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Articoli e note

 

CONSIGLIO DI STATO, SEZ.  V, 23 febbraio 2000 n. 948 (annulla TAR Campania-Napoli, sez. V, 4 febbraio 1994 n. 53)

La partecipazione del privato ai procedimenti amministrativi, prevista dal Capo III della L. 241/1990, è necessaria anche in caso di accertamenti che precedono accertamenti vincolati (nella specie si trattava di un procedimento tendente all’adozione di un provvedimento sanzionatorio per una lottizzazione che si assumeva abusiva), dato che in tale ipotesi gli interessati possono far rilevare circostanze ed elementi tali da indurre l’Amministrazione a recedere dall’emanazione di provvedimenti restrittivi.

Il procedimento di verifica degli elementi che caratterizzano la lottizzazione abusiva richiede un accertamento complesso, al quale i soggetti interessati debbono essere posti in grado, con le loro osservazioni critiche e deduzioni in fatto, di utilmente cooperare; è pertanto da ritenere illegittimo un procedimento tendente all’adozione di un provvedimento sanzionatorio per una lottizzazione che si assumeva abusiva, nel quale gli interessati non sono stati posti in grado di partecipare; il non aver posto gli interessati, con apposito avviso ex art. 7 L. n. 241/90, in grado di intervenire nel procedimento sanzionatorio e presentare le proprie deduzioni ha infatti illegittimamente privato l’istruttoria di un apporto collaborativo, che avrebbe potuto orientare in senso diverso l’Autorità Comunale (1).

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(1) V. la nota di commento di M. Alesio, riportata dopo il testo della sentenza.
Per il testo integrale della sentenza (con breve nota), clicca qui
V. in precedenza dello stesso A.
Il giusto procedimento espropriativo secondo gli orientamenti dell'Adunanza Plenaria (nota a C.d.S., Ad. Plen., n. 14/1999 e n. 2/2000).

DIRITTO –(omissis)    La sentenza gravata ha ritenuto non applicabile alla fattispecie l’art. 7 della legge 7 agosto 1990 n. 241, data la natura vincolata del provvedimento impugnato, che presuppone un mero accertamento tecnico, il T.A.R. ha, in altri termini, ritenuto superfluo il contraddittorio, che nella fattispecie non risulterebbe proficuo né al privato né al pubblico interesse.

La ragione di ciò sarebbe la seguente : il principio di partecipazione del privato interessato all’attività della Amministrazione subisce una legittima compressione laddove questo sia inutile ai fini di un’azione amministrativa più opportuna ed imparziale. Nei casi in cui i margini di apprezzamento per l’Amministrazione siano esigui, si reputa inutile l’arricchimento che la partecipazione del privato comporta, in quanto si è comunque di fronte a provvedimenti necessitati.

Il Collegio, però, non condivide tale orientamento : la partecipazione del privato anche agli accertamenti che precedono provvedimenti vincolati può rilevare circostanze ed elementi tali da indurre l’Amministrazione a recedere dall’emanazione di provvedimenti restrittivi.

Come si vede, gli elementi che caratterizzano la lottizzazione abusiva sono molteplici e devono essere, per costante giurisprudenza, univoci e gravi. La loro verifica, pertanto, richiede un accertamento complesso, al quale i soggetti interessati possono, con le loro osservazioni critiche e deduzioni in fatto, utilmente cooperare.

Orbene, il non aver posto le ricorrenti in grado di intervenire nel procedimento sanzionatorio e presentare le proprie deduzioni ha illegittimamente privato l’istruttoria di un apporto collaborativo, che avrebbe potuto orientare in senso diverso l’Autorità Comunale.

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MASSIMILIANO ALESIO
(Avvocato)

La comunicazione di avvio del procedimento negli atti vincolati.

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La sentenza che si commenta costituisce un ulteriore intervento in una problematica, quella della discussa obbligatorietà della comunicazione di avvio procedimentale nei riguardi degli atti vincolati, travagliata e controversa, oltre che oggetto di continuo ed incessante attenzione da parte della giurisprudenza. Infatti, a partire dall’entrata in vigore della L. 241/1990 (“Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi”), gli artt. 7 e ss. [1], disciplinanti la partecipazione e la comunicazione di avvio, sono stati attentamente analizzati dalla giurisprudenza amministrativa, di primo e secondo grado, sotto diversi profili. Il profilo che qui interessa è quello afferente le categorie dei procedimenti ed atti, che non rientrano nel novero di applicazione della comunicazione di avvio [2].

