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MASSIMILIANO ALESIO

IL GIUSTO PROCEDIMENTO ESPROPRIATIVO SECONDO GLI ORIENTAMENTI DELL’ADUNANZA PLENARIA
(nota a C.d.S., Ad. Plen., n. 14/1999 e n. 2/2000)

I

Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, sentenza n. 14 del 15/09/1999.

Prima dell’approvazione del progetto definitivo che equivale a dichiarazione di pubblica utilità, urgenza ed indifferibilità, si deve svolgere dinanzi all’organo competente il giusto procedimento, secondo la sequenza: deposito atti – osservazioni – decisioni sulle stesse.

Il giusto procedimento, attuato nell’ambito della dichiarazione di pubblica utilità, non ha ragion d’essere nell’occupazione d’urgenza. Non tanto perché vi osti il presupposto dell’urgenza (ogni approvazione del progetto equivale ope legis a dichiarazione di urgenza ed indifferibilità) dato che l’urgenza che costituisce impedimento alla comunicazione è un’urgenza qualificata, ma perché il giusto procedimento ha ragion d’essere nell’ambito della dichiarazione di pubblica utilità, che conserva momenti di scelte discrezionali, ma non più nell’ambito dell’occupazione d’urgenza, meramente attuativa dei provvedimenti presupposti.

II

Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, Sentenza n. 2 del 24/01/2000.

L’obbligo della Pubblica Amministrazione di dare comunicazione dell’avvio del procedimento amministrativo, ai sensi dell’art. 7 Legge n. 7 Agosto 1990 n. 241, sussiste, in via analogica, anche in caso di dichiarazione di pubblica utilità implicita nell’approvazione del progetto di opere pubbliche.

I

(Omissis) – FATTO E DIRITTO.     Con ricorso del T.A.R. del Friuli – Venezia Giulia notificato il 13 gennaio 1996 le signore Sabina e Consuelo Artelli, comproprietarie di un’azienda agricola sita nel territorio del Comune di Cervignano del Friuli, impugnavano il decreto del Prefetto di Udine 14.12.1995, n. 8211/51601, che disponeva l’occupazione d’urgenza di un’area di oltre 10.000 mq. Compresa nel perimetro della predetta azienda agricola per la realizzazione di opere ferroviarie ed il provvedimento 23.11.1995, n. 338 del Direttore dell’Area ingegneria e costruzioni delle Ferrovie dello Stato, che approvava il progetto delle opere medesime. Deducevano che negli atti impugnati erano stati omessi l’avviso di procedimento e l’indicazione del termine e dell’autorità cui ricorrere.

Resistevano l’Impresa Pizzarotti, concessionaria dei lavori, e la Prefettura di Udine.

Il T.A.R. adito definiva il giudizio con sentenza 13 dicembre 1997, n. 1005, con cui accoglieva il ricorso per la ritenuta fondatezza dei motivi primo (limitatamente all’approvazione del progetto), terzo e settimo.

Avverso tale sentenza l’impresa Pizzarotti, con ricorso notificato il 25 febbraio 1998, propone appello con quattro motivi.

La IV sezione, con ordinanza 17 febbraio 1999, n. 168, ritenendo dubbia e fonte di possibili contrasti giurisprudenziali la questione dell’applicabilità dell’avviso di procedimento ai procedimenti ablatori, ha rimesso il ricorso all’Adunanza plenaria.

In tale contesto normativo, è sopravvenuta la Legge n. 241 del 1990, che, in quanto legge “breve”, è legge sul procedimento amministrativo, non legge del procedimento amministrativo.

Tale legge, tra l’altro, ha esteso il giusto procedimento, anzi la partecipazione, perché applicabile anche ai procedimenti diversi da quelli restrittivi della sfera giuridica degli interessati, per l’innanzi adottata soltanto per singoli procedimenti, alla generalità dei procedimenti amministrativi, fatta eccezione per alcuni tipi, per i quali quel modello è escluso o in senso assoluto o perché essi sono disciplinati in maniera speciale: i procedimenti per l’emanazione di atti normativi o amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione, tributari (art. 13, Legge n. 241 del 1990 cit.). Perché i soggetti legittimati possano partecipare o intervenire, è necessario che essi siano resi edotti della pendenza del procedimento. A ciò provvede l’avviso di procedimento, che l’autorità procedente è tenuta a dare personalmente ai soggetti nei cui confronti il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti e a quelli che per legge debbono intervenire (art. 7 Legge cit.).  

