
possibile contrasto o sovrapposizione dei due istituti, emerge anche dalla
clausola contrattuale (il nuovo comma 5 dell'art. 8 del CCNL dell'1.4.1999)
che disciplina la individuazione dei soggetti competenti per la concertazione
in termini del tutto diversi dalla "delegazione di parte pubblica" formalmente
prescritta per la contrattazione decentrata integrativa; quest'ultima, in
altri termini, non è investita anche del potere di concertare. Di volta in
volta, quindi, in relazione alla natura delle materie oggetto di
concertazione, gli organi istituzionali individueranno i soggetti competenti
che dovrebbero coincidere con quelli che hanno anche il potere di adottare le
decisioni finali per la disciplina delle medesime materie.
In secondo luogo, al fine di assicurare una
maggiore funzionalità della procedura concertativa, in coerenza con la sua
natura di strumento di partecipazione sindacale, e di evitare, nel contempo,
che la stessa finisca per tradursi sostanzialmente in uno strumento a
disposizione delle OO. SS. per, comunque, rallentare ed ostacolare l'attività
organizzativa e decisionale degli enti, sono stati precisati in modo più
esatto i tempi della procedura stessa. Infatti, rimediando ad una lacuna della
originaria disciplina dell'art. 8 del CCNL dell'1.4.1999, il nuovo comma 1 di
tale articolo stabilisce che, ricevuta l'informazione, ciascuno dei soggetti
sindacali a ciò legittimati (rappresentanti territoriali delle OO.SS.
firmatarie ed RSU), può attivare la procedura concertativa entro i dieci
giorni successivi (cinque giorni nei casi di urgenza la cui giustificazione
deve essere specificata nell'atto di informazione preventiva). Decorso il
termine previsto, l'ente può attivarsi autonomamente nelle materie oggetto di
concertazione, assumendo le conseguenti decisioni.
Un'ultima novità riguarda le materie della
concertazione. Si tratta, peraltro, di un adattamento che può considerarsi
meramente formale. Infatti, il testo originario dell'art. 8 del CCNL
dell'1.4.1999, includeva tra le materie di concertazione anche la "definizione
dei criteri per la determinazione dei carichi di lavoro, limitatamente alle
amministrazioni che ancora vi siano tenute, ai sensi dell'art. 6, comma 6, del
D.lgs .n.29/1993".
Poiché tale riferimento normativo è venuto
definitivamente meno a seguito delle modifiche ed integrazioni introdotte dai
D.Lgs. nn. 80/1998 e 387/1998, le parti hanno, conseguentemente, provveduto ad
aggiornare la disciplina contrattuale, espungendo la materia dei criteri per
la determinazione dei carichi di lavoro dall'ambito applicativo della
concertazione.
Art. 7 (Relazioni sindacali delle unioni di
comuni)
Nella logica di fondo di valorizzazione delle
forme di associazionismo dei comuni e di tutela della posizione dei comuni di
ridotte dimensioni demografiche, che permea il CCNL, si inquadra anche la
disciplina dell'art. 7 della stessa.
Si tratta di poche indicazioni che servono,
comunque, ad evidenziare un dato di fatto elementare: poiché l'unione dei
comuni rappresenta un nuovo soggetto giuridico, con una propria personalità,
distinta da quella dei singoli comuni che vi aderiscono, essa non può non
essere anche un autonomo soggetto del sistema di relazioni sindacali.
Sulla base di tale considerazione, l'art.7 si
limita ad affermare, e non poteva essere diversamente, che le relazioni
sindacali delle unioni di comuni sono disciplinate integralmente dalle
medesime regole stabilite in generale dal Titolo II del CCNL dell'1.4.1999,
con le modifiche apportate dal CCNL, con riferimento a tutti i modelli
relazionali ivi previsti.
Lo stesso art. 7 detta anche una disciplina
transitoria in materia di delegazione trattante di parte sindacale, destinata
ad operare presso le unioni in attesa della costituzione di una loro specifica
RSU. E' evidente, infatti, che, costituendosi per la prima volta l'unione, non
può esistere già presso la stessa anche la RSU, prevista come soggetto
privilegiato della contrattazione di secondo livello dall'art. 42 del D.Lgs. n.165/2001,
ma questa dovrà essere costituita secondo le modalità stabilite dal CCNQ del
7.8.1998 e successive modificazioni ed integrazioni.
Pertanto, per evitare ogni possibile ritardo ed
intralcio al corretto fluire delle relazioni sindacali, espressamente
riconosciute in capo al nuovo soggetto giuridico, viene disposto che la
delegazione trattante in sede decentrata integrativa (ma ovviamente la regola
non può non essere estesa anche agli modelli relazionali) è costituita, in
attesa della RSU specifica, da delegati delle RSU degli enti aderenti
all'unione nonché dai rappresentati territoriali delle OO.SS. firmatarie del
CCNL.
Capo II - Forme di partecipazione e
raffreddamento dei conflitti
Art. 8 (Comitato paritetico sul fenomeno del
"mobbing")
Nell'ambito del capo II del Titolo II, tra le
forme di partecipazione viene inserita anche la disciplina del
"mobbing".
Si tratta di una regolamentazione nuova per ciò che attiene al comparto
regioni-autonomie locali e che ricalca, quasi pedissequamente, quella analoga
già inserita nei CCNL già stipulati per il comparto dei ministeri e per quello
degli enti pubblici non economici.
Alla base di tale regolamentazione vi è la
considerazione della rilevanza e della diffusione sempre più ampia che il
fenomeno del "mobbing"
è andato assumendo, non solo nel mondo del lavoro privato, ma anche nel
settore del lavoro pubblico, tali da giustificare la predisposizione di
opportuni strumenti di tutela del lavoratore, destinati ad operare sia in via
preventiva che successiva.
La disciplina contrattuale (comma 1) si apre con
la specificazione della nozione stessa di
"mobbing".
Questo, infatti, viene definito come forma di violenza morale o psichica in
occasione di lavoro - attuata dal datore di lavoro o da altri dipendenti - nei
confronti di un lavoratore e caratterizzata da una serie di atti,
atteggiamenti o comportamenti, diversi e ripetuti nel tempo in modo
sistematico ed abituale, aventi connotazioni aggressive, denigratorie e
vessatorie tali da comportare un degrado delle condizioni di lavoro e idonei a
compromettere la salute o la professionalità o la dignità del lavoratore
stesso nell'ambito dell'ufficio di appartenenza o, addirittura, tali da
escluderlo dal contesto lavorativo di riferimento.
Per fronteggiare questo fenomeno, è prevista la
costituzione presso ciascun ente, entro sessanta giorni dall'entrata in vigore
del CCNL in esame, di uno specifico Comitato paritetico con il compito di
raccogliere dati relativi all'aspetto quantitativo e qualitativo del fenomeno,
di individuarne le possibili cause, di formulare proposte di azioni positive e
per la definizione dei codici di condotta. La costituzione di tali Comitati
paritetici è obbligatoria per tutti gli enti del comparto, come si evince
chiaramente dalla formulazione letterale del testo contrattuale (comma 3:
"Nell'ambito delle forme di partecipazione…….sono, pertanto, istituiti…"), che
non lascia agli enti margini di autonoma valutazione discrezionale in materia.
Sempre in una logica di maggiore considerazione
delle problematiche connesse all'organizzazione ed al funzionamento degli enti
di ridotte dimensioni, per i quali spesso la disciplina contrattuale dettata
per la generalità degli enti può creare difficoltà applicative idonee a
tradursi anche nell'oggettiva impossibilità di una concreta attuazione della
stessa, l'art.8, comma 6, ultimo periodo, del CCNL, stabilisce che enti
territorialmente contigui, con un numero di dipendenti non superiore a trenta
(si tratta degli stessi criteri che presiedono all'attivazione della
contrattazione decentrata integrativa di livello territoriale) possono anche
concordare, ove ritenuto opportuno, la costituzione di un unico Comitato
paritetico.
Sulla base della formulazione letterale della
clausola contrattuale ("Enti territorialmente contigui……… possono concordare
la costituzione di un unico Comitato…."), si deve ritenere che l'iniziativa
per la costituzione di un unico Comitato debba essere ricondotta
esclusivamente alle autonome valutazioni degli enti interessati. Gli stessi
enti devono poi provvedere sia a regolamentare la composizione della parte
pubblica dell'unico Comitato sia a definire le necessarie modalità di
funzionamento, per assicurare la effettiva operatività dello stesso.
I compiti spettanti ai Comitati paritetici sono
espressamente indicati e precisati. Si tratta (art. 8, comma 3, del CCNL) per
lo più di compiti di raccolta di dati ed informazioni sul
"mobbing"
presso ciascun ente, di verifica ed analisi di tale fenomeno, anche con
riferimento alle sue possibili cause, nonché di formulazione di proposte di
azioni positive in ordine alla sua prevenzione ed alla sua repressione ed alla
elaborazione di specifici codici di condotta.
Nell'ambito dei loro compiti, al fine di
realizzare una forma di tutela di carattere preventivo, i Comitati possono
formulare specifiche proposte di interventi formativi e di aggiornamento del
personale in materia di "mobbing"
e di diffusione di una maggiore consapevolezza e conoscenza dei ruoli dei
singoli e dei rapporti interpersonali all'interno degli uffici, anche con
riferimento all'evidente opportunità di porre le premesse per un recupero
della motivazione e dell'affezione del personale verso l'ambiente di lavoro.
Tali proposte si devono inserire nei piani generali per la formazione del
personale di cui all'art.23 del CCNL del 31.3.1999.
Le proposte formulate, con riferimento alle
materie di competenza, dai Comitati sono poi presentate agli enti per i
conseguenti adempimenti attuativi. Tra questi particolare rilievo assumono: la
costituzione ed il funzionamento di sportelli di ascolto, nell'ambito delle
strutture esistenti; l'istituzione della figura del consigliere di fiducia
nonché la definizione dei codici di condotta. La specifica predisposizione di
questi ultimi, sulla base delle proposte dei Comitati, deve accompagnarsi ad
un momento di confronto sindacale. Infatti, (comma 4) è previsto che: "…….. la
definizione dei codici, sentite le organizzazioni sindacali firmatarie del
presente contratto".
Sotto il profilo organizzativo, i Comitati sono
costituiti da un componente designato da ciascuna delle organizzazioni
sindacali di comparto firmatarie del CCNL in esame e da un pari numero di
rappresentanti dell'ente. Per ogni componente effettivo è previsto un
componente supplente, in modo da garantire la continuità e regolarità dei
lavori del Comitato.
Al fine di favorire l'unitarietà di azione ed il
reciproco raccordo per le materie di comune interesse, fermo restando il
principio della composizione paritetica del Comitato, di esso fa parte anche
un rappresentante dello specifico Comitato per le pari opportunità, da questo
autonomamente designato.
Il Presidente viene designato tra i
rappresentanti dell'ente, mentre il vicepresidente tra i componenti di parte
sindacale.
I Comitati rimangono in carica per la durata di
un quadriennio e comunque fino alla costituzione dei nuovi. Per i componenti è
previsto anche il rinnovo dell'incarico, senza alcun limite quantitativo
massimo. Al fine di evitare ogni possibile dubbio interpretativo, è
espressamente affermato che ai componenti del Comitato, sia di parte pubblica
che sindacale, non deve essere corrisposto alcun compenso.
Sono i Comitati, nella loro autonomia
organizzativa, a definire le regole per il corretto e regolare svolgimento dei
compiti e delle attività ad essi spettanti. Con cadenza annuale essi sono
tenuti anche alla predisposizione di una relazione sull'attività svolta.
Gli enti sono sollecitati a favorire
l'operatività dei Comitati, garantendo gli strumenti idonei al loro
funzionamento. In particolare, si chiede agli enti di valorizzare e
pubblicizzare con ogni mezzo, nel contesto lavorativo, i risultati del lavoro
svolto dai Comitati.
Art. 9 (Interpretazione autentica)
L'art. 9 del CCNL ripropone la disciplina
sull'interpretazione autentica dei contratti collettivi già contenuta
nell'art. 13 del CCNL del 6.7.1995. Tale ultima disposizione sarà disapplicata
con effetto dalla sottoscrizione definitiva del CCNL, a conclusione dell'iter
procedurale previsto dal D.Lgs. n.165/2001.
La necessità di una rivisitazione della
precedente disciplina nasce dalla circostanza che essa era stata, a suo tempo,
formulata sulla base delle allora vigenti disposizioni dell'art.53 del D.lgs.n.29/1993
e, quindi, non poteva tenere conto delle novità introdotte sia dai D.Lgs. n.396/1997
e n.80/1998 che dalla contrattazione collettiva in materia di soggetti e di
livelli della contrattazione collettiva.
Gli interventi modificativi sono abbastanza
limitati.
Il primo riguarda la definizione dei soggetti
legittimati a richiedere l'interpretazione autentica.
Sotto tale profilo, in base al testo originario
dell'art. 13 del CCNL del 6.7.1995, poteva avviare il procedimento di
interpretazione autentica anche il Dipartimento della Funzione Pubblica. Tale
scelta si giustificava in considerazione del fatto che, all'epoca, spettava al
Dipartimento formulare all'ARAN gli atti di indirizzo per la contrattazione
collettiva di tutti i comparti del pubblico impiego. Con la nuova formulazione
della clausola contrattuale, invece, la legittimazione all'avvio della
procedura interpretativa viene riconosciuta, oltre che all'ARAN, solo al
Comitato di settore del comparto regioni – autonomie locali, dato che oggi,
sulla base della vigente normativa dell'art. 41 del D.Lgs. n.165/2001, è il
Comitato di settore a formulare l'atto di indirizzo per la contrattazione di
livello nazionale. Si tratta di una modifica sostanzialmente imposta dalle
innovazioni legislative intervenute.
Il secondo intervento ha riguardato l'estensione
espressa delle procedure di interpretazione autentica anche alla
contrattazione collettiva decentrata integrativa di livello territoriale. Si
tratta, peraltro, di un intervento più formale che sostanziale. Infatti,
poiché sia nella disposizione dell'art. 49 del D.Lgs. n.165/2001 che nella
disciplina contrattuale dell'istituto il riferimento viene fatto,
genericamente, alla "interpretazione autentica dei contratti collettivi",
senza alcuna altra specificazione o limitazione, in questa nozione possono
ricomprendersi sicuramente anche i contratti collettivi decentrati integrativi
territoriali. Tuttavia, al fine di evitare ogni possibile dubbio o incertezza,
le parti hanno optato per un'indicazione esplicita in tal senso.
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TITOLO – III DISCIPLINA DEL RAPPORTO DI LAVORO
Il Titolo III del CCNL è dedicato alla
definizione di alcuni particolari aspetti della disciplina del rapporto di
lavoro. Esso si articola in tre Capi: il primo introduce alcune modifiche
nella disciplina del vigente sistema di classificazione del personale del
comparto regioni-autonomie locali, di cui al CCNL del 31.3.1999; il secondo
detta una disciplina specifica, derogatoria per alcuni aspetti rispetto a
quella valevole per la generalità dei lavoratori, per la gestione del
personale presso le unioni di comuni e per la gestione dei servizi in
convenzione; il terzo detta disposizioni specifiche per l'area di vigilanza e
della polizia locale.
Capo I - (Sistema di classificazione)
Art. 10 (Valorizzazione delle alte
professionalità)
Uno dei punti più rilevanti e significativi
dell'atto di indirizzo del Comitato di settore era rappresentato dalla
richiesta di una modificazione dell'attuale sistema di classificazione
attraverso l'introduzione nello stesso, in aggiunta all'area delle posizioni
organizzative, di una specifica area delle alte professionalità. Alla base di
tale indicazione vi era l'esigenza degli enti del comparto di poter disporre
di uno strumento che consentisse loro di avvalersi (con trattamenti economici
adeguati, anche superiori a quelli normalmente previsti nell'ambito dell'area
delle posizioni organizzative) di figure professionali specialistiche, in
grado di offrire competenze nuove o comunque più elevate, legate al possesso
di titoli di studio particolarmente qualificati e specialistici o al possesso
di particolari abilitazioni professionali. La nuova disciplina delle alte
professionalità, inoltre, avrebbe dovuto rappresentare anche lo strumento non
solo per valorizzare le medesime competenze ove già possedute e sviluppate dal
personale già interno all'ente, ma anche, in alternativa alle posizioni
organizzative, per riconoscere e motivare l'assunzione di particolari
responsabilità.
La difficoltà di avviare una specifica
trattativa per la revisione del sistema di classificazione, con il prevedibile
(in considerazione della particolare delicatezza della materia trattata)
allungamento dei tempi di un negoziato che già si era avviato con
considerevole ritardo rispetto alla scadenza naturale del precedente CCNL
(31.12.2001), ha indotto le parti negoziali ad optare per una diversa
soluzione.
Infatti, la scelta, con il preventivo consenso
del Comitato di settore, è stata quella di raggiungere il risultato auspicato
(valorizzazione delle responsabilità connesse a competenze specialistiche e
professionali, non collegate a funzioni di direzione di unità organizzative),
senza l'introduzione della nuova area delle alte professionalità, ma, più
semplicemente, attraverso un più limitato, ma significativo, intervento
modificativo ed integrativo della disciplina dell'area delle posizioni
organizzative, di cui agli artt.8 e ss. del CCNL del 31.3.1999.
