LexItalia.it  

 Prima pagina | Legislazione | Giurisprudenza | Articoli e note | Forum on line | Weblog

 

Giurisprudenza
n. 3/2005 - © copyright

TAR LOMBARDIA - BRESCIA - sentenza 23 novembre 2004 n. 1695 - Pres. Mariuzzo, Est. Tenca - ETHICON S.p.a. (Avv.ti M. Zoppellari e C. Bertoli) c. Azienda Ospedaliera “Istituti Ospedalieri di Cremona” (Avv. V. Avolio) e TYCO healtcare S.p.a. (Avv. P. Fidanza).

1. Giustizia amministrativa - Risarcimento del danno – Reintegrazione in forma specifica – Deve essere distinta dall’azione di adempimento.

2. Giustizia amministrativa - Poteri del giudice – Ordine di adempimento di un facere specifico – Con riferimento ai diritti soggettivi nelle materie attribuite alla sua giurisdizione esclusiva – Possibilità.

1. Lo strumento risarcitorio, sia per equivalente sia in forma specifica, si caratterizza per l’imposizione al debitore (rectius, all’amministrazione) di una prestazione diversa in sostituzione di quella originaria; se l’amministrazione era tenuta al rilascio di un determinato provvedimento, l’adozione di quell’atto costituisce il contenuto primario della prestazione cui la p.a. era appunto tenuta e non assume una funzione risarcitoria, attenendo bensì a profili di adempimento e di esecuzione.

2. Una volta individuato il contraente al termine della gara, la successiva formale stipulazione del contratto – che avviene normalmente mediante atto pubblico – assume carattere dovuto, indipendentemente dall’ulteriore questione della sua natura costitutiva o meramente riproduttiva della precedente manifestazione di volontà negoziale. Pertanto, se l’intervenuta aggiudicazione è fonte del diritto soggettivo del vincitore affinché si addivenga al perfezionamento del contratto, il Giudice amministrativo (nell’ambito della propria giurisdizione esclusiva) non deve limitarsi ad annullare il provvedimento impugnato, disponendo eventualmente il risarcimento del danno, ma può ordinare all’amministrazione – mediante azione di accertamento – un facere consistente nell’aggiudicazione a favore del soggetto che ha proposto il ricorso, risultandone vincitore (1).

horizontal rule

(1) Commento di

FABRIZIO GAVERINI
(Cultore della materia presso la cattedra di Diritto amministrativo
Università degli Studi di Brescia)

Reintegrazione in forma specifica, azione di adempimento e azione di accertamento: nuove prospettive per l’ottenimento del “bene della vita”.

horizontal rule

La sentenza oggetto del presente commento si inserisce all’interno del noto dibattito prodottosi all’esito dell’attribuzione al Giudice amministrativo, mediante l’art. 35 del D.Lgs. 80/98 e l’art. 7 della Legge 205/2000, della facoltà di conoscere – nell’ambito della sua giurisdizione – di tutte le questioni relative all’eventuale risarcimento del danno «anche attraverso la reintegrazione in forma specifica» [1]; dibattito orientato a stabilire se mediante la proposizione normativa in questione sia stato attribuito al Giudice amministrativo un nuovo potere, consistente nell’ordinare all’Amministrazione un facere specifico.

In materia, dunque, si sono contrapposte una pluralità di concezioni riguardanti il concetto ed il contenuto di tale forma risarcitoria, suddivise tra chi ha ritenuto che dovesse trattarsi di una nuova fattispecie di tipo pubblicistico e chi invece ne ha ricondotto l’essenza alle nozioni di diritto civile.

La tesi “pubblicistica” rapporta la reintegrazione in forma specifica non all’area del risarcimento, bensì all’annullamento dell’atto, ritenendo che in ogni domanda di annullamento di un provvedimento amministrativo sarebbe implicitamente compresa anche quella reintegratoria [2].

La preferibile tesi privatistica, invece, si è suddivisa in ulteriori due correnti volte, la prima, ad individuare una particolare fattispecie di reintegrazione in forma specifica connessa alle particolarità del giudizio amministrativo [3] (riconnettendo, ad esempio, l’eccessiva onerosità di cui all’art. 2058 c.c. al pregiudizio economico per il pubblico interesse e la collettività) e, la seconda, a ricondurre invece la disciplina specifica del processo amministrativo a quella generale civilistica.

Ed è proprio quest’ultima la tesi fatta propria dalla più recente giurisprudenza dei Giudici di Palazzo Spada (Cons. Stato, sez. V, 15 marzo 2004, n. 1280; Cons. Stato, sez. VI, 18 giugno 2002, n. 3338), nella quale si è sostenuto che la reintegrazione in forma specifica «rimane un rimedio risarcitorio (o comunque riparatorio), ossia una forma di reintegrazione dell’interesse del danneggiato mediante una prestazione diversa e succedanea rispetto al contenuto del rapporto obbligatorio; e non va confusa né con l’azione di adempimento (con la quale si chiede la condanna del debitore all’adempimento dell’obbligazione), né con il diverso rimedio dell’esecuzione in forma specifica, quale strumento per l’attuazione coercitiva del diritto e non mezzo di rimozione diretta delle conseguenze pregiudizievoli».

L’assunto del Supremo Organo di giustizia amministrativa si fonda evidentemente anche sulla portata letterale della disposizione introdotta dall’art. 7 della Legge 205/2000, se è vero che la possibilità di utilizzare lo strumento della reintegrazione in forma specifica è stato attribuito al Giudice Amministrativo ai fini del risarcimento del danno, e quindi con obiettivi ben diversi dall’esecuzione degli obblighi conformativi conseguenti al provvedimento giurisdizionale con il quale si annulla un atto illegittimo.

Ciò premesso, dunque, pare da sconfessare anche quell’ulteriore filone giurisprudenziale secondo il quale lo strumento della reintegrazione in forma specifica apprestato in via generale dalla L. 205/2000 sia in realtà da considerare come «una sorta di anticipazione dell’attività di conformazione dell’amministrazione» [4], poiché in presenza di una attività di carattere vincolato e dovuto si dovrebbe ritenere concesso al G.A. il potere di ordinare all’Amministrazione l’esecuzione di un facere specifico [5]. L’erroneità di tale asserzione è infatti riscontrabile qualora si consideri che in realtà – una volta accertata la doverosità dell’emanazione di un provvedimento amministrativo – l’adempimento dell’Amministrazione «non costituisce una misura risarcitoria, ma rappresenta la doverosa esecuzione di un obbligo, se ed in quanto questo sussista a carico dell’Amministrazione» [6].