Sin dal 1990, la giurisprudenza ha espresso variegate posizioni circa l’assoggettabilità degli atti vincolati all’obbligo di comunicazione. Dall’analisi delle diverse pronunce, particolarmente quelle degli ultimi 5 – 6 anni, è possibile rinvenire tre distinte posizioni.

Secondo un primo orientamento, per gli atti vincolati non trova applicazione l’obbligo di comunicazione. Secondo un diverso ed opposto orientamento, la comunicazione va effettuata sempre, prescindendo dalla natura discrezionale o non discrezionale dell’atto. Secondo infine un terzo orientamento, definibile come intermedio e diffusosi negli ultimi anni, la comunicazione va effettuata solo se si presenta opportuna ai fini di una migliore analisi ed esame dei presupposti di fatto, su cui dovrà fondarsi il provvedimento vincolato.

Il primo orientamento, risalente nel tempo e tuttora diffuso,  ha avuto modo di esprimersi particolarmente in riferimento a talune fattispecie di atti vincolati in materia edilizio-urbanistica.

In T.A.R. Lazio, sez. II, n. 489 del 11/03/1997, l’orientamento è chiaramente espresso : La comunicazione di avvio del procedimento va concepita non come mero strumento di instaurazione del contradditorio, ma come mezzo idoneo a consentire una forma di partecipazione collaborativa dell’amministrato interessato, indirizzata alla determinazione concorsuale del contenuto del provvedimento , di cui, con intrinseco riferimento all’attività discrezionale dell’Amministrazione, viene esaltato il momento compositivo di interessi contrapposti ; pertanto, un tale onere non sussiste ove l’attività amministrativa si esaurisca nella mera adozione di un atto vincolato, quando cioè il processo valutativo sia privo di contenuti discrezionali e manchi una comparazione di interesse.

La sentenza è importante, non solo per la sua linearità, ma soprattutto perché collega la non doverosità della comunicazione ad una data concezione di “partecipazione procedimentale”, strumentale e coerente alla soluzione data. Su tale questione, quella cioè relativa all’imprescindibile nesso fra comunicazione di avvio e nozione di partecipazione, ci intratterremo fra breve, in quanto si tratta di una problematica della massima importanza. Per ora, è sufficiente evidenziare che la comunicazione viene vista soprattutto come strumento di partecipazione collaborativa del privato, diretta ad arricchire l’istruttoria procedimentale. Dunque, se la struttura procedimentale non può essere arricchita, la comunicazione e la partecipazione non hanno, secondo tale orientamento, ragion d’essere. Come prima anticipavamo, tale orientamento trova spazio, in particolare, in riferimento a tipici atti di materia edilizia.

L’obbligo di comunicazione dell’avvio del procedimento amministrativo non è invocabile nell'ipotesi di attività vincolata della Pubblica Amministrazione (nella specie, è stato escluso tale obbligo in relazione all’adozione del provvedimento di decadenza di una concessione di costruzione per scadenza dei termini di ultimazione dei lavori)  (TAR Campania, sez. Salerno, n. 422 del 10/07/1997).

L’ordine di demolizione di opere edilizie abusive rappresenta un atto vincolato per l’Amministrazione, da adottare all’esito di meri accertamenti tecnici circa la consistenza delle opere ed il loro non assentimento; pertanto, in tali casi, non è necessaria la comunicazione di avvio del procedimento, di cui agli artt. 7 e 8 L. 241/1990 (TAR Piemonte, sez. I, n. 738 del 06/11/1997).

Le misure repressive per abusi edilizi, ai sensi degli artt. 4 e segg. L. 28 febbraio 1985 n. 47 sono atti dovuti, per i quali non s’impone il contradditorio; pertanto, non occorre la comunicazione di avvio del procedimento al soggetto che abbia realizzato una costruzione senza il relativo titolo (TAR Toscana, sez. III, n. 396 del 21/11/1998).

Il provvedimento repressivo di un abuso edilizio non deve essere preceduto dall’avviso dell’inizio del procedimento, non rinvenendosi, in capo all’Amministrazione, margini di discrezionalità. (TAR Campania – Napoli, sez. IV, n. 2996 del 23/11/1999).