In tale senso intervengono le disposizioni
dell'art. 10 del CCNL, in virtù delle quali gli enti del comparto valorizzano
le alte professionalità del personale della categoria D, mediante il
conferimento alle stesse di incarichi a termine, nel rispetto della disciplina
dell'art. 8, comma 1, lett. b) e c) del CCNL del 31.3.1999 e di quanto
previsto dagli artt. 9, 10, e 11 del medesimo CCNL.
In sostanza, la valorizzazione delle alte
professionalità viene realizzata, in coerenza con le indicazioni dell'atto di
indirizzo, attraverso il riconoscimento contrattuale di una maggiore
rilevanza, rispetto alle funzioni di direzione di unità organizzative, a
quelle attività con contenuti di elevata professionalità e specializzazione e
a quelle attività di staff, studio, ricerca, ispettive e vigilanza, già
previste dall'art. 8, comma 1, lett. b) e c) nell'ambito della vigente
disciplina dell'area delle posizioni organizzative.
Con riferimento a tali attività, infatti, gli
incarichi di alta professionalità sono conferiti, a termine, al personale
della categoria D, dai soggetti competenti secondo l'ordinamento vigente nelle
diverse tipologie di enti del comparto:
Sotto il profilo regolativo, l'art. 10, comma
3, del CCNL, ai fini della concreta attuazione del nuovo istituto, prevede che
gli enti adottino atti organizzativi di diritto comune, nel rispetto del
sistema di relazioni sindacali vigente, per: 1) disciplinare i criteri e le
condizioni per l'individuazione delle competenze e responsabilità di cui alle
precedenti lettere a) e b) e per il relativo affidamento; 2) individuare i
criteri utili per la quantificazione dei valori delle connesse retribuzioni di
posizione e di risultato; 3) definire i criteri e le procedure di valutazione
dei risultati e degli obiettivi, nell'ambito del vigente sistema di controllo
interno adottato da ciascun ente.
La previsione di tali regole particolari per gli
incarichi di alta professionalità consente di evidenziare, ulteriormente, la
diversità e la specificità degli stessi rispetto a quelli concernenti le
posizioni organizzative correlate alla direzione di strutture.
Il riferimento agli atti organizzativi "di
diritto comune" vale a sottolineare che, trattandosi di atti organizzativi non
rientranti nella generale previsione dell'art. 2, comma 1, del D.Lgs .n.165/2001
(che elenca gli atti delle pubbliche amministrazioni che continuano ad essere
riservati alla fonte legale o comunque alla regolamentazione pubblicistica)
essi hanno natura privatistica e pertanto sono adottati dai dirigenti (organi
di gestione) con la capacità ed i poteri del privato datore di lavoro.
E' indubbio che in tal modo viene assicurata una
maggiore flessibilità organizzativa e gestionale, in quanto, per poter operare
gli eventuali adattamenti che si rendessero necessari nelle diverse materie di
cui si è detto, non è più indispensabile passare attraverso farraginose e
soprattutto lunghe procedure amministrative.
La valorizzazione delle alte professionalità si
estrinseca anche sotto il profilo retributivo, come espressamente richiesto
dallo stesso Comitato di settore.
Per gli incarichi di alta professionalità
trovano applicazione, con le medesime caratteristiche e regime di erogazione,
le voci retributive accessorie già previste per le posizioni organizzative
(come si evince chiaramente dal richiamo, nell'art. 10, comma 1, del CCNL,
agli articoli 10 e 11 del CCNL del 31.3.1999) e cioè la retribuzione di
posizione e quella di risultato.
Tuttavia, in considerazione della rilevanza ad
essi riconosciuta dalle parti negoziali, rispetto alle posizioni organizzative
strutturate, il CCNL (art. 10, comma 4), per gli incarichi di alta
professionalità, fermo restando l'attuale ammontare minimo della retribuzione
di posizione stabilito dall'art. 10, comma 2, del CCNL del 31.3.1999 pari a €
5.164,56, prevede la possibilità degli enti di fissare i valori massimi della
stessa entro l'importo di € 16.000 anziché di € 12.911,42 come stabilito in
generale per le posizioni organizzative dal citato art. 10, comma 2, del CCNL
del 31.3.1999; tale ultimo valore massimo resta ora confermato per i soli
incarichi di PO di cui alla lett. a) dell'art. 8 del ripetuto CCNL del
31.3.1999.
Anche per la retribuzione di risultato, gli enti
possono stabilire un ammontare massimo superiore a quello generale della
retribuzione di risultato stabilito in precedenza per le posizioni
organizzative. Infatti, per gli incarichi di alta professionalità, fermo
restando l'attuale valore minimo della retribuzione di risultato previsto in
generale per le posizioni organizzative, pari al 10% della retribuzione di
posizione in godimento da parte del lavoratore titolare dell'incarico, (art.
10, comma 3, del CCNL del 31.3.1999), il valore massimo, invece, può essere
determinato dagli enti nella percentuale del 30% (anziché del 25% come
previsto per gli incarichi di cui alla lett. a) del già citato art. 8).
Al fine di evitare ogni possibile dubbio, viene
espressamente precisato che la retribuzione di risultato può essere
corrisposta solo a seguito della necessaria valutazione ad opera dei soggetti
a ciò competenti, sulla base del livello qualitativo e quantitativo degli
obiettivi raggiunti, come certificati dal servizio di controllo interno o dal
nucleo di valutazione, secondo l'ordinamento vigente.
In generale, le somme necessarie per la
corresponsione della retribuzione di posizione e di risultato delle posizioni
organizzative istituite presso ciascun ente dotato di personale con qualifica
dirigenziale, sono a carico dello specifico fondo previsto dall'art. 17, comma
2, lett. c) del CCNL dell'1.4.1999 che è costituito con risorse stabili
nell'ambito di quelle destinate alla contrattazione decentrata integrativa
dall'art. 15 del medesimo CCNL dell'1.4.1999. (dall'anno 2004 si dovrà far
riferimento alle risorse decentrate stabili indicate nell'art. 32, comma 2 del
presente CCNL).
Per gli enti privi di dirigenza resta confermata
la speciale disciplina di finanziamento prevista dall'art. 11 del CCNL del
31.3.1999.
Poiché, per gli incarichi di alta
professionalità sono stabiliti più elevati importi della retribuzione di
posizione e di quella di risultato il CCNL individua anche le modalità di
finanziamento del maggior onere. Infatti, l'art. 32, comma 7, dello stesso,
prevede che le risorse già disponibili negli enti per la retribuzione di
posizione e di risultato sono integrate da un importo pari allo 0,20% del
monte salari 2001 e sono espressamente ed esclusivamente destinate alla
remunerazione degli incarichi di alta professionalità. Per ulteriori
indicazioni si rinvia al successivo commento dell'art. 32.
Art. 11 (Posizioni organizzative e tempo
parziale)
L'art. 4, comma 2, del CCNL del comparto
regioni-autonomie locali del 14.9.2000, aveva espressamente escluso la
possibilità di costituire rapporti di lavoro a tempo parziale relativamente a
posizioni di lavoro, individuate preventivamente dagli enti, comportanti
particolari responsabilità. In tale divieto rientravano, automaticamente ed
implicitamente, tutti i titolari di posizioni organizzative, istituite ai
sensi degli artt. 8-11 del CCNL del 31.3.1999, in quanto, per definizione,
caratterizzate dallo svolgimento da parte del dipendente di compiti
particolarmente qualificati, comportanti la diretta e personale assunzione di
una elevata responsabilità di prodotto e di risultato.
La rigidità di tale regola, anche se pienamente
giustificata su un piano generale in relazione alla necessità di garantire la
completezza e la continuità dell'esercizio di determinati compiti, tuttavia,
nel tempo, ha creato qualche problema applicativo nei comuni privi di
dirigenza, per la loro ridotta o ridottissima dimensione organizzativa.
Infatti, tali comuni spesso hanno necessità di
avvalersi di specifiche professionalità, soprattutto elevate, cui affidare
compiti di particolare responsabilità connessi a posizioni organizzative, ma
non necessariamente, per evidenti ragioni di contenimento della spesa, a tempo
pieno. In molti casi ciò avviene avvalendosi anche di lavoratori a tempo
parziale di altri enti del comparto, che proprio perché titolari di tale
rapporto con l'ente di appartenenza, e da questo autorizzati, possono
effettuare prestazioni lavorative di tipo subordinato, anche con contratto a
termine, presso altri enti (art. 92, comma 2, del D.Lgs. n.267/2000). E'
evidente pertanto che la regola della incompatibilità del rapporto a tempo
parziale con la titolarità di posizione organizzativa ha costituito un
intralcio per l'attività gestionale di tali comuni, anche sotto il profilo
della economicità.
A ciò deve aggiungersi che la stessa disciplina
legale e contrattuale del rapporto a tempo parziale consente a tutto il
personale, anche delle categorie più elevate, di optare per tale tipologia di
rapporto di lavoro. Pertanto, ove, in un comune privo di dirigenza, un
dipendente portatore di una specifica competenza professionale e titolare di
posizione organizzativa, avesse optato per il rapporto a tempo parziale,
automaticamente avrebbe dovuto rinunciare alla titolarità della posizione
organizzativa e il comune, proprio per la sua ridotta dimensione
organizzativa, non sarebbe stato in grado di provvedere alla sua sostituzione,
per la mancanza di altre professionalità dello stesso tipo (salvo a ricorrere
ad assunzioni con contratto a termine, con inevitabili aggravi di spesa).
L'art.11 tende a temperare la rigidità dell'art.
4, comma 2, del CCNL del 14.9.2000 attraverso l'introduzione nel corpo dello
stesso art. 4 di un comma 2-bis.
Pertanto, fermo restando come regola generale il
divieto dell'art. 4, comma 2, del CCNL del 14.9.2000, i comuni privi di
dirigenza possono autonomamente individuare, in relazione alle specifiche
esigenze organizzative derivanti dall'ordinamento vigente, se necessario ed
anche solo in via temporanea, le posizioni organizzative che possono essere
conferite anche al personale con rapporto a tempo parziale di durata non
inferiore al 50% del rapporto a tempo pieno.
E' evidente, peraltro, che il rapporto a tempo
parziale deve avere una sua continuità nel tempo al fine di assicurare nel
corso dell'intero anno tutte le attività di direzione correlate all'incarico
ricoperto; si ipotizza, quindi, o un rapporto a tempo parziale orizzontale o
anche un rapporto di tipo verticale, ma articolato su giorni lavorativi
alternati a giorni di non lavoro.
La concreta applicazione della nuova regola per
il conferimento di incarichi di posizione organizzativa anche a personale a
tempo parziale, viene rimessa esclusivamente alle autonome determinazioni del
singolo comune che valuterà, in relazione alle proprie specifiche condizioni
organizzative ed ai conseguenti bisogni operativi, se avvalersene.
Un elemento di indubbia flessibilità è
rappresentato, poi, dalla circostanza che la scelta in proposito può avere
anche solo carattere temporaneo e, quindi, limitato nel tempo.
Il riferimento, ai fini della possibile deroga,
ai lavoratori con rapporto a tempo parziale non inferiore al 50% tende ad
individuare un durata minima della prestazione lavorativa che sia comunque
compatibile con i compiti e le responsabilità connesse all'incarico affidato.
Inoltre, la misura prevista non confligge con la disciplina, legale e
contrattuale (legge n.662/1996 e art. 4, comma 7, del CCNL del 14.9.2000), che
prevede la possibilità per il personale a tempo parziale di derogare al regime
delle incompatibilità. Ciò acquista particolare rilievo, in considerazione di
quanto sopra detto, circa la prassi dei piccoli comuni di avvalersi anche
delle prestazioni di dipendenti di altri comuni.
Trattandosi di un lavoratore a tempo parziale,
per il relativo trattamento economico troverà applicazione il principio del
riproporzionamento, anche con riferimento alla retribuzione di posizione
prevista per quell'incarico in relazione ad un orario a tempo pieno.
Art. 12 (Commissione paritetica per il
sistema di classificazione)
L'art. 24 del CCNL del 5.10.2001 aveva già
previsto, alla luce dell'esperienza maturata nella gestione del modello di
classificazione introdotto dallo specifico CCNL del 31.3.1999, la possibilità
di operare, nell'ambito della tornata contrattuale 2002-2005, alcuni
aggiustamenti di tale modello in relazione ad una serie di problematiche ivi
puntualmente indicate.
Non solo le OO.SS., nelle loro piattaforme
rivendicative, avevano richiesto la concreta attuazione di tale rinvio ma
anche lo stesso Comitato di settore, nel suo atto di indirizzo, aveva
sollecitato una rivisitazione e correzione di alcuni punti dell'attuale
impianto.
Alla base di tali richieste, sindacali e
datoriali, è stata posta l'esigenza sia di un più ampio riconoscimento e
valorizzazione della professionalità del personale, anche in relazione ai
processi di riforma e di riorganizzazione in atto degli enti del comparto, sia
di assicurare agli stessi enti uno strumento di gestione del personale
effettivamente in grado di venire incontro alle concrete necessità
organizzative, anche alla luce della loro diversa tipologia.
Come già anticipato, la necessità di favorire
una sollecita conclusione della trattativa, ha indotto la parti negoziali ad
escludere, tranne le modifiche relative all'area delle alte professionalità ed
alla possibilità di conferire la titolarità di posizioni organizzative a
personale a tempo parziale di cui si è detto, ogni ulteriore intervento
immediato sul sistema di classificazione attualmente vigente nel comparto.
Le eventuali modifiche, ritenute utili per una
migliore funzionalità del modello di classificazione, sono state demandate ad
una fase negoziale successiva.
Per una corretta individuazione e valutazione
dei problemi da affrontare nella futura trattativa, in relazione agli
obiettivi sopra descritti, le parti negoziali hanno previsto l'istituzione,
entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del CCNL in esame, di una
Commissione paritetica costituita da ARAN e Confederazioni ed Organizzazioni
sindacali firmatarie del CCNL e con la partecipazione del Presidente del
Comitato di Settore, con il compito di formulare alle parti negoziali proposte
per una verifica del sistema di classificazione.
I compiti affidati alla Commissione sono
meramente istruttori e propositivi e devono, comunque, muoversi all'interno
delle materie e dei criteri specificamente indicati nello stesso art. 12 del
CCNL.
Al fine di evitare possibili contrasti tra le
varie sigle sindacali in sede di formulazione delle proposte relative alle
materie demandate alla Commissione, data la molteplicità delle stesse e quindi
anche degli orientamenti e degli interessi di cui sono portatrici,
relativamente alla formazione e manifestazione della volontà della sola parte
sindacale, è previsto che le decisioni di questa saranno adottate sulla base
del principio della rappresentanza espressa dalle sigle partecipanti alla
Commissione, in applicazione delle regole attualmente vigenti.
Capo II - Disposizioni per le unioni di
comuni e i servizi in convenzione
Il Capo II affronta un tema molto attuale e
anche molto sensibile per tutto il sistema delle autonomie: quello correlato
alla specificità delle esigenze organizzative delle realtà associate dei
comuni di ridotte dimensioni demografiche. Questo particolare momento
istituzionale delle autonomie locali è esploso prepotentemente negli ultimi
anni con una vivacità e una diffusione territoriale molto ampia a
dimostrazione non solo degli effetti positivi derivanti da interventi
sollecitativi, anche di natura economica, collegati a fonti legislative
nazionali o regionali, ma anche, evidentemente, della loro accertata e
condivisa utilità ed efficacia per la soluzione di problemi gestionali non
facilmente risolvibili dai singoli enti, anche per la limitata disponibilità
di risorse sia umane che finanziarie.
Il contratto collettivo ha assunto, in questa
circostanza, un atteggiamento propositivo e di ulteriore sostegno delle
iniziative associate, individuando regole specifiche adeguate alla peculiarità
delle realtà istituzionali interessate, con l'intento di fornire a tutti i
soggetti decisori strumenti, istituti, percorsi e incentivi idonei a
valorizzare queste realtà emergenti e a favorirne il consolidamento a livello
locale.
Art. 13 (Gestione delle risorse umane nelle
unioni di comuni)
Titolarità nella gestione dei rapporti di
lavoro
Si afferma, anzitutto, (comma 1) che le unioni
di comuni, in quanto soggetti istituzionali dotati di autonomia, hanno titolo
a gestire direttamente il proprio personale sia a tempo indeterminato che
determinato (nelle sue diverse articolazioni) e, quindi, a dare altrettanto
autonoma applicazione alle disposizioni dei contratti collettivi di lavoro,
nel rispetto del prescritto sistema di relazioni sindacali.
Relativamente al personale assegnato
temporaneamente all'unione dai comuni aderenti si chiarisce (comma 2) che:
Determinazione delle risorse decentrate
dell'unione
In relazione alla riconosciuta autonomia
istituzionale, ogni unione è tenuta a quantificare (comma 3) , in modo
autonomo, sia le risorse destinate a sostenere gli oneri per il lavoro
straordinario sia quelle necessarie per sostenere le politiche di sviluppo
della professionalità e della produttività (risorse decentrate), secondo la
disciplina vigente per tutti gli altri enti del comparto.