Sembra pertanto che quest’ultimo orientamento abbia inteso affermare anche in Italia l’istituto dell’azione di adempimento, noto nell’ordinamento tedesco con il nome di Verpflichtungsklage e disciplinato dai paragrafi 42 e 113 della legge sul processo amministrativo del 21 gennaio 1960 (Verwaltungsgerichtsordnung) [7]. Ma la conclusione cui si è pervenuti pare recisamente da contestare, se si considera che il legislatore italiano ha espressamente previsto i casi – da ritenere tassativi – nei quali al G.A. è consentito ordinare all’Amministrazione un facere: ci si riferisce, evidentemente, all’azione in materia di diritto di accesso prevista dall’art. 25 della L. 241/90[8] ed a quella relativa ai casi di silenzio della P.A. di cui all’art. 21-bis L. T.A.R. [9].

Sulla base di tali presupposti, che costituivano lo “stato dell’arte”, il T.A.R. Lombardia – sezione di Brescia – ha tuttavia introdotto un nuovo elemento nella costruzione di un processo amministrativo sempre più idoneo ad essere qualificato come strumento di piena ed effettiva tutela giurisdizionale, sostenendo la propria legittimazione ad accertare l’obbligo dell’Amministrazione di provvedere, qualora ci si trovi in presenza di diritti soggettivi ed a condizione che non residui in capo alla P.A. alcun profilo di discrezionalità.

Onde giungere ad un siffatto risultato – per il quale non deve essere trascurato il ruolo fondamentale di una sollecita e tempestiva misura cautelare che faccia salvi gli effetti della futura sentenza di merito – il Giudice amministrativo bresciano muove da una ancora recente pronuncia del Consiglio di Stato, nella quale si è affermato che «una lettura sostanzialistica dello spettro dei poteri del g.a., che lo sincronizzi con le stesse coordinate costituzionali e comunitarie in punto di effettività della tutela giurisdizionale, consente al giudice amministrativo uno scrutinio sostanziale in sede di cognizione del rapporto quante volte l’annullamento dell’atto non lasci sul tappeto profili di discrezionalità tecnica o amministrativa e, per l’effetto, non venga in rilievo il rischio di debordare in aree riservate alla riedizione dell’azione amministrativa ai sensi della clausola di salvaguardia cristallizzata dall’articolo 26 della legge n. 1034/1971» [10].

Ripercorrendo le vicende che hanno connotato il progressivo ampliamento dei contenuti della giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo, il T.A.R. ha poi analizzato la posizione del ricorrente onde riscontrarne la qualificazione di diritto soggettivo.

Si è infatti sostenuto che – in materia di appalti – il verbale di aggiudicazione consti sia di un atto amministrativo ricognitivo (con il quale si accerta e si rende nota l’offerta più vantaggiosa) sia della dichiarazione di volontà di concludere il contratto, derivando da tale assunto la conseguenza che «in coincidenza con la data del verbale sorge per l’amministrazione un vincolo a favore del concorrente dichiarato vincitore, in quanto da tale momento nasce il suo diritto soggettivo ad ottenere l’aggiudicazione, sia pur condizionato all’esito positivo dell’attività di verifica della regolarità delle operazioni di gara condotta dagli uffici della stazione appaltante».

La presenza di una posizione di diritto, pertanto, consentirebbe al G.A. di utilizzare tutto lo spettro di azioni a sua disposizione nell’ambito della giurisdizione esclusiva, compresa quella di accertamento [11]. Accertamento che, nel caso specifico, concerne l’obbligo dell’Amministrazione di aggiudicare l’appalto al soggetto ricorrente, senza consentire alla P.A. una riedizione del potere in modo autonomo, ancorché vincolato ai principi stabiliti con il giudicato.

Si tratta all’evidenza di una costruzione originale ed innovativa, mediante la quale il G.A. ha individuato il proprio potere di ordinare un facere all’Amministrazione resistente in giudizio, prescindendo dagli istituti processuali ai quali in precedenza si era fatto riferimento.

Non si è chiamata in causa, infatti, la reintegrazione in forma specifica che per molto tempo ha animato i dibattiti della dottrina e giurisprudenza sul punto, né si è proposta l’estensione analogica di fattispecie straniere acquisite all’ordinamento italiano solamente in casi specifici e ben determinati.

Il T.A.R. bresciano ha invece perfezionato l’utilizzo dei poteri attribuitigli in materia di diritti soggettivi, laddove la loro cognizione gli sia stata assegnata in sede di giurisdizione esclusiva, impiegando uno strumento quale l’azione di accertamento; ciò al fine di garantire (sussistendo le condizioni sopra evidenziate) una tutela piena ed efficace al ricorrente che risulti vittorioso all’esito del giudizio, mediante la diretta attribuzione del “bene della vita” cui egli aspira.

 

horizontal rule

[1] Cfr. A. Travi, La reintegrazione in forma specifica nel processo amministrativo fra azione di adempimento e azione risarcitoria, in Dir. proc. amm., 2003, 1, 122; Id., Processo amministrativo e azioni di risarcimento del danno: il risarcimento in forma specifica, ivi, 2003, 4, 994; R. Chieppa, La reintegrazione in forma specifica nel diritto amministrativo: tutela risarcitoria o azione di adempimento?, in Resp. Civ. e Prev., 2003, 1, 3; F. Liguori, Il giudice amministrativo e la reintegrazione in forma specifica, in Foro Amm. TAR, 2002, 7-8, 2745. La reintegrazione in forma specifica è stata peraltro oggetto di una specifica disposizione normativa consistente nell’art. 14 del D.Lgs. 20 agosto 2002 n. 190, che infatti recita: «In applicazione delle previsioni dell'articolo 2, comma 6, delle direttive 89/665/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1989, e 92/13/CEE del Consiglio, del 25 febbraio 1992, la sospensione o l'annullamento giurisdizionale della aggiudicazione di prestazioni pertinenti alle infrastrutture non determina la risoluzione del contratto eventualmente già stipulato dai soggetti aggiudicatori; in tale caso il risarcimento degli interessi o diritti lesi avviene per equivalente, con esclusione della reintegrazione in forma specifica».

[2] Cfr. Cons. Stato, sez. VI, 18 dicembre 2001, n. 6281, in Riv. giur. Edil. 2002, I, 782, con nota di PIAZZALUNGA. In termini parzialmente simili, seppur limitatamente a talune fattispecie, cfr. P. VIRGA, La reintegrazione in forma specifica, in www.lexitalia.it.

[5] Cfr. T.A.R. Puglia Bari, sez. I, 27 febbraio 2002, n. 1108, in Foro amm. TAR 2002, 671 (s.m.) ed in www.giustizia-amministrativa.it: «Il carattere vincolato e dovuto dell’attività conclusiva della gara da parte del Comune risiede sul presupposto della illegittimità dell’attività della P.A. – riconosciuta con la presente pronuncia – che ha determinato la lesione dell’interesse legittimo pretensivo della ricorrente al conseguimento del bene della vita, interesse tutelato dall’ordinamento (Cass. SS.UU. n. 500/1999), ossia l’aggiudicazione dell’appalto che, nel caso di specie, assume connotato certo».

