COMMISSIONE BICAMERALE![]()
CAMERA DEI DEPUTATI - SENATO DELLA REPUBBLICA
XIII LEGISLATURA
Commissione parlamentare per le riforme costituzionali
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Audizione di
RENATO LASCHENA,
Presidente del Consiglio di Stato
Onorevole presidente, onorevoli commissari, rivolgo il mio deferente saluto e ringraziamento per l'onore che oggi ci avete dato invitandoci ad esporre dinanzi a voi alcune osservazioni sui temi che sono all'esame della Commissione bicamerale.
Aderendo ad un invito che mi è sembrato di leggere nelle parole del signor presidente, terrò sicuramente conto dell'ordine dei lavori e pertanto limiterò il mio intervento ad alcuni punti essenziali, sperando che la sinteticità non vada a scapito della chiarezza. Mi fermerò quindi su alcuni punti.
Il primo è quello dell'unità della giurisdizione. Si presenta anzitutto il problema di quale significato debba essere attribuito al principio dell'unità della giurisdizione. È un tema ricorrente nel nostro ordinamento, nella nostra storia. Sappiamo che nel 1865 fu realizzato questo disegno razionale di unità della giurisdizione e nel 1889 si corse alla modifica. Il tema riemerse in sede di Assemblea costituente e poi si scelse la forma che conosciamo e che oggi è vigente, in base ad alcune considerazioni che mi onorerò di esporvi.
Questo principio dell'unità della giurisdizione sul piano ordinamentale significa che tutti i giudici, cioè tutti coloro che comunque esercitino funzioni di garanzia in posizione necessariamente neutrale e quindi di terzietà, hanno uno statuto di indipendenza costituzionalmente garantito. Sul piano del processo, l'obiettivo per quanto riguarda il giudice amministrativo consiste nell'individuare il giudice competente. Si dice comunemente che l'ordinamento italiano è l'unico a conoscere la figura dell'interesse legittimo. Mi è sufficiente rilevare che il riconoscimento dell'interesse legittimo è nell'articolo 24 della Costituzione. Ma in effetti l'anomalia italiana non è nel riconoscimento dell'interesse legittimo, bensì nel fondare il riparto della giurisdizione sulla distinzione tra diritti ed interessi.
E qui mi riallaccio un poco al discorso su come intervenne la riforma del 1889, su come il costituente prescelse il sistema attuale. Il criterio di riparto trova infatti più propriamente il suo fondamento nella realtà dell'esercizio del potere pubblico e dell'attività dell'amministrazione. Sono queste le vere esigenze che nella data ricordata (1889) determinarono l'istituzione della quarta sezione. Il Consiglio di Stato in tutto questo secolo, in questi 110 anni, ha interpretato e soddisfatto tali
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necessità con l'ausilio prezioso, veramente prezioso, dell'avvocatura italiana e con
l'apporto determinante della dottrina. Nell'ultimo quarto di secolo i nuovi organi di
giustizia amministrativa di primo grado, i tribunali amministrativi regionali, hanno
anch'essi contribuito in misura rilevante alla tutela dei singoli, nel rispetto della
discrezionalità della pubblica amministrazione.
In uno Stato di diritto, la «riserva» in favore della pubblica amministrazione della cura di interessi concreti comporta necessariamente, molto spesso, il sacrificio di interessi individuali, attraverso atti di natura discrezionale, che presuppongono scelte, tra le più possibili, per il raggiungimento dei fini che le leggi si propongono di perseguire attraverso la pubblica amministrazione. Negli Stati continentali europei che, come il nostro, sono a regime di diritto amministrativo, le controversie tra i cittadini e la pubblica amministrazione sono risolte da un apposito ordine di giudici amministrativi, diverso da quello dei giudici ordinari. Ciò non perché le garanzie del cittadino nei confronti della pubblica amministrazione debbano essere attenuate o perché la pubblica amministrazione debba godere di uno statuto speciale, ma perché il modo di realizzare quelle esigenze di tutela e di garanzia è diverso in quanto, a causa della «riserva» di amministrazione, le tecniche e la sostanza della soluzione delle controversie con il cittadino sono necessariamente diverse da quelle che intercorrono tra i privati.
