LexItalia.it  

 Prima pagina | Legislazione | Giurisprudenza | Articoli e note | Forum on line | Weblog

 

Articoli e note

2001.

NAZARENO SAITTA
(Ordinario di diritto amministrativo nell’Università di Messina)

Il filtro del TAR sulle domande di regolamento di competenza:
nuove prospettive (anche per i motivi aggiunti)

(Input: Tar-Sicilia-Catania-Sez. III, 12 aprile 2001 n.835)

1.- La lettura del testo della sentenza n. 835 del 12 aprile 2001 della Terza Sezione interna della Sezione staccata di Catania del T.A.R. Sicilia - stimolante per la chiarezza enunciativa e la completezza del quadro problematico considerato - offre il destro per una ricapitolazione delle questioni concernenti il regolamento di competenza davanti al giudice amministrativo di primo grado (ma non solamente di queste), anche se sono state già tante le occasioni nelle quali ci siamo occupati di questo istituto processuale invero assai speciale ed anomalo rispetto alla tradizione.

Ce ne eravamo occupati, la prima volta, in una sede che poteva anche considerarsi impropria, ossia in un volume (I giudizi in camera di consiglio nella giustizia amministrativa, Giuffrè, Milano, 2000) dedicato alla ricognizione ed alla riconsiderazione in forma unitaria delle varie ipotesi di decisioni rese dai giudici amministrativi in sede diversa da quella tipica della pubblica udienza.

Impropria sembrava l’occasione quanto meno per la fase relativa al giudizio di primo grado, nel corso della quale non era allora (la "205" non era stata ancora emanata) previsto alcun intervento del collegio del Tar in sede camerale.

Ma avevamo ritenuto che, a parte l’ovvio e necessario riferimento alla fase delibativa dell’istanza di regolamento davanti al Consiglio di Stato, un riferimento al rito camerale davanti al Tar fosse pur sempre giustificato dalla considerazione del dato normativo allora vigente (art.31 comma quarto, legge n.1034/1971).

In altri termini, quella disposizione prevedeva che fosse compito del presidente del Tar "curare", su istanza delle parti, "la trasmissione d’ufficio degli atti del ricorso" (a proposito, perché "d’ufficio" se è richiesta una "istanza" delle parti?) al tribunale amministrativo concordemente designato dalle parti, dopo la presentazione del regolamento di competenza, ma non prevedeva espressamente che la ricerca di un accordo del genere – come, peraltro, la constatazione della mancanza di un accordo – fosse affidata allo stesso presidente.

Solamente in via di prassi il tentativo di … conciliazione veniva considerato compito del presidente, che lo assolveva in "udienza monocratica" nel suo gabinetto.

Osservavamo in quella occasione che "si rimane perplessi circa la corrente prassi di assegnare la potestà di provvedere ai suddescritti adempimenti al presidente del Tar. Anche in considerazione della tipicità dei poteri presidenziali – che va sempre più … stretta agli interessati – ci sembra consentito anche ipotizzare al riguardo una competenza dell’intero collegio del Tar, per limitati che siano i poteri che la prassi assegna al presidente, ma pur sempre implicanti la formulazione di giudizi (sulla regolarità formale della domanda di regolamento, sulla sospensione se non anche sulla concessione della misura cautelare), ai quali la collegialità e la sede camerale - in mancanza di una domanda di fissazione di udienza ed in considerazione della massima brevità possibile da assicurare – si addicono in maniera particolare".

2.- La legge n. 205/2000 ha lasciato insolute queste perplessità procedurali in ordine al momento dell’eventuale conciliazione, mentre ha istituzionalizzato – rendendolo addirittura essenziale - il momento camerale già nel giudizio davanti al Tar, in uno con il potenziamento dei poteri monocratici del giudice amministrativo (sui quali cfr. N. SAITTA, I poteri monocratici del giudice amministrativo, in corso di stampa).

