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RICCARDO NOBILE
Le
competenze dei dirigenti degli enti locali territoriali ed il sindaco-ufficiale
di governo nel D.Lgs. 18/8/2000 n. 267.
Un tentativo di riconduzione ad unità
del sistema.
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1.Introduzione.
La
problematica della competenza dei dirigenti negli enti locali territoriali è
specie del più ampio genere che vede contrapposti gli “atti di gestione”,
funzionalmente attribuiti agli apparati burocratici, agli
“atti di governo”, ascritti in modo del tutto analogo agli organi di
estrazione politica degli enti locali territoriali[1].
L’endiadi “atti di governo” - “atti di gestione” non è
nuova per l’ordinamento: essa costituisce infatti il leit motive che
sostanzia il più ampio principio di separazione fra organi politici ed organi
burocratici, immanente all’ordinamento giuridico a partire dal D.Lgs. 3/2/1993
n. 29 [2].
Il principio, a ben vedere non nuovo neppure alla legge 8/6/1990
n.142 [3]
[4],
è stato prima ribadito de plano dall’art 27, comma 9 del D.Lgs.
25/2/1995 n. 77 nella sua formulazione originaria [5],
e poi definitivamente trasfuso nella legge n. 25/5/1997 n. 127 [6],
con cui è stato modificato, per quanto qui interessa, proprio l’art. 51 della
legge 8/6/1990 n. 142, consolidando in
capo alla dirigenza degli enti locali territoriali la competenza all’adozione
degli atti di gestione.
Sull’intera vicenda è intervenuto più volte il legislatore,
dapprima con il D.Lgs. 31/3/1998 n. 80, in seconda battuta con la legge n.
18/6/1998 n. 191, ed in ultima istanza con la legge n. 31/8/1999 n. 265.
Con il primo per
ribadire che le competenze all’adozione di atti di gestione prima ascritti
agli organi di governo dovevano ritenersi attribuiti tout court alla
dirigenza. Con la seconda, per evidenziare che rientrano nella competenza dei
dirigenti degli enti locali territoriali anche talune categorie di
provvedimenti, fra cui gli atti di
vigilanza del territorio in materia urbanistica, nonché i provvedimenti di
demolizione ed in genere i provvedimenti repressivi in subiecta materia.
Con la terza per espungere dall’ordinamento la deliberazione a contrattare, di
competenza giuntale, per sostituirla con la più agevole omonima determinazione,
di competenza del dirigente [7].
Nonostante l’intendimento del legislatore, definitivamente
chiarito con il D.Lgs. 31/3/1998 n. 80, non sono mancate vere e proprie
involuzioni in materia, quali la previsione che gli organi di governo
dell’ente locale possano assumere impegni di spesa, nel qual caso le relative
deliberazioni devono essere munite del prescritto parere di regolarità
contabile da parte del responsabile del servizio finanziario [8]
o, cosa ancor più grave, che nei comuni con popolazione inferiore a 3000
abitanti il sindaco e gli assessori possano adottare atti di gestione in qualità
di responsabili dei servizi [9],
previa modifica del regolamento per la disciplina degli uffici e dei servizi.
Il problema cui si allude è,
evidentemente, quello della demarcazione dei confini fra attività di gestione
ed attività di governo. Nell’individuazione dell’estensione delle due
specie di attività, a ben vedere, possono essere seguite due metodologie
concettualmente differenti. Secondo una prima opzione, ognuna delle due specie
di attività presenta caratteristiche peculiari sue proprie, talché la
demarcazione fra di esse può essere declinata correttamente solo ricostruendo
l’esatta natura dell’una e dell’altra. Secondo un’opzione alternativa,
per contro, è sufficiente individuare l’estensione di una delle due attività,
per inferire, a contrario, l’ambito dell’altra, poiché entrambe sono
mutuamente esclusive e congiuntamente esaustive.
Fra le due opzioni di metodo delineate,
quella da seguire è sicuramente la seconda.