Il giudice, in sede di giurisdizione amministrativa, non deve decidere del «mio» e del «tuo», né deve stabilire semplicemente chi abbia ragione. Per raggiungere tale risultato, egli deve necessariamente operare una verifica circa la correttezza del comportamento dell'azione amministrativa in quel caso specifico. Se così non fosse, tutta l'azione dei pubblici poteri sarebbe concentrata nei giudici, cui sarebbe affidato, già in prima battuta, il compito delle scelte discrezionali, che la tradizione giuridica europea affida invece ad una fitta rete di organi amministrativi che si tende, con l'allargamento del sistema delle autonomie, a rendere sempre più rappresentativi e, quindi, responsabili.
In definitiva, a nostro avviso, l'istituzione del giudice amministrativo deriva, quale logico corollario, dalla stessa configurazione della pubblica amministrazione prevista nel nostro ordinamento e dalla peculiare natura del rapporto tra cittadino ed amministrazione nell'esercizio dei pubblici poteri.
Rimane il problema del riparto della giurisdizione amministrativa. Francamente, il criterio del riparto in base alle situazione giuridiche soggettive - se cioè si tratti di diritto soggettivo o di interesse legittimo - non è assolutamente soddisfacente e, del resto, la stessa dottrina lo ha da tempo superato. Il Consiglio di Stato auspica - e sottopone alla vostra sovrana valutazione - che la competenza della giustizia amministrativa sia definita in base alle materie oggetto delle controversie, cioè in base a quelli che si chiamano settori organici di attività della pubblica amministrazione. Ne citerò alcuni, a titolo esemplificativo, sottoponendoli sommessamente alla vostra attenzione: espropriazioni, urbanistica, appalti, concessioni.
Il delinearsi di una riforma dello Stato nella quale più ampie saranno le autonomie, potrebbe porre l'esigenza di un diverso ordinamento degli organi di giustizia amministrativa, le cui competenze, proprio in relazione alla diversa struttura dello Stato, potrebbero essere meglio individuate e precisate. Potrebbe, cioè, prospettarsi l'articolazione della giurisdizione amministrativa in tribunali amministrativi e, come in altri ordinamenti europei, in corti amministrative di appello, in numero di tre o quattro, con competenza pluriregionale, prevedendo il ricorso al Consiglio di Stato in casi limitati e con determinati filtri, per soli motivi di legittimità.
Il Consiglio di Stato, d'altra parte, potrebbe essere chiamato a conoscere, in primo ed unico grado, dei ricorsi avverso determinati atti di autorità centrali dello Stato. Inoltre, dovrebbe essere considerata anche l'esperienza già maturata nell'ordinamento vigente in due regioni italiane: in
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Sicilia, a seguito dell'istituzione, nel 1948, del Consiglio di giustizia amministrativa
per la regione siciliana; nel Trentino Alto Adige, con l'istituzione, nel 1984, del
tribunale amministrativo di Trento e della sezione autonoma di Bolzano. In entrambi i
casi, è prevista la partecipazione di membri laici designati, rispettivamente, dalla
regione Sicilia e dalle province di Trento e Bolzano, all'amministrazione della giustizia.
Per quanto riguarda specificamente le province di Trento e Bolzano, va considerato che
tutte queste riforme sono state introdotte in attuazione del vecchio pacchetto De
Gasperi-Gruber.
Non solo. L'articolo 93 dello statuto della regione Trentino Alto Adige stabilisce, già oggi, che un consigliere appartenente al gruppo di lingua tedesca della provincia di Bolzano faccia parte delle sezioni del Consiglio di Stato investite dei giudizi d'appello sulle decisioni della sezione autonoma di Bolzano.
Il secondo punto sul quale vorrei prospettare alcune osservazioni riguarda la giurisdizione e la funzione consultiva. Il principio dell'unità della giurisdizione viene evocato anche al fine di affermare che nel Consiglio di Stato non possono convivere funzioni consultive e giurisdizionali. Ciò costituirebbe una impropria commistione, foriera di inquinamento della giurisdizione. A tale proposito, mi siano consentite alcune considerazioni. La funzione consultiva del Consiglio di Stato non è una forma di consulenza tecnico-legale fornita all'amministrazione e non consiste nel dare consigli a quest'ultima; per questo, esiste un'istituzione prestigiosa: l'Avvocatura dello Stato. La funzione consultiva del Consiglio di Stato - che io definirei «consultazione» - ha le stesse finalità di garanzia proprie di quella giurisdizionale: verificare cioè la legalità delle scelte dell'amministrazione. Il Consiglio di Stato in sede consultiva, in sostanza, non è l'avvocato dell'amministrazione, ma esplica le medesime funzioni sia nella sede consultiva che in quella giurisdizionale. Ad esempio, una delle materie oggetto di consultazione è quella relativa ai pareri sui ricorsi straordinari al Presidente della Repubblica. In questo caso è addirittura prevista l'alternatività tra ricorso straordinario e giurisdizionale. Ciò comprova come le due funzioni siano considerate sostanzialmente equivalenti dal legislatore.