In occasione della novella in parola (Addendum al volume cit., Cap. XI) abbiamo appunto rilevato come l’intento del legislatore, perseguito sin dal 1971, di evitare la proliferazione di istanze al Consiglio di Stato per il regolamento della competenza territoriale dei Tar, con la previsione della intermediazione del presidente del Tar – anche se le relative modalità operative sono state disciplinate in via di prassi in assenza di disposizioni legislative al riguardo – trovasse conferma in un ulteriore filtro frapposto fra istanza di regolamento ed intervento del Consiglio di Stato.

Risultava, infatti, sostituito l’ultimo comma dell’art.31 legge t.a.r., sicché adesso, ove le parti non raggiungano un accordo circa il regolamento di competenza proposto o comunque sul Tar competente, il presidente del Tar "fissa immediatamente la camera di consiglio per la sommaria delibazione del regolamento di competenza proposto".

Un nuovo incidente camerale, quindi, che vale a selezionare le eccezioni di incompetenza territoriale sollevate con lo strumento del regolamento sì da limitare al massimo sia il … fastidio del Consiglio di Stato sia la sospensione del giudizio di Tar: un autentico deterrente che prevediamo sarà largamente praticato dal Tar, il quale potrebbe bloccare l’iniziativa del proponente, con una "sommaria delibazione" del regolamento, del quale riconosca la "manifesta infondatezza", respingendolo velocemente attraverso lo strumento "breve" di quella che viene ormai definita "decisione semplificata".

3.- La sentenza del Tar di Catania osserva esattamente come si sia "finalmente" eliminata per via legislativa quella che è stata definita "grave incongruenza" emergente dal raffronto tra l’obbligo assoluto di sospensione del processo amministrativo prescritto dal previgente testo del quinto comma dell’art.31 cit. per i casi in cui non tutte le parti siano d’accordo sulla remissione del giudice ad altro Tar a seguito della presentazione del regolamento di competenza, con la ben diversa disciplina prevista dalla novella del 1990 al c.p.c. per la sospensione del giudizio di merito a seguito della proposizione del regolamento di giurisdizione.

Nota l’estensore come l’innovazione introdotta dal legislatore con la "205" sia il frutto di un adeguamento alla ben diversa disciplina dettata dall’art.367 c.p.c. nel novellato suo primo comma (per effetto dell’art.61 della legge n.353/1990) per il regolamento di giurisdizione.

Invero – e fa bene la sentenza a ricordarlo – lo stesso Tribunale, ancor prima che intervenisse la riforma del 2000, aveva prospettato seri dubbi sulla costituzionalità dell’art.31 della legge n.1034/1971, invocando (ordinanza presidenziale 30 settembre 1998 n.22) dal Giudice delle leggi una sentenza di natura additiva che valesse a colmare l’ingiustificato vuoto rilevabile nella predetta disposizione legislativa, nella quale in quanto non era prevista la possibilità che la sospensione potesse essere negata dal Tar, davanti al quale pendeva il giudizio all’interno del quale fosse stato sollevato regolamento di competenza, nel caso in cui fosse risultata la manifesta inammissibilità o la manifesta infondatezza della relativa istanza.

Perspicuamente si era rilevato allora, e lo si ricorda adesso, come non fosse giustificata questa diversità rispetto alle possibilità offerte dalla novella del 1990 al codice di rito civile in ordine al regolamento di giurisdizione, anch’esso, come quello di competenza, giustamente sospettato di essere ispirato da possibili intenti dilatori e gravemente incidente sui poteri del giudice amministrativo di primo grado al quale il giudizio, a parte il potere cautelare, veniva sottratto.

E’ nel giusto la sentenza catanese quando passa a considerare come, a maggior ragione nel caso di regolamento di competenza, un siffatto potere di delibazione della manifesta inammissibilità-infondatezza dovesse essere riconosciuto al Tar, dato che mentre le questioni di giurisdizione possono essere sollevate in vario modo (d’ufficio o su eccezione di parte, con regolamento o no) ed in ogni stato e grado del giudizio (anche con i vari tipi di ricorsi per cassazione), l’incompetenza territoriale del Tar poteva e può essere fatta valere non già con una semplice eccezione e non già dall’ufficio, ma solamente con il rituale del regolamento davanti al Consiglio di Stato, di spettanza esclusiva delle parti resistenti e con istanza da proporre entro precisi e brevi termini decadenziali.