Ciò può essere mostrato osservando che
il legislatore, sin dall’art. 3 del D.Lgs. 3/2/1993 n. 29, ha inteso proprio
contrapporre le due tipologie di attività, definendo esemplificativamente le
attività di gestione, ed enucleando l’attività di governo in termini di
indirizzo politico e di controllo sull’attività degli apparati burocratici.
Fatta questa premessa, diviene evidente che tutte le attività che
non sono riconducibili alle categorie dell’attività di indirizzo e
programmazione, da un lato, ed all’attività di controllo sul conseguimento
degli obiettivi ascritti ai responsabili della gestione, dall’altro, sono
attività non di governo, ma gestionali, e come tali sottratte alla competenza
degli organi politici.
Per gli enti locali territoriali, in particolare, la tesi che si
vuole accreditare è confermata testualmente dall’art. 107, comma 3 del D.Lgs.
18/8/2000 n. 267, il quale individua le competenze dei dirigenti in modo non
tassativo, ma esemplificativo [13].
L’art. 107, comma 3 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267 è quindi di particolare
importanza sia per ciò che evoca, sia per ciò che indica.
Gli elementi di incongruenza che emergono dall’insieme dei rinvii
sono vari.
In questa sede non importa tanto mostrare quali siano gli errori di
stile nei quali è incorso il legislatore [14],
quanto piuttosto evidenziare due ordini di considerazioni.
In primo luogo, deve esser rimarcato con forza che l’art. 107,
comma 5 del D.Lgs. n. 18/8/2000 n. 267 esprime una norma sul riparto di
competenze che, nel fare riferimento all’art. 50, comma 3, rinvia ad una
normativa sub-primaria che non può in alcun modo derogare al modo di ripartire
le competenze fra organi di governo ed organi burocratici[15].
Infatti, che lo statuto ed i regolamenti dell’ente locale, espressamente
menzionati dalla norma di rinvio, possano derogare all’assetto delle
competenze è tesi del tutto destituita di fondamento; e ciò sia che si ammetta
che lo statuto è fonte ultralegislativa con riferimento alle norme non di
principio[16],
sia che si ammetta più pianamente che lo statuto è un atto puramente e
semplicemente a natura regolamentare, e come tale affatto subordinato alla legge[17].
Così, dal primo punto di vista, lo statuto, ed a fortori i
regolamenti, non possono derogare alle norme sul riparto di competenze e quindi
al principio di separazione per l’ovvia ragione che tale materia è essa
stessa ascritta a norme di principio [18].
Dal secondo punto di vista, per contro, l’immodificabilità
discende pianamente dal rango subprimario dello statuto e dei regolamenti
dell’ente locale rispetto alla legge, alla quale sola compete la
regolamentazione del principio di separazione fra attività di indirizzo,
riservata agli organi di governo, ed attività di gestione, ascritta in via
esclusiva alla dirigenza.
Quanto appena elucidato rende immediatamente evidente che il
richiamo all’art. 50, comma 3 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267 operato dal
successivo art. 107, comma 5 è del tutto ultroneo, e, come tale, privo di
conseguenze giuridiche in tema di riparto delle competenze fra organi di
gestione ed organi di governo.
In secondo luogo, e questo è il problema che più propriamente
interessa il presente lavoro, deve essere sottoposto ad attenta esegesi
logico-giuridica l’art. 54 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267, per verificare, anche
alla luce del precedente art. 14, quale sia il modo nel quale il sindaco
esercita le proprie funzioni in qualità di ufficiale di governo.
3. L’analisi dell’art. 54 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267.
Il
problema evocato dall’interpretazione dell’art. 54 del D.Lgs. 18/8/2000 n.
267 è di principio, e, come tale, trasversale a tutte le funzioni che il
sindaco esercita in qualità di ufficiale di governo.
In considerazioni di ciò, è di tutta evidenza che il problema
della separazione dell’attività di indirizzo dall’attività di gestione, e
quindi il problema della separazione delle competenze, debba essere affrontato e
risolto in modo netto e possibilmente inequivoco.