Si parla di «commistione di funzioni» e si sostiene che chi ha «consigliato» l'amministrazione non può poi giudicare le stesse scelte. Va detto che nella realtà il «circolo funzione consultiva-giurisdizionale» serve ad assicurare lo stesso tipo di controllo di legalità sull'azione amministrativa. Prevedere distinti organismi potrebbe comportare, nei fatti, l'attenuazione della garanzia di legalità e l'introduzione di un elemento di irrazionalità nel sistema.
Va inoltre considerato che quasi tutti gli ordinamenti europei, almeno quelli continentali, attribuiscono all'organo di vertice della giurisdizione amministrativa funzioni consultive, quanto meno in materia di atti normativi e regolamentari. È interessante notare che esercitano funzioni giurisdizionali e consultive anche la Corte di giustizia dell'Unione europea (articolo 228 del Trattato), la Corte internazionale di giustizia (articolo 96 dello Statuto dell'ONU), la Corte europea dei diritti dell'uomo (legge 653 del 1966).
La necessità di una consulenza in funzione di garanzia neutra è particolarmente avvertita qualora si optasse per una forma di governo, favorita dall'affermarsi del sistema maggioritario, in cui il Parlamento predispone leggi di indirizzo ed il Governo emana norme sull'amministrazione, cioè i regolamenti. In questi casi, già la vigente legge n. 400 del 1988 bilancia l'accresciuto potere del Governo, a garanzia della legalità e delle minoranze, con l'introduzione di una serie di garanzie procedimentali, tra cui il parere del Consiglio di Stato. Ne deriva che la funzione consultiva, in tanto ha una sua logica, in quanto è esercitata nella posizione di terzietà ed indipendenza riconosciute alla funzione giurisdizionale, da magistrati che abbiano le stesse guarentigie dei colleghi che esercitano quest'ultima funzione.
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D'altra parte, l'ordinamento vigente già pone precise previsioni idonee ad evitare
l'insorgere di ogni situazione di incompatibilità soggettiva. Mi rendo conto che questa
può essere una legittima preoccupazione, ma già l'ordinamento vigente pone queste
incompatibilità. Un eventuale rafforzamento - non so se con legge costituzionale o con
legge ordinaria: dipenderà da cosa deciderete - potrebbe introdurre un ulteriore elemento
di chiarezza in materia.
Quanto all'organo di autogoverno, al quale vorrei dedicare brevi annotazioni, nel designare la sua composizione, occorrerebbe tenere conto della peculiare identità di tutta la magistratura amministrativa e del Consiglio di Stato.
A nostro avviso, gli atti dell'organo di autogoverno non dovrebbero essere poi sottratti al regime generale delle impugnative previste a tutela di situazioni giuridiche soggettive dei magistrati. Ovviamente, spetterà a voi stabilire eventualmente un particolare percorso, un particolare sistema di impugnazioni, come abbiamo sentito oggi in questa sede.
Intendo svolgere un'ultima considerazione sulla magistratura, in particolare sul Consiglio di Stato, che oggi ha una composizione varia che favorisce il pluralismo delle idee: accanto alla nomina diretta e alla provenienza dal TAR vi è, per antica tradizione, il sistema del reclutamento per concorso. Nel quadro del riordinamento delle magistrature, che vuole esaltare la professionalità e il merito, dovrebbe acquistare rilievo anche maggiore il reclutamento mediante pubblico concorso per l'accesso al Consiglio di Stato. Compete a voi stabilire se questo debba essere fatto con legge costituzionale o rinviato alla legge ordinaria.