Il contratto illustra (comma 4) anche un
percorso per la determinazione delle risorse decentrate.
Molto opportunamente è anche previsto che la
quantificazione delle risorse assegnate dai singoli enti, per le motivazioni
sopra specificate, dovrà essere periodicamente aggiornata anche in relazione
alle variazioni che potrebbero derivare dal rinnovo dei contratti collettivi.
Incentivazioni economiche
Il contratto prende atto del maggior disagio
derivante dalla condizione del lavoratore che sia tenuto a svolgere parte
delle proprie prestazioni lavorative nell'ente di appartenenza e parte (anche
temporaneamente) presso l'unione. Per questi lavoratori, la contrattazione
decentrata integrativa dell'unione potrà prevedere la utilizzazione di una
quota delle risorse decentrate della medesima unione, per la attribuzione
delle seguenti incentivazioni (comma 5):
Posizioni organizzative
Anche le unioni di comuni possono dare
applicazione alla disciplina sulle posizioni organizzative (comma 6) secondo
le previsioni degli articoli da 8 a 11 del CCNL del 31.3.1999; ricordiamo che
l'art. 10 del presente CCNL (già commentato) ha introdotto interessanti
modificazioni al citato art. 8, comma 1, lett. b) e c) per le alte
professionalità.
Ogni unione, pertanto, in base al modello
organizzativo definito con il regolamento degli uffici e servizi, è tenuta ad
individuare la tipologia degli incarichi cui deve essere correlata anche la
attribuzione della retribuzione di posizione e di risultato; trova
applicazione, naturalmente, il principio sancito dall'art. 15, secondo il
quale, negli enti privi di dirigenza, i titolari dei servizi apicali sono
anche titolari delle posizioni organizzative; per la graduazione dei valori
economici dei singoli incarichi è, naturalmente, necessario adottare una
regolazione specifica, che deve essere preceduta dalla concertazione con le
organizzazioni sindacali (vedi art. 16, comma 2, del CCNL del 31.3.1999).
Il contratto ammette la titolarità di una
posizione organizzativa dell'unione anche in presenza di una analoga
titolarità nell'ente di appartenenza; il caso si riferisce, naturalmente, al
personale che viene utilizzato parzialmente nell'ente e parzialmente
nell'unione.
Con un intervento ulteriormente innovativo il
contratto consente anche il cumulo dei relativi compensi, sia per posizione
che per risultato, a condizione che:
Nel caso che l'incarico di P.O. sia affidato
solo dall'unione, ad un dipendente utilizzato a tempo parziale, il previsto
importo massimo di 16.000 euro, qualora riconosciuto per la posizione da
conferire a tempo pieno (o l'eventuale minor valore assegnato alla medesima
posizione in base ai criteri adottati), deve essere necessariamente
riproporzionato, per espressa previsione contrattuale, in relazione alla
entità della prestazione lavorativa svolta a favore della stessa unione.
(comma 6)
Per la copertura degli oneri relativi alle
posizioni organizzative delle unioni si confermano le disposizioni vigenti per
tutti gli enti del comparto. Nelle unioni dotate di personale con qualifica
dirigenziale, le somme per il pagamento della retribuzione di posizione e di
risultato sono prelevate dalle risorse decentrate stabili. Nelle altre unioni
trova applicazione la disciplina dell'art. 11 del CCNL del 31.3.1999 che
consente di porre gli oneri a carico dei bilanci (secondo la relativa capacità
di spesa), fatta salva la quota fruita dal lavoratore interessato come salario
accessorio nel periodo pregresso (ove tale quota di salario accessorio fosse
realmente in godimento).
Viene, infine, chiarito (comma 7) che la
condizione del lavoratore tenuto a prestare la propria ordinaria prestazione
lavorativa nel proprio ente e nell'unione, non si configura come rapporto a
tempo parziale e, quindi, non trova applicazione la speciale disciplina degli
artt. 4, 5 e 6 del CCNL del 14.9.2000; in particolare non trova applicazione
il principio del riproporzionamento delle assenze e del trattamento economico;
questo si giustifica, in quanto il rapporto di lavoro è gestito come rapporto
unico e quindi anche unici sono i diritti e i doveri. (nel senso che, ad
esempio, non si potrà concedere o pretendere la fruizione di un doppio periodo
di ferie o di un doppio periodo di permessi o di altre assenze retribuite o
non).
E' auspicabile che gli enti interessati
concordino regole predeterminate per la unitaria gestione degli istituti
relativi, ad esempio, alle diverse causali di assenza dal servizio (ferie,
aspettative, congedi parentali, permessi vari); sembra corretto e ragionevole
ipotizzare la fruizione dei periodi di assenza avvenga con modalità e
periodicità tali da consentire che gli stessi incidano in modo equilibrato
nell'ambito dei periodi di servizio dedicati a ciascuno degli enti che
utilizzano la prestazione del lavoratore.
Art. 14 (Personale utilizzato a tempo
parziale e servizi in convenzione)
Interventi analoghi a quelli individuati per le
unioni di comuni, vengono previsti anche in favore degli enti che utilizzino a
diverso titolo e a tempo parziale, dipendenti di altri enti o in caso di
utilizzazione, sempre parziale, di personale adibito alla gestione di funzioni
o di servizi in convenzione. In altri termini la disciplina contrattuale
intende fornire utili regole di gestione con riferimento ad una tipologia di
utilizzazione che oggi viene praticata e qualificate mediante l'espressione
"personale a scavalco".
Si prevede, anzitutto, che gli enti locali
(devono ritenersi conseguentemente esclusi dalla disciplina gli altri enti del
comparto) possono utilizzare, per soddisfare le proprie esigenze
organizzative, personale assegnato da altri enti del comparto (in questo caso
vi sono ricompresi tutti gli enti) per periodi determinati e per una parte
dell'orario ordinario d'obbligo, con il consenso dei lavoratori interessati e
secondo le regole definite preventivamente mediante una convenzione da
concordarsi tra gli enti interessati.
La convenzione, in particolare, deve
disciplinare: la durata del periodo di utilizzazione, il tempo di lavoro e la
relativa articolazione tra i due enti, la ripartizione degli oneri e i
conseguenti adempimenti reciproci, ogni altro aspetto ritenuto utile per una
corretta gestione del rapporto di lavoro.
Anche in questa circostanza l'eventuale utilizzo
del lavoratore da parte di entrambi gli enti interessati, non si configura
come una prestazione a tempo parziale secondo la vigente disciplina
contrattuale.
Gli atti di gestione del rapporto di lavoro
(comma 2) restano confermati nella competenza dell'ente di provenienza, anche
per quel che riguarda la applicazione della disciplina sulle progressioni
economiche orizzontali; in questo caso specifico, per una corretta gestione
delle selezioni, l'ente di provenienza acquisisce dall'ente utilizzatore tutte
le informazioni e le eventuali valutazioni indispensabili, secondo le regole e
i criteri definiti dal contratto decentrato integrativo.
Per incentivare, anche sotto l'aspetto
economico, il personale utilizzato a tempo parziale, si affida alla
contrattazione decentrata dell'ente utilizzatore, la possibilità di
individuare specifiche forme di intervento tra quelle previste dall'art. 17
del CCNL dell'1.4.1999, utilizzando le risorse decentrate del medesimo ente,
costituite secondo la disciplina dell'art. 31. Si potrebbero, ad esempio,
prevedere sia le modalità di partecipazione agli incentivi per produttività,
sia la applicazione dei compensi per particolari responsabilità.
Questa speciale sollecitazione rivolta alla
contrattazione decentrata dell'ente utilizzatore, tende, evidentemente, ad
assicurare una più adeguata tutela (che prima mancava) del lavoratore che
rende, con maggior disagio, la propria prestazione distribuita tra due enti;
infatti, il lavoratore assegnato a tempo pieno (più esattamente in posizione
di "comando") ad altro ente ha sempre avuto titolo a fruire della disciplina
sui trattamenti accessori applicata in quello in cui rende il servizio e,
conseguentemente, non era necessaria una ulteriore garanzia specifica.
Ai lavoratori utilizzatii a tempo parziale
(comma 4) possono essere affidati, dall'ente utilizzatore, incarichi di
responsabilità correlati alle posizioni organizzative, anche in presenza di
analoghi incarichi presso l'ente di appartenenza. In questo caso la somma
complessiva che può essere corrisposta per entrambi gli incarichi non può
superare i 16.000 euro, per la retribuzione di posizione; il complessivo
compenso eventuale per la retribuzione di risultato può complessivamente
variare, a carico di entrambi gli enti, da un minimo del 10% ad un massimo del
30% della complessiva retribuzione di posizione in godimento.
La retribuzione di posizione eventualmente in
godimento presso l'ente di appartenenza, prima della assegnazione a tempo
parziale, deve essere ridotta in proporzione alla riduzione della ordinaria
prestazione lavorativa. Anche il solo incarico conferito dall'ente
utilizzatore (in assenza di un analogo incarico di PO presso l'ente di
provenienza) comporta, in ogni caso, la possibilità di una remunerazione
massima entro il più elevato tetto di 16.000 euro, opportunamente
riproporzionata, in relazione alla entità delle prestazioni settimanali
d'obbligo rese nell'ente utilizzatore.
Si confermano le vigenti regole in materia di
finanziamento della retribuzione di posizione e di risultato già illustrate
nel commento all'art. 13.
Al personale utilizzato a tempo parziale compete
(comma 6) il rimborso delle spese sostenute per recarsi a prestare servizio
presso l'ente di utilizzazione, nei limiti previsti dai commi 2 e 4 dell'art.
41 del CCNL del 14.9.2000. Le spese rimborsabili, pertanto, sono quelle
relative ai viaggi in treno o auto, le spese eventuali di taxi e di altri
mezzi di trasporto urbano, i rimborsi chilometrici per l'eventuale uso del
mezzo proprio e quelle per i pedaggi autostradali e la custodia. E' da
escludere ogni forma di ulteriore compenso o diaria. Gli oneri conseguenti,
previa esibizione della necessaria documentazione giustificativa, sono posti a
carico dell'ente utilizzatore che a tal fine impiegherà le risorse di bilancio
destinate al pagamento delle trasferte del personale.
Per evitare dubbi interpretativi e comportamenti
con oneri ingiustificati a carico degli enti, si conferma che anche in questo
caso i destinatari della disciplina sui rimborsi sono soltanto i lavoratori
"utilizzati a tempo parziale" e non anche i lavoratori "comandati o
distaccati" a tempo pieno. Solo nel primo caso, infatti, sussiste una reale e
specifica condizione di maggior disagio derivante dall'obbligo di rendere la
ordinaria prestazione di lavoro presso due enti diversi con conseguente
obbligo di spostamento tra le due sedi interessate. Nel secondo caso, invece,
il lavoratore modifica, sia pure per un tempo determinato, la propria sede di
lavoro e, quindi, non può vantare alcun titolo per una tutela speciale che
sarebbe anche in contrasto non solo con i comportamenti da sempre adottati
dagli enti ma anche con la giurisprudenza consolidata nella specifica materia
(esclusione del trattamento di trasferta e del rimborso delle spese per il
personale comandato o distaccato a tempo pieno presso altro datore di lavoro).
La disciplina contenuta nell'articolo in
commento, sia per le modalità di utilizzazione parziale del personale, sia per
gli incentivi economici, sia per le posizioni organizzative, trova
applicazione anche nei confronti del personale utilizzato a tempo parziale per
la gestione dei servizi in convenzione (commi 1 e 7) ai sensi dell'art. 30 del
D.Lgs.n.267 del 2000.
Per gli aspetti relativi alle modalità di
finanziamento degli oneri bisogna riconoscere che il citato comma 7 utilizza
una formulazione tecnicamente imprecisa che deve essere, pertanto,
correttamente intesa con riferimento al contesto normativo che regola la
copertura degli oneri dei singoli istituti contrattuali. Pertanto e con
specifica attenzione alla retribuzione di posizione e di risultato deve essere
confermata la applicabilità delle particolari disposizioni in materia
contenute nell'art. 11 del CCNL del 31.3.1999 (per gli enti senza dirigenza) e
nell'art. 17, comma 2, lett. c) del CCNL dell'1.4.1999, per gli altri enti con
dirigenza.
Gli oneri relativi al rimborso delle spese (di
viaggio) vengono, naturalmente, poste a carico dell'ente presso il quale il
lavoratore sia tenuto a rendere parte delle sue prestazioni.
Art. 15 (Posizioni organizzative apicali)
La disposizione contrattuale afferma la
titolarità di posizione organizzativa da parte dei dipendenti responsabili
delle strutture apicali degli enti privi di personale della qualifica
dirigenziale.
In realtà non si tratta di una disposizione
innovativa, in quanto il principio era operante anche sulla base di una
corretta applicazione delle disposizioni previgenti. Restano confermate,
naturalmente, tutte le prescrizioni contrattuali sui criteri e sulle
condizioni per l'affidamento degli incarichi di posizione organizzativa e sul
sistema delle relazioni sindacali ad essi correlati. Richiamiamo, in
particolare la disciplina degli articoli 11 e 16 del CCNL del 31.3.1999,
nonché dell'art. 8 del CCNL del 5.10.2001.
Capo III - Disposizioni per l'area di
vigilanza e della polizia locale
Il Capo III si apre con una premessa di
carattere squisitamente politico, in cui le parti, anche alla luce della
modifica del Titolo V della Costituzione e del confronto attualmente in atto
tra tutti i soggetti politici istituzionalmente coinvolti per una modifica
della legislazione vigente in materia di polizia locale, concordemente
riconoscono la rilevanza e la specificità del ruolo della polizia locale e
conseguentemente auspicano comportamenti degli enti locali coerenti con tale
riconoscimento, attraverso l'adozione di modelli organizzativi ispirati al
potenziamento ed alla valorizzazione del settore.
In particolare, in tale ambito, viene richiamata
l'attenzione degli enti locali su alcuni temi specifici come l'autonomia
organizzativa dei corpi di polizia locale, la formazione e lo sviluppo
professionale ed infine le problematiche connesse alla copertura assicurativa
dei vigili urbani.
E' evidente che il segnale di attenzione che le
parti rivolgono agli enti non può essere inteso come vincolo giuridicamente
valido per imporre scelte e comportamenti obbligati. Le sollecitazioni in
materia devono, pertanto, essere valutate nel quadro della particolare tutela
riconosciuta ai singoli enti, anche a livello costituzionale, nella autonoma
costruzione del proprio modello organizzativo.
Nel Capo sono, poi, inserite alcune disposizioni
particolari concernenti esclusivamente il rapporto di lavoro del personale
dell'area di vigilanza.
Art. 16 (Indennità del personale dell'area di
vigilanza)
L'art.16 del CCNL si limita ad un semplice
aggiornamento di alcune voci retributive specifiche dell'area della vigilanza.
Infatti, l'indennità già prevista dall'art. 37,
comma 1, lett. b), primo periodo, del CCNL del 6.7.1995 per il personale
dell'area di vigilanza, ivi compresi i custodi delle carceri mandamentali,
che, in possesso dei necessari requisiti di legge, esercita le funzioni di cui
all'art. 5 della legge n. 65/1986, viene incrementata di € 25 lordi mensili
per 12 mensilità e viene, conseguentemente, rideterminata nell'importo
complessivo di € 1.110,84 annui lordi con decorrenza dall'1.1.2003.
Ugualmente, anche l'indennità prevista dall'art.
37, comma 1, lett. b), secondo periodo, del CCNL del 6.7.1995 per il restante
personale dell'area di vigilanza non svolgente le funzioni di cui all'art. 5
della citata legge n. 65/1986, viene incrementata di € 25 mensili lordi per 12
mensilità e viene pertanto rideterminata nell'importo complessivo di € 780,30
annui lordi, a decorrere dall'1.1.2003.
Art. 17 (Prestazioni assistenziali e
previdenziali)
L'art. 17 disciplina l'utilizzo dei proventi
derivanti dalle sanzioni amministrative pecuniarie per la violazione delle
norme del codice della strada, ai sensi dell'art. 208 del codice della strada.
In proposito è importante sottolineare che non
si tratta di una disciplina nuova, in quanto la clausola negoziale si limita,
sotto il profilo sostanziale (individuazione delle destinazioni e
quantificazione delle risorse) a richiamare e ribadire le previsioni espresse
del comma 2, lett. a) del citato art. 208 del codice della strada e del comma
4, del D.Lgs .n.285 del 1992 e successive modificazioni e integrazioni.
Infatti, in conformità alle citate fonti
legislative, viene previsto che quota parte delle risorse derivanti dalle
sanzioni amministrative per la violazione delle norme del codice della strada
è destinata a finalità assistenziali e previdenziali a favore del personale
della polizia locale.
La novità è rappresentata dalla individuazione,
in sede contrattuale, del soggetto che è chiamato a gestire tali risorse, in
conformità alla destinazione predefinita. Tale soggetto, in coerenza con la
complessiva disciplina legale e contrattuale vigente in materia, si identifica
con gli organismi di cui all'art. 55 del CCNL del 14.9.2000, formati da
rappresentanti dei dipendenti e costituiti in conformità a quanto previsto
dall'art. 11, della legge n. 300 del 1970.
Tali organismi, infatti, in base al citato art.