L’analisi che qui interessa riguarda propriamente il comma 1
dell’art. 54, giacché le sue restanti articolazioni non presentano elementi
di criticità ordinamentale di sorta in quanto che la competenza sindacale in
materia di ordinanze contingibili ed urgenti sia impermeabile rispetto alle
competenze dei dirigenti [19] è cosa che mai è stata
revocata in dubbio. Infatti, la disposizione oggetto di rinvio che tratta degli
atti contingibili ed urgenti adottabili dal sindaco in applicazione di una norma
di chiusura dell’ordinamento, e nel rispetto dei principi fondamentali
dell’ordinamento giuridico, è fattispecie che con la separazione delle
competenze nulla ha a che fare [20].
Per contro, non è immediatamente evidente come il sindaco debba o
possa intervenire per assicurare l’esercizio delle funzioni delegate dallo
stato, e nelle quali egli agisce non in qualità di capo dell’amministrazione
locale, ma in quanto ufficiale del governo, e, come tale, immedesimato
organicamente nell’amministrazione dello stato.
Le materie nelle quali in sindaco agisce in qualità di ufficiale
del governo sono molteplici, variamente normate, e comunque menzionate
espressamente dal combinato disposto degli artt. 14 e 54 del D.Lgs. 18/8/2000 n.
267. Più in particolare, il sindaco agisce nella qualità de qua nelle
materie in cui si articolano i servizi elettorali, di stato civile, di anagrafe,
di leva militare, di statistica, nonché di ordine pubblico e di sicurezza
pubblica, di pubblica sicurezza e di polizia giudiziaria nei limiti indicati
dalla legge.
Dall’analisi dell’art. 54, comma 1 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267,
e dal suo confronto con i successivi commi 2 e 3, si evince che il legislatore
ha inteso differenziare i settori in cui il sindaco opera in qualità di
ufficiale di governo in due grossi ambiti, solo nel secondo dei quali è
ammissibile l’adozione di atti e provvedimenti amministrativi in modo diretto.
Il caso a cui si allude è rappresentato, in primo luogo, dalla
ordinanze contingibili ed urgenti tradizionalmente note come provvedimenti
amministrativi che il sindaco adotta in casi in cui, nel solo rispetto dei
principi fondamentali dell’ordinamento [21]
non sia possibile provvedere in altro modo previsto per fare fronte ad eventi
non previsti, né prevedibili [22].
Il caso cui si fa riferimento è poi, in secondo luogo, quello
delineato dall’art. 54, comma 3 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267, che riproduce
quanto già previsto dall’art. 38, comma 2 bis della legge 8/6/1990 n.
142, nel testo modificato dall’art. 11, comma 16 della legge 31/8/1999 n. 265,
in materia di emergenze connesse all’inquinamento atmosferico o acustico.
In tutti i restanti casi, ossia in quelli di cui al combinato
disposto degli artt. 14 e 54, comma 1 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267, al sindaco
sono attribuiti, secondo la lettera della legge, non l’adozione di atti o di
provvedimenti amministrativi, ma sole funzioni di sovrintendenza [23]
all’esercizio delle relative funzioni, di cui il sindaco stesso è peraltro
titolare. Le funzioni di sovrintendenza cui fa esplicito riferimento il
legislatore attengono, di volta in volta, ad attività formalmente rilevanti,
nelle quali è prevista l’adozione di atti o provvedimenti amministrativi,
ovvero attività materiali, nelle quali rilevano, per contro, meri
comportamenti.
Fatta la suddetta premessa, ciò che si intende evidenziare è che,
nonostante la sua formulazione solo
apparentemente ambigua, l’art. 107, comma 5 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267, non
ha sottratto alla competenza dei dirigenti l’adozione degli atti e dei
provvedimenti che devono essere adottati per garantire il soddisfacimento e la
gestione delle funzioni di competenza statale demandate all’ente locale nella
persona del sindaco.
Il sindaco, secondo il modello organizzatorio che si propone, è sì
titolare delle funzioni ascrittegli in qualità di ufficiale di governo, ma non
le può gestire con assunzione ed adozione in via diretta e personale dei
relativi provvedimenti, salvi i soli casi di cui ai commi 2 e 3 dell’art. 54
del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267.