In altre sentenze, ascrivibili al primo orientamento, si mette in evidenza, con rilevante enfasi, l’importanza del necessario apporto di utilità della comunicazione,  la quale deve favorire la formazione di un provvedimento completo ed esaustivo, cioè che tiene conto di tutte le molteplici sfaccettature ed interessi della fattispecie concreta.

All’interno del primo orientamento, dunque, si è sviluppato un filone di pensiero, il quale, portando ad estremo sviluppo le tesi sostenute, afferma, sostanzialmente, che la comunicazione è obbligatoria solo se è in grado di fornire utilità al procedimento e, più in generale, all’azione amministrativa.

L’obbligo della comunicazione di avvio del procedimento, ai sensi degli artt. 7 e 8 L. 241/1990, è configurabile solo quando la comunicazione stessa possa apportare una qualche utilità all’azione amministrativa perché questa riceva arricchimento dalla partecipazione del destinatario del provvedimento, sicchè in mancanza di tale utilità viene meno l’obbligo della comunicazione stessa. (TAR Sicilia - Palermo, sez. II n. 1719 del 07/11/1997).

L’obbligo della Pubblica Amministrazione di dare all’interessato l’avviso dell’inizio del procedimento, ai sensi dell’art. 7 L. 241/1990, sussiste solo quando, avuto riguardo alle ragioni che giustificano l’adozione del provvedimento conclusivo ed a qualunque altro profilo, la detta comunicazione apporti una qualche utilità all’azione amministrativa procedimentalizzata, nella misura in cui quest’ultima riceva arricchimento, sui piani della legittimità e del merito, dalla partecipazione del privato (TAR Campania – Napoli, sez. V, n. 921 del 01/04/1999).

In stretto collegamento a tale posizione, si è sviluppato un altro filone, il quale pone enfasi sul raggiungimento dello scopo di consentire la partecipazione, per cui, una volta che questa si sia in qualunque modo realizzata,  non vi è necessità di dare comunicazione.

La regola di cui all’art. 7, L. 7 agosto 1990 n. 241, che prescrive l’invio della comunicazione di avvio del procedimento ai soggetti interessati e specificamente indicati dalla norma, non può essere applicata meccanicamente e formalisticamente, ancorchè lo scopo di rendere possibile la partecipazione procedimentale sia stato comunque raggiunto nella specie, per la partecipazione dell’interessato, perché altrimenti si determinerebbe l’inutile ripetizione del procedimento, con aggravio sia per l’Amministrazione che per l’interessato (Consiglio di Stato, sez. IV, n. 3 del 02/01/1996).

La mancata comunicazione dell’avvio del procedimento non vizia l’azione amministrativa quando il contenuto del provvedimento è  meramente vincolato anche con riferimento ai presupposti di fatto, nonché tutte le volte in cui la conoscenza è comunque intervenuta, si da ritenere raggiunto lo scopo cui tende detta comunicazione (TAR Lazio – Latina, n. 1  del 15/01/1999).

In netta contrapposizione a tale orientamento, un altro, pur esso diffuso ed autorevole, sostiene che la comunicazione di avvio va effettuata sempre, indipendentemente dalla natura discrezionale del provvedimento [3]. 

L’applicazione degli artt. 7 e 8 Legge n. 241/1990, sull’obbligo di comunicare l’avvio del procedimento amministrativo ed il nome del funzionario responsabile, prescinde dal tipo di procedimento avviato, fatti salvi i limiti vigenti in tema di esigenze di celerità o di carattere cautelare (Tribunale Superiore delle Acque pubbliche n. 33 del 11/02/1999).

L’obbligo di invio della comunicazione di avvio del procedimento, previsto dall’art. 7 Legge n. 241/1990, sussiste anche per i procedimenti tesi all’adozione di atti vincolati, con particolare riferimento all’accertamento esatto dei fatti sui quali si fonda l’adozione del provvedimento (Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 1.245 del 15/07/1999).

Di particolare interesse, è la sentenza del Tar Liguria, Sez. 1, n. 176 del 27/05/1995 [4], con la quale viene definito con nitidezza l’orientamento giurisprudenziale diretto a rimarcare la necessità della comunicazione, a fronte dell’imprescindibile rilievo che essa assume nell’ambito di una nozione di partecipazione, intesa come strumento in grado di consentire una più attenta analisi degli interessi sia pubblici che privati, coinvolti dal procedimento, oltre che per perseguire una “gestione concordata o consentita” del potere amministrativo [5].