55 del CCNL del 14.9.2000, sono preposti alla gestione delle attività sociali,
culturali e ricreative promosse negli enti. Tra tali attività, ora, sono
ricomprese, con preciso vincolo di destinazione, anche quelle concernenti i
proventi delle sanzioni connesse alla violazione del codice della strada.
In proposito, sulla base della disciplina
contrattuale, si può affermare che:
Questo specifico intervento negoziale è anche
utile per chiarire, ancora una volta, la impraticabilità di ulteriori e
diverse utilizzazioni dei proventi contravvenzionali; sono da escludere,
pertanto, finanziamenti specifici di progetti di produttività o di altre
formule di incentivazione del salario accessorio.
Art. 18 (Permessi per l'espletamento di
funzioni di pubblico ministero)
L'art. 18 del CCNL ha disciplinato anche le
particolari assenze dal servizio del personale della polizia locale, cui siano
state affidate funzioni di pubblico ministero presso il tribunale ordinario
per delega del Procuratore della Repubblica, ai sensi dell'art. 50, comma 1
lett. a) del D.Lgs. n.274 del 28.8.2000.
Si tratta di un intervento giustificato dalla
necessità di chiarire il regime giuridico ed economico di tali particolari
assenze, al fine di evitare ogni possibile dubbio interpretativo o
applicativo.
Infatti, occorre evidenziare che, in base
all'art. 50, comma 1, lett. a) del D.lgs. n.274 del 28.8.2000, nei
procedimenti penali dinanzi al giudice di pace, il Procuratore della
Repubblica presso il tribunale ordinario può delegare le funzioni di pubblico
ministero, tra gli altri soggetti ivi previsti, anche ad ufficiali di polizia
giudiziaria.
Poiché la qualifica di ufficiale di polizia
giudiziaria, in base all'art. 5 della legge n.65/1986, può essere affidata ai
responsabili del servizio o del corpo nonché agli addetti al coordinamento ed
al controllo, si era posto, in mancanza di espresse indicazioni legislative
sul punto, il problema della qualificazione delle assenze dal servizio di tale
personale della polizia locale.
Si trattava di una problematica delicata e di
difficile soluzione, in via meramente interpretativa, in quanto concerneva sia
il punto del riconoscimento di un vero e proprio obbligo dell'ente a
consentire al personale interessato di assentarsi dal servizio per
l'espletamento dell'incarico ricevuto, anche in presenza di esigenze
organizzative, sia quello del trattamento economico da riconoscere al
personale in tali occasioni.
La soluzione contrattuale è stata quella di
riconoscere al personale della polizia locale chiamato a svolgere funzioni di
pubblico ministero permessi retribuiti, per il tempo strettamente necessario
all'espletamento dell'incarico ricevuto.
Si tratta di una opzione che tiene conto sia
della corrispondente disciplina che la legge detta per l'espletamento da parte
di pubblici dipendenti di funzioni di giudice popolare (art. 11 della legge n.287/1951,
come sostituito dal D.L. n.31/1978 convertito nella legge 74/1978), sia della
circostanza che, sulla base del sopraccitato art. 50 del D. Lgs. n.274/2000,
da un lato, il personale incaricato non può rifiutarsi di espletarlo, e,
dall'altro, lo stesso ente non sembra potere legittimamente rifiutare al
dipendente il tempo necessario allo svolgimento delle funzioni allo stesso
delegate, trattandosi di norme penali che hanno carattere imperativo ed
attengono alla garanzia dello svolgimento di una precisa funzione pubblica.
E' appena il caso di aggiungere che la
disciplina contrattuale, per la specificità dei suoi contenuti, non è
suscettibile di estensione analogica ad altre categorie di personale.
Capo IV - Disposizioni sul rapporto di lavoro
In tale Capo sono inserite alcune disposizioni
attinenti alla disciplina del rapporto di lavoro, che, in parte, hanno una
sorta di funzione interpretativa in quanto finalizzate a chiarire la effettiva
portata di precedenti regole contrattuali (per le quali erano insorte
problematiche in sede di effettiva applicazione delle stesse), ed in parte
hanno carattere innovativo ma attengono a profili estremamente limitati del
rapporto di lavoro.
Art. 19 (Partecipazione del personale
comandato o distaccato alle progressioni orizzontali e verticali)
Tale articolo prende in considerazione la
particolare situazione del personale comandato o distaccato presso enti,
amministrazioni ed aziende, in relazione a due distinti profili della
disciplina del rapporto di lavoro: le progressioni economiche orizzontali e
quelle verticali.
Infatti, in sede di applicazione delle clausole
contrattuali concernenti tali istituti (artt. 5 e 4 del CCNL del 31.3.1999),
erano insorti alcuni dubbi sulle concrete modalità di estensione degli stessi
anche nei confronti del personale che, a diverso titolo (comando o distacco, a
tempo pieno o a tempo parziale), prestava servizio presso enti ed
amministrazioni, anche di altro comparto di contrattazione, diversi da quello
di effettiva appartenenza.
Ciò in quanto le modalità selettive, per
l'applicazione sia della progressione verticale che di quella economica
orizzontale, stabilite nei regolamenti degli enti di appartenenza di tale
personale, generalmente, prevedono forme di valutazione delle prestazioni rese
dal personale o la verifica dello svolgimento di determinate attività, di
determinati percorsi formativi o la inesistenza di periodi prolungati di
assenza.
Pertanto, la impossibilità per l'ente di
appartenenza di acquisire in via diretta ed immediata tali elementi di
giudizio relativamente al personale comandato o distaccato presso altro datore
di lavoro e la mancanza di disposizioni specifiche nei regolamenti concernenti
le diverse forme di selezione, inducevano spesso l'ente stesso ad escludere il
suddetto personale dalle progressioni orizzontali e verticali.
La clausola contrattuale (comma 1, primo
periodo), in proposito, ribadisce preliminarmente il diritto del dipendente,
comandato o distaccato, a partecipare, sempre ed in ogni caso, alle selezioni
sia orizzontali che verticali (e non poteva essere diversamente dato che tale
lavoratore continua ad essere dipendente a tutti gli effetti dell'ente di
appartenenza) previste per la generalità del personale.
Per consentire la effettiva realizzazione di
tale diritto del dipendente comandato o distaccato, è previsto (comma 1,
secondo periodo) che l'ente di appartenenza debba concordare con l'ente
utilizzatore le modalità per acquisire da questo le informazioni e le
eventuali valutazioni concernenti il lavoratore comandato o distaccato che,
alla luce delle regole adottate dallo stesso ente di appartenenza in materia
di progressioni orizzontali e verticali, siano necessarie per consentire la
sua effettiva partecipazione alle stesse.
Si tratta di una regola che doveva già ritenersi
implicita nella disciplina delle progressioni orizzontali e verticali, secondo
i principi generali di logica e buon senso nonché di correttezza
comportamentale del datore di lavoro, e che il CCNL esplicita in modo chiaro,
al fine di assicurare una generale visibilità ed applicazione della stessa
presso tutti gli enti del comparto.
Il comma 2, dell'art.19 detta, anche, una
disciplina particolare concernente gli oneri connessi al trattamento economico
del personale distaccato a prestare servizio presso altri enti,
amministrazioni o aziende.
Infatti esso stabilisce che, nel caso in cui il
personale di un ente sia distaccato, nell'interesse del proprio datore di
lavoro, a rendere la sua prestazione lavorativa presso altri enti,
amministrazioni o aziende, i relativi oneri del trattamento economico, sia
fondamentale che accessorio, restano comunque a carico dell'ente titolare del
rapporto di lavoro.
In tal modo viene introdotta, in via
contrattuale, una regola che appare in perfetta sintonia con la nuova e
specifica disciplina del "distacco" contenuta nel D. Lgs. n. 276 del 2003 che
appunto, all'art. 30, afferma che si configura "l'ipotesi di distacco quando
un datore di lavoro, per soddisfare un proprio interesse, pone temporaneamente
uno o più lavoratori a disposizione di altro soggetto per l'esecuzione di una
determinata attività lavorativa".
Resta, invece, confermato che qualora il
lavoratore venga assegnato ad altro ente (o azienda o amministrazione) in
posizione di "comando", (e quindi l'assegnazione è giustificata dalla
sussistenza di un interesse proprio dell'ente ricevente) il datore di lavoro
che ne utilizza le prestazioni:
Art. 20 (Assenze per l'esercizio delle
funzioni di giudice onorario o di vice procuratore onorario)
Viene introdotta una specifica disciplina
espressa per le assenze dal lavoro del personale dipendente da enti del
comparto regioni-autonomie locali chiamato a svolgere le funzioni di giudice
onorario o di vice procuratore onorario.
Si trattava di un profilo della disciplina del
rapporto di lavoro che aveva, in passato, suscitato non poche perplessità in
relazione alla individuazione delle regole effettivamente applicabili a tale
particolare fattispecie.
Infatti, in base all'art. 42-ter del R.D.n.12/1941,
introdotto dall'art. 8 del D.Lgs. n. 51/1998, possono essere nominati giudici
onorari di tribunale, con decreto del Ministro di grazia e giustizia, in
conformità della deliberazione del Consiglio superiore della magistratura, su
proposta del Consiglio giudiziario competente per territorio nella
composizione prevista dall'art. 4, comma 1, della legge 21.11.1991, n. 374,
anche i pubblici dipendenti che, in possesso dei necessari requisiti generali
stabiliti dalla legge stessa, esercitino funzioni di qualifica dirigenziale o
di qualifica corrispondente alla soppressa carriera direttiva nelle
amministrazioni pubbliche o in enti pubblici economici. Per l'esercizio delle
funzioni di giudice onorario, il decreto del Ministro di grazia e giustizia 7
luglio 1999, all'art. 5, comma 6, si limita solo a prescrivere, a tal fine,
l'acquisizione preventiva del nulla osta dell'amministrazione di appartenenza
o del datore di lavoro, senza nulla prescrivere in relazione al regime
giuridico ed economico delle assenze del dipendente presso la sua
amministrazione, necessarie per l'assolvimento delle funzioni conferite. Gli
incarichi di giudice onorario o di vice procuratore onorario sono retribuiti.
In relazione a tale scarna regolamentazione
legislativa ed amministrativa ed in mancanza di previsioni contrattuali, nella
prassi applicativa, l'opinione prevalente era che in materia dovessero trovare
applicazione le norme generali concernenti il conferimento di incarichi
retribuiti ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni, contenute nell'art.53
del D.Lgs. n.165/2001 (il dipendente può svolgere tali incarichi solo ove non
intralcino l'ordinario svolgimento delle attività dell'amministrazione di
appartenenza e sempre che siano espletati al di fuori dell'orario di lavoro).
A fronte di tale quadro di incertezza, l'art. 20
introduce una specifica regolamentazione della materia.
Infatti, si prevede che il dipendente,
autorizzato dall'ente di appartenenza a svolgere le funzioni di giudice
onorario o di vice-procuratore onorario, ai sensi delle vigenti disposizioni
del sopra citato D.M. 7.7.1999, salvo che non ricorrano particolari e gravi
ragioni organizzative, ha diritto di assentarsi dal lavoro per il tempo
necessario all'espletamento del suo incarico.
Si tratta di una scelta che, da un lato,
consente ed agevola lo svolgimento delle funzioni di giudice onorario, per la
loro indiscutibile rilevanza, e, dall'altro, salvaguarda anche l'interesse
organizzativo dell'ente di appartenenza del dipendente, dato che il diritto
dello stesso ad assentarsi, comunque, cede in presenza di particolari e gravi
ragioni attinenti all'espletamento dei compiti istituzionali.
La disciplina proposta è simile a quella
prevista direttamente dalla legge (art. 11 della legge n.287/1951, come
sostituito dal D.L. n.31/1978 convertito nella legge 74/1978) per i permessi
riconosciuti ai pubblici dipendenti chiamati ad espletare funzioni di giudice
popolare, salvo che per ciò che attiene al trattamento economico.
Infatti, mentre questi ultimi sono retribuiti, i
periodi di assenza riconosciuti ai giudici onorari non sono retribuiti e non
sono utili ai fini della maturazione dell'anzianità di servizio e degli altri
istituti contrattuali. Gli stessi periodi, in considerazione della loro
specifica finalizzazione, non sono sottoposti alla disciplina del cumulo di
aspettative, di cui all'art. 14 del CCNL del 14.9.2000, e possono essere
fruiti anche in via cumulativa con le ferie, con la malattia e con tutte le
forme di congedo e di permesso previsti dalla legge e dalla contrattazione
collettiva.
Art. 21 (Cause di cessazione del rapporto di
lavoro)
L'art.27-ter del CCNL del 6.7.1995, introdotto
dall'art.6 del CCNL del 13.5.1996, ha, a suo tempo, disciplinato le varie
cause di cessazione del rapporto di lavoro. In particolare il comma 1, lett.
a) di tale articolo ha stabilito che la cessazione del rapporto di lavoro ha
luogo al compimento del limite massimo di età o al raggiungimento
dell'anzianità massima di servizio previsti dalle norme di legge o di
regolamento applicabili nell'amministrazione.
Tale regola è stata spesso fraintesa dagli enti
del comparto in sede applicativa. Infatti, essa è stata interpretata nel senso
che la cessazione del rapporto si verificava in via automatica al compimento
da parte del lavoratore dell'anzianità massima di servizio e che, quindi,
l'ente era obbligato a disporla, a prescindere da una qualunque manifestazione
di volontà del lavoratore.
In realtà, la clausola contrattuale citata non
era finalizzata (anche perché veniva in considerazione materia previdenziale e
perciò esclusa dalla competenza regolativa della contrattazione collettiva) ad
introdurre un tale effetto di automatica risoluzione del rapporto di lavoro e
di collocamento a riposo del lavoratore, ma più semplicemente voleva
evidenziare che tali effetti si producevano in quei casi in cui la normativa
previdenziale, legislativa o regolamentare, applicabile al personale
dell'amministrazione interessata espressamente li prevedessero.
Una diversa interpretazione avrebbe posto la
clausola contrattuale in inevitabile contrasto con la legislazione
previdenziale all'epoca vigente e con i suoi successivi sviluppi.
L'art.21 del CCNL tende proprio a chiarire la
corretta portata dell'art.27-ter, comma 1, del CCNL del 6.7.1995. Infatti,
viene espressamente ribadito che l'effetto risolutivo (automatico) del
rapporto di lavoro, oltre che nel caso del raggiungimento del limite massimo
di età, si realizza anche al raggiungimento dell'anzianità massima di
servizio, ma solo quando tale ultima ipotesi sia espressamente prevista come
obbligatoria da fonti legislative o regolamentari applicabili presso l'ente.
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TITOLO IV - DISPOSIZIONI DISCIPLINARI
Il Titolo IV introduce alcune modificazioni ed
integrazioni nella precedente regolamentazione della materia delle procedure e
sanzioni disciplinari, contenuta nel Titolo III, Capo V, del CCNL del
6.7.1995.
La necessità di un tale intervento di
manutenzione del precedente ed ormai consolidato impianto regolativo della
materia disciplinare ha trovato giustificazione nella:
c) necessità di disciplinare in termini
nuovi il rapporto tra procedimento disciplinare e procedimento penale, in
modo da tenere conto delle disposizioni della recente legge n.97/2001;
d) opportunità di modificare alcuni punti
della procedura disciplinare già prevista dall'art. 24 del CCNL del
6.7.1995, a fini di maggiore chiarezza e semplificazione degli adempimenti.
Art. 22 (Clausola generale)
Con tale articolo viene introdotta una clausola
di carattere generale, che prevede, in coerenza con la tecnica di
aggiornamento adottata dalle parti negoziali, la conferma di tutta la
precedente regolamentazione della materia disciplinare, contenuta nel Capo V
del Titolo III del CCNL del 6.7.1995, salvo ovviamente le modifiche ed
integrazioni introdotte dal CCNL.
Art. 23 (Modifiche all'art. 23 (Doveri del
dipendente) del CCNL del 6 luglio 1995)
L'articolo introduce alcune modifiche nella
precedente elencazione dei doveri del dipendente, contenuta nell'art. 23 del
CCNL del 6.7.1995, che rappresentano il presupposto necessario per
l'individuazione dei comportamenti del lavoratore sanzionabili attraverso il
procedimento disciplinare.
Alcune delle integrazioni introdotte hanno
carattere meramente formale o comunque un rilievo abbastanza marginale, come
avviene per la modifica della rubrica dell'art. 23 da "doveri del dipendente"
in "obblighi del dipendente" (comma 1, lett.a), dizione sicuramente più
confacente alla struttura privatistica ed obbligatoria del rapporto di lavoro;
oppure, ancora, per il nuovo riferimento al DPR 445/2000 (comma 1, lett. c),
anziché alla legge n.15/1968, per l'individuazione delle disposizioni in
materia di semplificazione amministrativa che il lavoratore è tenuto a
rispettare nell'espletamento dei suoi compiti.
Altre, invece, hanno carattere più sostanziale,
come la disposizione (comma 1, lett.b), che, attraverso l'introduzione di uno
specifico richiamo ("Il dipendente adegua altresì il proprio comportamento ai
principi riguardanti il rapporto di lavoro contenuti nel codice di condotta
allegato"), consente di inserire, in via automatica e completa, tra gli
obblighi del lavoratore tutti i principi contenuti nel Codice di
comportamento, di cui al Decreto del Ministro della Funzione Pubblica del
28.11.2000, comunque attinenti al rapporto di lavoro.