La gestione in concreto delle relative funzioni, pertanto, deve
essere coniugata con il principio di separazione fra le attività di indirizzo e
controllo politico, da un lato, e le attività di gestione, dall’altro. Il
sindaco, che, giova ripeterlo, è titolare delle funzioni demandategli in qualità
di ufficiale di governo, salvi i poteri di sovrintendenza sul loro esercizio,
non può che gestirle attraverso i dirigenti o i titolari delle posizioni
organizzative [24]
da lui autonomamente nominati ai sensi dell’art. 50, comma 10 del D.Lgs.
18/8/2000 n. 267.
In definitiva, il riparto delle competenze fra organi di governo -
e quindi anche del sindaco in qualità di ufficiale di governo - e dirigenti è
riservato alla legge ed ad essa sola, con la conseguenza che lo statuto ed i
regolamenti possono solo indicare come le competenze delle due tipologie di
organi sono esercitabili, talché se la legge ed essa sola è il topos
della titolarità della competenza - e quindi unico momento della legittimazione
-, la normativa sublegislativa endocomunale può essere solo il suo modus.
La sistematica che inerisce alla materia de qua può essere
ricondotta ad unità osservando poi che qualunque disposizione antecedente
all’entrata in vigore del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267 che prevedesse la competenza
all’adozione di atti di gestione da parte di un organo di governo - e quindi
anche del sindaco - deve essere
intesa siccome de iure riferita al dirigente. L’effetto del principio
così enucleato è evidente. Tutte le disposizioni normative che individuavano
nel sindaco l’organo competente all’adozione di un determinato provvedimento
subiscono gli effetti mutanti voluti dal legislatore.
La modificazione dell’assetto delle competenze, poi, può essere
disposta solo dal legislatore in modo esplicito, e solo per determinate materie,
in applicazione dell’art. 107, comma 4 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267, ma ciò
solo per fattispecie tali nominate e solo temporalmente dopo l’entrata in
vigore della normativa da ultimo citata.
Ciò che si intende evidenziare è che il legislatore ben può
attribuire al sindaco la competenza funzionale all’adozione di atti e
provvedimenti amministrativi, posto che il principio della necessaria
separazione fra attività di gestione ed attività di governo non sembra godere
di un’esplicita copertura costituzionale, anche se è di indubbia evidenza che
sia espressione del buon andamento e dell’imparzialità dell’azione
amministrativa di cui all’art. 97 Cost [25].
In questa direzione ha operato il legislatore, ad esempio, con
l’art. 4 bis del D.P.R. 20/3/1967 n. 223 nel testo modificato
dall’art. 26 della legge 24/11/2000 n. 340, che ha demandato al sindaco dei
comuni con popolazione inferiore ai 15.000 abitanti la titolarità
dell’ufficio elettorale in luogo della Commissione elettorale comunale per la
tenuta e l’aggiornamento delle liste elettorali [26].
![]()
[1] Della competenza dei dirigenti degli enti locali nella vigenza del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267 si è già avuto modo di trattare in un precedente apporto: Nobile, La competenza dei dirigenti negli enti locali territoriali dopo il D.Lgs. 18/8/2000 n. 267 fra autoreferenzialità e contraddizioni. Un tentativo di soluzione
[2]
Per chiarezza, ed anche perché è stata la prima disposizione normativa in
subiecta materia vale la pena di riportare il testo dell’art.3, commi
1 e 2 del D.Lgs. 3/2/1993 n.
29: “Gli organi di governo definiscono gli obiettivi ed i programmi da
attuare e verificano la rispondenza dei risultati della gestione
amministrativa alle direttive generali impartite. Ai dirigenti spetta la
gestione finanziaria, tecnica e d amministrativa, compresa l’adozione di
tutti gli atti che impegnano l’amministrazione verso l’esterno, mediante
autonomi poteri di spesa, di organizzazione delle risorse umane e
strumentali e di controllo. Essi sono responsabili della gestione e dei
relativi risultati”.