In secondo luogo, la nomina diretta a consigliere di Stato potrebbe essere disciplinata secondo un sistema garantista che si ispiri alla previsione dell'attuale articolo 106, comma 3, della Costituzione, tenendosi in particolare considerazione, oltre alle esperienze maturate nella professione, nell'avvocatura e nell'insegnamento universitario, le esperienze maturate nella pubblica amministrazione, non soltanto nel campo giuridico-amministrativo, ma anche nel settore economico-finanziario.
Ritengo di non dover aggiungere altro alla mia esposizione, se il presidente consente, consegnerò alla segreteria della Commissione il testo scritto contenente queste mie osservazioni.
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Audizione di
GIORGIO ZAGARI,
Avvocato generale dello Stato.
Signor presidente, signori commissari, innanzitutto desidero anch'io manifestare, a nome dell'istituto che ho l'onore di rappresentare qui, il vivo compiacimento per questa convocazione che rappresenta un riconoscimento per l'azione, spesso silenziosa ed oscura, che l'Avvocatura dello Stato svolge costantemente da oltre un secolo nelle aule di giustizia e nell'esercizio di attività di consulenza della pubblica amministrazione.
Aderisco volentieri, anche in considerazione dell'ora tarda, al cortese invito del presidente ad una essenzialità di esposizione. In tal senso debbo anzitutto sottolineare che il mio intervento ha ovviamente carattere istituzionale e quindi mi limiterò agli aspetti che concernono direttamente il nostro istituto.
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Nella sua qualità di difensore istituzionale della parte pubblica, l'avvocato dello Stato
è tenuto alla rigorosa osservanza di un codice deontologico assai particolare. Rispetto
al complesso dei doveri e principi che ispirano l'attività degli avvocati del foro
libero, a cui noi sentiamo di appartenere e con cui condividiamo l'attività davanti a
tutte le corti, la deontologia dell'avvocato dello Stato contiene un elemento ulteriore,
non sempre immediatamente percepibile, ma che caratterizza fortemente la funzione del
nostro istituto e che origina dalla natura affatto particolare del cliente che esso è
chiamato a rappresentare e ad assistere. Mi riferisco alla tutela del principio di
legalità della pubblica amministrazione, che non è soltanto una formale coerenza con il
dato normativo, ma è e mira alla sostanziale attuazione dei principi di buona ed efficace
amministrazione contenuti nell'articolo 97 della Costituzione, che hanno lo scopo di
assicurare la qualità concreta dei servizi che la pubblica amministrazione deve fornire
alla comunità, cioè ai cittadini.
Nello Stato di diritto e democratico, per il soggetto privato il principio di legalità costituisce il limite, la cornice entro la quale deve svolgere la sua attività istituzionale e se il soggetto privato rispetta questa cornice effettivamente la mira dell'utilità imprenditoriale della sua azione non ha altri limiti. Per la pubblica amministrazione, invece, la legalità è l'elemento costitutivo della propria azione, al cui conseguimento è improntata tutta la propria attività, in quanto essa agisce per conto dell'intera collettività. Quindi, anche quando persegue il proprio interesse particolare, l'amministrazione deve costantemente ispirare la propria azione al raggiungimento dell'interesse pubblico.
Questa particolarità costituisce indubbiamente un rigoroso limite per l'attività amministrativa, allorché essa si pone in relazione e a confronto con quella degli altri soggetti dell'ordinamento, e non manca di riflettersi sull'azione dell'organo locale, perché anche in tale ambito la cura dell'interesse pubblico non può prescindere dalla finalità di equilibrio nell'azione di salvaguardia del bene della collettività e della legalità che la caratterizzano quando essa si esplica sul piano sostanziale.
Siamo dunque abituati, nella nostra azione professionale, ad un faticoso regime, perché pur essendo avvocati e dovendo quindi svolgere nelle cause tale ruolo su un piano assolutamente paritario rispetto agli avvocati del libero foro, non possiamo espletare la nostra funzione in modo parziale; la difesa contingente di questo o quell'interesse particolare dell'amministrazione deve essere sempre coerente con una visione d'insieme dei diritti da tutelare, improntata alla massima considerazione per le legittime attese degli amministrati.
È con questa consapevolezza che, nel rappresentarvi la nostra esperienza, ci sentiamo di poter affermare che nel trattare gli affari della pubblica amministrazione, nel difendere dinanzi a tutte le corti gli interessi della pubblica amministrazione, spesso noi avvertiamo l'esigenza che il giudice abbia una particolare competenza e, direi, una particolare costituzione per poter sentire ed essere sensibile a questo particolare aspetto di una causa della pubblica amministrazione.