In linea intermedia rispetto agli orientamenti sinora esaminati, ha preso piede un terzo orientamento, diretto a creare un "ponte concettuale" fra i due, nel tentativo di superare gli sviluppi estremistici insiti nei medesimi.

Si sostiene, secondo tale orientamento intermedio, che la comunicazione e la partecipazione procedimentale, hanno un senso, in riferimento agli atti vincolati, solo se si profila necessario analizzare i presupposti di fatto, su cui dovrà fondarsi il provvedimento vincolato. Viceversa, se tali presupposti sono pacifici ed incontestati, non vi è spazio, nel senso che non se ne ravvisa l'utilità, per la comunicazione di avvio procedimentale.

Nel caso di provvedimenti vincolati, occorre, invece, distinguere: qualora i fatti che costituiscono il presupposto di tali atti e la loro valutazione siano pacifici ed incontestati da parte del privato, appare superfluo ogni spazio di intervento da parte del cittadini incisi.. Quando al contrario la partecipazione del privato appare senza dubbio proficua, potendo il soggetto destinatario dell'azione amministrativa far rilevare elementi tali da indurre l'Amministrazione a recedere dall'adozione del provvedimento restrittivo, è necessario l'avviso di avvio del procedimento (Consiglio di Stato, sez. IV, n. 168 del 17.02.1998).

Il principio secondo cui la partecipazione del privato interessato all'attività amministrativa subisce una legittima compressione quando sia inutile ai fini di un'azione amministrativa più opportuna ed imparziale, come nel caso di accertamenti di fatto che precedono atti vincolati, va condiviso solo nei quali non solo i provvedimenti della P.A. sono vincolati, ma i fatti che ne costituiscono il presupposto e la loro valutazione sono pacifici ed incontestati da parte del privato (TAR Veneto, sez. I, n. 3186 del 18.08.1999) [6].

L'orientamento intermedio cerca, dunque, di mediare fra i due precedenti, ponendo in evidenza l'importanza della partecipazione al fine di una migliore analisi dei presupposti di fatto del provvedimento vincolato. Ciò ci conduce, inevitabilmente, ad affrontare il nesso imprescindibile sussistente fra comunicazione di avvio e nozione di partecipazione.

Qual è la funzione della comunicazione rispetto alla partecipazione procedimentale? A quale tipo di partecipazione è connessa la comunicazione di avvio negli atti vincolati?

Per rispondere a queste domande e ad altre connesse, non resta che esaminare la storia della partecipazione procedimentale.

La problematica della partecipazione, strettamente collegata a quella del procedimento, ha cominciato a divenire frequente oggetto di discussione, da parte della cultura giuspubblicistica, verso la fine degli anni sessanta. In quegli anni, infatti, prendeva piede l'esigenza di introdurre, nell'ambito degli istituto di decisione amministrativa, una serie di interessi sforniti di tutela ed estranei ai processi decisionali; la partecipazione era all'ora vista come lo strumento più idoneo per perseguire questo obiettivo. Successivamente, il dibattito ha evidenziato altre esigenze ed altre funzioni connesse alla partecipazione: a) partecipazione come istituto diretto a perseguire una gestione "consentita", o meglio "concordata" del potere; b) partecipazione come istituto in grado di garantire al privato il diritto di essere informato circa eventuali provvedimenti incidenti sulla sua sfera giuridica (partecipazione contraddittorio o partecipazione garantista); c) partecipazione come istituto in grado di consentire un'analisi più approfondita e trasparente degli interessi coinvolti dall'azione amministrativa; d) partecipazione come concetto-valvola sancito dalla Costituzione (art. 3 comma 2), per adeguare l'ordinamento ai processi evolutivi della vita politica e sociale; e) partecipazione come strumento idoneo ad armonizzare il principio dello Stato di diritto con quello dello Stato sociale.

I primi tre connotati attribuiti alla partecipazione non necessitano, per la loro sostanziale linearità, di alcun approfondimento, diversamente dagli ultimi due che ora, brevemente, affronteremo.

