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Articoli e note

 

 Felice Stefani
(Segretario Generale del Comune di Sommacampagna)

ANCORA SULLA RETRIBUIBILITA’ DELLE FUNZIONI DI DIRETTORE GENERALE AFFIDATE AL SEGRETARIO COMUNALE

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Un recente articolo [1] pubblicato sulla rivista Internet di diritto pubblico Lexitalia.it relativo alla retribuibilità delle funzioni di direttore generale, mi induce ad intervenire sul tema, in un frangente nel quale la mancanza di specifica disciplina contrattuale espone la materia alle tesi più singolari.

In verità, la problematica , già di per sé scottante, è divenuta rovente a seguito di un intervento a dir poco improprio del Ministero dell’Interno [2], il quale nel riconoscere che il conferimento dell’incarico di direttore generale al segretario implica in capo a quest’ultimo l’onere dello svolgimento di funzioni aggiuntive a quelle proprie della figura di segretario, “tipiche di altra figura professionale, per l’espletamento delle quali vi sarebbe titolo per la corresponsione di emolumenti ulteriori e separati”, ha poi concluso affermando che trattandosi di una categoria di personale contrattualizzato, il trattamento economico dei segretari comunali è predeterminato dalle stesse fonti contrattuali, in mancanza delle quali non è possibile riconoscere alcun emolumento.

Dopo qualche giorno, peraltro, a rendere ancor più confuso il quadro, disorientando del tutto le amministrazioni locali interessate, è intervenuta l’On Adriana Vigneri [3], Sottosegretario all’Interno, la quale, pur ribadendo la necessità del preventivo passaggio contrattuale, ha sostenuto l’avviso che, in attesa del contratto collettivo nazionale di lavoro dei segretari comunali e provinciali, sarebbe comportamento prudente degli enti locali stabilire un compenso provvisorio.

Nell’esame della materia de quo, ritengo opportuno prendere le mosse dall’articolo più sopra citato le cui conclusioni, non condivisibili, in estrema sintesi, salvo errori od omissioni, si condensano in questo:

a) l’art.36 della Costituzione, a termini del quale ogni lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro svolto, obbliga a valutare ciò che realmente il dipendente “fa” e non ciò che “è”, ovvero è necessario stabilire quali compiti esattamente svolga il dipendente per comprendere se la retribuzione sia appunto proporzionata al lavoro svolto;

b) i compiti e le responsabilità del direttore generale non parrebbero scorporati dalle mansioni del segretario, poiché a ben vedere il compito fondamentale del direttore consiste nella predisposizione del programma dettagliato degli obiettivi, prodromico alla elaborazione del Peg, e quindi l’assenza del Peg implica la non necessità di nominare il direttore generale, tenuto anche conto che il Peg può essere redatto in vari modi, anche in forma molto semplice e con valori economici di poche centinaia di milioni,, e comunque ove non sia stato nominato il direttore generale; i Comuni sopra i 15.000 abitanti dovranno pur sempre approvare un peg, in tal caso redatto, sotto il coordinamento del segretario, dal ragioniere comunale, al quale anche l’applicazione dell’art.36 Costituzione imporrebbe l’attribuzione di una indennità;

c) tra le funzioni del segretario rientra quella di sovrintendere e coordinare l’attività dei dirigenti, che non può svolgersi senza gli strumenti di cui alla lett. b), funzione che comunque risulta già compensata dalle indennità (di direzione o di posizione) stabilite dal contratto collettivo, e che non giustificano quindi l’attribuzione di un compenso aggiuntivo.

Si tratta, come ho anticipato, di tesi singolari, oltre che a mio avviso prive di giuridico fondamento.

Intanto, non è dato di comprendere che cosa si sia voluto intendere affermando che occorre valutare ciò che realmente il dipendente “fa” e non ciò che “è”. In realtà, nel pubblico impiego - come anche nell’impiego privato - si “è” in funzione di ciò che si “fa” e viceversa. Per questa ragione esistono le dotazioni organiche, articolate per quanto attiene al personale degli enti locali in categorie (ex qualifiche funzionali) cui è assegnato uno specifico trattamento economico, nell’ambito delle quali possono individuarsi uno o più profili professionali a ciascuno dei quali corrisponde un complesso di mansioni cui il lavoratore deve essere adibito, come recita l’art.56, primo comma, del d. lgs. n.29/1993.

