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LUIGI OLIVERI

Riflessioni sulla giurisdizione relativa
alle vertenze per le "progressioni verticali"

Sebbene di recente si sia affermato un indirizzo giurisprudenziale, soprattutto del giudice ordinario, tendente a ricondurre alla giurisdizione dell'A.G.O. le controversie relative alle progressioni verticali (eredi dei vecchi concorsi interni), la situazione appare, e ben vedere, ancora estremamente incerta.

Ha ripreso, ancora più di recente, vigore, infatti, il filone interpretativo che riconosce, invece, per le controversie in questione la giurisdizione del giudice amministrativo, anche se le interpretazioni appaiono radicalmente contrastanti tra di loro.

In effetti l'acclarato contrasto lascia sgomenti. Situazioni del tutto simili, la richiesta di tutela avverso provvedimenti ritenuti lesivi della propria situazione giuridica come soggetto interessato ad una procedura di progressione verticale, sono risolta con modalità assolutamente differenti. Alcuni giudici amministrativi (Tar Puglia - Bari, Sez. II, 14 marzo 2002, n. 1509; Tar Veneto, Sez. II, 3 aprile 2002, n. 1287) negano la propria giurisdizione ed affermano quella ordinaria.

Altri giudici amministrativi (Tar Puglia - Lecce, Sez. II, 31 gennaio 2002, n. 583 e 27 febbraio 2002, n. 912; Tar Campania - Napoli, Sez. V, 736/2002; Tar Calabria - Catanzaro, Sez. II, 11 marzo 2002, n. 568) invece affermano la propria giurisdizione ed offrono tutela ai ricorrenti.

Il risultato, ovviamente, non è equivalente, in quanto di fronte al giudice ordinario il dipendente leso nei propri interessi non può ottenere i rimedi tipici della giurisdizione amministrativa.

Addirittura, la sentenza pronunciata dal Tar Calabria - Catanzaro da ultimo citata ha riconosciuto tutela a cittadini che non hanno potuto partecipare alle procedure selettive interne, riconoscendo il loro interesse legittimo al rispetto, da parte dell'amministrazione comunale interessata, del principio posto dall'articolo 35, comma 1, lettera a), del D.lgs 165/2001 secondo il quale le procedure selettive per le assunzioni presso amministrazioni pubbliche debbono consentire un adeguato accesso dall'esterno, sicché sono illegittime programmazioni di assunzioni che riservino la copertura dei posti vacanti in organico esclusivamente a procedure di progressione verticale. Appare ovvio che simile pronuncia un giudice ordinario non è in grado di emetterla, in quanto non potrebbe conoscere dell'interesse legittimo di cui sopra.

L'orientamento espresso dalle sentenze che affermano la giurisdizione del giudice amministrativo appare, comunque, quello da preferire, perché sembra quello più appagante e meno problematico, rispetto all'indirizzo opposto, che non riesce a rispondere alle incongruenze cui va incontro, in primo luogo quella della inapplicabilità della tutela del giudice ordinario a situazioni di interesse legittimo (1).

Perché la fattispecie delle progressioni verticali possa considerarsi fonte di diritti soggettivi e non di interessi legittimi, occorrerebbe ammettere la sussistenza di un rapporto negoziale paritario tra amministrazione pubblica - datore di lavoro e dipendente, tale da consentire a questo di vantare, ricorrendo le condizioni previste dalla legge o dal contratto, un diritto alla progressione di carriera.

Ma, a ben vedere, è proprio la fattispecie della progressione di carriera nell'ambito di un unico percorso lavorativo che manca, nell'ambito del rapporto di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni. Carenza, cui si accompagna anche la sufficientemente chiara ascrizione della procedura di progressione verticale nell'ambito dell'attività amministrativa di tipo discrezionale e non certo negoziale di diritto comune.

Sul primo punto, è piuttosto facile osservare che al rapporto di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche non si applica l'istituto dell'inquadramento unico (2), tipico dell'impiego privato.

Il sistema dell'inquadramento unico, talvolta definito come concezione monistica della carriera del lavoratore, prevede il parziale superamento della divisione tra categorie di lavoratori subordinati, ai fini della progressione di carriera.

La suddivisione tra operai ed impiegati in particolare, e tra questi e "quadri", in sostanza avrebbe connotati quasi esclusivamente legati al profilo professionale ed alle mansioni lavorative assegnate. Tuttavia, nel percorso di carriera, che è sostanzialmente omogeneo (anche se più "spedito" per gli impiegati) le mansioni possono essere modificate (verso l'alto, nel rispetto dell'articolo 2103 del codice civile), determinando un cambiamento del profilo professionale. Ciò determina, da un lato il diritto-dovere del datore di lavoro di procedere ad una "rotazione" delle mansioni dei propri dipendenti, sia al fine di provvedere alla migliore organizzazione del lavoro, sia al fine di rispondere alla legittima aspirazione ad una progressione della professionalità del dipendente.

