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Articoli e note

 

NAZARENO SAITTA
(Ordinario di diritto amministrativo
nell’Università di Messina)

Sette note sui motivi aggiunti

Sommario: Premessa. - 1. Motivi aggiunti e provvedimenti anteriori al ricorso ma resi noti dopo.- 2. Motivi aggiunti: strada obbligata o percorso alternativo? – 3. Motivi aggiunti e legittimazione processuale.- 4. Motivi aggiunti e autorizzazione a resistere.- 5. Notificazione dei motivi aggiunti. – 6. Motivi aggiunti contro provvedimenti di autorità diversa dall’amministrazione resistente.- 7. Motivi aggiunti anche per il controinteressato?

 

Tra i tanti propositi ispiratori della "205" va sottolineato l’intento perseguito dal legislatore di evitare l'inutile proliferazione, almeno numerica, dei ricorsi, concentrando al massimo questi ultimi, anche come prima timida apertura verso un giudizio non meramente e formalmente attizio.

A questa finalità è intesa la riformulazione di un istituto che, soprattutto in passato, risultava frequentemente utilizzato come strumento che, apparentemente, costituiva l’unica deroga consentita alla regola, altrimenti assoluta, della perentorietà del termine per la proposizione del ricorso, perché consentiva al ricorrente di integrare gli originari motivi di impugnazione senza incorrere nella sanzione della tardività.

Si allude all'ammissibilità dei cc.dd. motivi aggiunti, che venivano e vengono consentiti quando l’incompleta conoscenza del compendio provvedimentale lesivo per l’interessato non permette, entro la scadenza del termine per ricorrere, di aprire per intero il ventaglio delle censure impugnatorie e solo una successiva evenienza conoscitiva (comunicazione del testo della motivazione di un provvedimento già conosciuto solo nel dispositivo o comunque solo parzialmente, acquisizione di un atto-presupposto di quello impugnato, ecc.) riapre con un secondo termine di ricorso la possibilità-onere della formulazione di altri motivi di ricorso prima non dedotti perché prima non deducibili.

Il recente passato cui si accennava si era in parte concluso con la nuova conformazione dell’obbligo di motivazione e con le nuove possibilità partecipative ed accessive accordate all’interessato destinatario del provvedimento amministrativo dalla "241", che, se non ha stravolto la problematica relativa alla c.d. istruzione primaria a carico del ricorrente, certamente ha favorito una più agevole acquisizione della documentazione e quindi della conoscenza necessaria e sufficiente per una formulazione sin dall’inizio esauriente e completa dei motivi di impugnazione

Mancava del tutto un qualsiasi supporto normativo che servisse come punto fermo di riferimento per una regolamentazione costante dell’istituto, rimasto invece di estrazione prettamente giurisprudenziale ed affidato ad un'elaborazione dottrinale meritevole di ogni elogio per la sua valenza inventiva.

La proponibilità di motivi aggiunti veniva però generalmente esclusa nella diversa ipotesi della sopravvenienza di provvedimenti nuovi, connessi a quello impugnato ma non destinati ad essere automaticamente caducati da quest’ultimo in caso di accoglimento del ricorso già proposto, anche se di recente si era profilata una certa inversione di tendenza giurisprudenziale intesa a realizzare in via di prassi una sostanziale concentrazione dei ricorsi, ammettendo l’utilizzo dello strumento dei motivi aggiunti anche a costo di modificare, ampliandolo nel corso del giudizio, il thema decidendum originario.

Interviene adesso la consacrazione legislativa di questa soluzione operativa con la nuova configurazione dei motivi aggiunti descritta nella "205", secondo la quale "tutti i provvedimenti adottati in pendenza del ricorso tra le stesse parti, connessi all’oggetto del ricorso stesso, sono impugnati mediante proposizione di motivi aggiunti".

Poiché solo in apparenza il nuovo disposto normativo ha risolto tutta la problematica preesistente, mi sembra non inutile la formulazione delle seguenti …sette "note" su questi motivi.