Altro discorso è ritenere che non sempre il pubblico dipendente, pur continuando a percepire il trattamento economico correlato alla qualifica rivestita, compia per intero il proprio dovere professionale. Ma in tal caso lo stesso ordinamento appresta gli strumenti atti a censurare il comportamento illegittimo.

Inoltre, se si accedesse alla tesi dianzi prospettata, dovrebbe contestualmente riconoscersi che nei confronti di qualsiasi pubblico dipendente andrebbe misurato in concreto il rendimento, al fine di conformare a tale rendimento la retribuzione in godimento. Sotto un certo profilo è ciò che, in parte, dovrà avvenire nella fase di applicazione del contratto collettivo di lavoro del personale degli enti locali recentemente sottoscritto, per quanto concerne la parte accessoria della retribuzione che, nelle intenzioni delle parti stipulanti, dovrà trasformarsi in strumento di reale differenziazione delle posizioni retributive, tramite l’aggancio del trattamento accessorio medesimo alle funzioni attribuite ed alle responsabilità che ne derivano, non certamente per quanto attiene alla retribuzione fondamentale, ostando a ciò proprio la previsione immediatamente precettiva (secondo la dominante giurisprudenza e dottrina) dell’art.36, primo comma, della Costituzione.

Poiché si parla dei segretari comunali e provinciali, non sembra fuor di luogo ricordare che, oltre alla gravissima sanzione della revoca dell’incarico “per mancato raggiungimento di risultati imputabile al segretario oppure motivato da gravi e ricorrenti violazioni dei doveri d’ufficio”, secondo quanto previsto dall’art.17, comma 72, della legge n.127/1997, appare sufficiente, allo stato della normativa, un generico e immotivato giudizio dell’amministrazione locale di non soddisfacente esercizio dei compiti d’ufficio per dare avvio alla procedura di nomina di un nuovo segretario, sfociante nella contestuale rimozione del precedente segretario, il quale viene privato dell’incarico e messo in disponibilità che, giova ricordarlo, si traduce nell’allontanamento dal posto di lavoro con tutte le correlate negative conseguenze professionali e personali, e ciò fermo restando le eventuali sanzioni disciplinari cui è soggetto al pari di qualsiasi pubblico dipendente. Quali altre categorie di pubblici dipendenti possono giovarsi di siffatta entusiasmante prospettiva ?

Né può dirsi sorretta da argomentazioni giuridicamente fondate l’affermazione secondo cui sono già ricomprese nella sfera delle attribuzioni istituzionali del segretario, le competenze che la legge assegna al direttore generale.

E’, infatti, la stessa legge a chiarire come al direttore generale competa tra l’altro sovrintendere alla gestione dell’ente, perseguendo livelli ottimali di efficienza ed efficacia (art. 51-bis, primo comma, della legge n.142/1990, introdotto con l’art.6, comma 10, della legge n.127/1997), mentre al segretario è fondamentalmente assegnato il ruolo di collaborazione ed assistenza giuridico-amministrativa nei confronti degli organi dell’ente, cui fanno da corollario le ulteriori competenze in dettaglio individuate al comma 68, dell’art.17, della legge n.127 citata. Per dirla in breve, è la stessa differenza che passa tra la funzione di amministrazione attiva e la funzione consultiva, ovverosia tra l’attività di esercizio in concreto del potere amministrativo e quella, strumentale e servente rispetto alla prima, non avente natura provvedimentale e consistente in una manifestazione di giudizio.

D’altronde, accogliendo per un momento la tesi in discussione, dovrebbe supporsi il potere degli organi dell’ente locale, da un lato, di sottrarre discrezionalmente competenze attribuite ex lege al segretario e, dall’altro lato, di assegnarle al direttore generale, nell’eventuale ipotesi di nomina esterna o comunque di soggetto diverso. In realtà è vero esattamente l’opposto, cioè che le competenze proprie della figura del direttore generale – eccettuata la sovrintendenza ed il coordinamento dell’attività dei dirigenti – possono essere conferite (il che sta a significare inequivocabilmente che prima del conferimento non appartengono alla sfera di attribuzioni del segretario) dal sindaco o dal presidente della provincia al segretario, qualora non sia stato nominato il direttore generale, come recita appunto l’art.51-bis, comma 4, della legge n. 142/1990. Inoltre, occorre riflettere sulla circostanza che la legge non consente ad alcuno di depauperare ad nutum l’ambito delle competenze ricadenti nella sfera di attribuzioni istituzionali del segretario, bensì prevede espressamente il contrario, laddove alla lett. c), comma 68, dell’art.17, della legge n.127/97, consente “l’attribuzione” - ovverosia l’incremento o aggiunta - al segretario ad opera dello statuto, del regolamento, ovvero del sindaco o presidente, di ogni altra funzione.