Infatti in questo tipo di cause, oltre alle parti visibili del processo (il ricorrente, il resistente, l'attore e il convenuto) vi è una parte non visibile e che pure condiziona la valutazione dell'interesse pubblico, e cioè l'interesse pubblico stesso. Dinanzi al giudice, oltre alla posizione dell'impiegato che desidera qualcosa e dello Stato come datore di lavoro, esiste anche l'interesse pubblico al corretto svolgimento del servizio e quindi l'aspettativa che hanno i cittadini ed i contribuenti ad ottenere quei servizi della pubblica amministrazione nel modo migliore: l'interesse allo svolgimento dell'attività nella pubblica istruzione, nella giustizia, nella sanità.
Ebbene, occorre - noi lo sentiamo - un giudice che abbia una sensibilità per capire a quali effetti conduca l'armonizzazione degli interessi in gioco rispetto
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all'esigenza di fondo, quella che la pubblica amministrazione svolga i propri servizi e
che i consociati possano avere, a livello ormai europeo, l'assicurazione che i servizi
dell'amministrazione siano svolti, perché lo Stato è anche un'impresa; non è certo
un'azienda, ma è un'impresa che deve assicurare dei servizi all'amministrazione. Questa
sensibilità - l'abbiamo riscontrato storicamente - non può essere ricondotta soltanto ad
una sezione specializzata affidata ad un giudice che non abbia esperienza. Abbiamo invece
constatato come, anche nella composizione del giudice, sia necessaria una particolare
esperienza che consenta la valutazione dell'interesse. A titolo di esempio, vorrei
osservare come questi dati risultino in maniera sintomatica e preoccupante con riferimento
alle azioni cautelari, considerate marginali nel diritto concreto nella fase in cui ero
studente universitario e che oggi invece hanno acquisito, come è ben noto, un'importanza
decisiva, in presenza delle sospensive. I provvedimenti cautelari, alla luce della
situazione di paralisi denunciata in tutti i discorsi per l'inaugurazione dell'anno
giudiziario pronunciati dal procuratore generale della Corte di cassazione e dai
procuratori generali delle Corti d'appello, hanno acquistato un'importanza straordinaria.
Ebbene, nella valutazione dei provvedimenti cautelari occorre avere riguardo non soltanto
all'interesse contingente del privato o del ramo specifico dell'amministrazione. La
questione assume una valenza anche costituzionale; a fronte di una situazione per cui il
Parlamento delibera una riforma alla quale deve essere data attuazione, sappiamo come
qualsiasi legge che entra in vigore sia immediatamente bloccata davanti ai TAR, dinanzi al
pretore (ex articolo 700), oppure con l'impugnativa davanti alla Corte costituzionale.
Tutto ciò può creare una situazione di completa paralisi, così come abbiamo potuto
constatare. Si tratta, quindi, di un fenomeno con risvolti politici.
In questo campo mi pare sia assolutamente necessario tenere conto dell'esigenza che il giudice abbia una cultura ed un'impostazione particolari, per cui sia in grado di rendersi conto delle conseguenze che possono derivare da un provvedimento cautelare, apparentemente marginale nell'economia del giudizio; si potrebbe infatti determinare una vera e propria paralisi dell'azione dell'amministrazione e, quindi, anche dell'azione politica.
Abbiamo potuto constatare tutto questo alla luce della sensibilità che si manifesta nel momento in cui svolgiamo questo tipo di affari dinanzi alla Corte di giustizia europea. In quella sede è conferita un'importanza assoluta a questo tipo di provvedimenti. Ho potuto constatare, anche con un certo stupore, come in quella sede si discuta una sola sospensiva, con un dibattito ed una serie di domande, dei giudici e delle parti, sugli effetti connessi alle azioni intraprese. Ebbene, in questi casi la valutazione è particolarmente attenta alle conseguenze, manifestandosi una sensibilità rispetto all'esigenza di non paralizzare l'azione della pubblica amministrazione, e per evitare che il summum ius equivalga ad una summa iniuria nonché che l'apparente interesse del cittadino, il quale chiede giustizia, confligga con l'esigenza dello stesso cittadino a richiedere un'azione amministrativa valida.