Orbene, la dichiarazione di pubblica utilità, secondo il più comune sentire, ha come effetto quello di sottoporre il bene al regime di espropriabilità; determinando l’affievolimento del diritto di proprietà e ponendosi come presupposto dell’espropriazione. Essa, pertanto, incidendo direttamente sulla sfera giuridica del proprietario è immediatamente lesiva e, come tale viene comunemente ritenuta autonomamente impugnabile. In termini procedimentali, pertanto, la dichiarazione di pubblica utilità  non è un subprocedimento del procedimento espropriativo, ma è un procedimento autonomo, che si conclude con un atto di natura provvedimentale immediatamente impugnabile. Pertanto, la tesi  secondo cui la norma sull’avviso di procedimento non si applicherebbe alla dichiarazione di pubblica utilità implicita equivale ad espungere dall’ambito del giusto procedimento, fuori dai casi previsti dalla legge, un procedimento amministrativo autonomo. Né ora, nell’attuale contesto normativo diretto a garantire la partecipazione potrebbe valere a tal fine una partecipazione differita, successiva alla dichiarazione di pubblica utilità ed all’occupazione d’urgenza. Questa, infatti, oltre a intervenire in una situazione di fatto irreversibile resterebbe comunque esterna allo sviluppo procedimentale della dichiarazione di pubblica utilità, che risulterebbe priva di garanzia partecipativa. Non giova in contrario richiamare l’esclusione della partecipazione prevista  per i procedimenti di pianificazione, quali quelli per l’approvazione  degli strumenti urbanistici generali. Vero è che la partecipazione che si attua nei procedimenti di pianificazione in ordine alla destinazione urbanistica delle singole aree involge la parte essenziale della potestas decidendi  degli enti territoriali competenti, ma è altrettanto certo che non la esaurisce.  Se la destinazione urbanistica dell’area è questione già definita in sede di pianificazione urbanistica, il progetto dell’opera pubblica, che  nel suo fieri  è preliminare e poi definitivo, prima di divenire esecutivo, e la sua localizzazione di dettaglio sono altrettanti oggetti di potere amministrativo sui quali il contraddittorio degli interessi può apportare elementi di valutazione non marginali ai fini della proporzionalità e del  buon andamento dell’azione amministrativa, specialmente ove esistano situazioni di interesse qualificato nelle quali una determinata ma non ineluttabile compressione del diritto di proprietà può implicare un sacrificio sproporzionato all’interesse pubblico. Ciò posto, va richiamato che il procedimento di dichiarazione di pubblica utilità non è del tutto carente di disciplina di partecipazione, in quanto gli artt. 10 e 11 della legge n. 865 del 1971,  ne regolano la forma esplicita secondo il consueto modulo: deposito atti – osservazioni – decisione sulle stesse. In presenza del criterio orientativo del “giusto procedimento”, non par dubbio che le norme previste per la dichiarazione di pubblica  utilità esplicita debbano valere, in quanto compatibili, per la dichiarazione implicita. A parte ciò, non vi sono ostacoli a che, prima dell’approvazione del progetto definitivo, che equivale a dichiarazione di pubblica utilità, urgenza ed indifferibilità, si svolga dinanzi all’organo competente, secondo la sequenza: deposito atti – osservazioni – decisioni sulle stesse, il giusto procedimento; quest’ultimo, infatti, resiste alla sostituzione di una decisione pluristrutturata con una monostrutturata, come già nella vicenda della soppressione dell’approvazione regionale sugli strumenti urbanistici attuativi (art. 24, Legge n. 47 del 1985), che ha devoluto all’organo comunale la competenza a decidere le osservazioni degli interessati. Ciò detto, appare conseguente affermare che il giusto procedimento, ove attuatosi nell’ambito della dichiarazione di pubblica utilità, non ha ragion d’essere nell’occupazione d’urgenza. Ciò non tanto perché vi osti il presupposto dell’urgenza. Ogni approvazione del progetto di un’opera pubblica equivale ope legis a dichiarazione di urgenza ed indifferibilità, mentre l’urgenza che costituisce impedimento alla comunicazione dell’avviso del procedimento è un’urgenza qualificata. Ma piuttosto perché il giusto procedimento ha ragion d’essere nell’ambito della dichiarazione di pubblica utilità, che conserva momenti di scelte discrezionali, ma non più nell’ambito dell’occupazione d’urgenza, meramente attuativa dei provvedimenti presupposti.