Ad onor del vero occorre ricordare che finora né l’Anci (ivi comprese le sue articolazioni regionali), né il Ministero dell’Interno, né i primi commentatori della riforma, hanno minimamente posto in dubbio la natura aggiuntiva delle funzioni di direttore generale conferite al segretario, con le correlate accresciute responsabilità, escludendo pertanto che le norme vigenti abbiano inteso attribuire ratione muneris dette competenze al segretario comunale e provinciale.

Al momento è, invece, in discussione unicamente la possibilità di retribuire, in carenza di disciplina posta dalla contrattazione collettiva, l’incarico di direttore generale conferito al segretario, poiché si sostiene che manca al riguardo qualsivoglia criterio o parametro cui commisurare detto emolumento.

Orbene, è proprio la disciplina positiva del rapporto di pubblico impiego, dettata col decreto legislativo n.29/1993, che in più punti sembra aprire spiragli in senso affermativo al riconoscimento di uno specifico compenso.

Recita, infatti, l’art.2, comma 3, del decreto legislativo n.29/1993 che “Le disposizioni di legge, regolamenti o atti amministrativi che attribuiscono incrementi retributivi non previsti da contratti cessano di avere efficacia dall’entrata in vigore del relativo rinnovo contrattuale”, prevedendo, quindi, esplicitamente, tra le altre, anche l'atto amministrativo quale fonte attributiva di emolumenti non disciplinati dallo strumento contrattuale, in attesa della sottoscrizione dello stesso.

 Inoltre, l’art.49, comma 2, dello stesso decreto stabilisce che “Le amministrazioni pubbliche garantiscono ai propri dipendenti di cui all’articolo 2, comma 2, parità di trattamento contrattuale e comunque trattamenti non inferiori a quelli previsti dai rispettivi contratti collettivi”

La norma per ultimo citata contiene due principi. In primo luogo, il principio di parità di trattamento contrattuale il quale, secondo autorevole dottrina [4], non può essere inteso con un significato assoluto, ma, se mai, come divieto di prevedere trattamenti arbitrari e discriminatori. In altre parole l’art.49 del decreto - analogamente all’art. 15 dello Statuto dei lavoratori - non prevede un generale principio di uniformità di trattamento ma, pur introducendo un limite alla derogabilità in peius delle disposizioni collettive, si limita a vietare differenziazioni fondate su motivi illeciti. Il principio in parola implica, quindi, un confronto tra i diversi contratti individuali dei dipendenti pubblici ed impone che i loro contenuti non siano difformi, se non in presenza di elementi obiettivi tali da giustificare le differenze in considerazione della funzione assolta. Occorre ricordare, inoltre, che le Sezioni Unite della Suprema Corte, con sentenza 28 maggio 1993, n.6030 [5], nell’escludere l’esistenza nel nostro ordinamento di un generale principio di parità di trattamento, hanno motivato la decisione richiamandosi all’inconciliabilità di quel principio con le prerogative dell’autonomia contrattuale.

L’altro principio contenuto nell’art.49, comma 2, del decreto n.29/93, ha, poi, la funzione di stabilire il livello minimo inderogabile da parte della contrattazione individuale.

Nella concreta applicazione dei principi appena esposti, il legislatore ha giustamente accordato alle amministrazioni locali la possibilità di assegnare, in attesa di apposita definizione contrattuale, ai responsabili degli uffici e dei servizi una indennità di funzione localmente determinata, nell’ambito delle complessive disponibilità di bilancio dei comuni medesimi.(art.51, comma 3-ter, della legge n. 142/90, introdotto con legge n. 191/1998).

Pare appena il caso di rilevare che, in quest’ultima fattispecie, non è stato fissato da parte del legislatore alcun criterio o parametro per la concreta determinazione della indennità di funzione, lasciando, quindi, ampia discrezionalità alle amministrazioni interessate nel remunerare prestazioni che i dipendenti pur sempre svolgono per dovere d’ufficio in quanto connesse ai compiti loro assegnati, ai sensi dell’art.51, commi 2, 3 e 3-bis, della legge n.142/1990.

