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Articoli e note

 

PAOLO CREA
(Consigliere della Corte dei Conti)

Responsabilità degli amministratori di società
e di enti pubblici economici:
giurisdizione della Corte dei conti
(*).

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SOMMARIO: 1) Le società di gestione dei servizi pubblici come fenomeno unitario; 2) Casi di assoggettamento di società di capitali alla giurisdizione della Corte dei conti; 3) Giurisdizione esclusiva della Corte dei conti; 4) Possibilità di concorrenza su uno stesso fatto giuridico di più giurisdizioni; 5)  Peculiarità della responsabilità erariale rispetto alle altre forme di responsabilità; 6) Il c.d. “doppio binario”; 7) Assoggettamento alla Corte dei conti delle aziende speciali (enti pubblici economici); 8) Rapporto di servizio inteso come “funzionalizzazione” dell’azione e non  come “legame” con l’ente di appartenenza; 9) Alcuni spunti argomentativi da recenti disposizioni di legge; 10) Ricostruzione interpretativa secondo basi normative diverse.

 

1) Le società di gestione dei servizi pubblici come fenomeno unitario.

Volutamente nel titolo di queste brevi e non esaustive considerazioni è stato omesso il riferimento ad espressioni comunemente usate [1] per indicare la variegata realtà delle società costituite o partecipate dagli enti pubblici per la gestione dei servizi o per altre finalità.

Al di là delle formule utilizzate,che si riferiscono ad ipotesi in alcuni casi puntualmente individuati dalla legge, appare utile tentare una ricostruzione unitaria del fenomeno societario, giacchè la loro natura pubblica o meno, la composizione del loro capitale ovvero dei loro organi, ha la finalità di individuare le norme da applicare, che non sempre sembrano delineare la realtà societaria in questione come unitaria.

Ciò ha condotto l’interprete,va detto, anche senza che le norme autorizzassero  fino in fondo tali differenze, a parcellizzare il fenomeno societario.

Se differenze esistono è tra società costituite o partecipate da soggetti pubblici e quelle in cui i soggetti sono privati che agiscono con beni e denaro di provenienza privata.

Se infatti il modello societario è fornito dal codice civile che detta la disciplina del funzionamento della società, la procedura di costituzione, quella della scelta del socio e  della regolamentazione dei rapporti tra l’ente e la società sono attratti nel diritto pubblico.

In tal senso le chiare norme sulla giurisdizione del giudice amministrativo.

Ma soprattutto le norme di derivazione comunitaria, che non conoscono la differenza tra società privata e quella pubblica (art. 48 UE) ma lo scopo di lucro che a sua volta rinvia al concetto di mercato.

Il mercato è retto dal principio di parità tra gli attori e dalla capacità competitiva degli stessi di trarre da esso i mezzi di sostentamento della società.

Basterebbe fermarsi qui per comprendere che quasi nessuna delle società di gestione dei servizi pubblici si trovi in tale condizione: l’accesso al mercato è infatti possibile dall’agire insieme al soggetto pubblico in una realtà altrimenti preclusa ai privati, giacchè i servizi pubblici di cura di interessi primari della collettività sono disciplinati dalla legge ed attribuiti ad enti pubblici. Insomma, il mercato è protetto, riservato, o come si suole dire, guardando il soggetto gestore, è caratterizzato dal possesso  di diritti esclusivi o speciali.

Il prezzo dei beni e servizi non è formato dalla legge della domanda e dell’ offerta, ma dalle tariffe, che sono manifestazione di imperio pubblico, anche escludendo la loro natura tributaria (visto che i cittadini non sono liberi di poter pagare o meno).

La società costituita, seppure dotata di  personalità giuridica, di autonomia di bilancio e decisionale, è comunque condizionata dal rapporto che si instaura attraverso il contratto di servizio che disciplina  i diritti e i doveri tra le parti, contratto che fissa precisi fini di redditività delle risorse pubbliche impiegate e di pareggio tra costi e ricavi.

Quasi sempre il ricavo societario attraverso le tariffe non può superare la copertura dei costi, dal che si desume l’impossibilità per la società di produrre utile dalla gestione diretta del servizio, ma eventualmente dai servizi accessori, e dimostra che la scelta di gestire attraverso la società è finalizzata al contenimento dei costi (magari attraverso il recupero delle economie di scala), ma l’utile come attività di competizione sul mercato non è previsto.

Dalla constatazione di tali caratteristiche societarie si è parlato di “funzionalizzazione” della gestione societaria, con intento di fare derivare da essa conseguenze in ordine alla giurisdizione ed al regime degli atti (giudice amministrativo: cfr Cass. SU 27 gennaio 2000, n. 71; idem 29 gennaio 2000, n. 19).

Le novità sulla gestione dei servizi pubblici introdotte con la legge n. 142 del 1990, non sono a pieno comprese se non si pone a raffronto la pregressa normativa del TULCP n. 383 del 1934 i cui articoli da 98 a 100  già prevedevano la possibilità per l’ente locale di acquistare “azioni industriali”, possibilità ulteriormente confermata dall’ art 6 del DPR 421 del 1971 (ordinamento contabile degli enti locali) che specificava come iscrivere in bilancio le somme di pertinenza dell’ ente per l’acquisto delle azioni.

Infatti prima dell’entrata in vigore della legge n. 142 il legame tra l’ente e la società era concepito come forma di investimento (come impiego di denaro) mentre con la disciplina introdotta con l’art. 22 della legge di riforma delle autonomie locali del ’90 l’ente locale diventa esso stesso imprenditore  partecipando del rischio d’impresa e delle scelte imprenditoriali. Fu proprio per questo che l’art. 22 menzionato non si equiparò all’appalto dove l’ente acquista beni e servizi anziché erogare beni e servizi.

Fu sempre per lo stesso motivo che in origine si ritenne che la società costituita dall’ ente dovesse essere affidataria diretta e necessaria del servizio giacchè in caso diverso, ove la società avesse dovuto concorrere con le altre presenti sul mercato, sarebbe stato possibile che non risultasse alla fine aggiudicataria vanificando le procedure e i costi fino al quel momento sostenuti dall’ ente: sarebbero stati  <atti senza causa> per riprendere un acuto parere del Ministero dell’ Interno –Ufficio per l’attuazione della riforma degli enti locali - n. 15900\527 del 10 maggio 1994.

Se in sostanza manca il mercato e il rischio d’impresa conseguente , ma il solo funzionamento delle organizzazioni è disciplinato dalle regole delle società del codice civile, non potrà parlarsi propriamente di “impresa privata” e delle conseguenze che da tale qualità discendono.

2) Casi di assoggettamento di società di capitali alla giurisdizione della Corte dei conti.

La realtà mostra casi di società che, seppure disciplinate dal diritto formale delle società, rientrano nel diritto sostanziale della pubblica amministrazione o del diritto concessorio, realizzando alcuni dei casi in cui da sempre pacificamente la giurisprudenza ha riconosciuto la giurisdizione amministrativa e contabile.

Conviene prendere le mosse dall’art. 4, co. 1 lett. b e c) del D.lvo n. 104 del 1996 (in materia di dismissione del patrimonio immobiliare degli enti previdenziali pubblici) secondo cui i contratti di gestione (ossia quelli che creano il rapporto di servizio con l’ente pubblico) devono conformarsi ai seguenti principi ispiratori: lett. b): responsabilità contabile della gestione; lett. c) responsabilità  civile e amministrativa della gestione dei beni conferiti.

Ora se per la responsabilità contabile in senso stretto il passo dell’ assoggettamento alla giurisdizione della Corte dei conti si sarebbe potuto ipotizzare in virtù delle norme che considerano contabile chiunque si ingerisca nel maneggio di beni pubblici (artt. 178 e ss RD 23 maggio 1924, n. 827) il riferimento alla responsabilità “amministrativa” accanto a quella civile, a giudizio di chi scrive, non può che essere riferita alla responsabilità per fatti di gestione di cui conosce la Corte dei conti.

Depone in tal senso anche il fatto che all’epoca di introduzione della norma non poteva neanche ritenersi che con l’espressione responsabilità amministrativa si facesse riferimento a quella forma di responsabilità delle società introdotta successivamente con D.lvo n. 231 del 2001 (recante appunto la responsabilità amministrativa delle persone giuridiche e delle società ).

Ne’ sembra che la norma si riferisca alle sanzioni amministrative introdotte con le leggi di depenalizzazione poichè la responsabilità amministrativa è riferita dalla norma in questione alla <gestione dei beni conferiti>, e pertanto ad una forma di responsabilità per fatti di gestione.

In sostanza all’epoca in cui fu introdotto l’art. 4 del D.lvo n. 104 citato la responsabilità amministrativa cui poteva farsi riferimento era solo quella erariale di cui giudica la Corte dei conti.

La norma in questione per l’epoca in cui fu introdotta (1996) sembra confermare l’orientamento secondo cui per l’ assoggettamento alla giurisdizione erariale fosse necessario un atto di interposizione normativa, nella specie rinvenibile nella norma in questione.

In pratica, l’art. 103 della Costituzione (2) è in prevalenza interpretato nel senso di non consentire la sua applicabilità immediata, in mancanza di una norma di legge attuativa.

Tale orientamento, da sempre oggetto di vivaci critiche, non appare più razionalmente sostenibile, sia perché la natura programmatica delle norme costituzionali non  sembra ammissibile al di fuori del periodo storico in cui tale interpretazione fu seguita, sia perché non è rinvenibile alcuna norma di diritto positivo che possa giustificare la natura programmatica delle norme costituzionali, che per loro natura si pongono al vertice delle fonti del diritto. Pertanto appare preferibile propendere per la giurisdizione erariale in tutti i casi in cui la “materia” sia quella di contabilità pubblica.

In tal senso recenti pronunce della Suprema Corte di Cassazione(vedi oltre).

Ove, pertanto, non si voglia sostenere la natura espansiva della giurisdizione contabile, e si voglia, invece, lasciare alla discrezionalità del legislatore stabilire i tempi e i modi di esercizio della giurisdizione, può intendersi in altro modo tale discrezionalità: ammettere che la giurisdizione contabile sia derogata in caso di diversa indicazione normativa che assegni ad altro giudice la materia di contabilità pubblica.

3) Giurisdizione esclusiva della Corte dei conti.