In altri termini, il Tar di Catania aveva saputo allora cogliere gli estremi di un’incongruenza omissiva della legge e segnalarli alla Corte Costituzionale ed aveva dimostrato una singolare preveggenza di quella che sarebbe stata la futura riforma.

4.- La Corte Costituzionale non ha avuto il modo di affrontare il merito della prospettata questione di legittimità costituzionale, essendosi limitata a giudicarla inammissibile (ord. 23 giugno 2000 n. 241, in Guida al diritto, 2000, f. 34, p. 108), incredibilmente, "in quanto prospettata in una fase – per di più presidenziale – non prevista espressamente dalla legge in caso di disaccordo tra le parti e priva – secondo l’ordinamento del processo amministrativo – di qualsiasi potere decisorio in ordine alla competenza dell’adito Tar, laddove in ogni caso, anche a seguito di eliminazione della norma denunciata, ogni determinazione sulla competenza sarebbe riservata successivamente ad organo collegiale in sede di decisione preliminare alla definizione del giudizio nella fase di merito".

Una prima argomentazione motivazionale, questa, che suscita una prima reazione ove si consideri che affermare che la questione di legittimità costituzionale risultava sollevata in una "fase – per di più presidenziale – non prevista espressamente dalla legge" val quanto ritenere che nelle occasioni (e sono state sempre tante, in funzione della forza dirompente e introduttiva della giurisprudenza pretoria del giudice amministrativo) non propriamente tipiche nelle quali le giurisdizioni amministrative sono chiamate-costrette ad operare non si amministri giustizia; che l’autorità che interviene in queste occasioni – monocratica o collegiale che sia – non abbia la necessaria qualifica giurisdizionale che la legittimi a sollevare incidenter questioni di costituzionalità; oppure che in tanto si avrebbe esercizio di funzione giurisdizionale in quanto vi si esercitino effettivi poteri decisori, e non anche quando si "organizzi" il servizio giudiziario, mentre non si può negare che se legittimamente il presidente del Tar ha sinora esercitato (e continuerà ad esercitare, non avendo la "205" nulla novellato sul punto) la funzione di verificazione di eventuali accordi sulla competenza territoriale di Tar in occasione del relativo regolamento, uguale legittimazione non può non avere ai fini della prospettabilità ex se di questioni di legittimità costituzionale.

Infine, il Tar di Catania non aveva, come ha invece ritenuto la Corte, richiesto, con l’ordinanza di rimessione, la "eliminazione della norma denunciata" (che, a dire del giudice delle leggi, avrebbe lasciato insoluto il problema), quanto piuttosto una sentenza additiva che appunto aggiungesse al testo normativo la statuizione che risultava ingiustificatamente assente.

Quanto ad una seconda considerazione svolta dalla Corte nell’ordinanza n.241 - che cioè, ai fini della rilevanza della questione di legittimità costituzionale, occorre pur sempre che l’organo remittente debba in quel momento processuale fare applicazione della norma denunciata - ritenere che in quella occasione non ricorresse l’ipotesi in questione vale anche qui quanto dire che per il presidente del Tar di Catania fosse indifferente – mentre invece non lo era affatto – che la disposizione legislativa in questione consentisse o meno al tribunale di portare il proprio esame sulla manifesta inammissibilità-infondatezza del regolamento di competenza che davanti allo stesso era stato proposto, quando piuttosto (il Presidente) era costretto a dare applicazione in negativo alla disposizione "monca" dell’art.31 legge Tar e, quindi, rinunziare a quel sindacato preliminare che sul regolamento di competenza doveva essere consentito al pari che sul regolamento di giurisdizione.