Dinanzi alla Corte di giustizia europea svolgiamo la nostra attività sulla base di questo cachetparticolare, cioè con la visione non dell'interesse settoriale dell'amministrazione ma di quello generale (che nel caso della pubblica amministrazione coincidono). Il bravo imprenditore, se si conforma alla norma, può ottenere il massimo del profitto, ma l'intendente che ottenga più tasse di quelle previste dalla legge o il reclutatore che trovi più soldati di quelli previsti vanno contro l'interesse pubblico. Quest'ultimo, infatti, si fonda sull'applicazione della legge, elemento costitutivo dell'azione. L'Avvocatura, per tradizione, svolge un compito con sfumature di terzietà e di neutralità rispetto all'amministrazione, ovviamente una neutralità del tutto sensibile rispetto agli scopi da raggiungere. Si tratta, insomma, di una
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sorta di campanello di allarme per evitare che l'interesse perseguito, esclusivamente
fiscale, possa mettere in discussione il raggiungimento dei fini che il Governo ed il
Parlamento si attendono.
In sede di giurisdizione comunitaria abbiamo sempre tutelato gli interessi del paese e la nostra azione concorre a rendere equilibrato ed armonico il progredire dell'unificazione europea, tenendo conto dell'immediata applicabilità della normativa comunitaria anche dinanzi ai giudici europei e, quindi, adottando iniziative di raccordo e di coordinamento con l'attività amministrativa, in relazione all'evolversi dell'ordinamento giuridico.
Dinanzi alla Corte costituzionale, l'intervento del Governo svolto dall'Avvocatura assume una duplice funzione, in entrambi i casi sempre coincidente con gli interessi dello Stato-comunità. Per esempio, nei giudizi di ammissibilità dei referendum, quando il Presidente del Consiglio ritenga di intervenire, noi assumiamo, secondo la definizione data dalla stessa Corte, una posizione di amicus curiae, quale rappresentanti dello Stato nella sua unità. Anche nei giudizi di legittimità costituzionale, il Governo si trova a difendere interessi non meramente particolari, esprimendo una funzione - vorrei dire - disinteressata, finalizzata alla realizzazione di una vera dialettica processuale. Di fronte all'ordinanza di rinvio che mette in discussione una legge votata dal Parlamento, lo scopo dal Governo, rappresentato dall'Avvocatura, è quello di enunciare le ragioni cui il Parlamento si è ispirato per giungere a quella soluzione normativa, con ciò creando quella dialettica processuale senza la quale il giudizio davanti alla Corte non avrebbe il fair play necessario, nel senso di - per così dire - illuminare le ragioni di entrambi le parti. In tale quadro, al Governo, e al Presidente del Consiglio che lo rappresenta, è rimessa la valutazione politica e la scelta dell'atteggiamento da assumere nei predetti giudizi. Nel compiere tale valutazione, il Presidente del Consiglio concorre a realizzare lo stesso interesse pubblico di carattere generale che ispira il giudizio della Corte. Pertanto, non deve stupire che lo scopo dell'intervento possa essere anche quello - così come è accaduto recentemente - di pervenire alla dichiarazione di illegittimità costituzionale di una legge.
Analoga funzione di legalità il nostro istituto svolge nell'espletamento della funzione di consulenza del Governo e dell'amministrazione. L'articolo 13 del testo unico della legge che disciplina le nostre funzioni stabilisce che l'Avvocatura provvede «alla consultazione legale richiesta dall'amministrazione, a consigliare, a dirigere » il tutto delimita il campo della consultazione. In ogni caso - come del resto si deduce dall'insegnamento del nostro fondatore, Mantellini - quando l'avvocato dello Stato esercita la funzione consultiva, ponendo in comparazione gli interessi dell'amministrazione ed anche quelli degli altri enti locali (all'epoca, i comuni; oggi, le regioni), deve essere prima giudice - io direi magistrato - e poi avvocato dello Stato.
Si tratta quindi di un'attività volta non soltanto a prevenire ed orientare le liti, avendo sempre riguardo alla tutela dell'interesse pubblico generale, ma anche a sorreggere e ad indirizzare il quotidiano dispiegarsi dell'attività amministrativa, nel modo che il presidente Laschena ha ricordato poc'anzi, in maniera da aiutare l'amministrazione ad essere efficiente ma anche giusta e, quindi, applicando le norme giuridiche secondo il diritto e l'equità. Il che, a ben vedere, si integra nella peculiare ed ineliminabile funzione dell'avvocato pubblico.