II

Per il testo della decisione dell'Ad.Plen. n. 2/2000, clicca qui.

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NOTA

La sentenza del Consiglio di Stato -  Adunanza plenaria del 24 gennaio 2000 n. 2 - conferma le statuizioni già contenute nella sentenza del medesimo Tribunale amministrativo d’Appello, Adunanza plenaria del 15 settembre 1999 n. 14, in materia di giusto procedimento espropriativo.

La conferma è integrale, per cui è sembrato opportuno riportare le massime di entrambe e i riferimenti di Fatto e di Diritto della precedente, più dettagliata della successiva. La sentenza 2/2000 è indubbiamente importante, in quanto, pur se confermativa della precedente, evidenzia in tal modo il consolidarsi di un orientamento giurisprudenziale del Consiglio di Stato, il quale avrà effetti più che rilevanti, se non proprio dirompenti, sulle procedure di espropriazione di pubblica utilità sinora condotte. Per le ragioni ora espresse, si procederà ad una analisi congiunta di entrambe le sentenze.

La sentenza Adunanza Plenaria 14/1999 effettua un breve riepilogo illustrativo della normativa in materia di espropriazione, soffermandosi particolarmente sulla dichiarazione di pubblica utilità. Il punto di partenza è, ovviamente, costituito dalla Legge 25 giugno 1865, n. 2359, la quale articolava la dichiarazione di pubblica utilità in due distinti procedimenti.

Un primo procedimento era diretto propriamente ad accertare la pubblica utilità dell’opera e sfociava nella conseguente emanazione del decreto dichiarativo della sussistenza della pubblica utilità medesima. Un secondo procedimento era, invece, diretto alla designazione dei beni da espropriarsi, e culminava nell’ordine di esecuzione, emanato dal Prefetto, di realizzazione del piano particolareggiato.

La Legge 22 ottobre 1971 n. 865, in un’ottica di celerità dell’azione amministrativa, eliminava la struttura bifasica del procedimento espropriativo, con la previsione dell’obbligo di presentare la relazione esplicativa dell’opera da realizzare, unitamente alle mappe catastali relative alle aree da espropriare e ad altri documenti, a carico del soggetto espropriante. La semplificazione procedurale viene compensata da un rafforzamento delle garanzie  partecipative dei soggetti espropriandi, mediante la previsione dell’obbligo di notifica individuale, in favore dei medesimi, dell’avvenuto deposito degli atti della procedura espropriativa.

Ulteriore forma di tutela venne costituita attraverso la possibilità di presentare osservazioni scritte, da depositare nella segreteria del Comune, così come previsto agli artt. 10 ed 11. Sempre nell’ottica della tempestività dell’azione amministrativa, l’art. 1 della Legge 3 gennaio 1978 n. 1, ha previsto che l’approvazione dei progetti di opere pubbliche, da parte dei competenti organi statali, regionali, delle province autonome di Trento e Bolzano e degli altri enti territoriali equivale a dichiarazione di pubblica utilità e di urgenza ed indifferibilità delle opere stesse. In tal modo, è stata introdotta la figura della dichiarazione di pubblica utilità implicita, la quale ha assunto, in quanto collegata all’approvazione di un’opera pubblica, un rilievo assolutamente dominante.