 

1.- Una prima notazione ci consente di sottolineare quella che è, a dire il vero, un’ovvietà; che cioè l’ammissibilità di motivi aggiunti è stata estesa, dall’ipotesi iniziale della conoscenza … rateale del(l’unico) provvedimento da impugnare, a quella della sopravvenienza, nel corso del giudizio già promosso, di nuovi provvedimenti anch’essi da impugnare.

Non sarà più necessario proporre ulteriori impugnative seriali – per restare nel gergo musicale – in corrispondenza della eventuale serie di provvedimenti da inseguire con tutta la strumentazione impugnatoria a disposizione, a pena di decadenza o comunque di improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse del ricorso o dei ricorsi già proposti.

Poiché la legge si riferisce espressamente ai "provvedimenti adottati in pendenza del ricorso", a prima vista resterebbero esclusi dall’utilizzo dello strumento dei motivi aggiunti i provvedimenti che, ancorché adottati prima, siano stati resi noti o comunque divenuti soggettivamente tali solamente nel corso del giudizio già instaurato.

Sarebbe, invece, assai strano e contrario alla logica concentratoria della nuova normativa costringere il ricorrente a promuovere separati nuovi giudizi. Risorgerebbe la vecchia problematica che si è voluto superare e la proponibilità dei motivi aggiunti, ancient régime, sarebbe legata all’eventuale natura degli atti … scoperti dopo quali atti-presupposti rispetto a quello già impugnato. E’, pertanto, preferibile prescindere dallo stretto lessico legislativo e privilegiare una logica di tipo estensivo, non ostandovi alcuna seria ragione giustificativa di un possibile rigore.

 

2.- La notazione che precede fa sorgere un primo interrogativo, non apparendo chiaro se l’utilizzo dei motivi aggiunti per impugnare i provvedimenti sopravvenuti costituisca una via procedurale obbligata ovvero solo una facoltà aggiuntiva o alternativa.

Il dato lessicale non fornisce soluzioni certe dato che dire che "i provvedimenti adottati in pendenza del ricorso tra le stesse parti, connessi all’oggetto del ricorso stesso, sono impugnati mediante proposizione di motivi aggiunti", può lasciare aperte entrambe le tesi, mentre sembra, per le ragioni esposte nella nota precedente, doversi privilegiare la soluzione di tipo obbligatorio.

Ciò non toglie che rimane pur sempre da precisare la natura della sanzione che dovrebbe colpire il contravventore, ossia il ricorrente che, in luogo dei motivi aggiunti, si avvalga del tradizionale ricorso aggiuntivo destinato ad affiancarsi a quello in precedenza promosso contro il primo provvedimento.

Teoricamente dovrebbe configurarsi un caso di inammissibilità-improcedibilità, non essendo stata osservata una prescrizione di carattere procedurale. Riteniamo, invece, che una sanzione del genere debba considerarsi eccessiva, dato che la scelta operata dal ricorrente, la diversa strada percorsa non comporta alcuna alterazione della par condicio tra le parti, nessun attentato al diritto di difesa dei resistenti, nessun appesantimento del percorso giudiziale (a parte l’esigenza dell’accorpamento di più ricorsi per una definizione unitaria, ossia uno actu, dei giudizi), nessun condizionamento del risultato finale del giudizio, anche perché, come in passato, il congegno della riunione dei due giudizi per duplice connessione scongiura qualsiasi rischio di contrasto di giudicati. In ogni caso, il rimedio, spesso praticato, della conversione degli atti processuali potrebbe valere a ricondurre entro i nuovi binari dei motivi aggiunti l’iniziativa di un nuovo giudizio.

Se questa è la conclusione cui è logico pervenire, trattandosi, più che di veri e propri motivi aggiunti, di un modo diverso di impugnare provvedimenti connessi a quello già impugnato, si deve coerentemente ritenere che il termine per la proposizione dei nuovi motivi aggiunti sarebbe da parificare al normale termine per ricorrere e, quindi, non assoggettabile alla riduzione dei termini nel caso di impugnazione di provvedimenti rientranti nel novero di quelli per i quali i termini processuali sono per legge ridotti a metà, dato che questo dimezzamento non vale, espressamente, per il termine per ricorrere, che termine processuale vero e proprio non è.