In particolare si vuole evidenziare la sentenza n. 933 del 1999 con cui la Suprema Corte ha affermato senza indugio che <costituisce principio pacifico che la giurisdizione della Corte dei Conti è esclusiva, nel senso che è l’unico organo giudiziario che può decidere nelle materie devolute alla sua cognizione, ne consegue che va esclusa una concorrente giurisdizione del giudice ordinario adito secondo le regole normali applicabili in tema di responsabilità e rivalsa (3) (Cfr. P. Novelli, L’accertamento della responsabilità amministrativa promossa davanti alla Corte dei Conti da soggetti diversi dal P.M. contabile. Questioni vecchie e nuove su i giudizi ad istanza di parte e sulla giurisdizione contabile alla luce della recente giurisprudenza della Corte dei Conti e della Corte di Cassazione, in www.amcorteconti.it, in cui tra l’altro sono segnalate la sentenza del GIP del Tribunale di Camerino in data 5 febbraio 2001, n. 7 in cui si rigettava la costituzione di parte civile dell’ Amministrazione nel procedimento contro un proprio dipendente accusato di peculato, nel momento in cui risultava già intrapresa l’azione erariale da parte della Procura erariale; cfr. anche Tribunale penale, Sez. II di Catanzaro, con ordinanza in data 22.10.98 ha escluso la costituzione di parte civile di alcuni Comuni contro propri amministratori imputati in procedimento penale per fatti di reato contro la P.A. ).Peraltro su tali aspetti appare utile ricordare l’art. 479 cpp che consente al giudice penale di sospendere il dibattimento nel  caso in cui l’accertamento del reato dipenda dalla risoluzione di questioni complesse civili o amministrative, nonché l’art. 538, co. 2, cpp che laddove esclude la possibilità di condannare al risarcimento del danno  in caso di <competenza di altro giudice> si riferisce sicuramente alla Corte dei conti.

Riprendendo il discorso sulla assoggettabilità delle società di capitali alla giurisdizione amministrativa, solo per le parti di diretta incidenza delle scelte e delle decisioni sul patrimonio o sulla finanza pubblica, sembra opportuno partire dal momento di genesi delle società, prima ancora che si considerino altri aspetti e più marcatamente quelli della vita gestionale delle stesse.

Tale momento è soggetto alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi dell’ art. 33 del D.lvo n. 80 del 1998 (4). Più precisamente la legge considera la fase della istituzione, modificazione o estinzione di soggetti gestori di pubblici servizi, ivi comprese le aziende speciali e le società di capitali (indistintamente considerate, e quindi tutte). Non sembra pertanto da condividere quell’orientamento giurisprudenziale secondo cui già la decisione di procedere alla costituzione di una società ovvero di gestire per il suo tramite i servizi pubblici sia da considerare alla pari di una scelta imprenditoriale. Se così fosse, bisognerebbe applicare le regole costanti della giurisprudenza della Corte di Cassazione, secondo le quali gli atti di natura imprenditoriale sono soggetti alla giurisdizione del giudice ordinario,andando così contro il dettato della legge.

Vero è che la giurisprudenza amministrativa cennata introduce tale requisito per escludere che per la costituzione della società si debba fare ricorso al rigido schema della procedura concorsuale in materia di appalti, ma solo  a quello di minore rigore formale di un sondaggio di mercato teso alla ricerca del socio.

A dire il vero a tali conclusioni si può giungere anche considerando che il DPR n. 533 del 1996 sulla disciplina di costituzione delle società minoritarie prevede il meccanismo di scelta del socio attraverso  le norme sulla scelta dei fornitori negli appalti di servizi applicate per <analogia>, sicchè se di analogia si deve trattare allora essa può essere indifferentemente usata per la scelta dei soci di ogni società, e non solo di quella minoritaria.

Ma il rischio è tuttavia quello di introdurre un criterio (quello della scelta imprenditoriale) in una fase in cui le norme sostanziali ( non solo perciò quella  dell’ art. 33 già menzionato) invece sottopongono la scelta di gestione ad una sicura attenzione per esigenze pubblicistiche. Si pensi alla necessità che la scelta sia motivata dall’ esigenza di migliorare la qualità del servizio e di introdurre nella gestione dello stesso il criterio di economicità.

 Ma se così è, e le norme depongono in tal senso, la scelta di gestire attraverso lo strumento societario non può essere attratta nel diritto dell’ impresa, dove l’imprenditore rischia mezzi propri, ma in quello dell’amministrazione la cui azione è funzionalizzata alla cura dell’ interesse pubblico.

La scelta deve perciò essere attentamente e seriamente ponderata.

In sostanza anche le scelte “rischiose” dell’ amministrazione (tra cui può inserirsi quella di scendere sul mercato con gli strumenti societari) sono soggette ai normali vincoli dell’agire amministrativo che si concretano nell’uso corretto della discrezionalità amministrativa.

Tanto per scendere sul campo del diritto positivo, allora non potrà non notarsi come le leggi sulla gestione dello smaltimento dei rifiuti solidi urbani, quella sulla gestione delle risorse idriche, quella sulla gestione e sulla dismissione del patrimonio pubblico finalizzano puntualmente l’attività non solo dell’ente ma anche quella della società una volta che essa agisca nell’ espletamento del servizio.

Tutte le norme che interessano il rapporto tra ente pubblico e scelta dei soci, il rapporto con la società, il rapporto tra la società ed i terzi, tra la società e gli utenti, sono caratterizzati da una disciplina sostanziale diversa da quella prevista dal codice civile, che pure fornisce il parametro di riferimento.

Si pensi ancora con riguardo alla fase costitutiva della società a quelle norme introdotte per la costituzione delle società degli enti locali in cui  è prevista la costituzione della società per azioni attraverso un atto unilaterale, a differenza del codice civile che tale forma prevede con riferimento esclusivo alle società a responsabilità limitata (cfr. art. 17, commi dal 51 al 57, della legge 15 maggio 1997, n. 127).

4) Possibilità di concorrenza su uno stesso fatto giuridico di più giurisdizioni.

Per quanto concerne più in particolare i rapporti contrattuali, e segnatamente quelli di utenza che il più volte citato art. 33 riserva alla giurisdizione ordinaria (nel rispetto dei principi del riparto di giurisdizione), deve fornirsi preliminarmente una loro definizione e successivamente l’individuazione del loro ambito oggettivo.

Quanto al primo aspetto, anche sulla base di definizioni normative, è rapporto di utenza quello in cui i soggetti sono parti di un rapporto contrattuale;per quanto riguarda il secondo aspetto il contenuto del rapporto contrattuale non è rimesso completamente alla libera contrattazione tra le parti, secondo le regole dei rapporti civili tra privati, ma vi sono tanti aspetti eterodeterminati dalla legge o dall’ autorità pubblica.

Si pensi alla tariffa, che in primo tempo qualificata come entrata di natura tributaria è stata successivamente definita dalla legge come “il corrispettivo del servizio”. Ma tale corrispettivo non è quello che le parti spuntano dalla contrattazione sul libero mercato, ma quello determinato dall’ autorità pubblica con l’uso di poteri impositivi d’imperio. Appare perciò difficile immaginare che per tale aspetto si possa parlare di rapporti di natura privata, come tali assoggettabili alla giurisdizione ordinaria.

Come spiegare allora la riserva al Giudice ordinario disposta dall’art. 33 del D.lvo n. 80 del 1998?.

La spiegazione appare in luce diversa se si consideri che all’ interno di uno stesso rapporto possono coesistere interessi di natura diversa, e segnatamente pubblici e privati, che postulano la tutela differenziata prevista dall’ ordinamento.

In sostanza se nel rapporto di utenza tra la società e il privato si discute di interessi per così dire individuali dei menzionati soggetti essenzialmente consistenti nel rispetto dei reciproci diritti ed obblighi fondati sul contratto (di utenza), allora di tali fatti non può che giudicare il Giudice ordinario come giudice dei rapporti tra privati; ma il medesimo contratto  inteso come  fatto può rilevare come momento di emergenza di un danno erariale, se per esempio, la tariffa non è stata determinata e riscossa secondo le prescrizioni di legge. Tale aspetto esula dal diritto privato ed entra in quello pubblico (perché alla base ci sono interessi pubblici da tutelare).

In pratica la Corte dei conti, come qualunque altro giudice diverso da quello ordinario, non potrà entrare nel merito del rapporto contrattuale, ma potrà considerarlo come fatto generatore di un danno erariale se le condizioni di legge poste a tutela dell’erario ed azionate con lo strumento contrattuale non sono state rispettate. La Corte non andrà a sindacare se esista o meno l’adempimento ed il rispetto delle regole contrattuali, ma preso atto della fissazione delle regole avvenuta tra le parti (che per tale via regolano loro interessi individuali) le imputa, se dannose per l’ erario,a coloro che le hanno causate secondo le regole della responsabilità amministrativa. Cosa questa che resta su un piano manifestamente diverso rispetto al sindacato del contratto.

Tale concorrenza di interessi all’interno di uno stesso fatto non è nuova nell’ordinamento (valga per tutte il caso della coesistenza della responsabilità contrattuale ed extracontrattuale e tutti  i casi di contratti in cui entrano interessi superindividuali di ordine pubblico economico o di interessi costituzionalmente rilevanti) e appare come il principale criterio di lettura per il riparto della giurisdizione in favore del giudice erariale, che giudica sui comportamenti e sui fatti oltre la loro qualificazione e disciplina giuridica.

Tale criterio è peraltro applicabile ad ogni aspetto della vita e dei rapporti tra l’ente pubblico e la società, per cui l’assoggettamento della società alla disciplina del codice civile (secondo una formula in uso nella legge) non esclude la giurisdizione di altri giudici oltre quello ordinario.

E’ del resto quanto accade, ad esempio nella giurisdizione tributaria, allorquando il tributo trova fondamento nel contratto. In tal caso se il contratto è l’occasione tributaria la giurisdizione spetta al giudice tributario il quale non potrà comunque entrare nel merito del contratto.

Deve essere allora considerato che la complessità dei fenomeni gestori che caratterizzano il presente può portare alla concorrenza sugli stessi di una pluralità di giurisdizioni a seconda delle materie che di volta in volta si tratta di sindacare: giudice ordinario se si tratta di interessi di tipo personale, giudice amministrativo se si tratta di interressi legittimi, giudice tributario se si tratta di tributi di ogni tipo e genere, giudice erariale se si tratta di materia di contabilità pubblica.

La giurisprudenza di legittimità invece spesso si mostra incline ad attribuire la giurisdizione in base a  requisiti formali e non sostanziali, non considerando che l’ attuale assetto dell’ordinamento nella sua pluralità di organi giudiziari consente di tutelare pressoché sotto ogni aspetto e con strumenti diversificati i vari risvolti di uno stesso fatto (legittimità, merito, comportamenti).  