[7] In particolare, il paragrafo 113 menzionato dispone che «nella misura in cui il rifiuto o l’omissione dell’atto amministrativo è illegittimo e l’attore ne risulta leso nei propri diritti, il tribunale dichiara l’obbligo dell’autorità amministrativa di porre in essere la richiesta attività dell’ufficio, se la questione è matura per la decisione. Altrimenti esso dichiara l’obbligo di decidere nei confronti dell’attore nel rispetto della concezione giuridica del tribunale».

[8] Cfr. art. 25, c. 6, L. 7 agosto 1990 n. 241, il quale anche a seguito della riforma di cui al d.d.l. S. 1281B prevede la possibilità per il Giudice amministrativo di ordinare l’esibizione dei documenti richiesti ove ne sussistano i presupposti.

[9] Cfr. art. 21-bis, c. 2, L. 6 dicembre 1971 n. 1034: «In caso di totale o parziale accoglimento del ricorso di primo grado, il giudice amministrativo ordina all'amministrazione di provvedere di norma entro un termine non superiore a trenta giorni. Qualora l'amministrazione resti inadempiente oltre il detto termine, il giudice amministrativo, su richiesta di parte, nomina un commissario che provveda in luogo della stessa».

[10] Cfr. Cons. Stato, sez. VI, 19 novembre 2003, n. 7470, in Foro amm. CDS, 2003, 3413.

[11] Si segnala peraltro che la qualificazione della posizione del ricorrente come diritto soggettivo potrebbe dirsi dubbia, se posta in relazione all’effetto dell’annullamento giurisdizionale dell’aggiudicazione posta in essere. Si potrebbe infatti ritenere che il ripristino della situazione antecedente all’aggiudicazione ricondurrebbe ad interesse legittimo la situazione dei partecipanti alla procedura ad evidenza pubblica; d’altra parte, sembra che il T.A.R. abbia qualificato il ricorrente come titolare di diritto soggettivo alla luce dell’attività vincolata che la P.A. avrebbe dovuto porre in essere (specie se si considera che nel caso di specie vi erano solo due concorrenti). Sul punto, rimane sempre fondamentale lo studio di A. Orsi Battaglini, Attività vincolata e situazioni soggettive. Nota su alcuni temi di Enzo Capaccioli, in Studi in ricordo di Enzo Capaccioli, 1988, 293. Si vedano inoltre E. Picozza, Le situazioni giuridiche soggettive del diritto amministrativo, Cedam, 1999; V. Parisio, Giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, appalti e natura delle posizioni giuridiche soggettive, in Giust. Civ., 2003, II, 93 ss.; Id. (a cura di), Inerzia della pubblica amministrazione e tutela giurisdizionale, Giuffrè, 2002.

 

horizontal rule

omissis

per l’annullamento

della deliberazione del direttore generale dell’Azienda Ospedaliera “Istituti Ospitalieri di Cremona” in data 24/2/2004 n. 21, recante l’aggiudicazione alla controinteressata della fornitura triennale di dispositivi medici monouso occorrenti nelle sale operatorie per l’esecuzione di interventi chirurgici, nonché di ogni atto presupposto, connesso e conseguente compreso il verbale della Commissione di gara del 19/1/2004;

omissis

FATTO

In data 30/4/2003 l’Azienda Ospedaliera “Istituti Ospitalieri di Cremona” indiceva un pubblico incanto per l’affidamento triennale della fornitura di dispositivi medici monouso da utilizzare per l’esecuzione di interventi chirurgici nelle sale operatorie, avvalendosi del sistema di aggiudicazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa ai sensi dell’art. 19 comma 1 lett. b) del D. Lgs. 24/7/1992 n. 358 così come modificato dal D. Lgs. 20/10/1998 n. 402. In particolare, la lex specialis di gara prevedeva l’assegnazione del punteggio massimo di 60 punti per le caratteristiche tecnico-qualitative e di 40 punti per il prezzo.

 

Nel termine stabilito dal bando pervenivano solo le offerte della ricorrente e della controinteressata.

 

Esaurita la valutazione del merito tecnico-qualitativo di ciascuna di esse – con l’attribuzione di 60 punti ad Ethicon S.p.a. ed il riconoscimento a Tyco Healthcare Italia S.p.a. di 42 punti – la Commissione giudicatrice procedeva all’apertura delle buste contenenti le offerte economiche e riscontrava che la controinteressata aveva proposto un prezzo complessivo di € 366.404,38 a fronte dell’importo di € 684.829,41 indicato dalla ricorrente: pertanto, la prima otteneva il massimo previsto di 40 punti mentre la seconda ne riportava solo 21,40, per cui l’amministrazione aggiudicava l’appalto alla ditta Tyco che aveva totalizzato 82 punti contro i complessivi 81,40 di Ethicon.

 

Peraltro, il provvedimento gravato disponeva l’aggiudicazione dando conto dell’errore materiale in cui era incorsa la controinteressata nella formulazione dell’offerta economica, dovuto alla discordanza tra l’importo dei singoli prezzi da essa indicati nello schema di cui all’allegato B e l’ammontare globale della fornitura determinato nello schema di cui all’allegato C: la Tyco, infatti, aveva trascritto nell’allegato C i dati provenienti da una colonna non pertinente dell’allegato B (la terzultima in luogo dell’ultima).

 

Tuttavia, la stessa determinazione n. 21/2004 evidenziava l’avvenuta acquisizione della nota esplicativa della controinteressata in data 4/2/2004 con la quale la stessa – nel riconoscere l’errore commesso – confermava che il prezzo da riternersi valido ai fini dell’aggiudicazione era quello complessivo riportato nell’allegato C: in seguito all’intervenuto chiarimento, la stazione appaltante aderiva alle argomentazioni esposte da Tyco, affermando che il dato numerico da valorizzare in situazioni di contraddittorietà non poteva che essere il prezzo totale emergente dell’allegato C.

Con ricorso notificato in data 9/3/2004, tempestivamente depositato, la ricorrente impugna il provvedimento di aggiudicazione alla controinteressata, deducendo i seguenti motivi di diritto:

-  Violazione e falsa applicazione dell’art. 19 comma 1 lett. b) del D. Lgs. 358/92 ed eccesso di potere per illogicità e disparità di trattamento, avendo l’amministrazione asseritamente applicato in maniera distorta il criterio di aggiudicazione prescelto confrontando tra loro due offerte disomogenee, in quanto quella presentata dalla controinteressata sarebbe stata viziata da un macroscopico errore commesso nel riportare nell’allegato C la somma dei prezzi unitari dei singoli materiali in luogo dell’importo complessivo (comprensivo delle quantità) riferito a ciascun intervento elencato nell’allegato B: tale circostanza avrebbe dovuto indurre la stazione appaltante ad emendare quell’offerta, valorizzando unicamente gli elementi fissi ed immutabili della medesima – ossia i singoli prezzi unitari indicati – tenuto conto che questi ultimi avrebbero poi costituito la base di riferimento per ciascun ordinativo di fornitura disposto dall’aggiudicatario in virtù del rapporto contrattuale;

- Violazione di legge per erronea applicazione della lex specialis di gara e dei principi generali in materia concorsuale, in quanto la controinteressata, nella formulazione dell’offerta, non avrebbe rispettato il sistema rigorosamente previsto dall’amministrazione attraverso gli allegati B e C, che imponevano di tener conto della tipologia e delle caratteristiche di ogni prodotto e dei quantitativi richiesti a pena di esclusione dalla gara.