 

3.- Un altro piccolo ma significativo punto oscuro da chiarire – e questo sarà compito della dottrina, ma soprattutto della giurisprudenza pretoria ancora una volta insostituibile nel suo ruolo maieutico, dato che il dato normativo, tacendo del tutto, non offre neppure una base testuale da interpretare – concerne la legittimazione processuale alla proposizione dei motivi aggiunti.

Se, prima della "205", ai motivi aggiunti in senso stretto, ossia riferiti allo stesso provvedimento originariamente impugnato, si poteva considerare legittimato – e lo si può ritenere ancora, dato che questo tipo di motivi sono configurabili anche adesso – il difensore del ricorrente sulla base dell’originario mandato speciale, adesso che i motivi aggiunti possono-debbono essere proposti anche per l’impugnazione di provvedimenti diversi da quello per impugnare il quale era stato conferito il mandato stesso, è verosimilmente necessario che quest’ultimo venga confermato ed esteso al nuovo gravame per il semplice fatto che i motivi aggiunti oggi valgono ad allargare il compendio impugnatorio e quindi possono anche avere refluenze sul rischio che ogni intrapresa giudiziaria comporta per il proponente.

Se ne potrebbe prescindere, forse, se finalmente si riuscisse ad avere un giudizio amministrativo non più su atti ma su rapporti, sicché, dato che i nuovi motivi aggiunti sono proponibili solo in caso di "connessione" tra il primo provvedimento impugnato e quelli sopravvenuti, potrebbe concepirsi un mandato a ricorrere conferito non solo contro l’uno, ma implicitamente estensibile e valevole anche per ulteriori impugnazioni purchè naturalmente implicate dall’esigenza di tutelare l’intero rapporto controverso, così come sfavorevolmente inciso da tutti i provvedimenti in vari momenti adottati dall’amministrazione.

 

4.- La problematica sopra esposta si pone, oltre che a parte actoris, anche per la legittimazione processuale dei resistenti, soprattutto per quelle amministrazioni che hanno bisogno, per resistere in giudizio, di un’apposita decisione autorizzatoria.

La specialità dell’autorizzazione a stare in giudizio non può non essere considerata circoscritta al thema disputandum originario per il quale l’autorizzazione stessa era stata accordata, mentre va sempre sottoposta a verifica, una volta che per effetto dei motivi aggiunti la disputa si allarga, la volontà dell’amministrazione di resistere anche alla nuova impugnazione, non potendosi escludere che, proprio alla luce delle nuove argomentazioni impugnatorie, l’amministrazione possa decidere di desistere dalla resistenza in giudizio magari intervenendo in autotutela sui provvedimenti oggetto dei motivi aggiunti per definire l’intera questione.

Ne consegue che tanto l’organo munito di rappresentanza processuale quanto il difensore da questo designato non possono sic et simpliciter considerarsi legittimati a resistere anche alla nuova iniziativa impugnatoria, abbisognando rispettivamente di una nuova autorizzazione e di un nuovo mandato.

 

5.- Di non insignificante portata è la questione relativa alla notificazione dei nuovi motivi aggiunti.

Nessun problema sussisteva (e sussiste ancora oggi) per i tradizionali motivi aggiunti, dovendosi rispettare la regola secondo la quale, in linea con l’enunciato dell’art.170 c.p.c., tutte le notificazioni successive alla instaurazione del rapporto processuale vanno eseguite alle parti costituite presso i rispettivi procuratori e nel domicilio eletto.

Questa regola vale anche per i "nuovi" motivi aggiunti?

Ne dubitiamo, non foss’altro perché la "205" consente-prescrive i motivi aggiunti avverso "tutti i provvedimenti adottati in pendenza del ricorso tra le stesse parti", ossia avverso atti nuovi e quindi diversi da quelli impugnati con il primo ricorso, che, ovviamente, era stato notificato all’autorità emanante.