Scendendo sul piano concreto delle società, deve allora evidenziarsi che la giurisprudenza che considera le società a partecipazione pubblica come soggette esclusivamente alle regole del codice civile, che prevede per la responsabilità solo l’azione sociale verso gli amministratori e sindaci, non appare condivisibile giacchè tale responsabilità tutela il patrimonio dei soci in virtù dei diritti ed obblighi discendenti dal contratto sociale, secondo le regole privatistiche del vincolo contrattuale.

Tuttavia basti pensare che anche nel caso in cui il socio fosse un ente pubblico tale azione non potrebbe che considerare solo il danno emergente ed il lucro cessante che non copre tutta l’area di estensione del danno che può subire l’ente pubblico,come ad esempio il danno da disservizio, sul quale il giudice ordinario per giudicare dovrebbe sconfinare nel diritto pubblico applicando norme amministrative, non potendo applicare le regole sostanziali della responsabilità pubblica.

Ed allora appare chiaro che il riparto non può essere fondato sulla forma e la provenienza delle norme, ma sugli interessi che ne stanno alla base.

Così come nessuno dubita che la pubblica amministrazione allorquando usa le norme del codice civile rimane soggetto pubblico che svolge un’azione pubblica.

Del resto, anche la legge n. 259 del 1958 emanata al fine di regolamentare il controllo della Corte dei Conti (5) sugli enti, anche privati, destinatari di finanziamenti a carico dei bilanci dello stato prevede che il controllo sia esercitabile  sugli enti (anche) privati dotati di potere impositivo nei confronti dei privati (come nel caso degli ordini professionali).

Ora appare singolare che tali enti siano assoggettati al controllo (pubblico e in favore della collettività) della Corte e gli stessi enti sotto il versante della responsabilità gestionale  non siano  soggetti alla medesima giurisdizione.

Sembra allora da conferire maggiore spessore interpretativo a tutta quella recente giurisprudenza della Corte di Cassazione che sottolinea la giurisdizione esclusiva della Corte dei conti in materia di contabilità pubblica, nel senso che la Corte <è l’unico organo giudiziario che può decidere nelle materie devolute alla sua cognizione, (e di conseguenza) va esclusa una concorrente giurisdizione del giudice ordinario adito secondo le regole normali applicabili in materia di responsabilità>.

 5) Peculiarità della responsabilità erariale rispetto alle altre forme di responsabilità.

E’ stato  evidenziato (F. G. Scoca, CEDAM 1997, La responsabilità amministrativa ed il suo processo, in AA.VV. pg. 9 e ss) che della responsabilità degli amministratori e dipendenti degli enti pubblici può occuparsi anche il giudice ordinario, se l’amministrazione eserciti autonomamente l’azione risarcitoria in sede civile ovvero si costituisca parte civile nel procedimento penale. Poiché però la responsabilità amministrativa è disciplinata in modo profondamente diverso dalla responsabilità civile e dotata di un suo “statuto di diritto sostanziale” <che in quanto tale deve essere rispettato quale che sia la sede processuale nella quale si discuta su di essa. In altri termini il giudice ordinario, conoscendo della responsabilità di agenti pubblici nei confronti dell’ amministrazione, non può che trattarla come responsabilità amministrativa:trattarla come responsabilità civile sarebbe violare la disciplina sostanziale della responsabilità tra agenti ed amministrazione. Tuttavia pone un grave problema, per il fatto incontroverso che il potere riduttivo è dato alla sola Corte dei Conti: il giudice ordinario non ha modo di esercitarlo. Tanto comporta che, ove non si voglia concentrare presso la Corte dei Conti ogni controversia in tema di  responsabilità degli agenti pubblici nei confronti dell’Amministrazione (il che comporterebbe che l’amministrazione danneggiata non avrebbe azione, ovvero avendola, dovrebbe proporla in contrasto con il principio dell’ azione pubblica dinnanzi alla Corte dei Conti), il giudice ordinario dovrebbe limitarsi all’accertamento della responsabilità senza trascorrere alla determinazione dell’obbligazione risarcitoria. L’an ed il quantum debeatur dovrebbero essere riservati alla Corte dei Conti. Fintantoché una di queste strade non verrà seguita,l’ordinamento conserverà nel suo seno un grave elemento di irrazionalità>.

Il medesimo Autore in sostanza ritiene la responsabilità amministrativa alternativa a quella civile e sottoposta alla giurisdizione esclusiva della Corte dei Conti.

Ma ulteriore differenza tra la responsabilità civile e quella erariale risiede anche nel fatto che quest’ultima è soggetta all’impulso pubblico e d’ufficio del Pubblico Ministero presso la Corte dei conti, che la Consulta (cfr. Corte cost. 22 febbraio-9 marzo 1989, n. 104) ha individuato come un magistrato appartenente all’ ordine giudiziario il quale non fa valere interessi particolari dell’ amministrazione <ma agisce  esclusivamente a tutela dell’ interesse generale all’osservanza della legge: persegue,come si usa dire, fini di giustizia”, al pari di ogni ufficio del P.M. presente nell’attuale assetto giudiziario (6).

Non sembra inopportuno ricordare comunque che l’ art. 185 c.p. nel prescrivere che ogni reato obbliga al risarcimento del danno e alle restituzioni <a norma delle leggi civili> si riferisce ad un complesso normativo (appunto le “leggi civili”) che sono altra cosa rispetto a quelle su cui si fonda la responsabilità erariale.

Peraltro la responsabilità civile conosce forme cosiddette di responsabilità oggettiva (ad esempio la rovina d’edificio) che non sono sovrapponibili alla responsabilità per colpa grave o dolo della responsabilità amministrativa. Per cui in pratica possono aversi casi in cui civilmente è possibile ravvisare il danno risarcibile laddove nessun danno erariale è possibile imputare per difetto di colpa grave; e viceversa allorquando le norme “civili” e segnatamente quella dell’ art. 2043 non comprende beni ed interessi la cui lesione “ingiusta” possa dirsi integrare gli estremi di un diritto soggettivo (7).

Non appare allora un’affermazione forte quella di alcuni Autori [8] secondo cui non sarebbe ammissibile la costituzione di parte civile da parte dell’ amministrazione danneggiata,  per difetto di disponibilità di tale potere (ai sensi dell’ art. 1, co. IV della legge 3 gennaio 1991, n. 3 che subordina la costituzione di parte civile delle amministrazioni statali all’ autorizzazione del Presidente del Consiglio dei Ministri), giungendo a considerare danno per l’erario la spesa per la costituzione di parte civile dell’amministrazione, sulla quale incomberebbe solo l’obbligo di denuncia al competente procuratore regionale della Corte dei conti [9].

Pertanto nei casi in cui ad ogni modo si sia giunti ad una pronuncia di condanna da parte del giudice ordinario, la procura erariale giustificherebbe la propria inerzia per un difetto di interesse che farebbe venire meno il requisito della attualità dell’ interesse che sorregge l’azione in giudizio.

Tale ricostruzione seppure condivisa aggira il problema della giurisdizione contabile.

La giurisdizione, infatti, o esiste sempre o non esiste mai in relazione a fatti considerati in astratto. Certamente non si può pensare che l’effettività di  una giurisdizione dipenda da fatti esterni ed eventuali come la costituzione di parte civile o l’intervenuta condanna da parte di altro giudice.

Sarebbe pertanto necessario che su tale aspetto si maturasse una cultura tra organi giudiziari diversa da quella fin qui rilevabile.

Da una lettura sostanziale delle norme sarebbe comunque possibile individuare alla base delle stesse gli interessi tutelati. Ove tali interessi siano riconducibili ad interessi che trascendono la singola persona giuridica la giurisdizione dovrebbe spettare al giudice amministrativo, Corte dei conti compresa; in caso diverso  (in tal senso la persona giuridica sarebbe  assimilabile a qualunque individuo nella cura di interessi personali) la giurisdizione spetterebbe al giudice ordinario.

Sarebbe perciò consentita la costituzione di parte civile dell’amministrazione ma per il risarcimento di interessi del secondo tipo.

Il danno erariale,inteso pertanto come danno di tipo pubblico, può contemplare contemporaneamente aspetti di natura finanziaria ed aspetti diversi seppure patrimonialmente rilevanti, come i costi immediati e diretti  che la condotta illecita erariale produce sull’organizzazione.

In tal senso si è più volte espressa la giurisprudenza di questa Corte sul danno da disservizio, evidenziando le mancate utilità che dalle condotte possono seguire come conseguenza immediata e diretta della condotta.

In sostanza il medesimo danno erariale può considerare contemporaneamente i suddetti aspetti: ciò rende la giurisdizione erariale non assimilabile alle altre e segnatamente a quella civile in cui il danno è pari alla lesione del rapporto contrattuale (nella responsabilità contrattuale) e alla lesione del patrimonio e delle finanze del danneggiato (nell’ illecito extracontrattuale) secondo la formula del danno emergente e del lucro cessante.

Del danno erariale, inteso perciò nella sua componente finanziaria e di quella comunque economicamente valutabile, la Corte dei Conti è giudice naturale, competente ad applicare la disciplina sostanziale della responsabilità erariale e prima fra  tutte quella del potere riduttivo che consente non solo di evitare che il responsabile paghi per le disfunzioni naturali delle organizzazioni complesse (secondo la tradizionale concezione) ma soprattutto di individuare quella somma che in concreto rappresenti “la sanzione” del comportamento dell’ agente secondo la valutazione prudente del Giudice.

6) Il c.d.”doppio binario”.

Si tratta allora di individuare quali siano all’interno delle scelte e dei comportamenti che indistintamente caratterizzano la gestione societaria gli aspetti di sicura rilevanza pubblicistica per distinguerli dagli altri al fine del riparto della giurisdizione.

La giurisprudenza tradizionale per individuare gli atti di rilievo pubblico ha posto l’accento sull’uso di poteri autoritativi o comunque certificativi, ovvero di incidenza sulle finanze o sul patrimonio dell’ente pubblico.

Per quanto riguarda gli enti pubblici economici  in pratica la Cassazione ha precisato (teoria del c.d. “doppio binario”)  che gli atti posti nell’ambito della gestione con “strumenti privati” ricadono nella giurisdizione del giudice ordinario (cfr. Cass. Civ. S.U. 29 novembre 1995, n. 12294; 2 ottobre 1993,n. 10381; 4 maggio 1989, n. 2086; 14 dicembre 1985 n. 6338; 21 ottobre 1983 n. 6179; 2 marzo 1982 n. 1282 che segna l’inversione di orientamento giurisprudenziale), mentre sussiste la giurisdizione della Corte dei Conti per gli atti che esorbitano dall’ attività imprenditoriale e che  si configurano come espressione di poteri autoritativi ovvero di funzioni pubbliche anche svolte in sostituzione dello Stato o di amministrazioni pubbliche (cfr. Cass. Civ. S.U. 2 marzo 1983, n. 1282; 18 marzo 1988, n. 2489; 14 dicembre 1985 n. 6328; 11 maggio 1989 n. 4860; 22 maggio 1991, n. 5792; 28 novembre 1995 n. 2294; 2 ottobre 1998 n. 9780; 18 dicembre 1998 n. 12708) (10).