Ugualmente sostanziale è la specificazione
(comma 1, lett. d) relativa al tipo di interessi che, in relazione ai
contenuti di un atto o di una decisione da adottare, possono determinare una
situazione di incompatibilità del dipendente che vi deve provvedere. Infatti,
in coerenza con le indicazioni del Codice di comportamento del 28.11.2000,
tali interessi non sono più esclusivamente quelli propri del dipendente (come
avveniva con la previsione originaria dell'art. 23, comma 3, lett. r), ma
anche quelli dei suoi parenti entro il quarto grado o dei conviventi.
Art. 24 (Modifiche all'art.24 (Sanzioni e
procedure disciplinari) del CCNL del 6 luglio 1995)
Con le diverse lettere di questo articolo
vengono introdotte modifiche alle previsioni contenute in alcuni commi
dell'art. 24 del CCNL del 6.7.1995, in materia di sanzioni e di procedure
disciplinari, come di seguito indicate:
Art. 25 (Codice disciplinare)
L'art.25 introduce, attraverso la sua integrale
sostituzione con un nuovo testo, alcune modifiche all'art.25 del CCNL del
6.7.1995 in materia di codice disciplinare.
Le principali innovazioni, rispetto al
precedente testo contrattuale, a parte alcuni adattamenti formali necessari
per sostituire i riferimenti precedenti al D.Lgs. n.29/1993 con quelli,
attuali, alle corrispondenti previsioni del D.Lgs. n.165/2001, possono così
riassumersi:
Art. 26 (Rapporto tra procedimento
disciplinare e procedimento penale)
Tale articolo introduce nel testo del CCNL del
6.7.1995 un nuovo art. 25-bis, al fine di una più organica e migliore
regolazione dei rapporti tra procedimento disciplinare e procedimento penale.
Si trattava di un profilo della procedura disciplinare alquanto complesso e
delicato, per il quale una riconsiderazione si rendeva quanto mai necessaria
sia per la non troppo felice formulazione del testo contrattuale del 1995 sia
per il successivo intervento in materia di alcune specifiche disposizioni
legislative (legge n.97/2001).
La nuova disciplina (art. 25-bis) può così
riassumersi:
In caso di premorienza del lavoratore, gli
assegni e gli altri compensi spettano al coniuge o al convivente superstite ed
ai figli.
Si tratta di una disciplina di garanzia del
dipendente che trova la sua giustificazione nella circostanza che il
licenziamento intimato ha trovato il suo principale fondamento nella sentenza
penale di condanna (e con effetto vincolante del giudicato formatosi sul
procedimento disciplinare) e che tale fondamento, successivamente,è venuto
meno a seguito della sentenza di assoluzione conseguente al processo di
revisione. Essa non costituisce, peraltro, una novità in assoluto, in quanto
una tutela analoga era già prevista nell'art.88 del Testo Unico degli
impiegati civili dello Stato, recepito nel DPR n.3/1957.
Art. 27 (Sospensione cautelare in caso di
procedimento penale)
L'articolo, attraverso una integrale
sostituzione dell'art. 27 del CCNL del 6.7.1995, riscrive, con l'introduzione
di alcune significative modifiche ed integrazioni, la precedente
regolamentazione della materia della sospensione cautelare del dipendente nel
caso in cui sia sottoposto a procedimento penale.
La nuova disciplina può così riassumersi:
| essendo stata abrogata per effetto del D.Lgs. n.267/2000 la disciplina già contenuta nella legge n.16/1992, come modificata dalla successiva legge n. 475/1999, il richiamo alla legge n.16/1992 contenuto nel primo periodo del comma 4 ha carattere di mero rinvio materiale, ai fini della sola individuazione delle particolari fattispecie che giustificano la sospensione obbligatoria del dipendente; pertanto, in tale ipotesi è il CCNL, e non più la legge (ormai abrogata), la fonte dell'obbligo di sospensione, come configurato nella sua portata applicativa dalle previsioni del comma 4; |
| il richiamo anche alle disposizioni del D.Lgs. n.267/2000 si giustifica in considerazione della circostanza che tale Decreto ha abrogato, in generale, la legge n.16/1992 ed ha, al contempo, dettato previsioni espresse (art. 58 e 59) per il solo personale degli enti locali in materia di sospensione obbligatoria del personale, in presenza di delitti particolarmente gravi dallo stesso individuati; pertanto, poiché queste disposizioni sono ancora vigenti e, quindi, rappresentano ancora la cornice legale della regolamentazione della materia, il comma 4 si è limitato a richiamarle al suo interno come fonte principale della disciplina della sospensione cautelare; quindi, per i soli dipendenti degli enti locali, destinatari del D.Lgs. n.267/2000, la fonte di disciplina della sospensione obbligatoria, relativamente ai delitti ivi previsti, continua ad essere quella contenuta nel citato D.lgs. n.267/2000; per il personale delle altre amministrazioni, diverse dagli enti locali, in presenza dei delitti già indicati nella legge n. 16/1992 (e corrispondenti a quelli previsti dagli artt. 58 e 59 del D.Lgs. n.267/2000) la fonte di disciplina dell'obbligo di sospensione è, invece, esclusivamente il comma 4 del CCNL; |
e) nel caso si tratti di uno dei delitti
previsti dall'art. 3, comma 1,della legge n.97/2001 e sussistano le
condizioni ivi previste, trova applicazione la specifica disciplina di tale
articolo, che, come è noto, fermo restando la possibilità di applicare il
provvedimento della sospensione dal servizio, prevede anche quella di un
trasferimento ad altro ufficio del dipendente, secondo le modalità e nel
rispetto delle garanzie stabilite dalla legge stessa; qualora, per i
medesimi delitti previsti nell'art. 3, comma 1, della legge n.97/2001,
intervenga una condanna anche non definitiva, ancorché sia concessa la
sospensione condizionale della pena, trova applicazione quanto stabilito
dall'art. 4, comma 1, della stessa legge n. 97/2001 (in virtù della quale i
dipendenti devono essere sospesi dal servizio); si tratta di previsioni
innovative rispetto alla disciplina del 1995, che trovano giustificazione
nelle espresse disposizioni della legge n. 97/2001 (il comma 5 si è limitato
ad un semplice richiamo delle stesse, al fine di conoscenza e di
coordinamento complessivo della disciplina dell'intera materia);
f) (comma 6) in relazione alle diverse ipotesi
sopra considerate, che presuppongono sempre un collegamento con un
procedimento penale, sotto il profilo procedurale, troverà applicazione in
ogni caso la disciplina dell'art. 25-bis del CCNL del 6.7.1995, introdotto
dall'art. 26 del CCNL, in materia di rapporto tra procedimento disciplinare
e procedimento penale;
g) in materia di trattamento economico del
dipendente sospeso dal servizio (comma 7), in base alle regole contrattuali,
viene stabilito che allo stesso devono essere corrisposti: un'indennità pari
al 50% della retribuzione base mensile di cui all'art.52, comma 2, lett. b)
del CCNL del 14.9.2000, la retribuzione individuale di anzianità ove
acquisita e gli assegni per il nucleo familiare, con esclusione di ogni
compenso accessorio comunque denominato; tale disciplina ricalca,
sostanzialmente le precedenti previsioni dell'art. 27, comma 6, del CCNL del
6.7.1995, con l'unico elemento di novità rappresentato dalla salvaguardia
anche della retribuzione individuale di anzianità;
h) nel caso che, successivamente, intervenga
una sentenza definitiva di assoluzione, secondo le previsioni del nuovo art.
25-bis del CCNL del 6.7.1995, introdotto dall'art.26 del CCNL, quanto
corrisposto al dipendente durante il periodo di sospensione a titolo di
assegno (alimentare, secondo le previsioni del comma 7) verrà conguagliato
con quanto dovuto al dipendente stesso se fosse rimasto in servizio (comma
8), con esclusione delle indennità e dei compensi comunque collegati alla
presenza in servizio, o agli incarichi (come quelli relativi alle posizioni
organizzative) oppure alle prestazioni di carattere straordinario; anche in
questo caso la nuova regolamentazione ripete sostanzialmente quella
precedente dell'art. 27, comma 7, del CCNL del 6.7.1995, caratterizzandosi
per la specificazione (innovativa) delle voci da escludere in ogni caso dal
conguaglio;
i) ove, invece, il procedimento disciplinare
riprenda per altre infrazioni, ulteriori rispetto a quelle per le quali è
intervenuta la sentenza penale definitiva di assoluzione secondo la
disciplina dell'art. 25-bis, comma 7, secondo periodo, il conguaglio dovrà
tenere conto delle sanzioni (conservative) eventualmente irrogate al
dipendente per le stesse (comma 8, secondo periodo);
j) in tutti gli altri casi di riattivazione
del procedimento disciplinare a seguito di condanna penale, ove questo si
concluda con una sanzione diversa dal licenziamento, al dipendente
precedentemente sospeso viene conguagliato (comma 9, primo periodo) quanto
dovuto se fosse rimasto in servizio, anche in questo caso con esclusione
delle indennità o compensi comunque collegati alla presenza in servizio,
agli incarichi ovvero a prestazioni di carattere straordinario; non sono
computabili (comma 9, secondo periodo), ai fini del conguaglio, i periodi di
sospensione collegati allo stato di privazione della libertà del dipendente
(secondo le previsioni del comma 1) e quelli eventualmente inflitti a
seguito del procedimento disciplinare riattivato; si tratta di una
disciplina, prima mancante, che regolamenta un particolare profilo della
materia della sospensione e del suo rapporto con il procedimento penale;
k) per ciò che attiene alla durata della
sospensione dal servizio giustificata dall'esistenza di un procedimento
penale, viene stabilito che essa conserva efficacia, se non revocata, per un
periodo non superiore a cinque anni (comma 10, primo periodo); superato tale
termine massimo, la sospensione cautelare è revocata di diritto e il
dipendente viene riammesso in servizio (comma 10, secondo periodo); il
procedimento disciplinare, secondo la regola generale, anche in questa
ipotesi rimane comunque sospeso fino all'esito del procedimento penale
(comma 10, terzo periodo); si tratta della semplice conferma delle
previsioni del precedente testo dell'art. 27 del CCNL del 6.7.1995;
l) qualora la sentenza definitiva di condanna
preveda anche la pena accessoria della interdizione temporanea dai pubblici
uffici, l'ente sospende il lavoratore per la durata della stessa; si tratta
di una disciplina innovativa che prima mancava; la clausola contrattuale
(comma 11) ha inteso evidenziare espressamente un aspetto della disciplina
degli effetti della pena accessoria dell'interdizione temporanea dai
pubblici uffici, che forse si poteva ritenere già implicitamente vigente
sulla base delle regole generali; è appena il caso di aggiungere che
l'adozione del provvedimento di sospensione non incide sulla riattivazione
del procedimento disciplinare a seguito della sentenza definitiva di
condanna, a cui si accompagna la sanzione accessoria, secondo le regole
generali stabilite dal CCNL; pertanto, al fine della riattivazione non è
necessario attendere il decorso integrale del periodo di sospensione
connesso all'interdizione temporanea; infatti, la suddetta clausola
contrattuale ha inteso solo prevedere la possibile durata massima del
provvedimento di sospensione (per tutta la durata della interdizione
temporanea) ma non ha inteso derogare in alcun modo sulle regole (art.
25-bis del CCNL del 6.7.1995, introdotto dall'art. 26 del CCNL) concernenti
la riapertura del procedimento disciplinare a seguito della sentenza penale
definitiva di condanna.
Art. 28 (Disposizioni transitorie per i
procedimenti disciplinari)
Le novità introdotte nella precedente
regolamentazione della materia disciplinare, hanno determinato la necessità di
prevedere alcune disposizioni transitorie per il passaggio al nuovo regime.
Pertanto, l'art. 28 del CCNL, reiterando alcune
prescrizioni già contenute nell'art. 41 del CCNL del 6.7.1995 per il passaggio
dal precedente regime pubblicistico al nuovo codice disciplinare introdotto da
tale CCNL, prevede che:
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TITOLO V - LA DISCIPLINA DEL TRATTAMENTO ECONOMICO
Sembra utile, in premessa, porre in evidenza
alcuni elementi significativi della nuova disciplina sul trattamento economico
del personale che il contratto introduce con modifiche e integrazioni, nel
contesto della previgente regolazione, di particolare interesse per gli enti
specie con riferimento alla quantificazione e gestione delle risorse
decentrate. Per la prima volta, infatti, viene illustrato un percorso
"virtuoso", per il corretto calcolo delle risorse decentrate, non solo, ma
anche per definire con estrema chiarezza la natura delle diverse fonti di
finanziamento (stabili e variabili) collegando a tale diversità anche le
modalità di utilizzazione. Tale soluzione, che sarà più in dettaglio
commentata nell'ambito della valutazione dello specifico articolo di
riferimento, dovrebbe consentire agli enti un maggior controllo degli oneri
complessivi sulla gestione del personale e, di conseguenza, anche una più
efficace tutela degli equilibri di bilancio e della capacità di spesa,
obiettivo, questo, anche di indubbia attualità in considerazione delle
continue sollecitazioni per il controllo e la riduzione degli oneri del
personale che derivano dalle leggi finanziarie.
Altro elemento di qualificazione delle soluzioni
contrattuali può essere individuato nell'avvio di un percorso di allineamento
del trattamento economico complessivo del personale del comparto delle regioni
e delle autonomie locali a quello già previsto per il personale di altri
comparti più "avanzati" come quello delle amministrazioni statali. Questo
obiettivo, che potrebbe qualificarsi anche come perequativo, ha richiesto
interventi sia sulla determinazione degli incrementi dei trattamenti
stipendiali sia sulla struttura e sulla composizione della retribuzione; in
tale ambito, appunto, si inquadra proprio la scelta di istituire una indennità
di comparto, anche se di importo non rilevante, in sintonia con la analoga
indennità di amministrazione degli statali e della indennità di ente del
personale degli enti pubblici.
Vediamo, ora, di esaminare i contenuti specifici
delle singole disposizioni contrattuali.
Art. 29 (Stipendio tabellare)
In coerenza con le previsioni delle leggi
finanziarie del 2002 e del 2003 e con le direttive del Comitato di settore,
gli incrementi del trattamento economico stipendiale sono stati fissati con la
doppia decorrenza del gennaio 2002 e del gennaio 2003 (comma 1). Per la
quantificazione dei relativi valori sono stati individuati gli importi già
riconosciuti al personale dei ministeri, come primo e significativo momento di
riequilibrio economico tra comparti.
E' stata anche confermata la scelta che ha
caratterizzato il rinnovo del biennio economico 2000-2001, attraverso la
individuazione di incrementi economici diversificati e progressivi non solo
per le posizioni iniziali o di accesso di ogni categoria ma anche per tutte le
posizioni economiche di sviluppo. I relativi valori sono esattamente indicati
nella tabella A allegata al CCNL (comma 2).
In merito a questa tecnica di calcolo degli
incrementi stipendiali sembra utile un chiarimento rivolto essenzialmente ai
gestori delle risorse umane degli enti del comparto.
In particolare deve essere puntualizzato che
l'importo dell'incremento stipendiale (correlato al presente rinnovo
contrattuale) riconosciuto a favore del personale collocato nelle singole
posizioni di sviluppo del sistema di classificazione, per la misura più
elevata rispetto all'importo attribuito al personale collocato nelle posizioni
iniziali o di accesso dall'esterno (A1, B1, B3, C1, D1, D3) è finanziata con
le risorse nazionali del CCNL e quindi è anch'esso a carico dei bilanci degli
enti.
Ci stiamo riferendo, per maggiore chiarezza,
alle differenze tra l'incremento stipendiale attribuito, ad esempio, al
lavoratore in posizione C3, rispetto a quello riconosciuto al lavoratore in
C1. Lo stesso differenziale retributivo, (C3 meno C1 corrisponde alla
differenza tra € 81,09 annui ed € 77,11 annui ed è pari ad € 3,98 mensili e ad
€ 47,76 annui) naturalmente, si traduce, in pratica, in una corrispondente
rideterminazione (in aumento) dell'importo già in godimento a titolo di
progressione economica il cui valore complessivo dovrebbe essere sempre
individuato come voce autonoma della "busta paga" in modo da favorirne la
verifica e la contabilizzazione in ogni momento; come ulteriore conseguenza
questi stessi importi determinano anche un altrettanto corrispondente aumento
del "fondo per le progressioni economiche orizzontali" di cui all'art. 17 del
CCNL dell'1.4.1999.
Per le stesse motivazioni, anche i valori annui
delle posizioni iniziali e delle posizioni di sviluppo vengono rideterminati
con effetto dal gennaio 2003 (comma 5) con la conseguenza che il costo
complessivo delle eventuali nuove progressioni che saranno effettuate
successivamente alla data di sottoscrizione del contratto collettivo e con
effetto dal gennaio 2003 = o altra data successiva), dovrà essere calcolato
tenendo presente i nuovi e più elevati valori, con oneri, naturalmente, a
carico delle risorse decentrate aventi carattere di stabilità, come si
chiarirà meglio in seguito.