Ulteriori interventi del legislatore in materia di dichiarazione di pubblica utilità, si sono avuti con la legge 11 febbraio 1994 n. 109 (legge quadro in materia di lavori pubblici), in particolare a seguito delle modifiche introdotte con le successive leggi 216/1995 e 415/1998. Infatti, la disciplina normativa delineata in riferimento al progetto preliminare ed a quello definitivo di un’opera pubblica presenta interessanti novità. L’art. 16 III c. prevede che il progetto preliminare deve consentire l’avvio della procedura espropriativa. L’art. 14 XIII c. stabilisce che l’approvazione del progetto definitivo da parte di un’amministrazione aggiudicatrice equivale a dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza dei lavori.

Il sopravvenire della Legge 7 Agosto 1990 n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di accesso ai documenti amministrativi), introducendo innovativi e radicali principi in materia di procedimento, non poteva non produrre effetti anche nei riguardi dell’espropriazione per pubblica utilità. L’importanza delle garanzie partecipative, contenute  nella Legge ora indicata, ha indotto la dottrina e la giurisprudenza a ripensare la procedura espropriativa ab imis, concentrando la propria attenzione sulla fase iniziale della procedura medesima.

Dunque, il fondamentale quesito, che si è posto in conseguenza della Legge n. 241/1990, può essere sintetizzato sostanzialmente come segue: le formalità garantistiche, previste dagli artt. 10 e 11 Legge n. 865/1971, devono precedere l’approvazione del progetto di opera pubblica, la quale equivale, come sopradetto, a dichiarazione di pubblica utilità e di indifferibilità ed urgenza delle opere?  

A tale quesito sono state date due risposte.

La prima risposta è stata sostanzialmente di chiusura, e ha tratto il proprio fondamento da una sentenza del Consiglio di Stato, antecedente all’entrata in vigore della Legge n. 241/1990 (Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, n. 6 del 19/06/1986), nella quale si sosteneva che le formalità ex artt. 10 e 11 Legge n. 865/1971 possono legittimamente essere espletate dopo la dichiarazione di pubblica utilità, in quanto la partecipazione ed il contradditorio sono stati anticipati al momento della pianificazione urbanistica, ove il cittadino, attraverso lo strumento delle osservazioni – opposizioni, ha avuto modo di estrinsecare le proprie ragioni in maniera collaborativa. La posizione di chiusura ha conosciuto diffusione nei primi anni novanta[1], e si è fondata, oltre che sul rilievo prima evidenziato, su di un’altra argomentazione. Si è sostenuto che le disposizioni della Legge n. 241/1990, in particolare quelle attinenti alla partecipazione al procedimento amministrativo (Capo III), non trovano applicazione nei riguardi delle procedure espropriative, in quanto queste presentano una propria disciplina speciale, la quale già prevede moduli di partecipazione.

L’argomento della specialità di disciplina trova eco e cittadinanza anche in alcune recenti sentenze, nelle quali sostanzialmente si sostiene che l’espropriazione, così come normata dal legislatore statale, presenta già sufficienti forme di partecipazione, per cui risulta superflua l’applicazione dei modelli partecipativi previsti dalla L. n. 241/1990[2].

 All’orientamento di chiusura, si contrappone una diversa posizione dottrinaria [3] e giurisprudenziale, la quale sostiene che l’avvio del procedimento espropriativo deve essere dato prima dell’approvazione del progetto di opera pubblica.  Il fondamento di tale asserzione viene rinvenuto nel sopravvenire della Legge n. 241/1990, la quale impone una integrale rilettura della procedura espropriativa in senso garantistico. Tale orientamento  ha conosciuto diffusione verso la metà degli anni novanta [4], per poi affermarsi  verso il finire del millennio[5].

Significativa si è rivelata la sentenza del TAR Lombardia, Sez. Brescia, n. 156 del 09/03/1998, nella quale si afferma che la notifica al proprietario dell’avviso dell’avvenuto deposito della relazione esplicativa, corredata dalle mappe su cui sono individuate le aree da espropriare, prima dell’approvazione del progetto, sopperisce all’esigenza della comunicazione di avvio del procedimento. Emerge, dunque, con chiarezza l’esigenza di anticipare le formalità previste ai già citati artt. 10 e 11 Legge n. 865/1971, attribuendo ad esse la funzione di comunicazione di avvio procedimentale, così come sancita dagli artt. 7 e seguenti Legge n. 241/1990.