In sostanza la giurisprudenza di legittimità intende <le materie di contabilità pubblica> previste dall’art. 103 Cost. in modo tale da prevedere la giurisdizione della Corte dei conti se l’ente pubblico economico applica “regole proprie” dell’agire amministrativo ed in particolare quelle contabili o di gestione pubblica; la giurisdizione ordinaria giudica in tutti gli altri casi (11).

In origine,tuttavia, la Corte di Cassazione si è espressa nel senso di ritenere la Corte dei conti fornita di giurisdizione “generale” in materia di responsabilità di qualsiasi dipendente pubblico: S.U. 14 aprile-21 ottobre 1983 6177; 5 febbraio 1969 n. 363; 20 luglio 1968 n. 2616.

Sul piano pratico deve essere però evidenziata la difficoltà di individuare il discrimine tra gli “strumenti privati” e le “regole proprie” visto che gli strumenti giuridici sono neutri e indifferentemente utilizzati sia nell’ agire amministrativo che in quello privato: si pensi al contratto, ad esempio, che è strumento di autonomia privata ma che è usato da sempre anche nel settore pubblico e contabile. Né per converso si può dire che tutte le regole contabili abbiano una loro diversità strutturale rispetto a quelle utilizzate nel settore privato.

Tuttavia la giurisprudenza di legittimità ritiene sussistente  la giurisdizione della Corte dei conti nel caso in cui esista un rapporto di servizio, negandola anche quando la “materia è di contabilità pubblica” ma non sia rinvenibile il detto rapporto.

Non si i usa, pertanto, un criterio di devoluzione  “per materia” così come previsto dalla Costituzione, ma si valuta l’inserimento del soggetto nell’ organizzazione della pubblica amministrazione.

Tale requisito in più rispetto a quanto richiesto dalla Costituzione e dalle leggi sulla Corte dei conti snatura l’essenza della giurisdizione come modellata dalle predette norme che chiedono solo che sia esercitata una “funzione” senza la necessità di un collegamento “strutturale” con l’ente. 

Le regole del doppio binario si sono rivelate di difficile applicazione pratica poiché, si è detto, ogni atto o comportamento degli amministratori è finalizzato alla gestione societaria secondo le regole del codice civile (12). 

E’ però possibile immaginare che un criterio di discrimine tra la natura degli atti posti in essere segua uno “schema” pure rinvenibile in pratica nelle società di gestione dei servizi pubblici secondo cui gli atti di attuazione dello statuto societario sono di natura imprenditoriale in quanto realizzano l’oggetto sociale, quelli di attuazione del contratto di servizio, invece, denotano finalità pubbliche, in quanto preordinati a realizzare i bisogni pubblici.

Siccome il contratto di servizio è uno degli strumenti con cui si può realizzare tra la società e l’ ente pubblico il “rapporto di servizio”, ossia quel particolare legame tra i due soggetti, è da tale atto che si possono prendere le mosse per differenziare gli atti imprenditoriali da quelli pubblicistici.

Il contratto di servizio,già conosciuto dagli studiosi,  riceve riconoscimento di diritto positivo a decorrere dall’ art. 4, co. 5 della Legge 29 marzo 1995, n. 95 di disciplina dei rapporti tra gli enti locali e le aziende speciali, è stato comunque previsto nella sostanza già dall’ art. 12, co. 2 lett. c) e 5 della Legge 23 dicembre 1992, n. 498, in cui si prevede la disciplina del rapporto tra l’ente locale ed il privato e la determinazione della tariffa attraverso <contratti di programma>.

Dal medesimo articolo 12 discende che la tariffa sia stabilita in misura da assicurare l’equilibrio economico-finanziario dell’investimento e della connessa gestione  e segua i criteri ivi indicati che sono quelli a) della corrispondenza dei costi e ricavi; b) equilibrato rapporto tra finanziamenti e capitale investito; c) l’entità dei costi di gestione in rapporto agli investimenti e alla qualità dei servizi; d) l’adeguatezza della remunerazione del capitale investito, coerente con le prevalenti condizioni di mercato.

Tutti i criteri appena evidenziati appaiono chiaramente ispirati alla tutela degli interessi pubblici e finanziari degli enti pubblici coinvolti nella gestione attraverso lo strumento societario.

Sicchè appare naturale ipotizzare che la violazione delle norme di tutela degli interessi pubblici si traduca in altrettanta responsabilità di gestione da parte degli amministratori della società.

Il punto nodale è allora quello di accertare la natura della responsabilità di tale tipo: privata perché rientrante in quella comunemente gravante sugli amministratori, o pubblica perché specificamente funzionalizzata a tutela di interessi pubblici?

Non sembra che la disciplina comune delle società consideri  gli aspetti che il diritto pubblico evidenzia nella disciplina delle società di gestione di servizi o di beni pubblici. Appare, in sostanza, che le norme del codice civile dettino prevalentemente regole di funzionamento delle società e dei suoi organi regolandone i poteri , ma restando insensibili alle finalità perseguite dalla società (nel senso che la società in ogni caso applica sempre le stesse regole).

Per tale via appare veritiera l’opinione di coloro che vedono nella società uno “strumento di organizzazione” neutro. Le scarne norme degli artt. 2458- 2460, pertanto, non possono costituire un diritto speciale delle società, seppure sono indice di un particolare interesse del legislatore delle società in cui partecipano lo Stato o gli enti pubblici.

E’, pertanto,  anche al diritto pubblico che bisogna fare capo per individuare i criteri di condotta della società e di conseguente responsabilità. In sostanza la disciplina delle società miste mutua dal diritto civile delle società le regole del suo funzionamento ma esse non sono le sole a fornire la disciplina societaria visto che di volta in volta e per ogni settore indagato esistono altre norme di derivazione pubblica che concorrono a formare la disciplina complessiva del soggetto imprenditoriale.In tal senso non pare si possa neanche dire che le norme pubbliche di funzionamento della società siano di diritto speciale, visto che da sole non sarebbero sufficienti al funzionamento della società.

Deve essere peraltro posto in evidenza che la natura della responsabilità erariale si è evoluta per dirla con la Corte Costituzionale verso un modello in cui si combinano <elementi restitutori e di deterrenza> (13) accentuando i profili sanzionatori di tale responsabilità rispetto a quelli risarcitori (14), di modo che per gli amministratori la prospettiva della responsabilità sia ragione di stimolo e non di disincentivo (15).

7) Assoggettamento alla Corte dei conti delle aziende speciali (enti pubblici economici).

Giova evidenziare che  l’art. 7 del R.D. 15 ottobre 1925, n. 2578 sulle aziende speciali,tuttora vigente, prevede che < Per l’ accertamento delle responsabilità amministrative e contabili degli amministratori, del direttore e degli impiegati delle aziende speciali si  applicano le norme della legge comunale e provinciale.>

Sull’interpretazione di tale norma sono intervenute anche di recente decisioni giurisprudenziali (16) che hanno escluso la sua applicabilità alle aziende speciali in quanto il rinvio in essa fatto alla legge provinciale e comunale (T.U. 383 del 1934) distingueva tra la responsabilità formale, contabile e specifica (derivante da ipotesi puntuali di legge) e le altre ipotesi, dette comunemente di gestione, sottoposte ex articolo 265 del medesimo T.U. alla giurisdizione del giudice ordinario, secondo l’interpretazione prevalente.

Deve però rilevarsi che l’interpretazione che si è tramandata nel tempo appena evidenziata non sembra reggere ad una lettura testuale dell’articolo 265 dell’abrogato TULCP.

Infatti, il riferimento all’“autorità giudiziaria” in esso contenuto non pare sicuramente riferibile alla sola magistratura ordinaria, visto che gli articoli cui rinvia la menzionata norma nel prevedere la responsabilità per i danni recati <all’ente o terzi> si riferiva sicuramente alla Corte dei conti per la responsabilità verso l’ente, secondo le precedenti norme del R.D. 13 agosto 1933, n. 1038 che già attribuiva alla Corte la responsabilità dei danni allo Stato commessi dai suoi funzionari o agenti (cfr. artt. 43 e ss), poi confermati dal successivo T.U. n. 1214 del 1934.

In sostanza sembra che si sia arrivati fino ad oggi seguendo un’inerzia interpretativa anche per adeguarsi alle decisioni autorevoli della Cassazione. Peraltro di tale aspetto si rende perfettamente conto anche la giurisprudenza della stessa Corte dei conti (cfr. la motivazione della sentenza indicata sub. nota n. 16).

Altra giurisprudenza della Corte dei conti (17) si richiama invece alla giurisprudenza della Cassazione per giungere alla conclusione che l’articolo 7 non sia più applicabile (cfr Cass. n. 12708 del 1998). Per tale orientamento suggerito dalla Suprema Corte il rinvio operato dall’art. 7 del R.D. del 1925 non può essere dinamicamente riferito all’art. 58 della legge n. 142 del 1990 dopo l’abrogazione del T.U. n. 383 del 1934 in quanto  il legislatore del 1990 avendo differito nel tempo l’adeguamento alle nuove norme delle aziende preesistenti, non è immaginabile (si legge nella motivazione della sentenza della Corte dei conti) <che il medesimo legislatore abbia invece inteso anticipare, anche prima di detto adeguamento, l’entrata in vigore delle innovative disposizioni in tema di responsabilità>. 

Tale interpretazione appare da rivedere alla luce del recente articolo 35 della legge 28 dicembre 2001 n. 448 (legge finanziaria per i 2002) che conferma implicitamente la vigenza nell’ ordinamento del più volte menzionato articolo 7 del regio decreto del 1925.

Infatti, il comma 12 lett. g)  di tale art. 35 dispone l’abrogazione dell’articolo 123, co. 3, del D.Lvo n. 267 del 2000 (Testo Unico delle leggi sugli enti locali). Tale articolo a sua volta  recita che < le norme del regio decreto 15 ottobre 1925, n. 2578, si applicano fino all’adeguamento delle aziende speciali alla disciplina del presente testo unico.(il n. 267 del 2000)>.

