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LUIGI OLIVERI
La giurisdizione relativa alle assunzioni alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche.
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Si può considerare ormai quasi consolidato l’orientamento giurisprudenziale che ritiene coerente ed applicabile la devoluzione al giudice ordinario delle controversie relative alle assunzioni agli impieghi presso amministrazioni pubbliche, con particolare riferimento agli incarichi dirigenziali.
La sentenza della Corte di Cassazione, Sezioni Unite civili, 11 giugno 2001, n. 7859, non è che l’ulteriore tassello di una tarsia interpretativa uniforme ed armonica, specie dopo la pronuncia 23 luglio 2001, n. 275 della Consulta, che ha considerato costituzionalmente legittimo l'articolo 68 del D.lgs 29/1993, oggi confluito nell'articolo 63 del D.lgs 165/2001, nella parte che ha devoluto alla giurisdizione ordinaria le controversie relative al conferimento e alla revoca degli incarichi dirigenziali.
La sentenza delle S.U. della Cassazione, comunque, presenta alcuni interessanti spunti interpretativi, che appare il caso di sottolineare, anche al fine di rilevare gli aspetti rimasti ancora una volta irrisolti.
In primo luogo, le S.U. rimarcano come la disciplina dell’articolo 63, comma 4, del D.lgs 165/2001, sia da considerare solo come residuale e limitata, sostanzialmente, esclusivamente alle fattispecie di illegittimità rilevate nell’ambito della procedura concorsuale e fino alla sua conclusione. Secondo le S.U. la linea di confine che separa la procedura concorsuale e, di conseguenza, la giurisdizione amministrativa, dalla gestione del rapporto di lavoro, con l’operatività della giurisdizione ordinaria, consiste nell’approvazione della graduatoria definitiva della selezione concorsuale.
Con la conseguenza che i provvedimenti attuativi di detto provvedimento appartengono già alla fase del rapporto di impiego privatizzato. Dunque, indubbiamente l’atto costitutivo del rapporto di lavoro, consistente oggi non nella "nomina", ma nella stipulazione del contratto di lavoro, ha natura privatistica ed ogni controversia scaturente dall’assunzione va proposta davanti al giudice ordinario.
Per la verità, questa conclusone è pacificamente già accettata. Il problema della giurisdizione non riguarda, tuttavia, il soggetto individuato come primo in graduatoria, col quale l’ente stipula il contratto, ma semmai la tutela delle posizioni di chi, pur essendo piazzato utilmente in graduatoria, non sia assunto, per presunte lesioni della sua posizione giuridica soggettiva.
Occorre, infatti, stabilire quali tutele apprestare a questi soggetti e non solo a coloro che siano assunti dall’ente. Sono, infatti, i primi a ricevere un pregiudizio, qualora nella fase procedurale concorsuale, ma anche nella successiva della costituzione del rapporto di lavoro, subentri un vizio che conduca l’ente a stipulare il contratto con un soggetto non avente diritto. A quale giudice rivolgersi?
Le S.U. forniscono una risposta corretta, ma parziale. In premessa la sentenza sancisce che la devoluzione al giudice ordinario di tutte le controversie relative ai rapporti di lavoro riguarda qualsiasi fase di gestione del rapporto di lavoro. Di conseguenza, opera la giurisdizione ordinaria anche in merito a tutte le vicende non solo costitutive, bensì anche modificative, del rapporto di lavoro. Comprese, dunque, le procedure finalizzate alla progressione in carriera anche se realizzate mediante selezioni di tipo concorsuali. La conseguenza da mettere in rilievo, a questo punto, è che non solo le vertenze relative alle progressioni orizzontali appartengono alla cognizione del giudice ordinario, ma anche quelle pertinenti alle progressioni verticali. Infatti, queste determinano una modificazione rilevante del rapporto di lavoro, che fa scaturire una vera e propria novazione oggettiva del contratto di lavoro. Però, osservano le S.U. dette selezioni riguardano personale che è già dipendente della pubblica amministrazione: da qui l’attrazione della fattispecie al genere delle controversie relative ai rapporti di lavoro già in corso e non alle procedure concorsuali per l’assunzione.