Dall'altro lato, il diritto-dovere del lavoratore di negoziare l'acquisizione di posizioni di lavoro di maggiore professionalità a pari livello od anche a livello superiore, che consentono l'ascesa nei livelli retributivi, cui corrisponde anche l'ascesa nell'inquadramento delle categorie, sicchè il dipendente assunto come operaio può accedere fino alla categoria dei quadri.

Oltre tutto, l'esercizio del potere organizzativo del datore di lavoro di assegnare al lavoratore mansioni superiori prolungato per un certo periodo di tempo comporta, come noto, l'acquisizione ope legis della progressione di carriera. Molti contratti prevedono, addirittura, passaggi da un livello all'altro basati sulla semplice anzianità, fattispecie sostanzialmente espunta dall'ambito dell'impiego alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche(3).

Queste tipiche caratteristiche del rapporto di lavoro privato non trovano riscontro nel rapporto di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni. In effetti, sia il D.lgs 165/2001, sia i contratti collettivi prevedono una ancora netta divisione delle categorie professionali, che restano nettamente separate ed "impermeabili" tra loro, al punto che non si applica, per espressa previsione normativa(4), la progressione di carriera come conseguenza dello jus variandi del datore di lavoro pubblico.

Dunque, il dipendente presso amministrazioni pubbliche non può per attività negoziale, o anche solo per una situazione di facere o pati del datore di lavoro che agevoli o rimanga inerte rispetto all'esercizio di mansioni superiori, progredire da una categoria professionale ad un'altra.

La resa ad un maggior livello di professionalità delle prestazioni lavorative consente in modo sostanzialmente negoziale, ma da accertare secondo quanto prevede la contrattazione decentrata e la metodologia di valutazione permanente, l'accesso ad un livello retributivo più elevato, però sempre nell'ambito della categoria di appartenenza.

Solo la progressione verticale, allora, consente il passaggio alla categoria superiore. Ma la progressione non può essere considerata strumento per la crescita professionale "mirata" di uno o anche più dipendenti previamente individiduati, nel senso che non è possibile utilizzare la progressione verticale come sistema per far assurgere Tizio o Caio alla categoria superiore.

Infatti, la progressione verticale si presenta come strumento di selezione di personale già impiegato presso l'ente, purchè ricorrano le seguenti condizioni:

1) vi sia stata la concertazione sui criteri generali per l'espletamento delle progressioni verticali;

2) vi sia la regolamentazione interna delle procedure e dei requisiti, che tenga conto delle risultanze delle procedure concertative;

3) si sia effettuata una ricognizione delle potenzialità professionali dei dipendenti dell'ente;

4)  si sia riscontrato che esistano nell'ambito dell'ente dipendenti che, pur impiegati in mansioni non connesse a quelle cui possono assurgere a seguito della progressione, dispongano, comunque, delle potenzialità necessarie, valutate in base al titolo di studio, ai crediti formativi, alle valutazioni ottenute;

5) sia stata effettuata la programmazione triennale delle assunzioni;

6) detta programmazione abbia previsto la copertura di posti vacanti della dotazione organica anziché mediante concorso pubblico, attraverso progressione verticale (essendo esclusa la possibilità che il 100% dei posti vacanti sia ricoperto mediante "concorsi interni").

Pertanto, non appare possibile "creare" un percorso di progressione verticale apposito per soddisfare legittime aspirazioni di carriera.

Né la progressione verticale può essere considerato atto di gestione del rapporto di lavoro già in corso. Infatti, l'esito finale consiste in un inquadramento contrattuale diverso rispetto a quello posseduto in precedenza e nell'assegnazione di mansioni e responsabilità a loro volta differenti, in totale discontinuità con la precedente vicenda lavorativa e contrattuale. Tanto che occorre stipulare un nuovo contratto di lavoro, che dia conto di alcuni elementi sicuramente innovativi: infatti, restando al comparto enti locali, l'articolo 14 del CCNL del CCNL in data 6.7.1995, il contratto deve indicare la tipologia del rapporto di lavoro, la qualifica (oggi categoria) di inquadramento professionale, le mansioni corrispondenti alla categoria di assunzione, tutti elementi che per effetto della progressione verticale si modificano necessariamente, rendendo necessaria la stipulazione di un nuovo contratto di lavoro.

Inoltre, poiché è possibile anche l'assegnazione ad una differente sede, il nuovo contratto si rende vieppiù necessario, in quanto anche l'indicazione della sede di destinazione dell'attività lavorativa è elemento considerato necessario del contratto di lavoro.

Come esattamente sottolinea il Tar Campania Napoli, Sezione V, 376/2002, nel caso della progressione verticale si è in presenza "di una vera procedura concorsuale, diretta alla nomina del dipendente in una qualifica superiore e avente lo scopo di scegliere tra i dipendenti partecipanti i migliori di essi, così come avviene nei concorsi pubblici".