Come si vede fino alla trasformazione secondo le norme del 2000 le aziende continuano  ad applicare le datate norme del 1925 che evidentemente sono vigenti.

Ed allora per quanto riguarda la responsabilità non può che farsi riferimento all’attuale ordinamento degli enti locali cui rinvia l’art. 7: pertanto trova applicazione l’ art. 58 della legge 142 del 1990, norma oggi confluita nell’ art. 93 del D.lvo n. 267 del 2000 che estende agli amministratori ed al personale degli enti locali le disposizioni in materia di responsabilità degli impiegati civili dello Stato, che prevede la giurisdizione della Corte dei conti per la responsabilità amministrativa e contabile. 

L’ abrogazione di tale comma introduce comunque alcuni problemi interpretativi. In prima battuta sembra che attraverso tale abrogazione si sia voluto disciplinare la vita delle aziende attraverso il ricorso alle norme del codice civile di disciplina delle società.

Non sembra,tuttavia, che l’intenzione del legislatore abbia colto nel segno visto che il regio decreto n. 2578 più volte citato, insieme al suo regolamento di attuazione, non è stato abrogato, non figurando nell’ elenco delle norme abrogate con l’entrata in vigore del testo unico e non risultando incompatibile con le norme del medesimo testo unico in materia di aziende speciali. Allo stato della legislazione nonostante i richiami alle aziende speciali sia stato massiccio dal 1990 in poi nella legislazione, nessuna norma, nemmeno quella della recente finanziaria, detta le norme di funzionamento delle aziende speciali. Pertanto il ricorso alla normativa del 1925 è necessitato,visto che in sua mancanza tali aziende sarebbero nell’impossibilità di funzionare, per mancanza di norme di disciplina.

La giurisprudenza in materia di aziende municipalizzate (poi denominate speciali ex art. 23 della legge 142 del 1990) è sempre stata oscillante tra la qualifica di ente pubblico economico (Cassazione) e di ente strumentale dell’ ente locale e quindi ente pubblico (Consiglio di Stato) (18) ai fini del riparto della giurisdizione, ma qualunque fosse la qualificazione giuridica della azienda, il citato art. 7 prevedeva e prevede che la responsabilità erariale e contabile degli amministratori sia quella prevista per gli amministratori degli enti locali: quindi Corte dei Conti senza alcuna limitazione in materia di contabilità pubblica.

La giurisprudenza civile tra gli argomenti utilizzati per giungere all’ affermazione della sottoposizione alla giurisdizione ordinaria delle aziende speciali, dopo le novità introdotte con la legge n. 142 del 1990, ha evidenziato la riconosciuta personalità giuridica di tali aziende. In realtà prima della legge di riforma delle autonomie locali del 1990, le aziende pur dotate di autonomia imprenditoriale, finanziaria e contabile, erano sempre considerate una parte dell’ organizzazione del comune o della provincia che le aveva costituite. Dalla diversa soggettività giuridica la giurisprudenza ha dedotto che debba conseguire una diversa regolamentazione giuridica degli atti e dei comportamenti, perciò attratti nella sfera del diritto comune.

Il Consiglio di Stato, invece, ha ritenuto che una maggiore forma di separatezza tra le aziende e gli enti locali riconosciuta con l’attribuzione della personalità giuridica non sia sicuro indice dell’ assoggettamento alle regole private della azienda medesima (19).

In sostanza l’attribuzione della personalità giuridica all’ azienda speciale non ha mutato la sua natura giuridica e non ha trasformato il soggetto da pubblico in privato.

La giurisprudenza amministrativa (20), peraltro, ha costantemente evidenziato le norme in materia di “pubblica impresa” esistenti sia a livello comunitario che nazionale: tra queste ultime l’art. 2, co.1 lett. b) del D.lvo. 17 marzo 1995 n. 158 (appalti nei c.d. settori esclusi, acqua, energia elettrica e termica, gas, trasporti e telecomunicazioni) dice testualmente che <Si considerano imprese pubbliche le imprese sulle quali i soggetti di cui al comma 1 (la pubblica amministrazione, gli enti locali, gli enti pubblici non economici e gli organismi di diritto pubblico) possono esercitare direttamente o indirettamente un’influenza dominante  perché ne hanno la proprietà  o hanno in esse una partecipazione finanziaria ,oppure in conseguenza delle norme che disciplinano le imprese in questione; l’influenza dominante  su un’ impresa è presunta  quando,rispetto ad essa, i soggetti anzidetti, direttamente o indirettamente, ne detengono la maggioranza del capitale sottoscritto,oppure controllano la maggioranza dei voti.. o hanno diritto di nominare più della metà dei membri del consiglio d’amministrazione,del comitato esecutivo o del collegio sindacale>.

Il medesimo articolo definisce i diritti speciali o esclusivi  i diritti costituiti per legge, regolamento o in virtù di una concessione o altro provvedimento amministrativo avente l’effetto di riservare ad uno o più soggetti l’esercizio delle attività di cui agli articoli da 3 a 6 (i settori esclusi)>.

E’ noto, peraltro, che la normativa comunitaria ha introdotto nel nostro ordinamento anche l’ ulteriore categoria dell’“organismo di diritto pubblico” le cui caratteristiche da una sintesi delle norme sono le seguenti: a) dotato di personalità giuridica; b) istituito per soddisfare specifiche finalità d’interesse generale non aventi carattere industriale e commerciale; c) la cui attività è finanziata in misura maggioritaria da una serie di soggetti pubblici (Stato, regioni, enti locali, altri enti pubblici, organismi di diritto pubblico); d) ovvero, in alternativa, la cui gestione è sottoposta al loro controllo; e) ovvero, in alternativa, i cui organi di amministrazione, di direzione o di vigilanza sono costituiti, almeno per la metà da componenti designati dai medesimi soggetti pubblici (21).

L’aspetto che comunque vuole sottolinearsi è che il D.l.vo n. 402 del 1998, di modifica del D.l.vo 352 del 1992, ha espressamente collocato le aziende speciali e le società ex art. 22 della legge n. 142 del 1990 ed ex art. 12 della legge n. 498 del 1992 (maggioritarie e minoritarie) tra gli organismi di diritto pubblico (che assumono, pertanto, ope legis tale qualità).

Le caratteristiche evidenziate dalle norme cennate sono presenti nelle società di gestione dei pubblici servizi o in quelle in cui gli enti pubblici  partecipano al capitale o costituiscono per la gestione di altri servizi che non siano previsti dalla legge come indispensabili. In ogni caso tra gli amministratori della società e gli enti di riferimento sono presenti poteri di direttiva o di direzione che limitano, comunque, l’azione di tali soggetti.

Ed allora una considerazione: la responsabilità degli amministratori delle aziende è disciplinata dalla legge ed attribuita alla Corte dei conti. Siccome quel che vale per le aziende può valere anche per le società , anche per esse possono applicarsi le norme sulla giurisdizione della Corte, limitatamente alla materia di contabilità pubblica prevista nella Costituzione. Quindi non tutto ciò che riguarda le società è sottoposto alla giurisdizione della Corte ma solo gli aspetti che sono ricompresi nella materia di contabilità pubblica soggetta alla giurisdizione della Corte dei conti in via esclusiva.

Nel 1993 la norma sull’assoggettamento alla Corte dei Conti per la responsabilità degli amministratori di enti pubblici economici era stata introdotta con il D.L. n. 47 del 1995 , ma in  sede di conversione in legge tale norma non è stata confermata.

Gli interpreti sostennero che tale esclusione andava nel senso di negare la giurisdizione di cui si discute.

Tuttavia, può anche sostenersi che la norma del menzionato D.L. fosse confermativa di altra già presente nell’ordinamento (appunto l’art. 7 del R.D. n. 2578 del 1925) e che la sua mancata conversione non abbia in effetti modificato alcunché nell’ impianto previgente.

La giurisprudenza della Cassazione di recente ha più volte confermato il principio secondo cui alla responsabilità contabile sono sottoposti tutti, soggetti pubblici o privati, individuali  o persone giuridiche, purchè si realizzino le condizioni richieste dalla legge: il maneggio di denaro o di beni pubblici (tra le tante cfr; Cass. SU Civili 21 marzo 2001 n. 123\SU; idem, 5 giugno 2000 n. 400\SU\00; idem, 24 luglio 2000 n. 515\SU, idem, 4 aprile 2000 n. 98\SU; idem,12 dicembre 2000 n. 1258\SU; idem, 1° dicembre 2000 n. 1243\SU; idem, 23 novembre 2000 n. 1199\SU; 21 dicembre 1999 n. 922\SU).

Appare a tal riguardo utile rammentare ulteriormente che il Consiglio di Stato [22] ha ritenuto che il denaro trasferito dall’amministrazione pubblica a privati, a titolo di contributo, va qualificato come “bene pubblico”, con conseguente giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ex art 5 legge 1034 del 1971 in quanto somme erogate a titolo di concessione (appunto del bene pubblico denaro. Cfr. Cons. Stato, VI, 6 giugno 2000, n. 2681) [23].

8) Rapporto di servizio inteso come “funzionalizzazione” dell’azione e non come “legame” con l’ente di appartenenza.

La medesima giurisprudenza, come visto, sembra fondare la giurisdizione della Corte dei Conti nel momento in cui si realizza il rapporto di servizio, ossia la capacità del soggetto, qualunque sia la sua natura, di incidere sulle decisioni amministrative, sulle procedure o esercitando i poteri pubblici.

Tale rapporto di servizio cui si perviene nel tempo attraverso una riconsiderazione del rapporto d’impiego, sembrerebbe non essere più necessario se esista almeno un rapporto di “obbligo” (in tale senso  testualmente la recente sentenza della Corte Cost. n. 340 del 2001). Sarebbe perciò sufficiente un rapporto obbligatorio con la amministrazione per poter ritenere esistente una funzionalizzazione degli interessi, anche senza l’esistenza di un rapporto di servizio che segna un modello maggiormente strutturato con l’ ente pubblico.

Sull’ “obbligo” giuridico di osservare  un certo comportamento come elemento su cui fondare l’esistenza del rapporto di servizio si è soffermata anche la giurisprudenza della Suprema Corte (cfr. Sent. S.U. 28 dicembre 2001, n. 16216 e richiami giurisprudenziali in essa contenuti) .Secondo tale decisione  l’obbligo giuridico rende partecipi di un procedimento amministrativo realizzando quella “relazione funzionale” <caratterizzata dall’inserimento del soggetto nell’iter procedimentale e\o nell’ apparato organico dell’ente, rendendo il primo compartecipe dell’ attività amministrativa del secondo>. La medesima decisione non condivide, inoltre, la tesi secondo cui la giurisdizione contabile andrebbe comunque ravvisata esclusivamente in presenza di un rapporto di servizio tra il convenuto e l’Amministrazione danneggiata.