Nel XX secolo, caratterizzato da cambiamenti continui e rapidi, si è evidenziata, in maniera pressante, l'esigenza di individuare strumenti idonei ad adeguare lo Stato ai bruschi e, talora imprevedibili, mutamenti del contesto socio-economico. La dottrina tedesca ha identificato uno di tali strumenti nella partecipazione, attribuendogli il valore di "ventilbegriff" [7], concetto-valvola, capace di creare una continua osmosi fra Stato e società, e dunque, idoneo a ricomporre l'unità del modello giuspolitico. Tale unità si attua attraverso due strade: una prima ascendente, che collega la società allo Stato, una seconda discendente, che prevede un'azione dello Stato nella società. La partecipazione si inserisce in questo quadro come forma di collegamento ascendente fra società e Stato.

Il rapporto Società-Stato ci conduce, subito, a parlare dell'altra connotazione attribuita alla partecipazione. Sui concetti di Stato di diritto e Stato sociale, nell'ultimo trentennio si è a lungo intrattenuta la dottrina giuridica e politica, la quale soleva, e suole, distinguerli e presentarli nel seguente modo. Lo Stato di diritto ha come postulato fondamentale la sua autonomia dalla società civile, e si caratterizza per il suo limitato intervento nella società, intervento diretto solo a garantire una serie di libertà e di diritti, espressamente riconosciuti. Lo Stato sociale, invece, postula il raccordo funzionale fra le istituzioni pubbliche e la società, e si caratterizza per il fatto di essere soggetto attivo della comunità, interessato ad incidere pure pesantemente sull'ordine sociale per promuovere lo sviluppo socio-economico e comporre i conflitti esistenti. Orbene, stante la forte diversità fra questi due modelli di Stato, la dottrina giuridica e politica ha cercato di individuare uno strumento capace di armonizzarli, in maniera tale da evitare le tipiche degenerazioni dei medesimi: l'individualismo ed il collettivismo. Il concetto-strumento, sul quale maggiormente si è concentrato l'interesse, è stato quello della partecipazione. Parte della dottrina ha, infatti, iniziato a parlare di "Stato sociale di diritto", un modello di Stato che trae origine dall'armonizzazione dei due modelli precedenti e che si fonda sulla cosiddetta "democrazia partecipativa", nella quale la partecipazione esplica il suo massimo potenziale: lo Stato interviene nella società per il perseguimento dei suoi fini di benessere sociale (art. 3 comma 2 Cost.), e la sua azione viene ad un tempo rafforzata e controllata dalla partecipazione dei cittadini alle strutture pubbliche.

Il discorso panoramico sulla partecipazione non è privo di senso e di utilità; basti pensare che, non solo in giurisprudenza, ma anche in dottrina, gli orientamenti in materia di comunicazione di atti vincolati risentono degli influssi del dibattito evidenziato.

Virga [8] sostiene che eccessiva sembra, invece, la tesi che afferma l'obbligo della comunicazione di avvio del procedimento per l'adozione di tutti i provvedimenti vincolati, ove sia necessaria un'attività di accertamento della situazione di fatto, in quanto l'acquisizione delle osservazioni dei soggetti destinatari dell'azione amministrativa assolve ad una funzione conoscitiva di arricchimento delle cognizioni di cui l'Amministrazione è già in possesso, al fine di verificare la sussistenza dei presupposti per l'adozione di atti vincolati, previsti ex lege.

E' facile vedere, in tale posizione, l'adesione ad una particolare nozione di partecipazione, secondo la quale la medesima, in quanto diretta a consentire un'analisi più approfondita degli interessi coinvolti nel procedimento, esplica una funzione, in relazione agli atti vincolati, solo se finalizzata a far luce su aspetti e fatti incerti e contestati. Dunque, partecipazione come istituto in grado di consentire un'analisi più approfondita e trasparente degli interessi coinvolti dall'azione amministrativa; se l'analisi non si profila necessaria, perché i fatti, relativi agli interessi, sono pacifici, non risulta necessaria neppure la partecipazione e la comunicazione, le quali non debbono trasformarsi in meri rituali [9].

Posizione diversa viene assunta da altra dottrina.

Caranta e Ferraris affermano invece che, anche se il potere amministrativo è vincolato e la situazione di fatto non è contestata, ben potrebbe il privato voler interloquire circa l'interpretazione della norma applicabile alla fattispecie [10].