Orbene, se questi motivi aggiunti fanno le veci di un separato secondo ricorso, è secondo le stesse modalità di notificazione di quest’ultimo che vanno notificati i motivi stessi, non potendosi il procuratore costituito considerare abilitato a ricevere la notificazione stessa, che va quindi effettuata direttamente all’autorità emanante, anche per gli adempimenti di cui alla nota precedente.

Il discorso non vale per la notificazione destinata al controinteressato, per il quale, se già costituito, può ritenersi valida quella eseguita presso il procuratore, che, stante la connessione presupposta come condizione per l’esperibilità dei motivi aggiunti in parola, può considerarsi officiato dal proprio rappresentato per l’assistenza giudiziale per l’intero rapporto controverso e quindi per l’intero percorso processuale.

Lo stesso è a dirsi, anche se per ragioni diverse, per la notificazione dei motivi aggiunti alle amministrazioni statali ed a quelle istituzionalmente assistite dall’avvocatura erariale dato che è proprio presso quest’ultima che va notificato lo stesso ricorso principale.

 

6.- Il legislatore non ha considerato l’eventualità che "i provvedimenti adottati in pendenza del ricorso", per i quali sono consentiti-prescritti motivi aggiunti, provengano da autorità diverse da quella che aveva adottato il provvedimento impugnato con il ricorso originario, non potendosi escludere che anche da questa nuova e diversa fonte amministrativa possa provenire un nuovo atto "connesso".

In questo caso non si ha soltanto un allargamento del thema decidendum tra le "stesse parti", come recita la "205", ma anche un cambiamento dell’intero quadro processuale, dato che l’utilizzo dei motivi aggiunti comporta l’evocazione in giudizio anche di parti diverse da quelle originarie; sicché potrebbe, al limite, escludersi l’applicabilità dei motivi aggiunti di nuovo conio e conservare lo strumento del ricorso autonomo, salva rimanendo la riunione per connessione quanto meno oggettiva.

Non si trascuri tuttavia di considerare che la legge prevede i motivi aggiunti in "tutti" i casi nei quali i nuovi provvedimenti siano "connessi all’oggetto del ricorso": potrebbe bastare, quindi, questa condizione perché i motivi aggiunti siano consentiti.

 

7.- La settima ed ultima nota (siamo al "si", ma forse si potrebbe invocare la … dodecafonia per allungare ulteriormente l’elenco delle osservazioni), concerne un ulteriore profilo problematico legato alla novità del congegno ed alla tacitiana laconicità del testo positivo.

La previsione di questo nuovo tipo di motivi aggiunti appare chiaramente finalizzata all’esigenza di concentrare in un unico giudizio tutte le impugnative concernenti la stessa fattispecie contenziosa, con un preciso riferimento al ricorrente autore del (primo) ricorso: se a carico di questi sorge l’onere di impugnare altri provvedimenti della "serie" che intervengano nel corso del giudizio, l’esigenza di economicità processuale sottesa alla riforma della "205" ha indotto il legislatore a prescrivere o a consentire (in fondo si tratta anche di un sistema che permette al ricorrente di evitare la spesa di una nuova tassa di ricorso, a meno che il vorace fisco non la penserà diversamente…) l’utilizzo dei motivi aggiunti per impugnarli nella stessa sede già aperta.

La domanda sorge … spontanea: la stessa regola vige anche per il controinteressato ove questi provvedimenti successivi connessi all’oggetto del ricorso lo riguardino sfavorevolmente e quindi sia per lui che sorge l’esigenza – strumentale ai fini di difesa nel giudizio originario – di impugnarli? Motivi aggiunti o ricorso autonomo? Ovvero ancora ricorso incidentale, sinora consentito per impugnare anche atti diversi da quelli impugnati con ricorso principale ove a questi ultimi strettamente connessi?

Ai (magistrati) posteri l’ardua sentenza.


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