Il rapporto di servizio sembra inoltre rinvenibile in tutti i casi di procedimenti amministrativi “connessi”  ai sensi dell’art. 2, co. 7 della legge 24 dicembre 1993, n. 537 secondo cui <La connessione si ha quando diversi procedimenti siano tra loro condizionati o siano tutti necessari per l’ esercizio di una attività privata o pubblica>.

Che di rapporto di servizio possa intendersi qualcosa di diverso rispetto a quanto previsto dall’articolo 52 del R.D. 1214 del 1934 sulla Corte dei conti, secondo cui l’agente che <nell’esercizio delle sue funzioni> cagiona un danno allo Stato o ad altro ente pubblico, sembra discendere dalla possibilità prevista dalla legge n. 639 del 1996 che ammette la responsabilità per danno cagionato ad <amministrazione diversa da quella di appartenenza> (c.d. danno obliquo).

In sostanza se in precedenza tra il soggetto agente e l’amministrazione danneggiata doveva essere presente un “legame” in genere rappresentato dal rapporto di impiego, con la previsione del danno obliquo tale legame non è più necessario, o meglio deve intendersi non più come legame strutturale ma “funzionale”. 

Accettando tale impostazione il fatto su cui fondare la giurisdizione si sposta su quello dell’individuazione degli indici per individuare le “materie di contabilità pubblica”, capaci di finalizzare la gestione verso interessi di tipo pubblico.

La definizione come <complesso delle norme di diritto positivo che regolano l’attività gestoria dello Stato e degli enti pubblici>, ovvero <diritto della gestione pubblica> (cfr. Bennati, Manuale di contabilità di Stato, Jovene, 1990, 11) appare ancora attuale.

Non sembra pertanto sostenibile che tutte le norme che integrano la normativa civile delle società sparse nelle  innumerevoli discipline settoriali, che sono chiaramente poste a tutela di interessi finanziari degli enti pubblici che partecipano o comunque concorrono nella società, non siano norme in materia di contabilità pubblica, ossia quelle attraverso le quali l’ordinamento tutela i propri interessi erariali.

La Corte Costituzionale è stata oscillante nel tempo, statuendo in un primo momento la tendenziale capacità espansiva dell’art. 103 Cost., consentendo l’estensione dell’ art. 52 del R.D. 1214 del 1934 anche a situazioni non espressamente regolate (cfr. Corte Cost. n. 110 del 1970); successivamente ha invece ritenuto necessario l’intervento del legislatore per la previsione dei casi rimessi alla giurisdizione contabile (cfr. Corte Cost. n. 24 del 1993) [24].

Esiste comunque una ulteriore possibilità di intendere la cennata interposizione normativa come possibilità che nel concorso dei requisiti soggettivi ed oggettivi per l’assoggettamento alla giurisdizione contabile essa sia possibile in carenza di specifica diversa regolamentazione del legislatore ordinario (come nel caso del danno all’ambiente riservato al giudice ordinario). Spunti in tal senso sembrano emergere nella sentenza della Consulta 5 novembre 1996, n. 385 ed anche nella stessa giurisprudenza della Corte dei conti (cfr. Sez. Lombardia, 12 gennaio 1996, n. 133 che in conformità all’ insegnamento della Corte Costituzionale precisa che il giudice contabile ha assunto la natura di giudice  generale e ordinario per l’ accertamento della responsabilità amministrativa e contabile).

Deve, peraltro, segnalarsi l’intervento recentissimo ed autorevole della Cassazione che nel caso noto come “caso S.T.A.” (sent. SU 9 ottobre 2001, n. 12367\01) ha ritenuto che la   forza espansiva dell’art. 103 Cost. <deve considerarsi vero e proprio principio regolatore della materia>.

La sentenza si riferisce alla responsabilità contabile in senso stretto, perciò non è mancato chi ha sostenuto che i principi in essa contenuti non fossero applicabili alla responsabilità amministrativa (per fatti di gestione) per la quale deve ancora farsi riferimento alla regola del doppio binario.

Tuttavia la netta differenza tra la responsabilità contabile in senso stretto e quella amministrativa sembra essere caduta all’ interno della giurisprudenza della Corte dei Conti, sulla scorta anche della giurisprudenza costituzionale che considera entrambe le forme di responsabilità soggette alle regole della personalità e della colpevolezza introdotte dal 1994 in poi.

Allora se il paradigma delle due forme di responsabilità è unitario, se esistono norme che prevedono l’assoggettamento degli amministratori delle aziende speciali e di società alla giurisdizione della Corte, se il rapporto di servizio è insensibile alla natura pubblica o privata del soggetto, allora sembra da ripensare l’orientamento del cosiddetto doppio binario: atti imprenditoriali al Giudice ordinario; atti di rilevanza pubblicistica al Giudice amministrativo. Bisognerebbe costruire un modello di riparto di giurisdizione fondato sulla “materia” contabile.

Che essa non solo conservi ancora intatta la sua rilevanza, ma che permane tra gli interessi primari dello Stato e della collettività è confermato dalla riforma costituzionale dell’ art 117 Cost. il cui comma 2, lett. e) riserva allo Stato la legislazione esclusiva del “sistema contabile dello Stato”.

In tale sistema, peraltro, assumono rilievo non solo le funzioni contabili in senso stretto (intese come mero maneggio del denaro pubblico e della sua rendicontazione) ma anche e soprattutto le regole della “gestione” delle pubbliche risorse, intese come regole che governano le decisioni che ricadono su di esse.

Infatti, se si guarda alle regole  poste nel contratto di servizio che vincolano la società o comunque l’ente pubblico economico si rinvengono non solo regole di controllo contabile ma soprattutto regole di gestione che in ogni caso finalizzano la stessa al raggiungimento di obiettivi pubblici ed in alcuni casi addirittura vincolano la gestione al rispetto di criteri e regole imposte dal diritto pubblico.

Casi lampanti di ipotesi di gestione vincolata sono rappresentati dalle società o dagli enti che utilizzano risorse comunitarie per le quali i contratti di servizio pongono tante e tali condizioni da potersi ritenere che gli enti e le società in questione più che soggetti imprenditoriali siano dei veri e propri “centri erogatori di spesa” per finalità,obiettivi e risultati fissati in sede comunitaria.

Dalla lettura dei contratti di servizio,infatti, emerge che l’erogazione delle risorse o il rimborso delle spese sostenute è soggetto a penetranti controlli della pubblica autorità che giungono a sindacare anche il merito delle scelte imprenditoriali escludendo l’erogazione o il rimborso delle somme non strettamente rientrante nei programmi (approvati anch’essi dalla pubblica autorità) o nelle finalità perseguite.

Peraltro, i contratti di servizio riguardanti tali enti prevedono forme di rendicontazione separate da quelle riguardanti la gestione societaria che  in ogni caso realizzano le condizioni per l’ assoggettamento dell’ente alla giurisdizione della Corte dei Conti (essendo palese in tali casi l’esistenza di un modello contabile di tipo pubblico, secondo la tradizionale teoria del “doppio binario” già menzionata)

Parlare in tali casi di “gestione imprenditoriale” pensando alla gestione privatistica, sembra fuori luogo.

Anche in considerazione del fatto che la correttezza delle regole di gestione di tali soggetti è fornita di tutela penale (316-bis c.p.) a riprova dei preminenti interessi pubblici sottostanti la gestione dei fondi in questione (cfr. Corte Conti, Sez. II, 28 agosto 2000, n. 282\A e la giurisprudenza ivi citata in tema di enti pubblici economici).

Non può trascurarsi inoltre l’ articolo 280 UE (come modificato dal Trattato di Amsterdam) che prevede il c.d. “principio di assimilazione” secondo cui gli Stati membri combattono le frodi che ledono gli interessi finanziari della Comunità adottando <le stesse misure >   utilizzate per combattere le frodi ai danni dei propri interessi finanziari. I fondi di provenienza comunitaria assumono,infatti, rilevanza erariale interna, come si desume dall’ art. 3, co. 4, della legge n. 20 del 1994  e dagli  artt. 5, co. 4 e 30 della legge n. 526 del 1999 che assegna alla Guardia di Finanza i poteri di accertamento e di repressione delle violazioni in danno all’ Unione Europea e di quelle lesive del bilancio nazionale connesse alle prime.

Del resto la giurisprudenza di legittimità in sede penale ha evidenziato come l’agire degli enti pubblici economici, società miste comprese, sia da ascrivere alla cura di pubblici interessi quando è presente nella attività quello svolgimento di funzioni pubbliche che rappresenta uno degli elementi per l’assoggettamento alla giurisdizione della Corte dei Conti.In tal senso la giurisprudenza della Corte di Cassazione in materia  di peculato e di reati commessi da pubblici ufficiali in caso di società private (come quelle di credito e bancarie) (25).

9) Alcuni spunti argomentativi da recenti disposizioni di legge.

Sembra allora da stabilire se il cennato indirizzo giurisprudenziale del doppio binario sia ancora attuale ovvero se lo stesso non sia da ripensare alla luce delle norme sopravvenute e della giurisprudenza di segno opposto.

Quanto alle novità legislative sembra opportuno ricordare gli articoli 3 e 7 della legge n. 97 del 2001 secondo cui ove sia disposto il giudizio nei confronti di un dipendente di <amministrazioni o di enti pubblici ovvero di enti a prevalente partecipazione pubblica> per i delitti ivi indicati, la sentenza irrevocabile di condanna è comunicata al competente procuratore regionale della Corte dei conti affinché promuova l’ eventuale procedimento di responsabilità erariale nei confronti del condannato.

Secondo  interpretazioni autorevoli la norma riconosce nei casi in essa indicati la giurisdizione della Corte dei conti anche sulle società a prevalente capitale pubblico.

E’ stato anche sostenuto [26] che la norma in questione rappresenti quella interpositio legislatoris   necessaria per il funzionamento dell’articolo 103 Cost. (secondo la tesi tradizionale). Dubbi, invece, sono stati prospettati da altri (27).

Sembra più consona al sistema costituzionale la lettura della norma nel senso di conferma di  principi  già presenti nel nostro ordinamento.

Si segnala comunque l’ordinanza n. 28\01 in data 4 luglio 2001 della Corte dei conti, Sezione Giurisdizionale delle Marche, che ha già applicato la normativa in questione dichiarando la propria giurisdizione in un caso che riguardava una società a prevalente capitale pubblico.   