In tale affermazione si sente l'eco di una nozione di partecipazione ben diversa da quella accolta dalla precedente dottrina. La partecipazione non è tanto vista come uno strumento di arricchimento dell'istruttoria procedimentale, ma come un istituto diretto a perseguire una gestione "concordata" del potere. Affermare che la partecipazione, instaurando un dialogo fra P.A. e cittadino, evita la formazione e l'emanazione di provvedimenti caduti dall'alto [11], costituisce chiaro segnale che la partecipazione medesima viene considerata alla luce di diverse visioni dell'agire amministrativo, ove l'intervento procedimentale del privato diventa in ogni caso necessario, perché funzionalizzato ad una gestione "consentita" del potere amministrativo. Questo non va esercitato mai (!) in forma unilaterale, ma deve essere sempre "cogestito", almeno sotto l'aspetto dell'informazione e dell'istruttoria procedimentale, con il privato interessato.

Tale duplicità di nozione riecheggia  quanto già visto in sede giurisprudenziale.

Il primo orientamento (non occorre la comunicazione per gli atti vincolati) e quello terzo intermedio fanno perno su di una nozione di partecipazione, intesa come strumento di arricchimento dell'istruttoria procedimentale. Il secondo orientamento (occorre sempre la comunicazione per gli atti vincolati) si riferisce, invece, ad un'altra nozione, ove la partecipazione è vista come strumento di gestione concordata del potere amministrativo, strumento di informazione e garanzia del privato, strumento per adeguare l'ordinamento ai processi evolutivi della vita politica e sociale, strumento idoneo ad armonizzare il principio dello Stato di diritto con quello dello Stato sociale.

Dunque, una nozione di partecipazione ben vasta, nel suo contenuto, e ben articolata, diretta a fornire al privato una sorta di "tutela preventiva totale" nei riguardi dell'agire amministrativo.

La sentenza Consiglio di Stato, sez. V, n. 948 del 23.02.2000, che si commenta, si inserisce, a pieno titolo, in tale orientamento, ove la partecipazione e la comunicazione di avvio sono indubbiamente valorizzate al massimo grado. Anche in presenza di atti vincolati, anche in presenza di esigui, se non inesistenti, margini di apprezzamento per la P.A., la partecipazione è sempre utile, in quanto può rilevare circostanze ed elementi tali da indurre l'amministrazione a recedere dall'emanazione di provvedimenti restrittivi. La partecipazione viene vista, allora, come un valore in sé, indipendentemente dal fatto che la P.A. possa cambiare il suo convincimento [12].

E' questo, sicuramente, un orientamento suggestivo con buoni margini di condivisione. Consentire al privato di partecipare, in ogni caso, al procedimento, indipendentemente dall'apporto di utilità all'istruttoria, è indubbia manifestazione di un nuovo modello di amministrazione, ove il momento democratico di confronto e di dialogo assume un'importanza preponderante. E' evidente che un tale modello si presenta caratterizzato, e in certo qual senso dominato, da quella che può essere definita la "democrazia partecipativa", la quale assurge a nuovo principio ispiratore dell'azione amministrativa, anche con profili di autonomia, prima denegata, rispetto ai tradizionali principi di buona amministrazione, legalità ed imparzialità.

Dunque, l'obbligatorietà assoluta della comunicazione di avvio, in quanto collegata ad una data nozione di partecipazione, ha indubbi punti di interesse e di condivisione. Tuttavia, è necessario evidenziarne gli esiti procedimentali, al fine di non cadere in un acritico encomio. L'assoluta obbligatorietà della comunicazione di avvio comporta che ogni procedimento amministrativo deve conoscere l'incontro, l'intervento del privato. Ciò, da un punto di vista di integrale trasparenza e partecipazione, è sicuramente accettabile e degno di plauso; ma, da un punto di vista di tempestività dell'azione amministrativa, si rivela un sicuro elemento di rallentamento.

Qui il discorso deve essere chiaro!

Se si vuole un'azione amministrativa integralmente trasparente, con ineludibile partecipazione dei privati interessati in ogni procedimento amministrativo, bisogna anche sapere che essa non potrà mai essere pienamente tempestiva ed efficiente. Occorre rendersi conto che la piena trasparenza e l'integrale partecipazione procedimentale, intesa in termini assoluti, presentano un profilo di disomogeneità, se non di contrasto, con le esigenze di un'azione amministrativa realmente tempestiva. Se si pretende (e la pretesa non è senza giustificazione!) che la partecipazione si realizzi pure negli atti vincolati, non si può, poi, pretendere una vera celerità nell'agire amministrativo. Trasparenza e partecipazione non sono sinonimi di tempestività ed economicità dell'azione amministrativa. Anzi, presentano punti di incompatibilità, nel senso che, se si esige un agire fortemente "partecipativo", non si può esigere un agire amministrativo tempestivo ed economico.