Tornando all'esempio illustrato in precedenza,
il lavoratore in posizione C3 ha beneficiato di un incremento complessivo per
progressione orizzontale (C2 più C3) pari ad € 921,87 (€ 444,15 per C2 più €
477,72 per C3); a seguito degli incrementi previsti dal presente contratto il
beneficio economico per progressione orizzontale viene incrementato di €
47,76; il nuovo valore complessivo per detta voce retributiva ammonta, a
decorrere dal gennaio 2003, ad € 969,63 (€.463,71 per C2 più € 505,92 per C3).
Con decorrenza sempre dal gennaio 2003, in
coincidenza con la attribuzione della seconda quota dell'incremento
stipendiale, viene realizzata la unificazione o conglobamento della indennità
integrativa speciale con lo stipendio tabellare (comma 3), dando vita ad un
unico elemento retributivo che assume la denominazione di "stipendio tabellare".
A tal fine si tiene conto del valore della I.I.S. effettivamente in godimento
da parte dei lavoratori alla data di sottoscrizione definitiva del presente
contratto, ricomprendendo anche i lavoratori che siano stati assunti o abbiano
conseguito le posizioni di accesso B3 e D3 in data successiva al gennaio 2003.
In tal senso può essere correttamente interpretato il termine "attualmente"
contenuto nel comma 4. Per i dipendenti che fruiscano di progressioni
verticali verso B3 o D3 e per i nuovi assunti con decorrenza successiva alla
stipulazione definitiva del CCNL, saranno corrisposti solo gli importi
stipendiali indicati nelle tabelle B e C per ogni posizione di accesso.
Nell'ottica della semplificazione, il
conglobamento relativo a tutto il personale delle categorie B e D considera
solo il valore della I.I.S. corrispondente alle posizioni iniziali B1 e D1
anche per il personale con profili corrispondenti alle posizioni di accesso B3
e D3 (comma 4). Il differenziale retributivo in godimento da parte di questi
ultimi lavoratori viene conservato come assegno personale non riassorbibile,
anche per evitare indesiderati effetti indiretti di appiattimento retributivo.
Occorre chiarire al riguardo che l'assegno
personale spettante ai lavoratori della categoria B, con profilo professionale
caratterizzato dall'accesso in B3, può conservare tale assegno solo per il
periodo di permanenza nella medesima categoria B anche quando dovesse fruire
di percorsi economici orizzontali. Il medesimo assegno cesserà di essere
corrisposto in caso di passaggio in categoria superiore; nel precedente
modello retributivo, infatti, in questa circostanza il lavoratore avrebbe
fruito di un compenso per I.I.S. superiore a quello in godimento. Diversamente
si dovrebbe ipotizzare un ingiustificato incremento della spesa al di là delle
effettive e dichiarate intenzioni delle parti negoziali.
Questo differenziale
"ad personam"
viene ricompreso nella nozione di retribuzione di cui all'art. 52, comma 2,
lett. b), del CCNL del 14.9.2000, con la conseguenza che continuerà ad essere
utile anche come base di calcolo per la determinazione del compenso orario
delle prestazioni di lavoro straordinario nonchè per tutti gli altri compensi
attualmente coinvolti: turno, orario notturno e festivo, incrementi per
prestazioni in giornata di riposo settimanale, incentivi per gli invalidi per
servizio, ecc.
Sono, come di consueto, confermati i compensi
per la tredicesima mensilità, per la eventuale retribuzione individuale di
anzianità (ove acquisita) e per gli altri eventuali assegni personali a
carattere fisso e non riassorbibile.
Art. 30 (Effetti dei nuovi stipendi)
Viene confermata la disciplina che caratterizza
ormai tutti i rinnovi contrattuali del lavoro pubblico. Si afferma, infatti,
(comma 1) che gli incrementi del trattamento stipendiale, decorrenti dal
gennaio 2002 e dal gennaio 2003, sono utili anche nei confronti del personale
cessato dal servizio nel biennio considerato (2002 e 2003) per la
rideterminazione del trattamento di pensione, con le stesse decorrenze. Sono
esclusi, pertanto i "cessati" al 31.12.2001 con trattamento di pensione
dall'1.1.2002.
Per quanto riguarda la indennità di fine
servizio (o altre equivalenti), si potrà tener conto solo degli incrementi
maturati dai singoli lavoratori al momento della data del collocamento a
riposo; pertanto chi ha cessato il servizio nell'anno 2002 potrà beneficiare
dei soli incrementi del gennaio 2002, mentre gli incrementi dal gennaio 2003
sono utili, sempre per il trattamento di fine servizio, per i pensionati
dell'anno 2003.
Il valore dello stipendio tabellare è preso a
base di calcolo per numerosi istituti del trattamento accessorio; di
conseguenza anche i nuovi incrementi, con le previste decorrenze del gennaio
2002 e gennaio 2003 produrranno inevitabili effetti sulla quantificazione dei
relativi compensi (comma 2). Possiamo citare, in particolare: il lavoro
straordinario, il turno, la prestazione in giornata di riposo settimanale, il
servizio ordinario notturno e festivo, i benefici per invalidi per servizio e
per ex combattenti ed assimilati, le trattenute per scioperi.
Si afferma, infine, (comma 3) che il
conglobamento nello stipendio tabellare della indennità integrativa speciale
non produce alcun pratico effetto nella determinazione del trattamento di
pensione, secondo la disciplina della legge n. 335 del 1995. La disposizione
ha scarsa rilevanza pratica nel comparto, in quanto può riguardare solo il
personale trasferito dalle amministrazioni statali che abbia conservato il
precedente regime pensionistico.
Art. 31 (Disciplina delle risorse decentrate)
Abbiamo già accennato che la disciplina
contrattuale, in questa materia, affronta un tema di grande interesse per
tutti i datori di lavoro nell'intento di offrire ai decisori locali un
percorso applicativo semplificato in grado di evitare, nei limiti del
possibile, eventuali errori sia nella individuazione delle risorse del salario
accessorio sia nelle modalità di utilizzazione delle medesime risorse per il
finanziamento degli oneri relativi alle diverse ipotesi di destinazione
consentiti dal contratto collettivo, secondo le previsioni della
contrattazione decentrata.
In pratica il contratto, dopo aver confermato
che le risorse decentrate vengono quantificate annualmente dagli enti (comma
1), stabilisce che, con effetto dall'anno 2004, devono essere rispettati i
nuovi criteri definiti nell'articolo in commento.
Risorse decentrate stabili
La nuova disciplina (comma 2) tende a
distinguere le risorse decentrate in due categorie: la prima ricomprende tutte
le fonti di finanziamento già previste dai vigenti contratti collettivi che
hanno la caratteristica della certezza, della stabilità e della continuità nel
tempo e che, per comodità di citazione, possiamo d'ora in poi definire
"risorse decentrate stabili".
Questa categoria di risorse ricomprende, per
espressa previsione contrattuale, le seguenti fonti di finanziamento:
Giova chiarire che, per gli eventuali
incrementi dell'art. 15, comma 5, sopra citato, non può essere sufficiente la
semplice rideterminazione in aumento dei posti in organico, ma occorre anche
che siano assunti in servizio i lavoratori addetti alla copertura dei predetti
posti, in quanto, secondo i comuni principi di correttezza e buona fede, solo
le nuove assunzioni creano reali condizioni per giustificare e legittimare
l'aumento delle risorse decentrate. La disciplina del comma 5 resta in vigore
anche per gli anni successivi al 2003 e, di conseguenza, potrà legittimare
ulteriori disponibilità di risorse stabili, nel rispetto delle condizioni
appena chiarite.
Per le stesse motivazioni deve affermarsi il
perdurare della efficacia anche delle disposizioni contenute nell'art. 15,
comma 1, lett. i) (economie per riduzione di posti dirigenziali, per le sole
regioni), ed l) (risorse accessorie del personale trasferito per processi di
mobilità istituzionale) del CCNL dell'1.4.1999, nonchè quelle contenute
nell'art. 4, comma 2, (recupero RIA e assegni ad personam dei dipendenti
cessati) del CCNL del 5.10.2001. Dette disposizioni, pertanto, potranno
consentire ulteriori incrementi delle risorse decentrate stabili per l'anno
2004 e successivi, al ricorrere delle prescritte condizioni.
Si stabilisce, quindi, che, a decorrere
dall'esercizio 2004, la somma complessiva calcolata nei singoli enti nell'anno
2003, con riferimento a tutte le fonti di finanziamento sopra elencate, con la
espressa inclusione anche degli aumenti disposti dal presente contratto,
costituisce un valore unitario che resta confermato stabilmente anche per i
successivi esercizi finanziari, fatti salvi, naturalmente gli eventuali
incrementi che potrebbero derivare da futuri interventi della contrattazione
collettiva nazionale.
Il calcolo relativo all'anno 2003 ricomprende
anche le quote di finanziamento aggiuntivo obbligatorio previste, per il
medesimo anno e per un importo annuo lordo, dal successivo art. 32, comma 1
(incremento dello 0,62%), comma 2 (incremento dello 0,50%).
Poiché il contratto è stato stipulato in via
definitiva nel 2004, le risorse aggiuntive non potranno materialmente essere
utilizzate in tempo utile prima della chiusura dell'esercizio finanziario
2003; l'importo annuo corrispondente, pertanto, sarà trasferito sull'esercizio
2004 come una tantum utile anche per il pagamento delle quote arretrate della
indennità di comparto.
Sembra utile puntualizzare, con l'occasione, che
questa tipologia di risorse decentrate denominate "stabili" ha come finalità
non solo una maggiore chiarezza nella determinazione corretta degli oneri in
sede decentrata, ma anche, e soprattutto, una più certa delimitazione dei
finanziamenti che possono essere destinati ai compensi, decisi in sede
decentrata, che hanno anch'essi la caratteristica della certezza e della
stabilità nel tempo, con la conseguente riduzione, altrettanto stabile, della
somma complessiva annua realmente disponibile e utilizzabile.
Ci riferiamo in particolare, agli oneri
relativi: alle progressioni economiche orizzontali, alle posizioni
organizzative (per gli enti dotati di personale con qualifica dirigenziale),
agli oneri per la riclassificazione di alcune categorie di lavoratori secondo
le previsioni del CCNL del 31.3.1999, alla quota dell'indennità professionale
del personale educativo prevista dall'art. 31, comma 7, del CCNL del
14.9.2000, e dall'art. 6 del CCNL del 5.10.2001, alla quota di finanziamento
della indennità di comparto di cui al successivo art 33, comma 4, lett. b) e
c).
Può essere utile fornire agli enti il seguente
riepilogo degli adempimenti che devono essere posti in essere per una esatta
quantificazione delle risorse decentrate stabili dell'anno 2003:
Le indicazioni di cui alle lett. a) e b) sono
chiaramente prescritte dall'art. 34, comma 3, e dall'art. 33, commi 4 e 5; le
altre indicazioni delle lettere c), d) ed e) sono coerenti con la disciplina
contrattuale ancora vigente e in particolare con le prescrizioni dell'art. 17,
comma 2, lett. c), del CCNL dell'1.4.1999 che istituisce il "fondo autonomo
per la retribuzione di posizione e di risultato delle P.O." e con le ulteriori
indicazioni dell'art. 7, comma 7, del CCNL del 31.3.1999 e dell'art. 31, comma
7, del CCNL del 14.9.2000 e dell'art. 6 del CCNL del 5.10.2001 (incremento
indennità personale educativo asili nido).
L'obiettivo correlato al calcolo delle risorse
decentrate stabili vuole essere quello di definire l'entità dei finanziamenti
ancora disponibili per nuove iniziative di incentivazione (sia di natura
stabile che variabile) e non certamente quello di rimettere in gioco risorse
già utilizzate e, quindi, già estranee alle pregresse disponibilità dell'art.
15 del CCNL dell'1.4.1999. La attuazione delle clausole contrattuali deve
essere sempre caratterizzata dal rispetto dei principi di correttezza e buona
fede e non può mai autorizzare comportamenti irragionevoli e permissivi da cui
deriverebbero ingiustificati incrementi di oneri a carico dei bilanci degli
enti.
Il risultato del procedimento di calcolo sopra
illustrato consente di definire l'importo complessivo delle residue somme che
conservano la caratteristica di stabilità e che potranno essere utilizzate,
dall'anno 2004, per eventuali interventi di finanziamento degli istituti che,
come abbiamo chiarito, hanno la medesima caratteristica.
E' del tutto ovvio che le risorse "stabili"
eventualmente ancora disponibili di anno in anno, dopo aver sottratto la quota
destinata ad ulteriori finanziamento degli istituti "stabili" (progressioni
orizzontali, P.O. (negli enti con dirigenza), ecc.), possono essere
utilizzate, secondo la contrattazione decentrata, al sostegno di ulteriori
interventi tipici del salario accessorio ad integrazione della quota delle
risorse variabili.
Sembra opportuno segnalare che l'entità
complessiva di dette risorse stabili rischia di ridursi sensibilmente, fino
all'azzeramento, in presenza di continui prelievi in attuazione di specifici
accordi decentrati. Per evitare, quindi, che gli enti vengano a trovarsi nella
condizione di dover rinunciare a momenti importanti di incentivazione
salariale, per la assenza delle risorse destinabili a tali finalità, è
auspicabile la condivisione da parte delle parti negoziali locali di un grande
senso di equilibrio e di responsabilità, rivolto ad una utilizzazione
ragionevole nel tempo che escluda il prevedibile blocco delle iniziative.
Per completezza di informazione, occorre tenere
anche presente che, con periodicità costante nel tempo, le risorse stabili già
utilizzate per le progressioni orizzontali o per costruire la indennità di
comparto, torneranno nella disponibilità delle specifiche risorse decentrate a
seguito delle cessazioni dal servizio o delle progressioni verticali del
personale che ne ha beneficiato, secondo le specifiche indicazioni degli artt.
33 e 34 al cui commento si rinvia.
Risorse decentrate variabili
Un secondo gruppo si risorse viene qualificato
come risorse eventuali e variabili (comma 3); queste sono correlate alla
applicazione delle seguenti discipline contrattuali:
Anche in questo caso sembra opportuno
segnalare che non è da escludere che le risorse derivanti dalla applicazione
dell'art. 15, comma 5, del CCNL dell'1.4.1999, (come del resto anche quelle
correlate alla applicazione delle altre clausole contrattuali), per gli
effetti correlati all'incremento dei servizi o alla attivazione di nuove
attività, pur non avendo le caratteristiche della stabilità nel tempo (come
quelle relative all'incremento delle dotazioni organiche e alla conseguente
assunzione del personale) possano essere confermate dagli enti di anno in
anno, anche per la medesima entità del finanziamento, a condizione,
evidentemente, che vengano puntualmente confermati e realizzati gli obiettivi
di miglioramento dei servizi o di implementazione delle nuove attività.
E' evidente che le risorse eventuali, per il
loro carattere di incertezza nel tempo, potranno essere utilizzate, secondo le
previsioni della contrattazione decentrata, solo per interventi di
incentivazione salariare che abbiano le caratteristiche tipiche del salario
accessorio e quindi con contenuti di variabilità e di eventualità nel tempo,
con auspicabile, prioritaria attenzione agli incentivi per produttività.
Art. 32 (Incrementi delle risorse decentrate)
In aderenza alle previsioni della legge
finanziaria dell'anno 2003 e secondo le indicazioni del Comitato di settore,
il contratto collettivo dispone un incremento, a carico dei bilanci degli enti
e con effetto dall'anno 2003, delle risorse decentrate stabili per un importo
annuo lordo pari allo 0,62% del monte salari dell'anno 2001, con esclusione
della quota relativa alla dirigenza (comma 1).
Sempre con decorrenza dall'anno 2003, le risorse
stabili subiscono un ulteriore incremento annuo lordo (comma 2) per un importo
corrispondente allo 0,50% del monte salari riferito all'anno 2001, esclusa la
quota della dirigenza; questo secondo incremento è consentito agli enti che
siano in possesso dei requisiti di seguito descritti (commi 3, 4, 5):
Anche in assenza di una specifica previsione
contrattuale, sembra corretto ipotizzare che l'anno da prendere a riferimento
per la verifica dei parametri di bilancio debba essere il 2001, in coerenza
con altre analoghe previsioni contrattuali in materia di calcolo di risorse.
Per tutti gli altri enti del comparto (IPAB,
enti strumentali delle regioni, Autorità di bacino, Agenzia dei segretari
comunali e provinciali, ecc.) l'incremento delle risorse decentrate è
possibile (comma 6) sino all'importo massimo dello 0,50% del monte salari
dell'anno 2001, esclusa la dirigenza, a condizione che sussista nel singolo
ente la relativa capacità di spesa. Occorre, quindi, una preventiva verifica
di bilancio da parte degli organi competenti, secondo l'ordinamento vigente,
e, quindi, una motivata decisione che autorizza l'eventuale incremento sino al
valore ritenuto sostenibile (massimo 0,50%). Per questo motivo l'incremento in
questione non può essere ricompreso tra le risorse stabili (infatti non è
citato nelle relative fonti di finanziamento) e può essere utilizzato solo per
incentivi di natura accessoria.