Questa conclusione cui pervengono le S.U. non appare, però, del tutto conclusiva. La disciplina delle progressioni verticali, infatti, secondo le disposizioni della contrattazione collettiva deve rispettare i principi previsti dall’articolo 35 del D.lgs 165/2001, relativo alle assunzioni del personale. Inoltre, la copertura dei posti mediante progressione verticale è alternativa all’assunzione dall’esterno. E’, insomma, una nuova fattispecie costitutiva di un rapporto di lavoro che si sostituisce al concorso interno. Sicchè, il dipendente che accede al posto in progressione verticale, pur essendo appunto già in costanza di rapporto di lavoro con l’ente, stipula un vero e proprio nuovo contratto di lavoro, dai contenuti completamente differenti rispetto a quello in corso, non fosse altro perché assurge ad una categoria professionale e alle correlative responsabilità e competenze, superiori a quelle in godimento. Se le cose stanno come ritengono le S.U., allora un dipendente di un ente, che partecipi ad un concorso pubblico indetto da un altro ente dovrebbe comunque rivolgersi sempre e comunque al giudice ordinario, in quanto la procedura selettiva sarebbe, nei suoi confronti, una vicenda gestionale del proprio rapporto di lavoro già in corso.
Ma in ogni caso, anche accettando l’interpretazione delle S.U. si nota, come rilevato sopra, che essa fornisce una risposta solo parziale alle esigenze di tutela, ancora una volta con riferimento esclusivamente a chi sia già dipendente di un ente.
Nel caso di specie esaminato dalla sentenza, infatti, le S.U. hanno potuto concludere per la giurisdizione ordinaria, vertendosi in tema di conferimento di incarico dirigenziale ad un dirigente di un azienda sanitaria. In effetti, nel caso specifico, l’assegnazione (o la mancata assegnazione dell’incarico) è intervenuta come vicenda gestionale del rapporto di lavoro in corso, per altro nell’ambito di una procedura selettiva sui generis. Infatti, la normativa speciale disciplinante l’assegnazione di detti incarichi nelle asl prevede che la selezione consista nell’individuazione, da parte di una commissione, previo colloquio e valutazione del curriculum, dei soggetti dotati dell’idoneità per espletare l’incarico. Ma detta selezione non si chiude con una graduatoria di merito a punteggi, che in sostanza vincola l’ente ad assegnare l’incarico al primo. Infatti, l’incarico viene poi assegnato dal direttore generale che lo attribuisce a quel dirigente da lui individuato tra gli idonei in base ad un altro processo valutativo, di tipo non più selettivo, ma legato a valutazioni proprie e discrezionali.
In questo caso, effettivamente, la posizione di tutti gli idonei può essere qualificata, come le S.U. dispongono espressamente, come diritto al conferimento dell’incarico dirigenziale, in quanto tutti costoro possiedono i requisiti a tale fine. Sicchè, l’incarico affidato dal direttore generale può essere messo in discussione sotto il profilo del merito e non della semplice legittimità.
La ricostruzione della posizione degli idonei come diritto e non solo come interesse legittimo sia pure pretensivo, è molto utile anche ai fini dell’individuazione della giurisdizione nei casi di selezioni per l’assegnazione degli incarichi a dirigenti con contratto a tempo determinato, generalmente effettuate secondo uno schema procedurale molto simile a quello previsto dalla normativa per l’assegnazione degli incarichi dirigenziali nel ruolo sanitario. Pertanto, l’aspirante – anche non dipendente da una pubblica amministrazione – giudicato idoneo, ma col quale l’ente non abbia stipulato il contratto in quanto gli abbia preferito altro concorrente, può vantare un diritto all’assunzione e reclamare l’ampia tutela anche di merito del giudice ordinario. Ma tale tutela è davvero ampia nella misura in cui il giudice intervenga sull’atto di costituzione del rapporto di lavoro, annullandolo o accertando la sua nullità. Un semplice risarcimento del danno non apparirebbe sufficiente.
Questa ricostruzione, però, non funziona nel caso di concorso pubblico per l’assunzione dall’esterno. Infatti, difficilmente può considerarsi "diritto soggettivo" la posizione del concorrente giunto secondo o terzo in graduatoria. In questo caso, infatti, la sua richiesta di tutela riguarda la pretesa al regolare svolgimento della prova concorsuale per giungere all’eventuale modifica della graduatoria. Non pare possa trattarsi di una controversia concernente l’assunzione al lavoro, attivabile da chi è stato assunto o da chi sia stato considerato idoneo all’assegnazione di un incarico in una prova selettiva para concorsuale.
Appare chiaro, allora, che per la fattispecie concorsuale la giurisdizione ordinaria non sembra affatto pacifica.