In altri termini, anche in quella occasione la Sezione remittente aveva dato prova di lungimiranza, dopo l’eclatante problematica sollevata un paio d’anni or sono sull’ammissibilità di misure cautelari propulsive, anch’essa non delibata dalla Corte Costituzionale per presunte ragioni di rilevanza della questione sollevata e che ha poi trovato puntuale riscontro nella legificazione, ad opera della "205" (sul punto, cfr. il nostro Le sospensive <propulsive> davanti alla Corte Costituzionale: un discutibile tentativo di rinviare l’esame di una questione ormai decisiva per le sorti del processo amministrativo, in Giust. amm. sic., 1998, 1077).

5.- Il pregio della sentenza che ha dato l’input a queste brevi considerazioni non si ferma qui, perché l’estensore della stessa, lungi dal menar vanto per i riconoscimenti implicitamente ricevuti da parte del legislatore del 2000, in certo senso si lamenta della contenuta estensione degli stessi.

La novella del 2000, come sopra accennato, ha dato ragione alle istanze tre anni or sono sollevate dal Giudice catanese, istituendo il filtro di cui si diceva, ma soprattutto attribuendo al Tar, davanti al quale venga sollevata la questione di competenza territoriale a mezzo dell’apposito regolamento, il potere-dovere di controllare in via preventiva, ossia prima dell’inoltro al Consiglio di Stato, che l’effetto di blocco del funzionamento del giudizio in corso non avvenga per effetto di una iniziativa processuale sprovvista dei necessari requisiti.

Da parte del Tar, tuttavia, si avverte criticamente che "la delibazione del Tar sull’istanza per regolamento, nonostante l’infelice espressione del testo normativo che sembra limitare letteralmente il potere di rigetto della stessa soltanto nell’ipotesi della sua <manifesta infondatezza>, può e deve estendersi indubbiamente anche alle condizioni ed ai profili di ammissibilità, ricevibilità e validità del regolamento, e ciò al fine di accertarne o vagliarne la loro sussistenza o, eventualmente, la manifesta insussistenza, e di dichiarare, in quest’ultima ipotesi, l’inammissibilità e/o irricevibilità e/o nullità o l’improcedibilità, dell’istanza di regolamento".

In sostanza, secondo la sentenza in esame, quella che viene giudicata "affrettata ed infelice formulazione normativa" (come pure lo "omesso riferimento del legislatore, meramente erroneo e non intenzionale, all’ovvio accertamento preliminare da parte del Tar dell’eventuale manifesta inammissibilità e/o irricevibilità e/o nullità, o improcedibilità, dell’istanza di regolamento"), varrebbe a precludere all’interprete quello che viene considerato come esercizio doveroso di poteri di sindacato sul regolamento ben più estesi.

Secondo il Tar di Catania, insomma, al giudice di primo grado, in forza della nuova disposizione introdotta dalla "novella 2000", se correttamente "letta", spetta "ora il potere-dovere di decidere che la domanda di regolamento di competenza (così come avviene per qualsiasi domanda giudiziale) non è conforme al paradigma normativo e quindi deve essere respinta per <manifesta infondatezza> e cioè per difformità dalle previsioni di legge in materia"; quindi, egli, "uibnqui

qa maggior ragione ha il potere-dovere di verificare la sussistenza o meno nella fattispecie di tutti i requisiti del processo (presupposti processuali e condizioni dell’azione) risolvendo previamente, in senso positivo o negativo, le questioni pregiudiziali di rito o preliminari di merito aventi ad oggetto tali requisiti, con conseguente assorbimento ... delle questioni processuali successive e/o del merito dell'istanza di regolamento … In ultima analisi, la locuzione <manifesta infondatezza> contemplata dal novellato 5° comma dell’articolo 31 legge n.1034/1971, quale presupposto per il rigetto dell’istanza di regolamento di competenza, va necessariamente e, quindi, incontrovertibilmente, interpretata estensivamente, ricomprendendo nel suo ambito semantico e contenutistico anche il concetto di manifesta assenza di uno o più requisiti del processo, e quindi di manifesta difformità dallo schema processuale previsto dalla legge e dal sistema, tale da precludere o assorbire l’esame del merito".