Gli enti sopra citati, nel rispetto delle
prescrizioni o dei requisiti già illustrati, (possesso degli indicatori per
enti locali, regioni, camere di commercio; valutazione delle condizioni di
bilancio per gli altri enti) incrementano ancora le risorse decentrate (comma
7) di un ulteriore importo corrispondente alla percentuale dello 0,20% del
monte salari, esclusa la dirigenza, dell'anno 2001; questo specifico
finanziamento è destinato a incentivare gli incarichi per le alte
professionalità che abbiamo già illustrato a commento dell'art. 10.
Per espressa previsione del comma 5, del citato
art. 10 queste ulteriori risorse "integrano quelle già disponibili negli enti
per la retribuzione di posizione e di risultato..."; il contratto, quindi, non
solo vincola la utilizzazione delle somme (alle alte professionalità) ma
prescrive anche la loro allocazione.
Di conseguenza gli incrementi derivanti dallo
0,20%, negli enti con dirigenza, confluiscono nello specifico "fondo per la
retribuzione di posizione e di risultato" di cui all'art. 17, comma 2, lett.
c) del CCNL dell'1.4.1999.
Gli stessi incrementi, negli enti privi di
dirigenza, aumentano le disponibilità finanziarie già utilizzate per il
pagamento degli incarichi di posizione organizzativa permanendo il vincolo per
le alte professionalità.
Gli incrementi dello 0,50% e dello 0,20% del
monte salari 2001, come sopra illustrati con riferimento ai commi 2 e 7, non
possono essere disposti dagli enti locali dissestati o strutturalmente
deficitari, per i quali non sia intervenuta ai sensi di legge l'approvazione
del bilancio stabilmente riequilibrato (comma 8); in tutti gli altri casi, con
esclusione del comma 6, gli enti sono tenuti a disporre gli incrementi, in
presenza dell'accertato possesso dei requisiti prescritti.
Viene, infine, chiarito (comma 9) che continua
ad essere corrisposta l'indennità di € 64,56 (lire 125.000) annui lordi a
favore del personale della categoria A e a quello della categoria B con
profilo professionale collocato nella posizione B1, o che vi perviene a
seguito di progressione verticale, ivi compreso il personale che attualmente
risulta collocato in una successiva posizione economica di sviluppo. Il
personale in categoria A, con provenienza dalle ex qualifiche prima e seconda,
continua a non aver titolo a detta indennità; spetta in ogni caso al personale
assunto dall'esterno.
La disposizione in esame stabilisce anche, in
chiusura, la disapplicazione della disciplina dell'art. 5 del CCNL del
5.10.2001 (parametri virtuosi) che, pertanto, non potrà più trovare
applicazione per il periodo successivo alla sottoscrizione definitiva del CCNL.
A tal riguardo è utile chiarire che gli enti che
hanno legittimamente sottoscritto il contratto decentrato prima della stipula
definitiva del presente CCNL, nel rispetto della ancora vigente disciplina del
citato art. 5, sono tenuti a dare attuazione alle regole concordate e agli
impegni assunti. Pertanto, nel caso che la verifica degli elementi di
conoscenza derivanti dall'approvazione del conto consuntivo, nell'anno
successivo (esempio: 2004) a quello di sottoscrizione del contratto decentrato
(esempio: 2003), consenta di accertare il possesso dei parametri preventivati
per gli indicatori statici e dinamici (esempio: dell'anno 2003), gli enti
interessati possono ancora incrementare, anche e solo per il medesimo anno
(esempio: anno 2004), le risorse "promesse" nell'accordo sottoscritto; si
tratta dell'ultimo adempimento consentito. Nuovi accordi decentrati in materia
non potranno più essere sottoscritti dal giorno di stipulazione definitiva del
presente CCNL.
Art. 33 (Istituzione e disciplina della
indennità di comparto)
Abbiamo già rilevato che questo rinnovo
contrattuale si prefigge, tra l'altro, anche un obiettivo di omogeneizzazione
con il trattamento economico di altri comparti pubblici e, in particolare, con
quello delle amministrazioni statali.
Per questa finalità viene istituita una nuova
voce retributiva che assume la denominazione di: indennità di comparto (comma
1).
Essa ha carattere di generalità e natura fissa e
ricorrente (comma 2) e viene corrisposta per dodici mensilità. Può essere
sospesa o ridotta negli stessi casi di riduzione o sospensione dello stipendio
tabellare. Per il suo carattere di generalità, il nuovo compenso deve essere
corrisposto a tutto il personale in servizio, a tempo indeterminato e a tempo
determinato (con contratto di formazione lavoro o di lavoro temporaneo), ivi
compresi i lavoratori incaricati di una posizione organizzativa.
Il contratto chiarisce, opportunamente, (comma
3) che l'indennità di comparto non è utile per la determinazione della
indennità di fine servizio (non è pertanto soggetta alle relative
contribuzioni) e non modifica le vigenti modalità di determinazione della base
di calcolo del trattamento di pensione.
Il valore mensile della indennità di comparto è
determinata (comma 4) secondo le indicazioni della tabella D allegata al CCNL,
che prevede un valore unico per ciascuna delle categorie del sistema di
classificazione senza diversificazioni né in base alle posizioni di accesso né
in base alle posizioni di sviluppo economico. Detti valori decorrono dal
31.12.2003 e valgono dall'anno 2004 come di seguito specificato: cat. A: €
32,39; cat. B: € 39,30, categoria C: € 45,80, categoria D: € 51,90.
Il sistema di progressivo finanziamento della
predetta indennità nei confronti del personale in servizio appare, per scelta
contrattuale, alquanto complesso (comma 4) e merita di essere chiaramente
esplicitato.
Il percorso è il seguente:
Il contratto chiarisce, infine, che (comma 5):
E' del tutto evidente che per i nuovi
assunti, sia su posti vacanti nella fase di prima applicazione della presente
disciplina, (quindi negli anni 2002 e 2003) sia, a maggior ragione, su posti
di nuova istituzione conseguenti ad incrementi di dotazione organica,
l'importo della indennità di comparto deve essere interamente finanziata dal
bilancio degli enti, i quali dovrebbero prevedere tale onere in sede di
elaborazione della programmazione dei fabbisogni con rideterminazione, in
aumento, delle dotazioni organiche, con copertura dei relativi oneri
complessivi; tra questi, abbiamo già illustrato anche quelli correlati al
salario accessorio, secondo la disciplina dell'art. 15, comma 5, del CCNL
dell'1.4.1999, da tener presente, a titolo indicativo, con riferimento alla
media unitaria, nell'ente, delle risorse decentrate stabili.
I criteri appena illustrati per il finanziamento
della indennità di comparto per i nuovi assunti sono utili anche con
riferimento al personale che viene riclassificato nella categoria superiore a
seguito di progressione verticale; i maggiori oneri della colonna 1 sono
sempre a carico del bilancio, per quelli delle colonne 2 e 3 occorre
distinguere:
La soluzione adottata dal contratto per il
parziale (ma prevalente) finanziamento della indennità di comparto mediante
prelievo di somme dalla risorse già disponibili, è stata ritenuta praticabile
sulla base dei dati medi nazionali che hanno consentito di accertare una reale
disponibilità ben superiore, mediamente, alla quota di finanziamento
utilizzata.
Art. 34 (Finanziamento delle progressioni
orizzontali)
Con la disciplina sul finanziamento corretto
delle progressioni economiche orizzontali, si concretizza un ulteriore e
significativo momento di chiarezza nella utilizzazione dei fondi gestiti a
livello di contrattazione decentrata. Gli elementi di chiarezza che vengono
esplicitati con questo intervento dovrebbero favorire, senza ulteriori
equivoci, comportamenti realmente "virtuosi" da parte di tutti gli enti; siamo
certi che saranno sicuramente evitate soluzioni permissive e che le limitate
risorse disponibili saranno destinante con maggiore attenzione alle finalità
di effettivo premio delle più elevate qualità professionali acquisite dal
personale in servizio.
A conferma della precedente disciplina prevista
dall'art. 17 del CCNL dell'1.4.1999, si ribadisce (comma 1) che tutti i più
elevati compensi che spettano ai dipendenti che fruiscono delle progressioni
economiche orizzontali sono totalmente a carico delle risorse decentrate e,
più in particolare, di quelle aventi caratteristiche di stabilità e di
continuità previste dall'art. 31, comma 2 (già commentato).
L'importo complessivo da prelevare dalle citate
risorse stabili deve essere calcolato (comma 2) con riferimento al valore
annuo del compenso ivi compresa la quota della tredicesima mensilità.
Questo comportamento è facilmente praticabile
nel caso che la decorrenza sia stabilita al gennaio dell'anno di riferimento;
qualora sia stata prevista una diversa data, (esempio: luglio del medesimo
anno) il finanziamento del primo anno sarà pari a 7 mesi (sei mensilità più
tredicesima), l'anno successivo il finanziamento a carico delle risorse
decentrate sarà integrato con prelievo complessivo di ulteriori sei mensilità
per un totale di tredici mensilità.
Non sembra superfluo chiarire che la regola
appena illustrata non si può riferire alle sole progressioni che saranno
attivate dall'anno 2004 ma deve essere riferita anche alle somme già
utilizzate per le progressioni economiche praticate sino ad ora, in
applicazione della disciplina dell'art. 5 del CCNL del 31.3.1999; anche queste
ultime, infatti, devono essere ricomprese tra quelle che hanno prodotto una
stabile riduzione delle risorse decentrate con effetto dall'anno di decorrenza
dei relativi benefici economici, nel rispetto della generale disciplina per il
finanziamento del "fondo per le progressioni economiche" previsto dall'art.
17, comma 2, lett. b) del CCNL dell'1.4.1999.
In conseguenza dei prelievi derivanti dalle
progressioni economiche già realizzate o da realizzare, le risorse decentrate
stabili hanno subito o subiscono un altrettanto stabile decurtazione (comma
3); le medesime risorse cessano anche di essere considerate come "salario
accessorio" per trasformarsi in trattamento stipendiale e, di conseguenza,
anche la imputazione in bilancio deve subire una corrispondete modificazione,
in relazione agli ordinamenti vigenti.
Nei casi in cui il personale che fruisce degli
incrementi economici per progressione orizzontale dovesse cessare dal servizio
o quando lo stesso personale dovesse fruire di una progressione verticale,
secondo la disciplina dell'art. 4 del CCNL del 31.3.1999, gli importi fruiti a
tale titolo tornano nella disponibilità delle risorse decentrate stabili; la
contrattazione decentrata, secondo le regole vigenti, deciderà le nuove
utilizzazioni di queste specifiche risorse che, insieme ad altre, potranno
essere nuovamente destinate a finanziare ulteriori progressioni.
Con la introduzione della nuova disciplina per
il finanziamento delle progressioni orizzontali, si dispone la disapplicazione
(comma 5) dell'art. 16, comma 2, del CCNL dell'1.4.1999, riguardante la regola
del costo medio. Tale disapplicazione ha naturalmente effetto dalla data
successiva alla sottoscrizione del presente CCNL, secondo la previsioni
dell'art. 2 già commentato. La stessa disapplicazione non dovrebbe comportare
un aumento delle pressioni o della conflittualità in sede locale, dal momento
che il rigido vincolo sull'utilizzo delle sole risorse decentrate stabili
dovrebbe produrre un effetto di riduzione delle tensioni locali, ben
conoscendo la ormai limitata quantità delle citate risorse che si sono
progressivamente e irrimediabilmente ridotte sia per gli effetti delle
precedenti progressioni, sia per il finanziamento delle posizioni
organizzative sia, ora, per il finanziamento obbligato di una parte
consistente della indennità di comparto.
Art. 35 (Integrazione delle posizioni
economiche)
Per ciascuna delle quattro categorie del sistema
di classificazione viene istituita (comma 1) una ulteriore posizione di
sviluppo economico orizzontale che assume la seguente denominazione: A5, B7,
C5, D6
La utilizzazione di queste posizioni è possibile
solo dal gennaio 2004 e per questa finalità dovranno essere rispettate le
specifiche prescrizioni già contenute nell'art. 5 del CCNL del 31.3.1999, con
riferimento ai contenuti delle valutazioni selettive che devono caratterizzare
il conseguimento delle posizioni finali di ogni categoria (comma 2);
ricordiamo, in proposito, che solo per la categoria A è consentita la presa in
considerazione della esperienza acquisita in servizio mentre questo elemento
valutativo è escluso per le posizioni finali della categorie superiori. In
particolare, per la categoria D, è opportuno un richiamo alle specifiche
prescrizioni dell'art. 5, comma 2, lett. d) del CCNL del 31.3.1999, che
individua chiaramente gli esclusivi elementi di meritocrazia che devono essere
tenuti in considerazione ai fini della selezione del personale più meritevole.
Viene riconfermato (comma 3), per finalità di
chiarezza, il generale vincolo per il finanziamento degli oneri per le
progressioni economiche anche per quelle finali di nuova istituzione, mediante
prelievo delle corrispondenti somme (valore annuo comprensivo della
tredicesima mensilità) dalle risorse decentrate stabili di cui all'art. 31,
comma 2.
Art. 36 (Modifiche all'art. 17 del CCNL
dell'1.4.1999)
Si dispone (comma 1) la rivalutazione del
compenso correlato al riconoscimento di specifiche responsabilità, secondo la
previgente disciplina dell'art. 17, comma 2, lett. f) del CCNL dell'1.4.1999.
L'importo può variare, per tutti gli enti del comparto, da un minimo di €
1.000 ad un massimo di € 2.000 e dovrebbe contribuire ad ampliare e a
diversificare le diverse ipotesi oggetto di incentivazione che possono, in
concreto, assumere caratteristiche e contenuti anche molto differenti da ente
ad ente, in relazione anche alla complessità dei modelli organizzativi in
atto.
In sede di prima applicazione è da escludere che
gli importi eventualmente già in godimento, secondo la previgente disciplina,
debbano automaticamente subire una elevazione al nuovo valore minimo; manca in
tal senso una specifica indicazione contrattuale. Sarà compito della
contrattazione decentrata definire le nuove regole per la individuazione delle
responsabilità da incentivare e per la attribuzione dei più elevati compensi,
curando con ragionevolezza la delicata fase di transizione in relazione alla
entità complessiva delle risorse disponibili.
La citata disciplina dell'art. 17 viene, poi,
integrata mediante la previsione (comma 2) di una ulteriore finalità di
incentivazione, da definirsi sempre in contrattazione decentrata, che
ricomprende una numerosa casistica di possibili beneficiari; vengono a tal
fine indicate:
Il compenso massimo attribuibile è fissato in
€ 300 annui lordi.
Per la individuazione dei lavoratori
eventualmente interessati alla citata disciplina del comma 2, sembra corretto
ipotizzare non un generico riferimento a tutto il personale in servizio nelle
diverse aree di attività ma a quello formalmente investito di quelle
particolari funzioni che potrebbero dar titolo al compenso, sulla base dei
criteri applicativi definiti nella sede decentrata.
Gli oneri relativi sia all'incremento del
compenso per specifiche responsabilità (comma 1), sia alla incentivazione
delle posizioni di lavoro della lettera i) (comma 2) citata, per la natura
sicuramente accessoria e variabile, dovranno trovare prioritaria copertura
nell'ambito delle disponibilità delle risorse decentrate di cui all'art. 31,
comma 3, senza escludere l'ipotesi di utilizzo anche delle risorse decentrate
stabili (art. 31, comma 2, qualora queste presentino ancora disponibilità.
Sarà compito della contrattazione decentrata trovare un ragionevole equilibrio
tra le legittime attese del personale espressamente citato e la non illimitata
disponibilità di risorse che, tra l'altro, devono essere destinate a
soddisfare numerosi altri interventi di incentivazione, primo fra tutti la
produttività collettiva e individuale, secondo le nuove regole definite nel
successivo art.37.
Art. 37 (Compensi per produttività)
La nuova disciplina sui compensi per
produttività introduce interessanti e significativi elementi di novità,
rivolti a favorire ulteriormente comportamenti locali più coerenti con le
effettive finalità dell'istituto in modo da assicurare un effetto realmente
premiale nei confronti dei lavoratori interessati.
Deve essere segnalata, anzitutto, la circostanza
che per la prima volta, nella contrattazione collettiva dei comparti pubblici,
viene concordemente formulata una definizione del concetto di produttività
tale da delimitare l'oggetto della valutazione, con conseguenti effetti di
sensibilizzazione sia nei riguardi dei lavoratori interessati sia dei soggetti
abilitati ad adottare le decisioni di merito.
Si afferma, a tal fine, (comma 1) che i compensi
incentivanti (collettivi e individuali) sono strettamente correlati ad
effettivi incrementi della produttività e all'effettivo miglioramento
quali-quantitativo dei servizi; questi due elementi di valutazione devono
essere considerati come "risultato aggiuntivo apprezzabile rispetto al
risultato atteso dalla normale prestazione lavorativa". In altri termini il
contratto tende ad affermare che il concetto di produttività non può essere
correlato ai normali risultati dell'attività lavorativa, ma occorre un
ulteriore salto di qualità per individuare un risultato (sia in termini di
quantità sia in termini di qualità) che consenta di accertare un
quid
aggiuntivo come requisito indispensabile per la erogazione del compenso.