10) Ricostruzione interpretativa secondo basi normative diverse.

L’esperimento interpretativo che si vuole tentare in questa sede è allora quello volto al superamento dell’ individuazione degli indici tradizionali di sicura rilevanza pubblicistica delle società di gestione di servizi pubblici senza limitazione alle sole società a  capitale maggioritario pubblico o a quelle concessionarie, per individuare altre norme e principi capaci di spiegare su basi diverse il fenomeno societario considerato unitariamente;

Quanto al primo dei tentativi posti in evidenza, si allude alle forme di analogia che la legge in alcune norme ha posto di recente.

In particolare si fa riferimento all’ art. 6, co. 2, della legge n. 127 del 1997 che ha disciplinato le competenze della dirigenza degli enti locali, attribuendo alla stessa l’emanazione di <provvedimenti di autorizzazione,concessione o analoghi..>; a all’art. 7, co. 3 della legge n. 205 del 2000 che attribuisce alla giurisdizione del giudice amministrativo <le controversie aventi ad oggetto gli atti, i provvedimenti e i comportamenti delle amministrazioni pubbliche e dei soggetti alle stesse equiparati..> .

Le due norme appaiono rilevanti in tema di teoria generale in quanto la prima rompe la secolare tradizione della tipicità degli atti amministrativi, soprattutto di quelli autorizzatori ed ancor di più concessori, da sempre ritenuti corrispettivi a situazioni tassative di legge. Seppure la norma disciplina i poteri dei dirigenti la stessa si riferisce agli atti concessori come una categoria in cui rileva l’analogia con altri atti che concessori in senso stretto non sono.

La seconda norma, perché amplia il concetto di “pubblica amministrazione” al di fuori della esemplificazione fornita dall’art. 1, co. 2, del D.lvo n. 29 del 1993. Per tale articolo,peraltro, <si intendono> per amministrazioni pubbliche anche le <aziende> in generale e quelle del servizio sanitario nazionale (perciò queste ultime si trovano in posizione ulteriormente specificata rispetto alle aziende in generale, anche se non vi sarebbe stato bisogno di ciò dovendosi le aziende sanitarie ritenersi comprese nel primo concetto). Tale esemplificazione è pacificamente ritenuta esemplificativa, e tale opinione appare oggi suffragata dall’art. 7, co. 3 della citata legge n. 205 che come visto introduce espressamente l’analogia in materia di pubblica amministrazione.

Allora il passo è breve: si può vedere se esistono casi di società, indifferentemente maggioritarie o minoritarie, concessionarie o meno, titolari di diritti esclusivi o meno o agenti in un mercato amministrativamente protetto (quello in cui l’attività è consentita o disciplinata da un insieme di norme che ne regolano il funzionamento, al di fuori di regole di libero mercato) in cui la situazione realizzata sia “analoga” a quella esistente in caso di atto concessorio ovvero “analoga” a quella realizzata da una pubblica amministrazione procedente (ossia nei casi in cui pacificamente si ammette la giurisdizione amministrativa).

Poiché tali situazioni esistono, allora potrebbe dirsi che l’attività di tali società rientri nel campo dell’ agire amministrativo con tutte le sue conseguenze in tema di assoggettamento alla giurisdizione.

Del resto a parte le norme di carattere generale in argomento, quella specifica (art. 2, co. 3 del D.l.vo n. 158 del 1995 già citato), nell’ individuare i diritti speciali o esclusivi si riferisce ad <altro provvedimento> rispetto alla concessione <avente l’effetto> di riservare l’azione all’impresa: nella legge già era presente,perciò, più che un legame strutturale (appunto l’atto di concessione) tra l’ente e l’impresa, un legame di tipo funzionale che realizzasse “l’effetto” equivalente a quello in cui fosse presente una concessione comunque costituita.

La qualità dei poteri e degli effetti prodotti sono i sintomi su quali fondare l’analogia in diritto.

In pratica nei casi in cui l’azione della società di gestione del pubblico servizio o dell’ ente pubblico economico realizza un’ azione in cui gli  effetti (aspetto squisitamente giuridico) di essa sono assimilabili  a quelli discendenti da un’azione di una società concessionaria, allora le conseguenze di quegli atti sotto il profilo erariale sono sindacabili dalla Corte dei conti.

In senso conforme alle considerazioni appena accennate sembra collocarsi di recente anche la giurisprudenza (cfr Corte conti, Sez. II centr. 28 agosto 2000, n. 282\A) secondo cui quando all’<Ente siano conferiti poteri e prerogative di diritto pubblico, che assimilandolo o avvicinandolo ai poteri dello Stato ne faccia perciò un pubblico potere, allora la sua attività viene esercitata iure imperii e la giurisdizione è quella amministrativa o contabile, trattandosi di attività di tipo pubblico>. Con tale decisione è stato ritenuto che un’ azienda speciale multiservizi pur avendo la natura giuridica di ente pubblico economico [28], in materia di prevenzione degli infortuni e di sicurezza sul lavoro non v’è attività d’impresa bensì soggezione della stessa a norme inderogabili pubbliche che rendono l’impresa partecipe di una pubblica funzione ovvero <parte di un rapporto regolato dal diritto pubblico, in quanto finalizzato alla cura di superiori interessi> (29).

Dalla constatazione della realtà (e chi scrive è testimone oculare di tale realtà) in quasi tutti i casi di società o di enti pubblici economici che rendono un servizio pubblico sono presenti i fenomeni di incidenza delle decisioni gestionali della società  sulle pubbliche finanze e sul patrimonio pubblico, alla pari dei casi in cui esiste un atto di concessione.. In alcuni casi la gestione (che volutamente non si qualifica come imprenditoriale) amministra esclusivamente risorse pubbliche. L’esperienza dimostra che molto spesso le società e gli enti non riescono ad esprimere una loro autonomia imprenditoriale che riesca a reperire, al di fuori dei finanziamenti pubblici, le risorse necessarie per il mantenimento in vita delle strutture.

In molti di questi casi, senza un intervento legislativo, e perdurando le oscillazioni interpretative  della Cassazione (30) i danni erariali sono destinati a restare impuniti.

 

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(*) Il testo riprende la relazione tenuta il 21 febbraio 2002  a Milano al seminario su “Le società miste” organizzato dalla Paradigma s.r.l.

[1] “Miste”,”maggioritarie”, “minoritarie”, ecc.

(2) Per l’esistenza della giurisdizione contabile ai sensi dell’art. 103 Cost. sono,in sintesi, richiesti 1) un soggetto pubblico; 2) denaro o beni pubblici. La medesima norma afferma la giurisdizione della Corte dei conti nelle materie di contabilità pubblica e richiede l’interpositio legislatoris <nelle altre (materie) specificate dalla legge>. Mentre nella prima espressione si fanno rientrare sia la materia contabile in senso stretto che quella della responsabilità erariale, tra le altre materie si comprendono i casi in cui il legislatore ha intestato alla Corte specifiche competenze (ad es. la materia dell’ aggio esattoriale). Tuttavia anche l’espressione “materie di contabilità pubblica” è stata spesso intesa come espressione non immediatamente operativa  senza l’intervento del legislatore: in tal senso nel testo si parla di norma programmatica.

La Corte Costituzionale si è più volte pronunciata sulla natura non immediatamente operativa dell’ art. 103 Cost: 110\1970; 221\1972; 102\1977;241\1984; 189\1984; 17\1985; 641\1987;24\1993. Tali riferimenti sono tratti dallo scritto di S. Auriemma, Questioni attuali in materia di riparto di giurisdizione tra Corte dei conti e giudice ordinario, in atti del seminario organizzato dal Consiglio Superiore della Magistratura , Roma, 23 gennaio 2002, ricco di richiami giurisprudenziali e spunti argomentativi interessanti..

(3) Il principio non è isolato ma sembra sia segno di un mutamento di indirizzo, come confermato più di recente in Cass. SU 14 giugno-4\12 dicembre 2001 n. 15288 secondo cui l’azione di rivalsa di un ospedale verso un medico dipendente che abbia causato danni erariali spetta alla giurisdizione della Corte dei conti. Deve essere rilevato che in passato l’azione di rivalsa ritenuta di natura civile era soggetta alla giurisdizione del Giudice ordinario.

Oggi,invece, si prende atto che giudicare su tale aspetto vuol dire applicare le regole sostanziali della responsabilità pubblica, profondamente diverse da quelle della responsabilità privata, che sono soggette, in caso di danno erariale, alla giurisdizione contabile.

Cfr. anche L. Cimellaro, Ancora a proposito dell’esclusiva in capo alla Corte dei conti del giudizio di responsabilità amministrativa, in Riv. Corte Conti, 3, 5-6, 2001, 365 ss.

(4) Cfr. Cons. St., Sez. IV, 3 settembre 2001,n. 4586  secondo cui l’art. 33 del D.l.vo n. 80 del 1998  e successive modifiche (Legge 21 luglio 2000, n. 205) <va riferito alle sole procedure pubblicistiche ..dovendosi escludere ogni interferenza del giudice predetto (giudice amministrativo) in questioni di stretta attinenza al diritto societario; pertanto esulano dall’ambito del potere cognitorio del giudice amministrativo le controversie privatistiche  inerenti le vicende del contratto sociale>.

(5) Nell’ambito del controllo esercitato dalla Corte dei conti, la Corte Costituzionale con sentenza n. 466\1993 nel ribadire la sottoposizione al controllo della Corte dei conti degli enti privatizzati e trasformati in società per azioni, ha puntualizzato come sia andata stemperando sia nella legge che nella giurisprudenza il confine tra gli enti pubblici e le società  utilizzate sempre più spesso per il raggiungimento di pubbliche finalità.

(6) Per altri riferimenti cfr. F. Rapisarda, Danno economico e danno risarcibile: il problema della prospettazione del Pubblico Ministero, relazione alla giornata di studio sul tema della nuova conformazione della responsabilità amministrativa, Cagliari, 12 novembre 2001, in www.lexitalia.it, pag. http://www.lexitalia.it/articoli/rapisarda_danno.htm

(7)  E ciò nonostante la nuova lettura dell’ ingiustizia del danno che deriva dalla storica sentenza n. 500 del 1999 delle S.U. della Cassazione.

(8) Cfr. N. Leone, Il problema del riparto di giurisdizione, in atti del convegno di studio tenutosi a Cagliari il 12 novembre 2001, reperibili in www.lexitalia.it, pag. http://www.lexitalia.it/articoli/leone_giurisdizione.htm. L’illustre Autore, peraltro aveva espresso l’opinione contenuta nel testo anche in altri suoi scritti ed interventi.