La sentenza Adunanza plenaria 14/1999 enuncia, dopo aver compiuto un excursus sulla storia legislativa dell’espropriazione, tre fondamentali principi. In primo luogo, viene affermato che il giusto procedimento espropriativo, pur non assurgendo a principio di rango costituzionale, è oramai un principio generale, cui le leggi ordinarie debbono conformarsi in assenza di ragionevoli deroghe, pena la violazione dei principi costituzionali di ragionevolezza e buon andamento dell’azione amministrativa. In secondo luogo, viene evidenziato che la dichiarazione di pubblica utilità non costituisce un sub procedimento del procedimento espropriativo, ma dà luogo ad un autonomo procedimento, all’interno del quale va garantita la partecipazione, attraverso il preminente strumento della comunicazione di avvio. Infine, in netta contrapposizione alle argomentazioni della tesi negativa si afferma che il contraddittorio, la partecipazione procedimentale non può certo dirsi esaurita nel momento della pianificazione urbanistica. Ciò per due ordini di ragioni. Innanzitutto, pur se la destinazione urbanistica dell’area viene prevista in sede di pianificazione, è ben palese che il progetto dell’opera pubblica, nelle sue diverse scansioni di progetto preliminare, definitivo ed esecutivo, conosce momenti di valutazione discrezionale, certo non marginali, sui quali è essenziale la partecipazione dei privati interessati. Inoltre, non bisogna dimenticare che, ai sensi dell’art. 1, comma 5, Legge n. 1/1978, la deliberazione di approvazione del progetto di opera pubblica costituisce adozione di variante agli strumenti urbanistici. Ciò implica che la destinazione urbanistica prevista può subire, come nella prassi subisce, modifiche conseguenziali all’approvazione di progetti in variante. Ordunque, da tali principi, il Consiglio di Stato enuclea un principio primario fondamentale, secondo il quale la partecipazione procedimentale deve essere garantita in ogni caso prima della  dichiarazione di pubblica utilità, anche in caso di dichiarazione implicita, per cui le formalità previste dagli artt. 10 e 11 Legge n. 865/1971, vanno anticipate e vanno effettuate prima dell’approvazione del progetto definitivo.

Il principio ora enunciato è, indubbiamente, notevole e dirompente, in quanto comporta sostanziali modifiche nell’orizzonte delle attuali procedure espropriative. E’ evidente che l’ottica garantista e democratica, connessa alla Legge n. 241/1990, trova una sua formale consacrazione in tali sentenze dell’Adunanza plenaria. Qualche autore, a fronte dell’indubbia valenza garantista delle sentenze, ed anzi, dopo averla ben enunciata, ritiene che l’affermazione del giusto procedimento espropriativo possa rallentare l’azione della Pubblica Amministrazione, allungando notevolmente i tempi di realizzazione delle opere pubbliche [6]. Il rilievo non è certo peregrino e non è improbabile prevedere rallentamenti, laddove si sia in presenza di privati espropriandi, i quali hanno solo interesse ad adottare comportamenti ostruzionistici, in un’ottica di pura dilazione. Tuttavia, una Pubblica Amministrazione, ben consapevole delle esigenze di pubblica utilità connesse all’opera pubblica e ben preparata, non certo si trova disarmata nell’attuale panorama normativo, nel senso che può legittimamente controdedurre alle osservazioni dei privati e condurre in porto la procedura espropriativa.

In realtà, le sentenze in commento si prestano ad una sola duplice critica.