Si sono costituiti in giudizio l’amministrazione e la controinteressata.

Questa Sezione – con ordinanza n. 464 emessa nella Camera di Consiglio del 23/3/2004 – ha accolto la domanda incidentale di sospensione del provvedimento impugnato, riconoscendo la sussistenza del fumus boni juris.

Con motivi aggiunti, depositati in data 23/4/2004 alla luce dell’intervenuta piena conoscenza del provvedimento oggetto di ricorso in questa sede, la ricorrente ha esposto le seguenti ulteriori doglianze:

-  Eccesso di potere per contraddittorietà ed illogicità manifesta, avendo la stazione appaltante indebitamente mantenuto fermo – in seguito alla dichiarazione integrativa emessa dalla controinteressata – il prezzo complessivo erroneamente determinato, con ciò valorizzando un presupposto di fatto del tutto fuorviante che ha implicato la comparazione di due grandezze disomogenee e l’alterazione del regolare confronto concorrenziale; né l’amministrazione avrebbe correttamente invocato l’art. 72 comma 2 del R.D. 23/5/1924 n. 827 e l’art. 90 comma 7 del D.P.R. 21/12/1999 n. 554, che riguarderebbero fattispecie del tutto estraneee a quella esaminata;

- Violazione dei principi del giusto procedimento e della par condicio dei concorrenti, avendo l’amministrazione – nel recepire il contenuto della nota in data 4/2/2004 – consentito alla controinteressata di modificare l’offerta economica originariamente presentata, accettando prezzi unitari nuovi e diversi ed avviando di fatto una rinegoziazione successiva all’apertura delle buste;

- Violazione dell’art. 7 della L. 7/8/1990 n. 241 per mancata tempestiva comunicazione, ad opera della stazione appaltante, delle note difensive inoltrate in via stragiudiziale dal legale della controinteressata.

Con ulteriori motivi aggiunti depositati il 27/4/2004, la ricorrente ha contestato la lesione dei principi in materia di procedure concorsuali alla luce della comunicazione inoltrata da Tyco in data 11/3/2004, che conterrebbe una nuova offerta totalmente diversa da quella originaria, i cui prezzi unitari non sarebbero stati proporzionalmente diminuiti in rapporto al prezzo complessivo ma risulterebbero completamente riformulati, riferendosi tra l’altro a prodotti diversi da quelli indicati nella prima offerta.

Alla pubblica udienza del 9/11/2004 il gravame è stato chiamato per la discussione e trattenuto in decisione.

DIRITTO

La ricorrente censura la determinazione con la quale l’azienda ospedaliera “Istituti Ospitalieri di Cremona” ha disposto l’aggiudicazione alla controinteressata dell’appalto per la fornitura triennale di dispositivi medici monouso da utilizzare per l’esecuzione di interventi chirurgici nelle sale operatorie.

Con unico, articolato motivo, sviluppato con il ricorso principale e con i motivi aggiunti, la ricorrente contesta la violazione e falsa applicazione dell’art. 19 comma 1 lett. b) del D. Lgs. 358/92 nonché l’eccesso di potere per illogicità e disparità di trattamento, avendo l’amministrazione asseritamente applicato in maniera distorta il criterio di aggiudicazione prescelto confrontando tra loro due offerte disomogenee, in quanto quella presentata dalla controinteressata sarebbe stata viziata da un macroscopico errore commesso nel riportare nell’allegato C la somma dei prezzi unitari dei singoli materiali in luogo dell’importo complessivo (comprensivo delle quantità) riferito a ciascun intervento elencato nell’allegato B: tale circostanza avrebbe dovuto indurre la stazione appaltante ad emendare quell’offerta, valorizzando unicamente gli elementi fissi ed immutabili della medesima – ossia i singoli prezzi unitari indicati – tenuto conto che questi ultimi avrebbero poi costituito la base di riferimento per ciascun ordinativo di fornitura disposto dall’aggiudicatario in virtù del rapporto contrattuale. Ha poi aggiunto la ricorrente che l’avvenuto recepimento, ad opera della stazione appaltante, del contenuto della nota inoltrata da Tyco il 4/2/2004, avrebbe consentito alla medesima di modificare l’offerta economica originariamente presentata, accettando prezzi unitari nuovi e diversi ed avviando di fatto una rinegoziazione successiva all’apertura delle buste. Tale circostanza sarebbe ulteriormente aggravata dall’ulteriore comunicazione inviata dalla controinteressata l’11/3/2004, che conterrebbe una nuova offerta riformulata in modo del tutto svincolato da quella ab origine presentata.

La censura merita accoglimento.

Conviene soffermarsi brevemente sull’errore commesso da Tyco nella formulazione dell’offerta, che costituisce circostanza pacifica ed incontestata dalle parti in causa.

L’articolo 8 del capitolato speciale di gara stabiliva puntualmente le modalità di redazione dell’offerta economica, prescrivendo l’utilizzo di schede prestampate all’uopo predisposte dalla stazione appaltante. Nell’allegato B, in particolare, erano indicate, per ogni specialità (ad esempio, chirurgia generale, urologia, ortopedia, etc.), le diverse tipologie di intervento (ad es., per la prima, safenectomia, mastectomia, fili vascolari, etc.): per ciascuna di queste ultime ogni scheda conteneva la descrizione del materiale necessario e le rispettive quantità minime, accompagnate dal prezzo della singola unità di materiale impiegato distinto dall’importo necessario per eseguire un intervento (prezzo unitario moltiplicato per la quantità). La somma delle cifre così ottenute per ciascuna categoria di materiale necessario consentiva di ottenere il costo totale per ogni tipologia di intervento (ad es. appendicectomia), da moltiplicare per il numero di interventi stimati nell’anno e da riportare nell’allegato C, ove i valori associati alle diverse tipologie di intervento erano sommati tra loro per ottenere il prezzo globale di ciascuna specialità, con il quale si poteva risalire – con un’ulteriore somma algebrica – all’ammontare complessivo della fornitura.

A fronte di questo articolato sistema di calcolo, la controinteressata ha riportato nell’allegato C – alla voce “prezzo unitario d’intervento” – la somma dei costi unitari di ciascuna categoria di materiale (risultante dalla terzultima colonna dell’allegato B) in luogo della somma degli importi totali per intervento (risultante dall’ultima colonna) che teneva logicamente conto delle quantità di volta in volta necessarie. In altre parole, la costruzione dell’offerta di Tyco si è sviluppata prendendo come riferimento una sola unità di materiale per ogni intervento in sala operatoria, mentre com’è intuibile le quantità possono essere di volta in volta superiori, come peraltro risultava dalla seconda colonna dell’allegato B (quantità minime per intervento).