In realtà, forse, una composizione dell'antinomia, almeno in termini di indirizzi generali, ci viene fornita dall'art. 1 L. 241/1990 [13], il quale, non senza significato, afferma che l'azione amministrativa deve ispirarsi ai principi di economicità, pubblicità ed efficacia, ma non cita l'efficienza [14].

Cosa vuol dire ciò?

Vuol dire, forse, che l'azione amministrativa, oltre ad essere trasparente (pubblicità) e comportare ridotti costi (economicità), deve essere in grado di perseguire e realizzare i propri obiettivi (efficacia), ma non si richiede un rapporto ottimale fra i mezzi impiegati ed i fini da raggiungere, valore portante dell'efficienza. Allora, se ciò può sembrare paradossale, si può forse sostenere che l'ordinamento ed, in particolare, la fondamentale legge 241/1990, si riconette ad una nozione di partecipazione esigente sempre la comunicazione di avvio. Tuttavia, questo sembra essere solo un possibile scenario interpretativo, non del tutto certo, in quanto occorre ammettere che un obbligo assoluto di comunicazione di avvio sembra, in realtà, essere non compatibile non solo con l'efficienza, non prevista dall'art. 1 L. 241/1990, ma anche con l'economicità dell'azione amministrativa, la quale richiede il perseguimento del minor costo possibile, anche in termine di tempi, nell'esercizio delle potestà amministrative. Ciò, senza dimenticare il divieto di aggravio del procedimento, previsto dall'art. 1 comma 2, L. 241/1990.

In conclusione, la situazione, come può ben vedersi, è alquanto incerta e, potenzialmente, diretta verso possibili sviluppi confliggenti. Ciò che si vuole evidenziare, al di là delle nebulosità insite nella normativa e delle contraddittorie applicazioni giurisprudenziali, è che taluni valori-guida dell'agire amministrativo sono non pienamente compatibili fra di loro, per cui la scelta di privilegiarne uno va a detrimento dell'affermazione completa dell'altro. Di ciò, è necessario, senza ipocriti infingimenti, prenderne atto!


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[1] Art. 7 : Ove non sussistano ragioni di impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità del procedimento, l’avvio del procedimento stesso è comunicato, con le modalità previste dall’art. 8, ai soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti ed a quelli che per legge debbono intervenirvi. Ove parimenti non sussistano le ragioni di impedimento predette, qualora da un provvedimento possa derivare un pregiudizio a soggetti individuati o facilmente individuabili, diversi dai suoi diretti destinatari, l’Amministrazione è tenuta a fornire loro, con le stesse modalità, notizia dell’inizio del procedimento.

Nelle ipotesi di cui al comma 1, resta salva la facoltà dell’Amministrazione di adottare, anche prima della effettuazione delle comunicazioni di cui al medesimo comma 1, provvedimenti cautelari.

[2] La dottrina e la giurisprudenza sostengono la non necessarietà della comunicazione in riferimento ai seguenti procedimenti: -  procedimenti segreti, cioè aventi ad oggetto atti o documenti coperti dal segreto di Stato, ex art. 12 Legge 801/1977; - procedimenti riservati, cioè quelli caratterizzati da prevalenti esigenze di riservatezza; - provvedimenti  che si consumano in un solo atto (acti qui unico actu perficiuntur), cioè quelli che non necessitano del dispiegarsi di un procedimento per la loro adozione; - procedimenti ad istanza di parte. Gli atti di autotutela e quelli di sospensione esigono, per unanime orientamento, la comunicazione di avvio.

[3] La discrezionalità amministrativa consiste in una valutazione, ponderazione dell’interesse primario (pubblico) con gli interessi secondari (pubblici e privati), e nel potere di scegliere la condotta da adottare (atto amministrativo), nell’osservanza delle norme giuridiche e non applicabili al caso concreto. Cosa diversa è la discrezionalità tecnica, la quale consiste nella valutazione dei fatti, posti dalla legge a presupposto dell’agire amministrativo, sulla base di conoscenze tecnico – scientifiche. Bisogna, poi, distinguere gli atti di accertamento tecnico, i quali sono accertamenti di fatti verificabili in modo indubbio, in base a conoscenze e strumenti tecnici di sicura acquisizione. La distinzione fra discrezionalità tecnica e gli atti di mero accertamento tecnico è ben rimarcata dalla giurisprudenza: L’accertamento tecnico si esaurisce nella mera ricognizione degli elementi ai quali una determinata norma attribuisce rilevanza a certi fini; la discrezionalità tecnica, invece, postula che alla fase dell’accertamento segua quella del giudizio, rispetto alla quale la posizione del soggetto destinatario dello stesso è quella di titolare dell’interesse legittimo, un interesse cioè qualificato e tutelato a che gli elementi da lui posseduti siano correttamente valutati, secondo le regole dettate dalla scienza e dalla tecnica (Consiglio di Stato, Sez. 4, n. 1.212 del 20/10/1997).