(9) Cfr Cass. S.U. 9 febbraio 2001, n. 179\A che dopo avere dichiarato la giurisdizione della Corte dei conti in un caso in cui un cittadino aveva esercitato i poteri previsti dall’ azione popolare, ex art 7 L. 142 del 1990, per un caso in cui il sindaco di un comune aveva determinato una ipotesi di incompatibilità per lite pendente per avere cagionato danni all’ente, ha rimesso alla stessa Corte dei conti la soluzione del problema di legittimazione all’azione medesima  con riferimento alla esclusiva iniziativa del PM contabile per il ristoro del danno erariale, che  con riferimento alla possibilità di esercitare comunque l’azione popolare laddove l’azione fosse stata già intrapresa in sede contabile.

(10) Cfr. L. Speranza, Le funzioni della Corte dei conti nei riguardi degli enti pubblici economici.La giurisprudenza della Corte Suprema di Cassazione in tema di giurisdizione. Prospettive attuali e future, in Riv Corte dei Conti, 3, 5-6, 2001, 375 ss. in cui, tra l’altro, è citata la sentenza della Cass. S.U. 21 novembre 2000 n. 1193 che fonda, per gli enti pubblici economici, la giurisdizione ordinaria traendo spunto dall’ art. 409 n. 4 c.p.c. che devolve al giudice del lavoro le relative controversie in caso una parte sia un ente pubblico economico: insieme all’ autore condivido le perplessità di una tale conclusione  vista la diversità strutturale e funzionale del processo del lavoro (dove si discute di interessi delle parti  portati di fronte al giudice secondo le regole della domanda e dell’ interesse che ne sta alla base) rispetto a quello di responsabilità erariale  (dove si discute di interessi indisponibili dell’ ordinamento e soggetti all’azione pubblica ed indisponibile di un Pubblico Ministero).

(11) Ad escludere che la Corte dei conti possa ingerirsi nelle scelte imprenditoriali , fugando ogni dubbio sulle possibili disfunzioni del mercato dovute a tale ingerenza, si ricordi che la legge n. 639 del 1996 ha espressamente precisato che sono <insindacabili> le scelte di merito dei pubblici amministratori.

(12) cfr. P. Maddalena. L’insigne Autore ha un vasto e autorevole repertorio sulla materia delle società miste che appare difficile menzionare tutto. Si segnala comunque l’ultimo contributo in ordine di tempo: La sistemazione dogmatica della responsabilità amministrativa nell’evoluzione attuale del diritto amministrativo, in www.lexitalia.it, pag. http://www.lexitalia.it/articoli/maddalena_sistemazione.htm, cui si rinvia per le complete citazioni di dottrina e giurisprudenza; idem “le nuove frontiere della responsabilità amministrativa nell’ attuale evoluzione del diritto amministrativo, in www.amcorteconti.it (sito dell’Associazione Nazionale Magistrati della Corte dei Conti) cui si rinvia per l’imponente citazione di dottrina e giurisprudenza.

(13) Corte Cost. n. 371 del 20 novembre 1998;

(14) Corte Cost. n. 453 del 30 dicembre 1998;

(15) Dello stesso periodo delle sentenze appena citate è anche quella della Consulta n. 327 del 24 luglio 1998 che esclude la possibilità di un sindacato giurisdizionale della Corte dei conti  sulle scelte politiche o di merito. In tal senso peraltro è sempre stata orientata la giurisprudenza contabile in armonia con le previsioni di tale limite anche in altre giurisdizioni.

Quanto al merito delle scelte discrezionali,in sintesi, deve dirsi che ci si trova all’ interno dello stesso ogni volta in cui non vi sono parametri oggettivi di riferimento e la scelta deve essere effettuata secondo inclinazioni esclusivamente soggettive dell’ agente. In realtà, con l’aumentare delle prescrizioni dell’ agire amministrativo sia sotto il profilo delle fonti di regolazione dell’ azione che si estende anche agli atti amministrativi e di autoregolamentazione, sia per la rilevanza delle regole non giuridiche (efficienza, efficacia, economicità, ecc) deve rilevarsi una riduzione del campo del merito amministrativo e un’espansione di quello della discrezionalità soggetta al sindacato giurisdizionale della Corte dei conti.

(16) Corte Conti Sez. Lombardia 20 marzo 2001, n. 303, ricca di richiami giurisprudenziali anche della Corte di Cassazione ai quali si rinvia per gli approfondimenti. La giurisprudenza della Corte dei conti ha anche distinto ai fini della declaratoria della propria giurisdizione tra le aziende che abbiano subito la trasformazione prevista dalla legge 142 del 1990 (che come enti pubblici economici sono soggette alla giurisdizione ordinaria) e quelle non trasformate soggette invece alla giurisdizione contabile.Tale distinzione si basa soprattutto sulla riconosciuta personalità giuridica delle aziende trasformate da cui la giurisprudenza desume caratteri di autonomia dell’ azienda rispetto all’ ente di riferimento: cfr Corte Conti, Sez. II, 17 gennaio 2001, n. 32\A ed i rinvii giurisprudenziali in essa contenuti.Per una critica di tale posizione giurisprudenziale vedi oltre nello stesso paragrafo n. 7.

(17) Corte Conti Sez .II Centr. 7 marzo 2001, n. 93\A anch’essa recante ampi richiami alla giurisprudenza di legittimità ai quali si rinvia.

(18) Cons. Stato, Sez. IV,  3 settembre 2001, n. 4586,  che sottolinea il <collegamento molto saldo, seppure di natura “funzionale”> tra le aziende speciali , le società miste maggioritarie e gli enti locali che le hanno costituite alla luce della disciplina normativa.

(19) Cfr Cons. Stato, Sez.  V,19 settembre 2000, n. 4858; idem, 15 maggio 2000 n. 2735; idem, IV,26 gennaio 1999, n. 78.

(20) Cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 10 luglio-24 settembre 2001 n. 5007, che ha ritenuto che le Ferrovie dello Stato abbia la doppia natura di <impresa pubblica> e di <soggetto privato che si avvale di diritti speciali o esclusivi>.

(21) Per un approfondimento sul tema vedi G. Zgagliardich, L’applicabilità della normativa in materia di appalti pubblici nello svolgimento dell’attività d’impresa. Quanto all’incidenza sulla categoria dell’organismo di diritto pubblico dell’ art. 35 della Legge 28 dicembre 2001, n. 448 che ha introdotto la distinzione tra servizi pubblici e servizi industriali, vedi A. Clarizia, La società mista disciplina applicabile, entrambi  in atti del seminario di studio sulle società miste, Milano 20-22- febbraio 2002 organizzato dalla Paradigma srl

(22)  Cons. Stato, V, 31 ottobre 2000, n. 5894

(23) Vedi “Nessuna deroga dal Consiglio di Stato:gara pubblica per l’affidamento a terzi”, di G. Caruso, in Guida al Diritto del il sole 24ore, n. 40 del 20 ottobre 2001.

(24) Sul punto del riparto di giurisdizione cfr. N. Leone, Il problema del riparto di giurisdizione  - Intervento sulla giornata di studio sul tema "La nuova conformazione della responsabilità amministrativa ed il problema della graduazione della condanna in base alla gravità della colpa", Cagliari, 12 novembre 2001, in www.lexitalia.it, pag. http://www.lexitalia.it/articoli/leone_giurisdizione.htm

(25) Per un interessante caso in cui per una banca tesoriera è stata riconosciuta la responsabilità penale di alcuni amministratori della banca solo sul rilievo che gli stessi fossero esercenti un pubblico servizio, per la natura oggettiva dell’ attività espletata, risultando ininfluente l’esistenza di un rapporto di servizio, cfr. Tribunale Penale di Marsala, 9 giugno 1998, n. 121\98 (confermata in appello). Nella sentenza si legge, tra l’altro, che < Il servizio di tesoreria si può individuare nell’ insieme delle funzioni e degli atti che il tesoriere è tenuto a compiere, nel rispetto delle norme di legge e di contratto…….Da tale considerazione si può ritenere (che il rapporto di tesoreria) non dia luogo ad un rapporto bancario di natura privatistica  ma un rapporto contabile pubblico, anche se venga effettuato, come nel caso di specie, mediante apertura di conto corrente con le modalità da stabilirsi in apposita convenzione.>.In altro passo della sentenza, pag. 24) si chiarisce come la gestione delle somme depositate in conto tesoreria fosse gestita < a proprio piacimento> <secondo l’ottica di mercato degli amministratori>, sottolineando come l’attività di impresa fosse limitata a tali aspetti ma che non potesse coinvolgere gli altri aspetti, ed in particolare quelli della legale custodia e gestione delle somme avute per le finalità pubbliche aventi titolo nell’accreditamento da parte dello Stato.

In tale sentenza si coglie la distinzione tra gli atti di rilevanza pubblicistica e quelli di rilievo meramente imprenditoriale. Anche la Cass. S.U. con sentenza n. 40\2000 ha precisato che il riparto tra giudice ordinario e amministrativo è trasferito dal soggetto all’ oggetto, intendendo con quest’ultimo termine la materia controversa e la disciplina applicabile.

(26) L. Venturini, Giurisdizione della Corte dei Conti nei confronti degli amministratori e dipendenti delle Amministrazioni, Enti Pubblici ed Enti a prevalente partecipazione pubblica, in atti del seminario di studio della Legge 27 marzo 2001, n.97 tenutosi presso la Corte dei conti il 26, 27 e 28 novembre 2001, i cui atti sono reperibili sul sito dell’Associazione Magistrati della Corte dei Conti (www.amcorteconti.it).

(27) N. Leone nell’intervento citato sub nota n. 7.

(28) Sul punto cfr. Cass. S.U. 15 dicembre 1997 n. 12654; idem, 29 novembre 1999 n. 829.

(29) Si ricorda comunque che ogni fondo di dotazione conferito da soggetti pubblici è soggetto all’ obbligo di rendimento secondo l’art. 26 della legge 412 del 1991. Pertanto anche “una sola lira” pubblica è capace di “funzionalizzare” l’attività societaria verso una gestione efficiente e redditizia.

(30)  Cass., S.U., 22 giugno 2000 n. 1193 che ha negato la giurisdizione della Corte dei conti sulla SACE (Sezione autonoma del credito all’ esportazione) nonostante tale ente sia organo  erogatore della spesa  gravante direttamente sul bilancio dello Stato e nonostante il suo organo di amministrazione sia composto esclusivamente di funzionari pubblici nominati o designati dai Ministeri.


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