La questione che si pone all’attenzione del Collegio è a questo punto quella di stabilire l’esatta natura dell’errore compiuto nella compilazione delle schede e le sue eventuali ripercussioni sullo svolgimento della procedura ad evidenza pubblica.

L’amministrazione resistente e la controinteressata hanno congiuntamente evidenziato come l’unico elemento significativo ai fini della comparazione – idoneo ad esprimere la reale volontà negoziale dell’offerente – sarebbe il prezzo totale della fornitura, con l’effetto di rendere irrilevanti le eventuali omissioni verificatesi nelle fasi intermedie di determinazione del medesimo: i prezzi unitari potrebbero così, anche alla luce dai chiarimenti tempestivamente resi da Tyco, essere rettificati mediante una loro proporzionale riduzione, che restituirebbe alla costruzione dei valori complessivi la necessaria linearità.

Una simile impostazione non può essere condivisa dal Collegio.

L’errore compiuto dalla controinteressata nel riportare un’intera categoria di prezzi (e dunque un’intera colonna della scheda predisposta dall’amministrazione), ha irrimediabilmente inficiato la complessiva articolazione dell’offerta, il cui sviluppo distorto è culminato nella determinazione di un prezzo complessivo molto lontano dalla cifra che sarebbe scaturita dalla corretta applicazione delle regole matematiche dettate dalla lex specialis e dai collaudati principi di logica e di comune esperienza. L’aver inserito il valore di una sola unità di materiale impiegato per tutti i numerosi interventi interessati dalla fornitura – prescindendo dal numero di pezzi indispensabili – ha completamente falsato i successivi calcoli matematici ed il risultato finale riportato nella scheda C, per cui un’offerta così strutturata è insuscettibile di essere posta a confronto con quella correttamente formulata dalla ricorrente: come giustamente evidenziato da quest’ultima, la competizione tra imprese che partecipano ad una gara pubblica si svolge attraverso l’esame e la comparazione di offerte omogenee, la cui costruzione deve avvenire nella scrupolosa osservanza delle prescrizioni puntualmente inserite nel bando e nel capitolato speciale. La plateale violazione, da parte di una concorrente, delle regole della lex specialis – peraltro conformi agli elementari principi delle scienze matematiche – altera irrimediabilmente la par condicio tra i soggetti che hanno partecipato alla procedura selettiva, rendendo le offerte economiche presentate non confrontabili tra di loro.

Peraltro, osserva il Collegio che non può neppure essere apprezzata la soluzione suggerita dalla controinteressata e fatta propria dalla stazione appaltante, diretta a correggere “in corsa” l’abnorme errore commesso mantenendo fermo il prezzo complessivo e riducendo proporzionalmente i prezzi unitari: in disparte restando la questione dell’applicazione nella fattispecie del divieto di rinegoziazione delle offerte dopo l’apertura delle buste, si configura anzitutto un comportamento lesivo del principio di concorrenzialità sotto il profilo della garanzia dell’affidabilità dell’offerta. La rimodulazione dei calcoli intermedi posta in essere per confermare l’ammontare complessivo della fornitura, conduce nella fattispecie ad uno scostamento in diminuzione di circa il 30% di tutti i valori in precedenza indicati dalla stessa aggiudicataria, con il serio rischio che essa giunga a praticare prezzi non in linea con quelli di mercato e perciò destinati a compromettere la qualità di un servizio pubblico particolarmente complesso e delicato, che incide direttamente sul diritto alla salute dei pazienti. In altri termini, non è possibile escludere a priori future inadempienze nell’esecuzione di una fornitura scarsamente remunerativa, per mantenere la quale l’aggiudicataria è ricorsa ad un ulteriore sensibile sconto, tale da rendere l’offerta inattendibile in quanto non idonea ad assicurare il recupero dei costi ed il conseguimento di un margine minimo di utile.

Peraltro, la giurisprudenza ha chiarito che quando l'offerta è formulata in termini di prezzi unitari, la stazione appaltante può controllare le operazioni relative sia alla moltiplicazione dei medesimi per le relative quantità, sia alla somma finale, correggendo gli errori di calcolo: fissi ed immutabili sono solo i prezzi unitari, perché frutto di scelte insindacabili delle imprese offerenti, mentre le moltiplicazioni e le somme sono emendabili dall’amministrazione, se frutto di errori di calcolo. In tale logica, se l'offerente indica i prezzi unitari ma commette errori nella determinazione della somma finale, si è in presenza di un vizio assimilabile all’errore di calcolo, suscettibile di rettifica da parte della stazione appaltante e non necessariamente sanzionabile con l'esclusione dalla gara (Consiglio di Stato, sez. VI – 12/12/2002 n. 6779). Tale conclusione trae ulteriore avallo nella lex specialis ed in particolare nell’art. 5 lett. d) del capitolato così come integrato dall’amministrazione con la nota di chiarimenti in data 4/7/2003, dove si prevede che l’impresa aggiudicataria dovrà fatturare i prodotti effettivamente consumati per ogni singolo intervento per cui essa, per ogni singola fornitura, si dovrà necessariamente riferire proprio ai prezzi unitari indicati in offerta.

Nella fattispecie, viceversa, la controinteressata ha preteso di seguire il percorso inverso, valorizzando il prezzo finale erroneamente determinato con la correzione al ribasso di tutti i singoli prezzi unitari, snaturando in questo modo l’offerta e rendendola assolutamente priva di credibilità.

Coglie altresì nel segno la censura della ricorrente in merito alla nota presentata da Tyco l’11/3/2004, con la quale i prezzi unitari sono stati in tutto o in parte riformulati: al riguardo il Collegio ritiene sufficiente richiamare la consolidata giurisprudenza secondo la quale la rinegoziazione delle offerte costituisce modalità di contrattazione incompatibile con le procedure ad evidenza pubblica, in quanto altera la funzione stessa della gara ed introduce comunque elementi di distorsione della concorrenza, così violando i principi comunitari in materia (cfr. Tar Piemonte, sez. II – 25/5/2002 n. 1094).

Non si può peraltro accogliere l’obiezione formulata dalla controinteressata in merito al primato del principio di economicità di cui all’art. 1 della L. 241/90, per cui dovrebbe prevalere l’opzione che consente il maggior risparmio di spesa per la pubblica amministrazione, che sarebbe evidente nel caso di specie. Come ha ben evidenziato la ricorrente, il principio di economicità dell’azione amministrativa non può giustificare scelte della stazione appaltante intraprese in violazione della par condicio e delle regole – direttamente discendenti dai principi comunitari – poste a presidio di un sano confronto concorrenziale: la valorizzazione di un’offerta palesemente viziata, ancorché economicamente conveniente, viola i canoni elementari di correttezza dell’azione amministrativa. Tra l’altro occorre evidenziare come la stazione appaltante – nell’individuazione del criterio di aggiudicazione della fornitura – abbia optato per quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa, riconoscendo all’elemento qualitativo 60 punti sui 100 complessivi ed al prezzo solo 40 punti, così da attribuire preminenza proprio alle caratteristiche tecnico-qualitative dell’offerta medesima.