[4] L’obbligo di comunicazione dell’avvio del procedimento ai soggetti interessati si fonda sull’esigenza di porre i destinatari dell’azione amministrativa in grado di far conoscere il proprio punto di vista all’Amministrazione, al fine di permettere a quest’ultima, nei procedimenti inerenti all’attività discrezionale, di meglio effettuare una ponderata comparazione degli interessi coinvolti, per consentire alla P.A. una più efficace valutazione circa  la migliore soddisfazione dell’interesse pubblico principale a fronte degli interessi pubblici e privati, al fine di permettere all’autorità emanante di chiarire preventivamente, in contraddittorio con l’interessato, i fatti rilevanti da porre a fondamento del futuro provvedimento, evitando in tal modo di incorrere, all’atto dell’adozione del provvedimento finale, in travisamenti.

[5] Il TAR Molise, con sentenza n. 456 del 18/10/1996, esprime con esemplare inequivocità e sinteticità l’orientamento: Gli artt. 7 e 8 Legge n. 241/1990, relativi alla comunicazione dell’avvio del procedimento, non prevedono eccezioni.

[6] Atre sentenze dell'orientamento intermedio: - Consiglio di Stato, sez. V, n. 1223, 11.10.1996; - TAR Liguria, sez. II, n. 14, 28.01.1997; - TAR Sicilia, Catania, sez. III, n. 196, 13.02.1997; - TAR Lazio, sez. III, n. 1093 del 14.05.1998; - TAR Abruzzo, sez. l'Aquila, n. 86, 12.03.1999; - TAR Campania, sez. Salerno, n. 423, 21.10.1999.

[7] Su tali problematiche: K. E. Forsthoff, Concetto e natura dello Stato sociale di diritto, in Stato di diritto in trasformazione, Milano 1983.

[8] Giovanni Virga, La partecipazione al procedimento amministrativo, Milano 1998, pp. 56 (nota 28) e seguenti.

[9] Molto eloquente è l'intervento di Silvestro Russo, A che serve la comunicazione di avvio di procedimento amministrativo, a commento della sentenza del Consiglio di Stato, sez. V, n. 1131 del 09.10.1997, in Foro Amministrativo, 10/1997, pp. 2724 e seguenti: Forse un giorno il dott. Perrotta e la sua PA datrice di lavoro si incontreranno e dialogheranno, grazie alla formalità dell'art. 7 L. 241/1990. Il Consiglio di Stato ha ritenuto imprescindibile la comunicazione dell'avvio del procedimento, anche nel caso di atto vincolato e, addirittura - come nella specie -, in quello di atto sostanzialmente conforme al suo modello legale ed in quello di atto dovuto per la tutela del pubblico interesse. Ma se un giorno avverrà questo incontro, mi chiedo (e perdonatemi l'innocente curiosità), che cosa mai si diranno, al di là dei convenevoli, il dott. Perrotta (e, più in generale, la parte privata in un contesto simile a quello esaminato nella decisione in commento) e la P.A. procedente?

[10] Roberto Caranta e Laura Ferraris, La partecipazione al procedimento amministrativo, Milano 2000, pp. 61 e seguenti.

[11] R. Caranta, L. Ferraris, op. cit., p. 58

[12] In tal senso: Terracciano, Sull'obbligo di comunicazione dell'avvio nel procedimento, in Foro Amministrativo, 1994, pag. 2177.

[13] L'attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di efficacia e di pubblicità secondo le modalità previste dalla presente legge e dalle altre disposizioni che disciplinano singoli provvedimenti.

[14] L'efficacia indica l'idoneità di uno strumento a raggiungere un fine; l'efficienza indica, invece, un rapporto ottimale fra strumenti utilizzati e fine da perseguire.


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