Viene da chiedersi, con riferimento al segretario comunale e provinciale, per quale arcano motivo sarebbe consentito compensare lautamente le funzioni di direttore generale  se ad esercitare dette prestazioni è chiamato un soggetto esterno (experientia docet) mentre ove, per espressa e discrezionale scelta del capo dell’amministrazione, sia il segretario a svolgere le stesse funzioni – che, come più sopra chiarito, si aggiungono a quelle ordinariamente espletate - non sarebbe dovuta alcuna remunerazione accessoria ?

Occorre, poi, ricordare che l’art.58 del decreto legislativo n.29/93 – applicabile ai segretari in virtù dell’esplicito richiamo contenuto nell’art.16, comma 1, del D.P.R. n.465/1997, recante disposizioni in materia di ordinamento dei segretari comunali e provinciali – stabilisce al comma 7 che “i dipendenti pubblici non possono svolgere incarichi retribuiti, che non siano stati conferiti o previamente autorizzati dall’amministrazione di appartenenza”.Ciò conferma che è consentita alla pubblica amministrazione la attribuzione ai propri dipendenti di incarichi retribuiti, laddove però ne sussistano le condizioni.

A tal riguardo può utilmente farsi riferimento alla recente decisione della sesta sezione del Consiglio di Stato (n. 325 del  25-3-1999), con la quale si precisa che “il principio della omnicomprensività retributiva è da ritenersi operante per tutte le prestazioni effettuate per dovuto esercizio delle normali funzioni d’ufficio, ovverosia riconducibili all’esplicazione di compiti inscindibilmente legati alla qualifica e all’ufficio ricoperti” dovendosi individuare “come indici di estraneità, o la necessità che per il loro affidamento sia richiesto un apposito provvedimento soggetto ad accettazione da parte dell’interessato, o che di essi possano essere investiti anche persone non appartenenti all’Amministrazione”. Conseguentemente - è stato osservato [6] – il compenso è dovuto se sussistono i rilevati indici di estraneità, perché laddove la scelta non debba ricadere necessariamente su soggetti interni non preventivamente qualificati è evidente che la funzione relativa conferita al dipendente, se estranea ai compiti del dirigente o del funzionario, va regolarmente remunerata.

E' ben vero che la differente terminologia utilizzata dal legislatore impone di tener distinto l'atto di "nomina" (previsto quando la scelta del direttore generale cada su un soggetto esterno), cui fa riferimento l'art.51-bis, comma 1, della legge n.142/1990, dal "conferimento" delle funzioni di direttore generale al segretario comunale [7], ai sensi del successivo comma 4, dell'art.51-bis citato, configurandosi nel primo caso la sussistenza di un provvedimento a natura pattizia che presuppone l'incontro delle volontà delle parti in causa, e nel secondo caso in guisa di atto unilaterale ricettizio. Non può, tuttavia, sfuggire ad alcuno che anche nell'ipotesi di conferimento delle funzioni, proprio in ragione della particolare delicatezza e complessità delle stesse, non sarà mai di fatto possibile l'emanazione di un atto "iure imperio" ad opera del Sindaco, risultando essenziale per il buon esito della vicenda fondare il conferimento delle funzioni su una intesa consensuale.

A conclusione delle considerazioni finora svolte, si ritiene di poter affermare che, né la vigente normativa, né la giurisprudenza ordinaria ed amministrativa, sembrano escludere che, nelle more della sottoscrizione del contratto collettivo di lavoro, possano essere riconosciuti compensi aggiuntivi al segretario comunale e provinciale incaricato di svolgere anche la funzione extra istituzionale di direttore generale dell'ente presso cui presta servizio.

 

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[2] Circolare n. 2/1999 prot. n.17200/18044 del 30 giugno 1999.

[4] A. Levi "Il trattamento economico dei dipendenti pubblici", in "Il rapporto di lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione", a cura di L. Galantino.

[5] Citata in nota da G. Pellacani "L'applicabilità dello Statuto dei lavoratori ai rapporti di lavoro con le pubbliche amministrazioni" in L. Galantino, op. cit.

[6] cfr.  G.V.L. "Commissioni tecniche, tariffe e compensi", in  Guida agli Enti Locali n.32 del 14 agosto 1999.

[7] Cfr. L. Tamassia "Possibilità di riconoscimento economico dell'esercizio delle funzioni di direttore generale affidate al segretario comunale, ecc.". in  Rivista del personale dell'ente locale, marzo-aprile 1998.


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