[3]
La formulazione originaria dell’art. 51 della legge 8/6/1990 n.142
consentiva di introdurre per via statutaria o regolamentare il principio di
separazione di cui è caso. La normativa attuale, ed in primis la
legge n. 25/5/1997 n. 127, lo hanno introdotto senza la mediazione di atti
regolamentari dell’ente locale territoriale, i quali semmai disciplinano
non il se, ma il come dell’esercizio delle competenze gestionali dei
dirigenti.
[4]
La norma rilevante era allora l’art. 51, comma 3 della legge 8/6/1990 n.
142, secondo la quale “spettano ai dirigenti tutti i compiti, compresa
l’adozione di atti che impegnano l’amministrazione verso l’esterno,
che le legge e lo statuto non riservino espressamente agli organi di governo
dell’ente”.
[5]
La norma ribadiva sostanzialmente il principio secondo cui il passaggio
della competenza all’adozione di atti di gestione da parte dei
responsabili dei servizi era mediato dall’adozione di regolamenti, e più
precisamene del regolamento di contabilità: “il regolamento di contabilità
disciplina le modalità con le quali i responsabili dei servizi ….
assumono atti di impegno”.
[6]
La legge 25/5/1997 n. 127 equipara ai fini che qui interessano i dirigenti,
tali perché contrattualizzati, ai responsabili di servizio, i quali
nell’attuale assetto delle qualifiche professionali, sono ascritti, di
regola al percorso “D”- essendo ex 7^ od 8^ livelli nella logica
delle pregresse qualifiche funzionali.
[7]
Sulla vicenda è intervenuto a scopo chiarificatorio il Ministero
dell’interno, il quale con le proprie circolari in materia ha evidenziato
più volte che la competenza all’adozione degli atti di gestione da parte
dei vertici burocratici degli enti locali trova il proprio titolo
direttamente nella legge, e non richiede affatto l’intermediazione di atti
di fonte regolamentare comunque connotati. La tesi è da condividere
appieno, giacché in subiecta materia il legislatore ha sempre
parlato di competenze attribuite, con ciò volendo proprio denotare e
connotare l’immediatezza della fonte del passaggio delle competenze.
[8]
La giustificazione della deroga al generale principio secondo cui gli
impegni di spesa sono atti di competenza dirigenziale è raffazzonata: la
tesi secondo cui in caso contrario si renderebbe necessaria l’adozione di
due provvedimenti distinti, uno di indirizzo ed uno di impegno
non può essere obliterata da mere ragioni pratiche. Il diritto ha a
che fare con il dover essere, e non con un essere che tale si presenta in
casi marginali, quasi sempre dovuti alla mancanza di reale capacità di
programmazione da parte degli organi di governo. I casi cui si intende porre
rimedio con questo vero e proprio svarione logico-giuridico, sono i soliti
casi di confine: le resistenze in giudizio, l’attribuzione di contributi et
similia. Quanto alla rappresentanza in giudizio dell’ente, gli enti
locali devono dettare norme specifiche in sede statutaria ai sensi
dell’art. 6, comma 2 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267. Il criterio più
ragionevole in subiecta materia sembra essere quello di riservare
agli organi di governo la competenza a promuovere e resistere a giudizi
avverso i propri atti, lasciando i singoli dirigenti liberi se resistere o
meno in giudizio avverso i propri provvedimenti determinativi ovvero gli
altri provvedimenti comunque denominati purché di loro competenza ai sensi
dell’art.107, comma 3 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267. In questo senso, del
resto, si esprime l’art. 16 del D.Lgs. 3/2/1993 n. 29 con riferimento alle
prerogative dei direttori generali delle amministrazioni dello stato ed ai
soggetti ed essi equiparati.