La prima riguarda il momento della comunicazione di avvio procedimentale. Il Consiglio di Stato afferma che la comunicazione deve essere effettuata prima dell’approvazione del progetto definitivo. Orbene, se l’intento è quello di ampliare le forme di garanzia del privato, il momento di comunicazione andrebbe anticipato. La problematica, che sta dietro a tale critica, è quella connessa alla scelta dell’area da espropriare. Se si intende effettivamente realizzare un ampliamento della partecipazione del privato, non si può non consentire al medesimo di far valere le sue ragioni anche nella fase di individuazione dell’area ove sorgerà l’opera pubblica, e quindi di futura espropriazione. E’ questo un punto importante. Il contraddittorio in sede di scelta dell’area è conforme ai principi di democrazia e di imparzialità che debbono connotare la Pubblica Amministrazione. Ben vero, oltre a ciò, anche ragioni di opportunità, collegabili al principio costituzionale di buon andamento dell’azione amministrativa, consigliano di far partecipare il privato alla scelta dell’area. Infatti, una seria istruttoria, relativa alla scelta, deve tener conto di diversi fattori, i quali postulano la partecipazione necessaria del privato, il quale non si limiterà soltanto a far valere le proprie ragioni in un’ottica meramente difensiva, ma dovrà collaborare con la Pubblica Amministrazione, evidenziando l’opportunità eventuale di altre scelte o di altre soluzioni. Una seria istruttoria deve tener conto dei seguenti fattori: - sussistenza di eventuali costruzioni sull’area; - eventuale sussistenza di altre aree idonee a soddisfare l’interesse pubblico; - eventuale vicinanza dell’area a linee elettriche, fiumi, etc.; - esame di situazioni di fatto che possano far lievitare l’indennità; - sussistenza di area già interessata da altre espropriazioni; - iniziative imprenditoriali sull’area, da parte del proprietario; - sussistenza di eventuali vincoli di destinazione dell’area; - eventuale sussistenza di altre aree, di proprietà pubblica, idonee a soddisfare il pubblico interesse; - indicazione, da parte del privato, di altra area[7]. Tutti questi profili impongono una seria istruttoria della scelta dell’area da espropriare, la quale deve prevedere la partecipazione del privato. Orbene, se le affermazioni sin ora fatte hanno un senso logico ed una coerenza interna, risulta conseguenziale che la comunicazione di avvio del procedimento deve essere effettuata ben prima del progetto definitivo, ove già la localizzazione dell’area è stata disposta, in un momento antecedente all’approvazione del progetto preliminare. Infatti, non bisogna dimenticare che l’art. 16, comma 3, Legge n. 109/1994 modificato stabilisce che il progetto preliminare deve consentire l’avvio della procedura espropriativa,  e quindi deve contenere già in sé l’individuazione dell’area. Dunque, la partecipazione del privato deve essere collocata in una fase antecedente a tale momento.

Il secondo profilo di critica attiene all’affermazione, secondo la quale il giusto procedimento espropriativo non trova applicazione nei riguardi dell’occupazione di urgenza, in quanto non vi sono momenti di scelte discrezionali. In realtà, tale assunto non può essere condiviso completamente, in quanto momenti di scelte discrezionali sussistono anche nell’occupazione preliminare di urgenza. Infatti, se è vero che l’occupazione si presenta come un provvedimento a minor contenuto discrezionale rispetto alla dichiarazione di pubblica utilità, è pur vero che profili di valutazione non vincolata, sussistono in relazione al momento temporale di adozione dell’atto, nei confronti del quale il privato può avere un legittimo interesse a realizzare un contraddittorio collaborativo con la Pubblica Amministrazione.

Alesio avv. Massimiliano

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Bibliografia

§  Alpa G., Bessone M., Morbidelli G., Traina M.D., Il privato e l’espropriazione, Giuffrè, 1998.  

§   Borgo M., Il giusto procedimento espropriativo; Prime riflessioni sulla sentenza 15/09/1999, n. 14 dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, in http://www.lexitalia.it.

§  Caranta R., Ferraris L., La partecipazione al procedimento amministrativo, Giuffrè 2000.

§  Centofanti N., L’espropriazione per pubblica utilità e l’occupazione d’urgenza, Sal Editoriale 1996.

§ Centofanti N., L’espropriazione per pubblica utilità, Giuffrè 1999.

§ Cimellaro A., Malcangio L., Espropriazione per pubblica utilità, EPC Libri 1998.