In questo senso, conserva tutta la sua attualità l'idea, formulata alla fine del secolo scorso in un dibattito parlamentare sull'ordinamento dell'allora Avvocatura erariale, ripresa e interpretata dall'avvocato generale dell'epoca, secondo cui, in sostanza, gli avvocati dello Stato sono figure particolarmente complesse, nel senso che si tratta di avvocati, di funzionari e, sotto un certo profilo, anche di magistrati. Si sosteneva, un po' arditamente, che gli avvocati dello Stato non si identificano in maniera completa in nessuna
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di queste tre figure. Con tale immagine - solo apparentemente provocatoria e paradossale -
si tendeva ad alludere al fatto che, quale avvocato, il difensore dello Stato deve
integrare l'assolvimento del ministero professionale con l'adempimento dell'ulteriore
dovere che gli deriva dall'appartenenza a una pubblica istituzione; nella veste di
funzionario, deve esercitare le proprie funzioni sempre con l'indipendenza e la libertà
professionale proprie dell'avvocato, che consentono di dare al suo patrocinio la più
efficace ed adeguata tutela; infine, quale portatore delle esigenze di legalità e
garanzia dell'azione amministrativa - cioè, in qualche misura, come magistrato - deve
anche saper salvaguardare, soprattutto nell'esercizio della funzione consultiva, l'unità
e razionalità dell'ordinamento nel rispetto della legalità.
Credo di poter esprimere sommessamente l'avviso che, quali che siano le conclusioni del dibattito così avvincente in corso presso questa Commissione per le riforme costituzionali riguardo ai temi dell'unità della giurisdizione e conseguentemente alla sistemazione delle funzioni di rilevanza costituzionale, dibattito che il nostro istituto segue con estremo interesse, l'attività sia giudiziale che di consulenza svolta dall'Avvocatura conservi un carattere di sostanziale imprescindibilità nell'ordinamento, per assicurare la legalità dell'azione amministrativa sia sotto il profilo della funzione di diretta assistenza del Governo sia sotto l'aspetto del necessario raccordo tra le amministrazioni centrali e le amministrazioni ed enti locali che, nella prospettiva della realizzazione di uno Stato maggiormente decentrato e ispirato ai principi del federalismo, assurge a elemento indefettibile di bilanciamento e armonizzazione dei vari, confliggenti e cospiranti interessi pubblici istituzionalmente perseguiti.
Come ho avvertito all'inizio di questo breve intervento, abbiamo ritenuto di esprimere le considerazioni fin qui svolte in spirito di verità e a scopo di testimonianza. Ci sia consentito concludere sottoponendo alla prudente valutazione della Commissione una considerazione finale conseguente a quanto finora esposto. Il ruolo istituzionale dell'Avvocatura dello Stato si esplica costantemente nel contemperamento di esigenze apparentemente antitetiche, quali la difesa rigorosa dell'interesse delle pubbliche amministrazioni in giudizio e la tutela della legalità; è questa la principale caratteristica ed anche il principale motivo di orgoglio della nostra funzione, ma al tempo stesso è ciò che qualifica quest'ultima in modo spiccatamente neutrale, esaltando la natura di organo ausiliario dello Stato dell'Avvocatura.
Nell'attuale prospettiva di riforma, sembra possibile che la secolare funzione svolta con spirito di servizio dal nostro istituto, come organo istituzionale del patrocinio giudiziale delle pubbliche amministrazioni nonché di consulenza legale al fine della corretta applicazione delle norme dell'ordinamento, trovi adeguato riconoscimento e garanzia in una possibile previsione costituzionale e nel particolare rilievo dell'unitarietà delle funzioni di difesa giudiziale e di consulenza legale nei riguardi di soggetti cui sono affidate finalità di interesse generale rilevanti per l'intera comunità. Ciò con spirito non corporativo ma istituzionale, perché ci consentirebbe di partecipare attivamente a certe istituzioni di cui ho sentito parlare e che valuto di assoluta importanza, come istituti di formazione e aggiornamento professionale, perché la mia lunga esperienza professionale e istituzionale mi ha convinto che, effettivamente, ogni modifica formale non può servire se non è accompagnata da un'intima riforma di cultura e di senso del servizio, che si può avere solo in un contesto generale. Questo, quindi, è lo scopo che riteniamo necessario perseguire.