[9]
Una vera e propria involuzione normativa è quella che è stata di decente
consumata con l’approvazione dell’art. 53, comma 23 della legge
28/8/2000 n. 338, con la quale il legislatore ha consentito di demandare la
responsabilità dei servizi agli assessori ed al sindaco nei comuni con
popolazione inferiore ai 3000 abitanti. Su tutto ciò, Nobile, I
responsabili dei servizi nei comuni con popolazione inferiore a 3000
abitanti fra il D.Lgs. 18/8/2000 n. 267 e la legge 23/12/2000 n. 388. Una
querelle mai sopita, in “www.giust.it”, 2001, Barusso, Competenze
gestionali a sindaco ed assessori, in “Prime note”, 2001, 184,
Nobile, I responsabile dei servizi nei comuni con popolazione inferiore a
3000 abitanti fra il D.Lgs. 18 agosto 2000 n. 267 e la legge 23 dicembre
2000 n. 388. L’art. 53, comma 23 introduce un’irrazionale, incoerente e
contraddittoria deroga al principio di separazione delle competenze, in
“Prime note, Livorno, 2001, 189, Maccapani, Commento all’art. 53,
comma 23 della legge 338/2000, in “Prime note” 2001, 181 .
[10]
Nel corso del lavoro non si intende usare la locuzione “testo unico”
volutamente e di proposito, in quanto il D.Lgs. 18/8/200 n. 267 è ben lungi
dal condividere la natura che a tale forma compilativa si addice così come
previsto dalla relativa legge-delega..
[11]
Quando il sindaco opera in qualità di ufficiale di governo, il principio di
immedesimazione organica che lo avvince rende imputabile la sua attività
non al comune, ma direttamente allo stato. Ciò rende particolarmente
attuale il problema se nelle materie de quibus il titolare della
funzione ne sia anche il gestore in via provvedimentale.
Sulla figura
del sindaco in qualità di ufficiale del governo la letteratura è ampia.
Per tutti, Virga, L’amministrazione locale, Giuffrè, Milano, 1991,
133; Vandelli, Ordinamento delle autonomie locali 1990 – 2000. Dieci
anni di riforme, Maggioli, Rimini, 2000, 940; Sorge, Il governo
dell’ente locale. Attribuzioni e competenze del sindaco e della giunta,
in “Comuni d’Italia”, 1999, 1343; Alberti, Il sindaco ufficiale del
governo. Storia e problemi, Giappichelli, Torino, 1994, 108; Marchese, Il
sindaco quale località locale di p.s. nella normativa vigente, “Nuova
rass.”, 1993, 2393.
Nella vigenza
del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267, delle funzioni del sindaco in qualità di
ufficiale del governo si occupano gli artt. 14 e 54. Per un commento
sistematico in subiecta materia, AA.VV., Commento al Testo Unico
in materia di ordinamento degli enti locali, Maggioli, Rimini, 2000, 133
e 238.
[12]
Non è questa la sede per discutere se tutta una serie di provvedimenti che
sono demandati alla competenza degli organi di governo siano davvero atti
non di gestione. Per tutti, vale la pena di menzionare l’approvazione
delle progettazioni esecutive di opera pubblica, alle quali tutto è
proprio, fuorché la natura di atti a contenuto politico.
[13]
Secondo l’art. 107, comma 3 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267, “Sono
attribuiti ai dirigenti tutti i compiti di attuazione degli obiettivi e dei
programmi definiti con gli atti di indirizzo adottati dai medesimi organi
(… gli organi di governo di cui al comma precedente …) tra i quali, in
particolare ……”
[14] Per una loro compiuta analisi, Nobile, La competenza dei dirigenti negli enti locali territoriali dopo il D.Lgs. 18/8/2000 n. 267 fra autoreferenzialità e contraddizioni. Un tentativo di soluzione.
[15]
I dirigenti ed i responsabili di servizio sono veri e propri organi
dell’ente locale territoriale, in quanto, in forza del principio di
immedesimazione organica, formano la volontà dell’ente nel quale sono
strutturati.