Vi è, inoltre, un ulteriore aspetto della sentenza estremamente interessante che riguarda la natura degli incarichi dirigenziali. Secondo le S.U. essi non sono atti di alta amministrazione, ma atti di diritto privato. Pertanto, gli incarichi dirigenziali a loro volta sono soggetti alla giurisdizione ordinaria, rientrando a pieno titolo nella previsione di cui all’articolo 63, comma 1, del D.lgs 165/2001.
Le S.U. fondano questa conclusione sull’osservazione che gli articoli 2 e 4 del D.lgs 29 /1993 (oggi articoli 2 e 5 del D.lgs 165/2001) rispettivamente riservano alla potestà amministrativa la definizione delle linee fondamentali dell’organizzazione, compresa l’identificazione degli uffici di maggior rilievo, la specificazione delle procedure necessarie per accedervi e la determinazione delle relative dotazioni organiche, incombenze alle quali gli organi di indirizzo adempiono mediante i regolamenti di organizzazione; mentre le medesime norme stabiliscono che nell’ambito della legge e degli atti organizzativi assunti nell’esercizio della potestà organizzativa, tutte le determinazioni per l’organizzazione concreta degli uffici e tutte le misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro sono assunti dagli organi preposti alla gestione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro". Poiché, allora, il conferimento dell’incarico dirigenziale si pone nell’ambito dell’area gestionale del rapporto di lavoro, esso costituisce esercizio di un potere privato.
La ricostruzione operata dalle S.U. da un lato ha il pregio di ricondurre ad unità la disciplina sostanziale con quella processuale. Ma si basa su considerazioni che non sembrano appaganti.
In primo luogo, infatti, non tiene conto che gli atti di conferimento di incarichi di livello dirigenziale generale, nello Stato avvengono con decreti del Presidente della Repubblica o del presidente del Consiglio ei Ministri; negli enti locali con provvedimenti del Sindaco. E questa osservazione è fondamentale per rilevare il punto critico della ricostruzione operata dalla Cassazione: la gestione dei rapporti di lavoro con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro è assegnata, non a caso, dall’articolo 5, comma 2, del D.lgs 165/2001 "agli organi preposti alla gestione". Ma non deve sfuggire che detti organi, in applicazione del principio di separazione delle competenze tra organi di governo ed organi gestionali, pure disposto con evidenza dall’articolo 4 del D.lgs 165/2001, sono i dirigenti, gli organi "burocratici" e non gli organi di governo, le cui competenze sono l’indirizzo ed il controllo e non la materiale e concreta gestione.
Dunque, per affermare che gli incarichi dirigenziali non sono atti amministrativi ma gestionali, occorre preliminarmente affermare anche che gli organi di governo hanno la competenza ad assumere atti gestionali del rapporto di lavoro. Ma detta conclusione sarebbe assolutamente in contrasto col dettato degli articoli 4 e 5, comma 3, del D.lgs 165/2001, e, negli enti locali, con l’articolo 107 del D.lgs 267/2000.
A meno di non interpretare l’articolo 4, comma 1, lettera e), del D.lgs 165/2001, a mente del quale sono di competenza degli organi di governo le "nomine", come eccezione al principio di separazione, tale da attrarre nella competenza di indirizzo e controllo l’assegnazione degli incarichi.
Anche questa conclusione, tuttavia, sarebbe in contrasto con l’articolo 5, comma 3, del medesimo decreto legislativo. Inoltre, non apparirebbe del tutto corretta, giacchè, come le stesse S.U. hanno osservato, il rapporto di lavoro non si costituisce né si modifica mediante la "nomina", bensì attraverso il contratto di lavoro, La "nomina", del resto, è certamente atto unilaterale: nel precedente regime normativo, infatti, l’assunzione al lavoro non era atto negoziale, ma atto assunto unilateralmente dall’amministrazione nell’esercizio della sua posizione di supremazia speciale nei confronti del dipendente.
Le S.U. allora hanno messo in rilievo che la volontà del legislatore consiste nell’andare ad un’omogeneizzazione totale della disciplina del rapporto di lavoro pubblico con quella del lavoro privato. Ma finchè il legislatore non risolverà l’equivoco della situazione giuridica dei partecipanti ai concorsi pubblici, nonché della natura degli atti di conferimento di incarichi dirigenziali, l’interpretazione dominante favorevole alla completa devoluzione alla giurisdizione ordinaria delle vertenze relative alle assunzioni agli impieghi ed al conferimento degli incarichi dirigenziali appare, ancora, non sufficientemente supportata dalle norme vigenti.