Né possono assumere rilievo le normative invocate dall’amministrazione per suffragare la scelta di confermare l’aggiudicazione alla controinteressata, ossia l’art. 72 comma 2 del R.D. 827/24 e l’art. 90 comma 7 del D.P.R. 554/99.

La prima disposizione stabilisce che “Quando in una offerta all’asta vi sia discordanza tra il prezzo indicato in lettere e quello indicato in cifre, è valida l’indicazione più vantaggiosa per l’amministrazione”, mentre la seconda prevede che “La stazione appaltante, dopo l'aggiudicazione definitiva e prima della stipulazione del contratto, procede alla verifica dei conteggi presentati dall'aggiudicatario tenendo per validi e immutabili i prezzi unitari e correggendo, ove si riscontrino errori di calcolo, i prodotti o la somma di cui al comma 2. In caso di discordanza fra il prezzo complessivo risultante da tale verifica e quello dipendente dal ribasso percentuale offerto tutti i prezzi unitari sono corretti in modo costante in base alla percentuale di discordanza. I prezzi unitari offerti, eventualmente corretti, costituiscono l'elenco dei prezzi unitari contrattuali”.

Entrambe le disposizioni appaiono esulare dalla controversia all’esame del Collegio.

La prima infatti riguarda le gare svolte con il criterio del massimo ribasso percentuale, ove quest’ultimo deve essere indicato sia in cifre che in lettere cosicché la contraddizione riguarda esclusivamente un unico e determinato valore. E’ evidente che nella gara indetta dall’azienda ospedaliera “Istituti Ospitalieri di Cremona” l’antinomia investe la totalità dei prezzi unitari di ogni prodotto oggetto della fornitura, con ripercussione sulla determinazione del prezzo finale. Neppure pertinente è il richiamo alla norma del regolamento di attuazione della legge quadro sui lavori pubblici poiché – in disparte restando il rilievo che l’oggetto dell’appalto è una fornitura e non un lavoro – la disposizione disciplina l’eventualità di una contraddizione tra prezzo complessivo determinato dalla somma algebrica dei singoli importi e valore risultante dal ribasso percentuale, mentre nella fattispecie esaminata non doveva essere praticato alcun ribasso. Vale la pena di sottolineare, inoltre, che la prima parte della disposizione invocata valorizza proprio i prezzi unitari, dichiarando la loro validità ed immutabilità, questione peraltro già esaminata in precedenza.

In conclusione il ricorso è fondato e deve essere accolto, restando assorbita l’ulteriore censura relativa al vizio di cui all’art. 7 della L. 241/90.

A questo punto devono essere determinate le conseguenze della pronuncia di accoglimento di questa Sezione, tenendo conto che la ricorrente ha chiesto l’annullamento dei provvedimenti impugnati e, per l’effetto, la reintegrazione in forma specifica mediante dichiarazione di aggiudicazione in suo favore della gara de qua; solo in subordine la medesima ha chiesto di condannare l’amministrazione al risarcimento del danno ingiusto patito.

La domanda, così come formulata, è diretta ad ottenere una pronuncia demolitoria nei confronti dei provvedimenti gravati oltre all’accertamento del contenuto dell’attività amministrativa conseguente, da attuarsi nella sostanza mediante l’ordine all’amministrazione di un facere specifico.

Osserva anzitutto il Collegio che risulta agli atti del giudizio che l’amministrazione – con deliberazione del Direttore generale n. 30 in data 9/3/2004 – ha sospeso l’efficacia del provvedimento di aggiudicazione n. 21/2004 ed ha così evitato di dare ulteriore corso alla procedura ad evidenza pubblica ed in particolare di addivenire alla stipulazione del contratto, esonerando il Collegio dall’affrontare l’ulteriore questione della sorte di quest’ultimo in esito alla pronuncia caducatoria.

Fatta questa doverosa premessa, si evidenzia anzitutto come la domanda della ricorrente introduce la questione del rapporto – nel giudizio amministrativo – tra tutela derivante dall’annullamento dell’atto illegittimo, con conseguente nuovo esercizio della funzione in senso conforme alla sentenza, e tutela risarcitoria, in forma specifica o per equivalente.

 In particolare, nell’esposizione del petitum, Ethicon si uniforma all’orientamento il quale ritiene che con l’inciso “anche attraverso la reintegrazione in forma specifica” – racchiuso nell’art. 35 del D. Lgs. n. 31/3/1998 n. 80 – il legislatore abbia introdotto nel nostro ordinamento un’azione che consente di promuovere un giudizio per ottenere la condanna dell’amministrazione all’emanazione di un determinato provvedimento: tale indirizzo riconnette la reintegrazione in forma specifica alla caducazione dell’atto piuttosto che all’area del risarcimento (cfr. Tar Lombardia Milano, sez. III – 13/4/2004 n. 1450; Tar Campania, sez. I – 29/5/2002 n. 3177; Consiglio di Stato, sez. VI – 18/12/2001 n. 6281). E’ stato infatti affermato che la struttura impugnatoria del processo amministrativo comporta che il petitum principale sia tutt'oggi quello dell'annullamento dell'atto illegittimo, cui consegue poi la necessità del rinnovo dell'atto nel rispetto delle regole procedurali previste: l'annullamento dell'atto e il conseguente rinnovo conforme a legge sarebbe di per sé una forma di risarcimento in forma specifica, che esclude o riduce altre forme di risarcimento.
Così, in un caso esaminato, nell’ipotesi di annullamento dell’illegittima esclusione da una gara, il rinnovo della medesima, con la partecipazione dell'impresa ricorrente, costituirebbe risarcimento in forma specifica della chance di successo (Consiglio di Stato 6281/2001, cit.). In definitiva, la domanda di annullamento di un atto amministrativo conterrebbe in sé, implicita, la domanda di risarcimento in forma specifica, mediante il rinnovo, legittimo, dell'atto annullato.
L'amministrazione deve così conformarsi alla decisione e deve agire per rimuovere gli effetti pregiudizievoli dell'atto annullato e per sostituire alla disciplina da esso recata una regola amministrativa conforme alle statuizioni giurisdizionali: permarrebbe tuttavia un margine residuo di apprezzamento discrezionale in capo all'amministrazione procedente, considerato che anche tale forma di tutela riparatoria incontra quei peculiari limiti oggettivi di “possibilità” che sono indicati nell'articolo 2058 c.c. e che possono considerarsi espressivi di un principio generale di disciplina delle forme di tutela, sia riparatoria che risarcitoria in forma specifica. Essi consistono nella previa domanda di parte, nella perdurante possibilità materiale di tale forma di reintegrazione e, infine, nella non eccessiva onerosità per il debitore.