Le considerazioni che al riguardo vengono esposte in sentenza ci sembrano in larghissima misura convincenti. Qualche perplessità residua è connessa al piccolo, ma, crediamo, significativo particolare rappresentato dal fatto che la "domanda" di regolamento è propriamente diretta al Consiglio di Stato, mentre siffatto pur giustificato potere-dovere di sindacato sulla domanda stessa appare rivendicato da un giudice diverso dal destinatario di quest’ultima.

6.- Si tratta, in ogni caso, di perspicui spunti di riflessione - ampiamente illustrati e supportati da pertinenti riscontri interpretativi con varie disposizioni del codice di rito civile, che vengono coordinatamente prese in esame per ricostruire un convincente quadro legislativo generale, una sorta di piccolo sistema normativo valido per tutti i tipi di giudizi previsti dal nostro ordinamento – che affrontano, come prima non era stato così adeguatamente fatto (neppure in N. SAITTA, La nuova … regolamentazione del regolamento di competenza, in questa Rivista on-line, n. 2-2001, pag. http://www.lexitalia.it/articoli/saittan_regcompetenza.htm ), una problematica di indubbio interesse, la cui presa in esame appare non solo utile e foriera di importanti soluzioni prospettiche, ma addirittura imprescindibile se davvero si vuole risolvere un nodo così intricato precisando con chiarezza l’estensione dei poteri di sindacato del Tar di fronte alle istanze di regolamento (di competenza e non solo di giurisdizione), ma anche la linea logica e giuridica che un corretto percorso del "giudizio" deve osservare nel rispetto dei segnali di … precedenza posti in corrispondenza di certi pericolosi incroci (tra rito e merito), di eventuali corsie riservate, ma anche dei limiti di … velocità previsti dal codice della strada processuale.

7.- A chiusura osserviamo come sia illuminante l’apertura "sostanzialistica" prospettata in ordine alla nozione di "connessione", che rende possibile (o impone: cfr. il nostro: Sette note sui motivi aggiunti, in questa Rivista on line, n. 2-2001, pag. http://www.lexitalia.it/articoli/saitta_motiviaggiunti.htm ) l’utilizzo dei cc.dd. motivi aggiunti per estendere un’impugnazione già pendente ai nuovi provvedimenti connessi all’oggetto dell’impugnazione stessa già pendente.

E’ interessante quanto in merito si afferma in sentenza: "Non può dubitarsi…che la locuzione <tutti i provvedimenti…connessi> (art. 21, comma 5°, novellato dalla "205") deve interpretarsi restrittivamente, non essendo concepibile che il legislatore della riforma, contraddicendo la sua stessa intenzione (insita nella disposizione di cui trattasi) implicitamente ma incontrovertibilmente rivolta all’introduzione di un modello di giudizio amministrativo di legittimità sempre più prossimo ed aderente ad un giudizio sul rapporto e non sugli atti e, conseguentemente, alla limitazione della proliferazione delle liti, abbia al contempo, surrettiziamente ed ingiustificatamente, inteso reintrodurre un onere di impugnativa già da tempo escluso dall’evoluzione giurisprudenziale e dottrinaria".

Questo in quanto "l’ambito della suesposta innovazione processuale in tema di motivi aggiunti, finalizzata a contenere in un unico giudizio tutte le impugnazioni di singoli provvedimenti relativi allo stesso rapporto, deve ritenersi limitato … all’impugnazione dei provvedimenti solo <genericamente> connessi a quello inizialmente impugnato, che non siano cioè meramente consequenziali od esecutivi dello stesso, dato che per tali categorie di atti la giurisprudenza e la dottrina avevano da tempo costantemente affermato (con qualche rarissima eccezione) l’inesistenza di un onere di impugnativa".

Una ottava "nota" che facciamo nostra aggiungendole alle altre sette già (vedi precedente citazione) … suonate. La scala diatonica è così, almeno per il momento, completa.


Stampa il documento Clicca qui per segnalare la pagina ad un amico