[16]
E’ questa la tesi cosiddetta “municipalista”, secondo la quale lo
statuto, con il solo rispetto delle norme di principio ora espresse dal
D.Lgs. 18/8/2000 n. 267 – ma i discorso era sostanzialmente lo stesso
nella vigenza della legge 8/6/1990 n. 142 -, ha efficacia derogatoria
rispetto alla legge ordinaria, prevalendo su di essa ratione materiae,
in quanto rinveniente il proprio fondamento non nella legge, ma direttamente
nel combinato disposto degli artt. 5 e 128 Cost., con l’effetto di
abrogare implicitamente l’art. 4 delle disposizioni preliminari al codice
civile (le “preleggi”). Per tutti si veda Vandelli, Ordinamento delle
autonomie locali, Maggioli, Rimini, 2000, 145.
[17]
Lo statuto, in realtà, ha il proprio fondamento non nella norma
costituzionale, ma nella legge, e più propriamente nell’art. 6 del D.Lgs.
18/8/2000 n. 267. La sua natura giuridica è di tipo regolamentare e solo
per scelta legislativa, sovraordinato ai regolamenti propriamente e
tradizionalmente detti. Esso in quanto sott’ordinato alla legge non deroga
affatto all’art. 4 delle “preleggi”, con la conseguenza che soggiace
sia alla legge, sia ai regolamenti governativi come tutti i regolamenti
locali.
[18]
Secondo l’art. 107, comma 4 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267 “Le attribuzioni
dei dirigenti, in applicazione del principio di cui all’art. 1, comma 4,
possono essere derogate soltanto espressamente e ad opera di specifiche
disposizioni legislative”.
[19]
D’ora in poi il riferimento ai vertici burocratici dell’ente locale sarà
attualizzato in riferimento ai soli dirigenti contrattualizzati. Nelle realtà
locali in cui tali figure mancano, le loro attribuzioni sono disbrigate dai
responsabili dei servizi, che il sindaco nomina ai sensi del combinato
disposto degli artt. 50, comma 10 e 109, comma 1 del D.Lgs. 18/8/2000 n.
267.
[20]
Per contro, molto hanno a che fare con la problematica de qua i
cosiddetti atti urgenti e necessitati, i quali non hanno il loro fondamento
nei poteri di ordinanza di cui è caso. Negli atti necessitati, la norma
legittimante la loro adozione indica con precisione che cosa deve essere
fatto allorché si verifichi la necessità urgente di procedere e
provvedere, talché il loro contenuto è precostituito dalla legge. L’atto
necessitato, pertanto, è un atto di gestione di competenza del dirigente
preposto al plesso interessato. Diverso concettualmente è il caso del
potere di ordinanza, nel quale alla necessitas urgens di procedere e
provvedere si fa fronte mediante un provvedimento amministrativo il cui
contenuto non è previsto in modo specifico da alcuna norma giuridica, talché
l’ordinanza “od è emessa
in deroga al diritto, nel senso che il provvedimento viene adottato per la
disciplina di una fattispecie non espressamente prevista dall’ordinamento
(ed a questo proposito si parla di residualità delle ordinanze
d’urgenza), ovvero essa viene adottata in deroga a specifiche norme che
prevedono per quella fattispecie, in condizioni di ‘normalità’, una
differente disciplina. In vario senso, quindi, le ordinanze di urgenza hanno
carattere necessariamente derogatorio”. Su tutto ciò, testualmente,
Nobile, Note intorno al potere di requisizione della proprietà privata
ex art. 7 della legge di abolizione del contenzioso, in “Uff. tecn.”,
1990, 1410. Se le norme ascrittive dei poteri di ordinanza contingibile ed
urgente consentono di derogare, nell’ambito del relativo potere, ad un
numero tendenzialmente indeterminato di norme nel solo rispetto dei principi
generali dell’ordinamento, gli atti necessitati si limitano ad evidenziare
cosa in un caso in cui è necessario procedere con urgenza è possibile o
doveroso fare previa adozione di un provvedimento amministrativo, laddove è
evidente che esso non dispone in deroga a norme giuridiche, ma attualizza
per quella data fattispecie proprio il contenuto di una specifica norma. Su
tutto ciò, Rescigno, Ordinanza e provvedimenti di necessità e di
urgenza, in Novissimo Digesto, U.T.E.T., Torino, 1968, XII, 93.