Osserva il Collegio che la delineata impostazione, seppur suggestiva, assegna all’istituto della reintegrazione in forma specifica dei connotati estranei alla tutela aquiliana, basandosi su un concetto del tutto diverso da quello radicatosi in sede civilistica sulla base dell’art. 2058 c.c..

Nell’ottica civilistica, il risarcimento in forma specifica consiste nella diretta rimozione delle conseguenze derivanti dall’evento lesivo al fine di porre il patrimonio del danneggiato nello stesso stato in cui si sarebbe trovato se l’illecito non si fosse verificato (ripristino dello status quo ante: Cassazione civile, sez. III – 22/5/2003 n. 8052): a titolo di esempio è possibile richiamare l’art. 18 comm 8 della L. 8/7/1986 n. 349 ai sensi del quale – nella fattispecie di danno prodotto all’ambiente naturale – il legislatore ha previsto una tutela risarcitoria aggiuntiva in quanto Il giudice, nella sentenza di condanna, dispone, ove possibile, il ripristino dello stato dei luoghi a spese del responsabile”: la reintegrazione in forma specifica si configura come un rimedio di natura risarcitoria (o comunque riparatoria), ossia come una forma di “restaurazione” dell’interesse del danneggiato mediante una prestazione diversa e succedanea rispetto al contenuto del rapporto obbligatorio, da distinguere rispetto all’azione di adempimento – diretta ad ottenere la condanna del debitore all’assolvimento dell’obbligazione – e dal diverso rimedio dell’esecuzione in forma specifica quale strumento per l’attuazione coercitiva del diritto (Consiglio di Stato, sez. VI – 18/6/2002 n. 3338; Consiglio di Stato, sez. V – 15/5/2004 n. 1280).

La forma specifica appartiene dunque all’area del risarcimento, come modalità riparatoria del danno, la cui scelta spetta al creditore salva l’ipotesi di eccessiva onerosità o di oggettiva impossibilità. Del resto, l’art. 35 comma 1 del D. Lgs. n. 80/98 così come sostituito dall’art. 7 della L. 21/7/2000 n. 205, dispone testualmente che “Il giudice amministrativo, nelle controversie devolute alla sua giurisdizione esclusiva, dispone, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, il risarcimento del danno ingiusto”: il legislatore ha chiaramente inserito l’inciso “anche attraverso la reintegrazione in forma specifica” all’interno della disposizione che prevede che il giudice amministrativo statuisce “il risarcimento del danno ingiusto”, con la conseguenza che contrasta con il dato letterale ogni interpretazione che pone l’istituto al di fuori di un’alternativa risarcitoria.

Deve pertanto condividersi l’orientamento che sostiene che l’adozione da parte dell’amministrazione di un determinato atto attiene più ai profili di adempimento e di esecuzione che non a quelli risarcitori (Consiglio di Stato, sez. VI, 3338/2002, cit.): in presenza di un illegittimo diniego e di accertata spettanza del provvedimento amministrativo richiesto, il rilascio dello stesso costituisce non una misura risarcitoria, ma la doverosa esecuzione di un obbligo che grava sull’amministrazione, salvi gli eventuali danni causati al privato.

Riportare anche tale fase nell’ambito della reintegrazione e quindi della tutela risarcitoria significa estendere ad essa tutti i rigorosi limiti di tale tutela: infatti, la reintegrazione in forma specifica richiede una verifica in termini di onerosità ai sensi dell’art. 2058, comma 2, c.c., un danno patrimonialmente apprezzabile e l’indagine sull’elemento soggettivo (dolo o colpa), mentre tali accertamenti non sono richiesti in relazione all’adempimento della prestazione originariamente dovuta, per il quale può rilevare la sola sopravvenuta impossibilità.

Del resto, la stessa Corte di Cassazione – pronunciandosi in materia di esecuzione di un contratto di appalto – ha mantenuto distinta l’azione di adempimento dalla domanda di reintegrazione in forma specifica osservando che “Non configura domanda di adempimento del contratto di appalto ..... la domanda con cui l'acquirente di un immobile, in base ai difetti costruttivi del medesimo, chiede la condanna del costruttore al pagamento delle somme necessarie per l'eliminazione di detti difetti, perché la domanda di eliminazione diretta degli stessi..... costituisce domanda di risarcimento del danno in forma specifica da responsabilità extracontrattuale e non domanda di adempimento del contratto di appalto”(Cassazione civile, sez. II – 28/4/2004 n. 8140).

In definitiva lo strumento risarcitorio, sia per equivalente che in forma specifica, si caratterizza per l’imposizione al debitore (rectius, all’amministrazione) di una “prestazione” diversa in sostituzione di quella originaria: se l’amministrazione era tenuta al rilascio di un determinato provvedimento, l’adozione di quell’atto costituisce il contenuto primario della “prestazione” cui la p.a. era appunto tenuta e non assume una funzione risarcitoria.

E’ noto poi che l'annullamento dell'aggiudicazione ritenuta illegittima è disposto facendo salvi gli ulteriori provvedimenti dell'autorità amministrativa e reca l'ordine che la decisione sia eseguita dalla medesima: così, l’accoglimento del ricorso avverso una gara di un appalto pubblico comporta l’annullamento del provvedimento impugnato e – nel caso in cui la gara si fosse dovuta aggiudicare a colui il quale ha proposto ricorso (come nella fattispecie classificatosi secondo) – la necessaria aggiudicazione, ora per allora, in favore del medesimo, come effetto conformativo alla sentenza di annullamento (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI – 3338/2002, cit.).

Il problema che si pone a questo punto, però, riguarda la possibilità, in capo al giudice amministrativo, di compiere un ulteriore passo e di ordinare quindi, nell’ottica sopra descritta dell’“adempimento”, una sentenza di condanna ad un facere.

Il Consiglio di Stato, dopo aver avanzato alcuni dubbi sul riconoscimento al giudice amministrativo di tale potere nella citata pronuncia 3338/2002, ha successivamente affermato come “ad una lettura sostanzialistica dello spettro dei poteri del g.a., che lo sincronizzi con le stesse coordinate costituzionali e comunitarie in punto di effettività della tutela giurisdizionale, consente al giudice amministrativo uno scrutinio sostanziale in sede di cognizione del rapporto quante volte l’annullamento dell’atto non lasci sul tappeto profili di discrezionalità tecnica o amministrativa e, per l’effetto, non venga in rilievo il rischio di debordare in aree riservate alla riedizione dell’azione amministrativa ai sensi della clausola di salvaguardia cristallizzata dall’articolo 26 della legge n. 1034/1971” (Consiglio di Stato, sez. VI – 19/11/2003 n. 7470). Il supremo organo di secondo grado – nel confermare una pronuncia del Tar Veneto (n. 6053/2002) sulla scelta del socio di minoranza di una S.p.a. mista mediante gara pubblica – ha sottolineato che, in un settore di giurisdizione esclusiva, la tradizionale tutela impugnatoria è stata arricchita dalla tutela di accertamento e di condanna, resa possibile da un giudizio sul rapporto inteso alla verifica della fondatezza della pretesa sostanziale.