§ Croci M., Espropriazione per pubblica utilità e problematica della C.D. accessione invertita, Editrice Pragma 1997.

§ Leone G. e Marotta A., Espropriazione per pubblica utilità, in Trattato di Diritto Amministrativo, Vol. 27, CEDAM 1997.

§ Virga G., La partecipazione al procedimento amministrativo, Giuffrè 1998.

 


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[1] L’orientamento di chiusura è stato formalmente espresso in più sentenze: - Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche n. 121 del 07/12/1993; - TAR Trentino Alto Adige n. 102 del 07/04/1994; - TAR Lombardia Brescia n. 133 del 17/03/1994; - TAR Veneto Sez. 1 n. 82 del 09/02/1994; - Consiglio di Stato Sez. II n. 62 del 28/06/1995; - TAR Campania, Napol.i, n. 1.512 del 09/06/1997.

[2] In tal senso, TAR Toscana, Sez. I, n. 502 del 07/11/1997: E’ legittima l’approvazione di un progetto per la realizzazione di un’opera pubblica – che a norma dell’art. 1 comma 1 Legge n. 03/01/1978, n.1. equivale a dichiarazione di pubblica utilità e di urgenza ed indifferibilità dell’opera stessa – anche se non sia stata preceduta dalle formalità procedurali di comunicazione e partecipazione poste dalla Legge a tutela dei soggetti interessati, fermo restando che esse debbono essere comunque compiute nel corso del procedimento espropriativo. Deve escludersi la necessità del ricorso alla normativa garantistica generale introdotta dalla Legge 07/08/1990 n. 241, allorchè la procedura espropriativa risulti già assistita da sufficienti garanzie di partecipazione dell’interessato al procedimento e di pubblicità dei relativi atti. Ancor più recentemente: L’approvazione di un progetto di opera pubblica, anche quando comporta la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza ex art. 1 Legge n. 1/1978, non deve essere necessariamente preceduta dalle formalità garantistiche di cui agli artt. 10 e 11 Legge n. 865/1971, fermo restando che queste formalità devono comunque essere compiute, anche se successivamente, nel corso del procedimento espropriativo (Consiglio di Stato, Sez. IV n. 147 del 02/02/1998).

[3] E’ inaccettabile la costruzione tradizionale, secondo cui l’inadempimento delle formalità garantistiche, nel caso di approvazione del progetto di opera pubblica (anche con valore di variante), legittimamente avrebbe potuto essere posposto al suddetto atto di approvazione (S. De Santis, Dichiarazione di pubblica utilità implicita, formalità garantistiche e partecipazione al procedimento amministrativo,  in GC, pag. 3.310).

[4] In tal senso: TAR Lombardia, Sez. III, n. 524 del 21/07/1994; TAR Lombardia, Sez. Brescia n. 1.009 del 23/10/1995.

[5] Altre sentenze favorevoli all’orientamento di apertura sono: Consiglio di Giustizia Amministrativa Regione Sicilia, n. 195 del 19/11/1996; Consiglio di Stato, Sez. IV n. 1.326 del 27/11/1997; TAR Lombardia, Sez. II, n. 144 del 02/02/1998.

Con la sentenza che si annota, infatti, il mondo delle opere pubbliche fa un vero tuffo nel passato e ritorna a vent’anni orsono, ovvero all’epoca in cui, con la Legge n. 1/1978, si decise di dare una svolta acceleratoria alla realizzazione delle opere pubbliche. Prevedere, infatti, che, prima dell’approvazione del progetto, si svolga il procedimento, alquanto lungo e farraginoso, di cui agli artt. 10 e seguenti della Legge n. 865/1971, significa mettere una vera e propria zavorra ai piedi dell’iter realizzativo dell’opera pubblica (Maurizio Borgo, in Il giusto procedimento espropriativo; Prime riflessioni sulla sentenza 15/09/1999, n. 14 dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato).

[7] In tal senso, vedi G. Leone e A. Marotta, Espropriazione per pubblica utilità, in Trattato di diritto amministrativo, Vol. 27° CEDAM 1997.


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