Infatti, la progressione verticale è istituto finalizzato alla costituzione di un rapporto di lavoro nuovo e diverso rispetto a quello già in costanza con l'amministrazione di appartenenza. Se, allora, ai fini del riparto della giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo occorre riferirsi, appunto, alla circostanza che il provvedimento sia finalizzato alla gestione del rapporto in atto (in tal caso opera la giurisdizione del giudice ordinario), oppure che sia volto all'instaurazione di un rapporto di lavoro (in questa ipotesi opera la giurisdizione del giudice amministrativo), poiché la progressione è finalizzata alla costituzione di un nuovo rapporto di lavoro tra dipendente ed amministrazione, la procedura di selezione essendo a monte della nuova costituzione del rapporto di lavoro deve essere ascritta alla giurisdizione amministrativa.

Il datore di lavoro pubblico mediante la progressione verticale non compie atti di gestione organizzativa e negoziale, né esercita lo jus variandi, ma attua un procedimento amministrativo di selezione, la cui legittimità deriva, per altro, dai presupposti indicati prima, il che esclude del tutto che si tratti di puro e semplice atto gestionale del rapporto in corso, non sindacabile, pertanto, dal punto di vista del rispetto dei presupposti di legittimità previsti dalla normativa legislativa e contrattuale.

Il dipendente che partecipa ad una progressione verticale non è posto in una relazione negoziale paritaria con l'amministrazione. Vanta, invece, l'interesse legittimo alla regolare applicazione della procedura cui l'amministrazione è vincolata dalla legge, dalla contrattazione collettiva, dagli esiti della concertazione aziendale e dagli atti regolamentari, oltre che dagli specifici provvedimenti attuativi della procedura.

Risulta piuttosto paradossale che nell'impiego privato sempre più il giudice tenti di adottare sistemi di tutela dei lavoratori simili a quelli del giudice amministrativo(5) e che nell'impiego pubblico, contestualmente, si neghi la tutela propria delle situazioni di interesse legittimo, negando la qualificazione della posizione giuridica del partecipante alle selezioni di progressioni verticali come, appunto, di interesse legittimo.

Come ha correttamente sottolineato il Tar Puglia Lecce, Sezione II, 27.2.2002, n. 912, per inquadrare correttamente la fattispecie, occorre fare riferimento a quanto stabilito dalla Corte Costituzionale con Ordinanza 4 gennaio 2001, n. 2/2001.

La Consulta ha, difatti, sancito che nell'ipotesi di concorso pubblico con riserva di posti a dipendenti dell'ente non è corretto ritenere che per i concorrenti "esterni" operi la giurisdizione amministrativa, mentre per quelli interni la giurisdizione ordinaria, in considerazione della presunta configurazione del concorso, nella quota di riserva, come atto di gestione del rapporto di lavoro. Al contrario, sia per gli "esterni", sia per gli "interni" si tratta di una "procedura concorsuale di assunzione nella qualifica indicata nel bando".

Poiché, allora, la procedura di progressione verticale è finalizzata all'acquisizione di un diverso status del dipendente, sicchè equivale ad una nuova assunzione tout court, come sostiene il Tar Lecce "la partecipazione ad un concorso integralmente riservato agli interni e la partecipazione ad una procedura selettiva pubblica con una aliquota di posti riservata agli interni costituiscono entrambe situazioni giuridiche che trovano il presupposto nell'esistenza di un rapporto di impiego con l'ente pubblico". Ma detto presupposto non può portare a confondere quella che resta una procedura per l'assunzione ad un nuovo rapporto di lavoro, nell'ambito della quale emergono interessi legittimi, con la gestione del rapporto di lavoro in corso.

Questa interpretazione dovrebbe estendersi anche alla specifica materia dell'assegnazione degli incarichi dirigenziali, in quanto anche in questo caso si verte in materia di interessi legittimi e non di diritti soggettivi e, comunque, quella prevista dall'articolo 19 del D.lgs 165/2001 è una procedura concorsuale o, quanto mento, para concorsuale, e non una contrattazione negoziale in cui le parti, dirigente ed amministrazione agiscono su un medesimo livello.

A maggior ragione detta interpretazione dovrà prevalere se entrerà in vigore la riforma della dirigenza pubblica nel testo attuale, che qualifica espressamente l'incarico come provvedimento amministrativo, escludendo, dunque, in radice il carattere negoziale di diritto privato dell'atto.

 

(1) In proposito, L. OLIVERI, La giurisdizione relativa alle assunzioni alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, in questa Rivista, pag. http://www.lexitalia.it/articoli/oliveri_assunzioni.htm 

(2)  Per un approfondimento sull'istituto v. F. CARINCI ed altri, Diritto del Lavoro – Il rapporto di lavoro subordinato, Torino 1998, pagg. 220 e ss.

(3) Fa parziale eccezione la carriera dei segretari comunali, che il CCNL ha in parte delineato in base anche a profili di anzianità.

(4) Combinato disposto degli articoli 2, comma 2, e 52, del D.lgs 165/2001, il quale ultimo, in particolare, contiene la peculiare disciplina delle mansioni specificamente applicabile all'impiego pubblico, ad esclusione dell'articolo 2103 del codice civile.

(5) F. CARINCI, op. cit., pag. 231.


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