Nel condividere siffatta impostazione, osserva il Collegio che, ai sensi dell’art 6 comma 1 della L. 205/2000, in materia di aggiudicazione di appalti pubblici il giudice amministrativo si muove in sede di giurisdizione esclusiva, la quale si estende all’intera procedura finalizzata alla scelta del contraente e dunque, principalmente, alla fase di affidamento.

Com’è noto, innanzi al giudice amministrativo, oltre alle classiche azioni costitutive dirette all’eliminazione dell’atto impugnato, sono esperibili azioni di condanna al risarcimento del danno (sia in sede di giurisdizione esclusiva che di giurisdizione generale di legittimità), sia azioni di accertamento del rapporto giuridico intercorrente tra l’interessato e l’amministrazione, ove vengano in questione diritti soggettivi. Peraltro, l’esigenza sempre più avvertita di garantire al ricorrente vittorioso effettività di tutela giurisdizionale, ha comportato il progressivo superamento della concezione del processo amministrativo come processo all’atto a favore di una cognizione estesa all’intero rapporto, in particolare nella sede della giurisdizione esclusiva ove vengono indifferentemente in considerazione diritti soggettivi ed interessi legittimi. In questa prospettiva, a fianco del tradizionale effetto demolitorio secondo lo schema tipico del giudizio amministrativo, si è giunti a riconoscere alla pronuncia un’efficacia ultra-costitutiva, sotto il duplice profilo del ripristino della situazione di fatto e di diritto vigente al momento dell’adozione dell’atto caducato e della conformazione delle successive determinazioni dell’amministrazione soccombente in aderenza alle statuizioni rese sulla pretesa sostanziale dedotta in giudizio.

Il processo di allargamento della tutela del privato si è poi arricchito di diversi interventi riformatori della L. 205/2000, come l’ampliamento dei mezzi istruttori a disposizione del giudice, il rafforzamento della tutela cautelare con la previsione delle misure cd. atipiche, l’applicazione, in sede di giurisdizione esclusiva, delle norme relative al processo di ingiunzione di cui agli artt. 633 e ss. c.p.c. e di quelle di cui agli artt. 186bis e 186ter.

Orbene, in questo quadro complessivo di progressiva attuazione dei principi costituzionali di cui agli artt. 3, 24 e 113 della Costituzione, la giurisdizione esclusiva è sicuramente la sede ove il giudice ha ottenuto i maggiori strumenti idonei a garantire al privato il bene della vita cui aspira e che ha costituito la ragione del gravame interposto: essi si esprimono, come già visto, nell’emissione di sentenze di accertamento ove vengano in questione diritti soggettivi.

Ripercorrendo la fattispecie esaminata, osserva il Collegio che l’aggiudicazione contempla una fase pubblicistica ed un momento negoziale, comprendendo sia un provvedimento amministrativo che una manifestazione di volontà: il verbale di aggiudicazione formato dalla Commissione racchiude sia un atto amministrativo ricognitivo, con il quale si accerta e si rende nota l’offerta più vantaggiosa, sia la dichiarazione di volontà di concludere il contratto. In coincidenza con la data del verbale sorge per l’amministrazione un vincolo a favore del concorrente dichiarato vincitore, in quanto da tale momento nasce il suo diritto soggettivo ad ottenere l’aggiudicazione, sia pur condizionato all’esito positivo dell’attività di verifica della regolarità delle operazioni di gara condotta dagli uffici della stazione appaltante: in altri termini, una volta individuato il contraente al termine della gara, la successiva formale stipulazione del contratto – che avviene normalmente mediante atto pubblico – assume carattere dovuto, indipendentemente dall’ulteriore questione della sua natura costitutiva o meramente riproduttiva della precedente manifestazione di volontà negoziale.

Pertanto, se l’intervenuta aggiudicazione è fonte del diritto soggettivo del vincitore affinchè si addivenga al perfezionamento del contratto, nel caso affrontato Tyco è stata erroneamente dichiarata beneficiaria del provvedimento in luogo di Ethicon, alla quale conseguentemente va riconosciuto il diritto all’instaurazione del rapporto negoziale.

Alla luce di queste premesse, se l’intera procedura d’appalto può essere oggetto di diretta e piena conoscenza del giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva, si deve coerentemente ammettere la possibilità per il medesimo di assicurare l’adempimento attraverso una pronuncia dichiarativa dell’obbligo dell’amministrazione, vertendosi in materia concernente diritti.

Riprendendo il ragionamento già svolto, l’accoglimento del ricorso avverso una gara di un appalto pubblico comporta l’annullamento del provvedimento impugnato e – nel caso in cui la gara si fosse dovuta aggiudicare a colui il quale ha proposto ricorso (come nella fattispecie risultato secondo) – la necessaria aggiudicazione, ora per allora, in favore del medesimo, come naturale esito dell’accertamento della spettanza del bene della vita che realizza il soddisfacimento diretto e pieno dell’interesse fatto valere: del resto, con la predisposizione del bando la stazione appaltante ha esaurito la sua facoltà di scelta ed ha sviluppato nel seguito della procedura di gara un’attività di tipo vincolato.

Si raggiunge, in tal modo, il risultato finale dell’aggiudicazione alla ditta seconda classificata riconoscendo al giudice il potere di emettere una sentenza dichiarativa del relativo obbligo in capo all’amministrazione.

In conclusione il ricorso va accolto dichiarando l’obbligo dell’amministrazione di aggiudicare l’appalto ad Ethicon S.p.a..

Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate a carico dell’Azienda Ospedaliera e di Tyco Healthcare Italia S.p.a. nella misura complessiva di € 10.600, da corrispondere in solido alla ricorrente a titolo di spese, competenze ed onorari di difesa, oltre ad oneri di legge.

P.Q.M.

il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia - Sezione staccata di Brescia, definitivamente pronunciando, accoglie il ricorso in epigrafe e, per l’effetto, annulla i provvedimenti impugnati.

Accerta l’obbligo dell’amministrazione di aggiudicare l’appalto alla ricorrente Ethicon S.p.a.

Spese a carico dell’amministrazione e della controinteressata come in motivazione.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

La presente sentenza è depositata presso la Segreteria della Sezione che provvederà a darne comunicazione alle parti.

Così deciso, in Brescia, il 9/11/2004, dal Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia con l'intervento dei Signori:

Francesco MARIUZZO - Presidente                            

Sergio CONTI - Giudice

Stefano TENCA - Giudice relatore ed estensore

Depositata in Segreteria il 23 novembre 2004.

Stampa il documento Clicca qui per segnalare la pagina ad un amico