[21]
In questo senso si è più volte espressa la Corte costituzionale investita
della questione di costituzionalità delle norme ascrittive del relativo
potere.
[22]
Sulle ordinanze contingibili ed urgenti la letteratura è davvero copiosa.
Per le dovute
precisazioni sul potere di ordinanza, Rescigno, Ordinanza e provvedimenti
di necessità e di urgenza, in Novissimo Digesto, U.T.E.T.,
Torino, 1968, XII, 89, nonché il fondamentale Giannini, Potere di
ordinanza e atti necessitati, in “giur.compl.cass.civ.”, 1948, XXVII,
386.
Per
l’analisi più specifica delle ordinanze contingibili ed urgenti,
Aimonetto, Le ordinanze del sindaco, Maggioli, Rimini, 1991; Nobile, Note
intorno al potere di requisizione della proprietà privata ex art. 7 della
legge di abolizione del contenzioso, in “Uff. tecn.”, 1990, 1409;
Virga, L’amministrazione locale, Giuffrè, Milano, 1991, 135.
[23]
Il concetto è ben compendiato da Iudicello, in Paolini-Saija-Santucci
(ed.), Il comune. Manuale sull’organizzazione, le attività, le
funzioni, Prime note, Livorno, 1999, 219, il quale osserva che mentre
nella logica dei testi unici il sindaco era destinatario dell’incarico di
svolgere le funzioni di ufficiale di governo sotto la sorveglianza delle
autorità superiori, “nel nuovo ordinamento il sindaco, invece, non e più
‘incaricato’, ma ‘sovrintende’ all’esecuzione dei servizi di
competenza statale. Nella differente formulazione adottata dal legislatore
della riforma deve cogliersi la scelta che distingue la responsabilità del
sindaco dall’effettiva esecuzione delle attività, che, invece, compete
alla struttura burocratica, non più sotto la direzione, ma nel rispetto
delle disposizioni della legge e dei regolamenti”.
[24]
I titolari di posizioni organizzative sono i soggetti indicati dall’art.
11 del c.c.n.l. del 31/3/1999 per il comparto enti locali, tuttora vigente
per la parte non modificata dal c.c.n.l. 1/4/1999 e dal successivo c.c.n.l.
14/9/2000.
[25] A proposito del principio di buon andamento ed imparzialità deve essere osservato che se è ovvio che l’attività della pubblica amministrazione è assoggettata alla legge, non meno ovvio è che la legge non può prevedere discipline particolari che inficino il principio di buon andamento ed imparzialità. Il soddisfacimento dei due principi, infatti, presuppone sì l’intervento del legislatore con atti aventi forza di legge, con ciò soddisfacendo quanto previsto dall’art. 97, comma 1, prima parte Cost. La norma, però, non può introdurre elementi di disturbo al buon andamento ed all’imparzialità dell’azione amministrativa, né può contenere elementi di irragionevolezza, a pena di contrastare con il principio di eguaglianza sancito dall’art. 3 Cost. nell’interpretazione che di esso è stata data dalla Corte costituzionale. Nel disegno complessivo attuato dalla Costituzione, la produzione normativa in materia di organizzazione degli uffici pubblici, infatti, non è fine a sé stessa, ma deve essere funzionalizzata ad assicurare “il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione”, determinando, fra l’altro, “le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari” (art. 97, comma 2 Cost.).
[26] La disposizione, proprio in considerazione di quanto evidenziato nella nota precedente, è fortemente criticabile, in quanto il legislatore avrebbe dovuto, in modo più coerente con il principio di separazione, puramente e semplicemente abolire la commissione elettorale tout court ed attribuire la titolarità del relativo ufficio al dirigente nominato dal sindaco ai sensi dell’art. 50, comma 10 del D.Lgs. 18/8/2000 n. 267, operante nell’ambito della sovrintendenza di cui all’art. 54, comma 1.
Il non aver proceduto in questo senso è un chiaro indice della confusione sulla materia, nella quale neppure il legislatore mostra di avere le idee chiare.