E' evidente che questo apprezzamento non può
essere inteso come "arbitraria valutazione" del soggetto competente ad
esprimere il relativo giudizio; occorre, invece, che siano individuati
preventivamente dei parametri o degli indicatori che definiscano il livello
standard
di erogazione dei servizi per poter, poi, autonomamente rilevare il grado di
incremento migliorativo dello standard
cui collegare, anche con contenuti economici diversificati, il cosiddetto
premio di produttività che, ricordiamo, può essere riferito sia agli apporti
collettivi che a quelli individuali.
La ulteriore disciplina contrattuale in materia
di produttività definisce altri criteri comportamentali, di seguito
riepilogati, che rafforzano la natura premiale dell'istituto:
Seguono alcune specifiche previsioni per il
personale delle Camere di commercio (comma 5) che riguardano la destinazione a
produttività dei finanziamenti già previsti dall'art. 15, comma 1, lett. n)
del CCNL dell'1.4.1999 e la ulteriore previsione di un momento preventivo di
analisi economico finanziaria correlato alla eventuale disponibilità, previa
contrattazione decentrata, di risorse aggiuntive decentrate secondo la
disciplina del comma 5, del citato art. 15.
Art. 38 (Personale distaccato alle
associazioni degli enti)
Viene colmata una lacuna nella attuale
disciplina contrattuale del rapporto di lavoro, attraverso la previsione del
regime di tutela del trattamento economico del personale distaccato presso gli
organismi rappresentativi nazionali e regionali delle autonomie locali,
secondo la previsione dell'art. 271, comma 2, del D. Lgs. n. 267 del 2000. Ai
lavoratori interessati viene assicurato il complessivo trattamento
fondamentale ricompreso nella nozione di retribuzione di cui all'art. 52,
comma 2, lett. c) del CCNL del 14.9.2000, ivi compresa la tredicesima
mensilità e la indennità di comparto.
Art. 39 (Personale in distacco sindacale)
Anche nei confronti del personale in posizione
di distacco sindacale vengono estese le medesime tutele già illustrate
nell'articolo precedente (comma 1).
Si prevede, inoltre, che in sede di
contrattazione decentrata integrativa, possa essere valutata la speciale
posizione dei soggetti interessati sia ai fini della applicazione della
disciplina di cui all'art. 17, comma 2, lett. a) del CCNL dell'1.4.1999
(compensi per produttività) sia per una utile valutazione del servizio ai fini
della progressione economica orizzontale.
Questa ultima previsione deve essere intesa nei
suoi reali contenuti di "disposizione speciale" e come tale dovrà essere
considerata in sede locale, senza alcuna influenza sulle regole ordinarie che
disciplinano l'operato degli enti per la applicazione dei medesimi istituti
nei confronti di tutto il restante personale.
Art. 40 (Straordinario per calamità naturali)
Gli enti del comparto, a seguito di eventi
eccezionali che causano condizioni di emergenza, fruiscono di contributi
finanziari anche per compensare le maggiori prestazioni lavorative del
personale impegnato nelle più gravose attività connesse agli eventi
calamitosi. In tal caso si consente, con effetto dal gennaio 2002, che le
somme disponibili per tale finalità possano essere destinate al pagamento
delle prestazioni straordinarie anche del personale incaricato di una
posizione organizzativa.
Art. 41 (Indennità di rischio)
La disposizione contrattuale rivaluta, con
effetto dall'anno 2004, l'importo mensile lordo della indennità di rischio che
passa da € 20,66 a € 30. Il relativo finanziamento, naturalmente, resta
confermato a carico delle risorse decentrate e, in particolare, di quelle
variabili di cui all'art. 31, comma 3.
Art. 42 (Benefici economici per gli invalidi
per servizio)
L'articolo, in coerenza con un costante
orientamento interpretativo in materia dell'INPDAP, attraverso l'introduzione
di un comma 2 nell'art. 50, del CCNL del 14.9.2000, chiarisce che i benefici
economici previsti dal citato articolo 50 a favore del personale riconosciuto,
con provvedimento formale, invalido o mutilato per servizio, trovano
applicazione anche nei confronti del dipendente che abbia conseguito tale
riconoscimento formale solo dopo la cessazione del rapporto del lavoro.
A tal fine è previsto che la domanda può essere
presentata dal lavoratore interessato o, anche dagli eredi, entro i 60 giorni
successivi dal provvedimento formale di riconoscimento.
Per la concreta definizione del beneficio da
erogare, il trattamento economico da prendere a base di calcolo si identifica
con quello dell'ultimo mese di servizio.
Art. 43 (Tredicesima mensilità)
La soluzione innovativa adottata dal contratto
serve a eliminare una palese iniquità, per disparità di trattamento, che la
pregressa regolazione (praticata, peraltro, in gran parte del lavoro
pubblico), provocava nei confronti dei lavoratori che prestavano la propria
attività lavorativa per un numero ridotto di giorni nell'arco del mese. La
quota di tredicesima, infatti, spettava per intero se i giorni erano superiori
a 15, non spettava affatto per periodi inferiori.
La nuova disciplina consentirà, invece, di
retribuire in modo più equo i lavoratori interessati introducendo il vincolo
del pagamento delle quote di tredicesima in ragione di 1/365 per ogni giorno
ricompreso nel periodo di servizio prestato, con i festivi e i feriali non
lavorativi.
Per questa speciale disciplina occorre,
naturalmente rapportare prima il compenso del lavoratore al valore annuo
lordo, in relazione alla categoria di classificazione e, quindi, ricavare il
valore giornaliero della retribuzione da moltiplicare per il numero dei giorni
presi in considerazione.
La modificazione introdotta nel sistema di
calcolo della tredicesima per periodi di servizio inferiori al mese intero non
produce alcun incremento di oneri dal momento che a fronte di compensi erogati
per casistiche prima escluse, sussistono altre e più numerose casistiche in
cui il compenso viene corrisposto in misura ridotta rispetto al precedente
modello di regolazione della materia.
Capo III - Disposizioni finali e transitorie
Il Capo III del Titolo V contiene alcune
disposizioni di carattere finale e transitorio, che prendono in considerazione
diverse e specifiche situazioni o materie.
Art. 44 (Disposizioni per il personale
dell'Agenzia nazionale per la gestione dell'albo dei segretari comunali e
provinciali)
Tale articolo prende in considerazione il
personale dell'Agenzia per la gestione dell'albo dei segretari comunali e
provinciali.
A tale personale, sulla base di una autonoma
determinazione della stessa Agenzia, si applicava il CCNL del personale degli
enti pubblici non economici.
Con il Contratto collettivo quadro sulla
determinazione dei comparti di contrattazione collettiva del 18.12.2002 , tale
personale è stato, invece, formalmente collocato all'interno del comparto
delle regioni e delle autonomie Locali.
Pertanto, sono state dettate alcune regole per
disciplinare il passaggio nel nuovo comparto di contrattazione.
Così viene, preliminarmente, stabilito (comma 1)
che il personale dell'Agenzia è inquadrato, con decorrenza dall'1.1.2002 (data
di decorrenza degli effetti economici del nuovo CCNL) nelle categorie e nei
profili del vigente sistema di classificazione del comparto delle regioni e
delle autonomie locali, come previsti dall'allegato A del CCNL del 31.3.1999.
In tal modo, vengono indubbiamente semplificate ed agevolate non solo le
modalità per la corresponsione al suddetto personale degli incrementi
retributivi previsti dal nuovo CCNL ma anche quelle per l'applicazione delle
altre regole contrattuali, come ad esempio quelle in materia di progressione
orizzontale e verticale di cui agli artt.5 e 4 del CCNL del 31.3.1999.
Trova soluzione anche il problema della
quantificazione delle risorse da destinare alla contrattazione decentrata
integrativa, nel passaggio alle nuove regole del comparto regioni-autonomie
locali. Infatti, secondo la disciplina proposta (comma 2), le risorse per le
politiche di sviluppo delle risorse umane e per la produttività, secondo la
specifica e completa regolamentazione dell'art.31 del CCNL, presso l'Agenzia,
si identificano con quelle già destinate alla contrattazione decentrata
integrativa dell'Agenzia stessa nell'anno 2003, come quantificate nel rispetto
del CCNL precedentemente applicato (enti pubblici non economici). Tali risorse
sono, poi, integrate con le specifiche modalità dettate per tutti gli enti del
comparto regioni-autonomie locali dall'art.32 del nuovo CCNL e nel rispetto
delle decorrenze ivi previste.
Art. 45 (Conferma di discipline precedenti)
In attesa della sottoscrizione di uno specifico
testo unificato delle disposizioni contrattuali vigenti, che dovrà
raggruppare, anche secondo criteri di omogeneità dei contenuti dei diversi
istituti, in un unico documento formale tutte le regole contrattuali ancora
effettivamente applicabili per la disciplina del rapporto di lavoro del
personale del comparto regioni-autonomie locali, l'art.45 del CCNL si limita a
confermare, in via generale e transitoria, le discipline dei contratti
collettivi nazionali di lavoro di comparto finora stipulati, a partire dal
primo CCNL, del nuovo regime privatistico, del 6.7.1995 fino all'ultimo del
5.10.2001.
In particolare, viene richiamata e confermata
espressamente, a titolo esemplificativo, la disciplina contrattuale in materia
di orario di lavoro. Vengono, infatti, menzionate (comma 1) espressamente le
regole concernenti: l'orario di lavoro, ivi compresa la quantificazione dello
stesso in 36 ore (art.17 del CCNL del 6.7.1995; le ferie (art.18 del CCNL del
6.7.1995); la possibilità di riduzione dell'orario di lavoro (art 22 del CCNL
dell'1.4.1999); le turnazioni (art.22 del CCNL del 14.9.2000); la reperibilità
(art.23 del CCNL del 14.9.2000); il lavoro prestato in giorni festivo e riposo
compensativo (art.24 del CCNL del 14.9.2000); il lavoro straordinario (art.38
del CCNL del 14.9.2000).
Ugualmente viene confermata espressamente, per
il quadriennio 2002 – 2005, la ulteriore vigenza della disciplina dell'art.23
del CCNL dell'1.4.1999, concernente lo sviluppo delle attività formative
presso gli enti del comparto, ivi compreso l'impegno di questi ultimi per un
finanziamento annuale di tali attività formative con risorse, comunque, non
inferiori all'1% della spesa del personale.
Art. 46 (Personale addetto alle case da
gioco)
Tale articolo si limita a reiterare (primo
periodo), con perfetta identità di contenuti, una previsione già contenuta nei
precedenti CCNL di comparto (da ultimo, l'art.20 del CCNL del 5.10.2001), con
la quale viene ribadita espressamente, al fine di evitare ogni possibile
dubbio interpretativo, la piena l'applicabilità dei benefici economici
derivanti dal nuovo CCNL anche nei confronti del personale dipendente dagli
enti locali che sia addetto a prestare la propria attività lavorativa presso
case da gioco.
Ugualmente viene ribadita la garanzia, già
prevista da precedenti clausole contrattuali, della salvaguardia a favore del
personale delle case da gioco del trattamento economico nelle componenti e
nella dinamica a qualunque titolo vigente, in considerazione della particolare
professionalità di tale personale che presenta contenuti non rientranti nei
compiti di istituto propri degli locali stessi.
Art. 47 (Personale dipendente dal comune di
Campione d'Italia)
Anche tale articolo è una semplice reiterazione
di precedenti disposizioni contrattuali (da ultimo l'art.21 del CCNL del
5.10.2001). Esso si limita a disporre che i benefici economici previsti dal
nuovo CCNL si applicano anche a favore del personale del comune di Campione
d'Italia.
![]()
Con la
dichiarazione congiunta n. 1, si
tende ad offrire a tutti i soggetti decisori del sistema delle autonomie un
forte segnale di chiarezza in ordine agli effettivi contenuti della
contrattualizzazione del rapporto di lavoro, con particolare riferimento alla
disciplina delle progressioni verticali e alla conseguente attività di
gestione. Le parti affermano concordemente che tutte le iniziative rivolte a
favorire lo sviluppo professionale del personale sono inquadrabili nell'unica
disciplina prevista dall'art. 4, del CCNL del 31.3.1999; di conseguenza non
assume alcun valore la circostanza che, in sede locale, queste iniziative
vengano anche diversamente denominate come: concorsi interni, selezioni
interne, percorsi di carriera, passaggi interni di categoria, progressioni
verticali ecc.. Si tratta sempre e soltanto del medesimo istituto che il
citato art. 4 denomina esattamente come "progressione verticale nel sistema di
classificazione". La dichiarazione in esame, inoltre, chiarisce un ulteriore
aspetto di rilevante interesse: quello della riconduzione alla disciplina
degli atti di diritto privato di tutti gli adempimenti relativi alle citate
progressione compresi quelli della regolazione e quelli concernenti le
procedure selettive nonchè quelli applicativi delle graduatorie per le
conseguenti decisioni di riclassificazione. Tutti questi adempimenti sono
ricompresi nella attività tipica di gestione della dirigenza che vi provvede,
secondo la disciplina dell'art. 5, comma 2, del D.Lgs.n.165 del 2001, e quindi
con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro
Anche la
dichiarazione congiunta n. 2
affronta una problematica analoga a quella appena commentata e prende in
considerazione l'intera attività di gestione collegata alla applicazione delle
discipline dei contratti collettivi di lavoro. Anche per tutti questi
adempimenti si condivide e si conferma che :
Con questi chiarimenti si vuole ulteriormente
sollecitare la dirigenza locale per una più incisiva presa di coscienza della
diversa natura delle proprie capacità manageriali e gestionali che il
legislatore riformista ha opportunamente individuato per valorizzare il ruolo
determinante proprio della stessa dirigenza nell'opera di semplificazione di
tutta l'attività gestionale e di progressivo allineamento della medesima
attività nelle pubbliche amministrazioni con quella operante nel mondo del
lavoro privato sulla base delle disposizioni del Codice Civile.
Sul piano squisitamente formale, per esempio,
dovrebbe essere abbandonata la prassi che vede ancora prevalere la adozione di
"determinazioni" per l'attività di gestione (con complicazioni sostanziali e
procedurali) mentre appare ancora minoritaria la prassi gestionale mediante
regolazioni interne, disposizioni di servizio, "comunicazioni" applicative dei
singoli istituti giuridici ed economici del CCNL.
La
dichiarazione n. 3 impegna l'ARAN a
predisporre una ipotesi di lavoro per la redazione di un testo unificato delle
vigenti disposizioni contrattuali, da esaminare con le organizzazioni
sindacali entro 60 giorni dalla stipula del CCNL
La
dichiarazione n. 4 richiama
l'attenzione di tutti gli enti sul contenuto della disciplina dell'art. 10,
comma 7, del CCNQ del 7.8.1998 invitando gli stessi enti a privilegiare la
convocazione delle riunioni per i diversi modelli di relazioni sindacali
(contrattazione, concertazione, consultazione) in orari non coincidenti con le
ordinarie prestazioni lavorative del personale, in modo da evitare, per quanto
possibile, il ricorso alla utilizzazione dei permessi retribuiti nell'ambito
del monte ore disponibile in ogni ente per le esigenze dei rappresentanti
sindacali. Si conferma, indirettamente, che la disciplina del citato CCNQ non
consente di considerare come attività lavorativa ordinaria anche il tempo
dedicato alle riunioni convocate dagli enti, nè è possibile, per gli stessi
enti, concedere permessi retribuiti ulteriori rispetto a quelli quantificati e
consentiti secondo la vigente disciplina.
La
dichiarazione n. 5 chiarisce che
anche le unioni di comuni, in quanto soggetti autonomi di contrattazione,
devono provvedere alla applicazione di tutta la disciplina del CCNQ in materia
di diritti sindacali ivi compreso il calcolo del monte ore specifico per i
permessi sindacali.
La
dichiarazione n. 6 prende in
considerazione il caso in cui gli enti siano autorizzati da speciali fonti
legislative nazionali o regionali (con relativo finanziamento) alla assunzione
di lavoratori con rapporto a termine. In questi casi gli oneri per il salario
accessorio, se vengono richieste le relative prestazioni, dovrebbero far
carico alla quota di finanziamento disposta dalla legge o, eventualmente, può
essere posta a carico dei bilanci degli enti, se sussiste la relativa capacità
di spesa. La dichiarazione non prende in esame, naturalmente, la condizione
dei lavoratori assunti a tempo determinato secondo la vigente disciplina in
materia e che hanno pieno titolo alla fruizione delle risorse decentrate
dell'ente, sempre secondo le determinazioni della contrattazione integrativa,
in quanto direttamente destinatari, insieme al personale a tempo
indeterminato, di tutta la disciplina del contratto collettivo.
La
dichiarazione n. 7 sollecita la
adozione della disciplina relativa alla istituzione del fondo di pensione
integrativa unitamente al personale del comparto sanità.
La
dichiarazione n. 8 registra l'impegno
delle parti ad assumere opportune iniziative in sede di rinnovo dei prossimi
contratti collettivi, per evitare o ridurre le situazioni di trattamento
economico differenziato che si fossero realizzate con riferimento ai
lavoratori impegnati nelle stesse posizioni di lavoro e con la medesima
professionalità.
Per le altre dichiarazioni, si fa rinvio al
testo allegato al CCNL.
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