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PIETRO VIRGA
(Professore
emerito di diritto amministrativo)
Con il testo unico si è
raggiunto l'obiettivo
della stabilità nella legislazione degli enti locali?
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Le tre leggi Bassanini per la riforma dell'ordinamento degli enti locali hanno mantenuto ferme alcune norme dei due vecchi testi unici (T.U. 4 febbraio 1915 n. 148 e T.U. 3 marzo 1934 n. 148) e non hanno abrogato le numerose leggi speciali successive. Era quindi vivamente avvertita la esigenza di raccogliere in un unico testo tutte le norme sull'ordinamento degli enti locali.
Essendo rimasta ineseguita la prima delega concessa con l'art. 64 della della legge 142/90, è stata rinnovata la delega con l'art. 31 della l. 265/1999. Questa volta, il governo, sia pure in extremis, ha potuto emanare entro il termine prescritto il t.u. 18 agosto 2000 n. 267. Per la verità il termine è stato rispettato solo in relazione alla data di emanazione da parte del Presidente della Repubblica e non già per la data di pubblicazione nella Gazzetta ufficiale (G.U. 28 settembre 2000 n. 162 suppl.).
Il problema più importante che pone l'entrata in vigore del nuovo testo unico è quello di stabilire se si tratti di un testo "compilativo" ovvero di un testo "novativo".
L'Adunanza generale del Consiglio di Stato, nell'esprimere il proprio parere in relazione allo schema preparatorio, ha correttamente individuato i limiti del compito affidato al governo con la delega ed ha ritenuto che tale compito dovesse consistere nella raccolta e coordinamento della legislazione vigente, precisando che la funzione primaria del testo unico consiste nel facilitare l'applicazione delle leggi preesistenti, "senza innovare la loro sostanza" e che, in ogni caso, "la innovazione può essere giustificata solo dalla finalità della sistemazione, comodità ed utilità applicativa del testo stesso" (Cons. Stato, Ad. gen., parere 8 giugno 2000 n. 87, pubblicato in www.lexitalia.it).
Quindi, fermo rimanendo che la delega consentiva solo la elaborazione di un testo unico "compilativo", la novazione delle norme preesistenti poteva solo giustificarsi al fine di interpretare e chiarire il significato delle norme stesse. A questi principi non sembra si sia attenuto il governo, come si desume dal fatto che sono state introdotte nuove disposizioni e sono stati abrogati precetti precedentemente vigenti, senza che venisse dettata una nuova disciplina sostitutiva.
Ciò fa sorgere problemi di costituzionalità in relazione al fatto che, per la redazione di un testo unico "novativo", sarebbe stata necessaria la preventiva prefissione dei principi e dei criteri di massima da parte del parlamento (art. 76 Cost.).
Sotto il profilo sostanziale, perplessità sussistono su alcune soluzioni che sono state adottate dal testo sui principali problemi che erano insorti per la interpretazione della legge 142/90, della legge 127/97 e della legge 265/99.
Una delle questioni più dibattute, sia in dottrina che in giurisprudenza, era quella sulla sopravvivenza o meno dell'autorizzazione a stare in giudizio.
Secondo l'ordinamento precedente alla riforma Bassanini, il consiglio comunale era chiamato a valutare, sia in relazione alla fondatezza dell'azione, sia in relazione alle conseguenze economiche che potessero derivare da una soccombenza, l'opportunità di agire o resistere in giudizio, ferma rimanendo che la capacità processuale del comune spettava al sindaco.
Il testo unico, dopo avere ribadito che spetta al sindaco la capacità processuale, avendo riconosciuto che al capo dell'amministrazione spetta la "rappresentanza" dell'ente verso l'esterno (art. 50 capv), devolve allo statuto la determinazione dei "modi di rappresentanza legale dell'ente anche in giudizio" (art. 6).
Rimangono quindi aperte quattro diverse opzioni all'autonomia statutataria: competenza del consiglio, competenza della giunta, competenza del sindaco (che autorizzerebbe sè stesso), competenza dei dirigenti.
Per questi ultimi bisognerebbe però tener conto dell'ammonimento che si ricava dall'art. 19 del dlgs. 29 ottobre 1998 n. 287 (modificativo dell'art. 417 bis cod. proc. civ.), che, per la difesa dell'amministrazione statale nelle cause di lavoro, ha avocato all'Avvocatura dello Stato la decisione sulle questioni di notevole rilievo economico, lasciando intendere che il governo non ritiene di potere delegare ai dirigenti la valutazione circa l' opportunità di agire o resistere in giudizio per questioni di notevole rilievo.
Altra questione assai dibattuta, sulla quale si attendeva una interpretazione risolutiva da parte del legislatore, era quella del numero degli assessori (art. 33 l. 142, come sostituito dalla l. 265/1999).
Si sosteneva, da una parte della dottrina, che il numero degli assessori dovesse essere precisato nello statuto; invece, da una altra parte della dottrina, si sosteneva che lo statuto dovesse indicare un limite massimo che non poteva essere superato.
Il testo unico non ha risolto la questione, ma ha adottato entrambe le soluzioni, stabilendo che "gli statuti possono fissare il numero degli assessori ovvero il numero massimo degli stessi" (art. 47 capv.) e ciò in contrasto con quella giurisprudenza amministrativa, secondo cui non può derogarsi in ordine alla determinazione di un numero fisso di assessori, non essendo ammissibile una giunta a composizione variabile (v. sul punto T.A.R. Campania-Napoli, ordinanza 4 ottobre 2000 n. 44413, Pres. Coraggio, Est. Pagano, in www.lexitalia.it).
Per i provvedimenti contigibili ed urgenti, il testo unico ha introdotto una distinzione che era ignota alle precedenti leggi ponendo una distinzione fra "ordinanze adottate dal sindaco quale rappresentante della comunità locale", che possono essere emesse solo in caso di emergenze sanitarie e di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale" (art. 50) ed ordinanze del sindaco quale rappresentante del governo, che possono essere emesse solo "al fine di prevenire o eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumità dei cittadini" (art. 54).
Assai più chiaro era l'art. 153 del t.u. 1915, il quale attribuiva al sindaco un generale potere extra ordinem per tutti i casi di urgenza e necessità, sia pure limitatamente alle materie di edilizia, polizia locale ed igiene, sanità e sicurezza pubblica.
Ma le maggiori incertezze si palesano per quelle materie che già regolate dai precedenti testi unici non sono state disciplinate dal nuovo testo unico.
Ciò vale, in particolare, per la materia delle adunanze e deliberazioni, la quale già era disciplinata, per la verità, con scarne norme dalle leggi Bassanini. La legge n. 142/1990 aveva però almeno mantenuto in vita gli artt. 125, 127, 289 e 290 t.u. 1915 in tema di modalità e termini di convocazione del consiglio, di diramazione degli avvisi di convocazione, quorum strutturale per la validità delle sedute e decadenza dei consiglieri per mancata partecipazione a più sedute del consiglio.
Ora, poichè tutte queste norme sono state abrogate e non sono state sostituite, bisognerà fare capo per la disciplina della materia agli statuti, ammesso per ipotesi che i consigli comunali possano fare a tempo all'aggiornamento entro il termine massimo per l'adeguamento (12 febbraio 2001). C'è da domandasi, fra l'altro se una materia così delicata, come la decadenza per le assenze ripetute del consigliere (che incide sullo jus in officio), possa essere disciplinata dallo statuto.
Più grave è la lacuna in materia sanzionatoria.
L'art. 106 del t. u. 1934, ora abrogato, prevedeva che le contravvenzioni ai regolamenti comunali fossero punite con la sanzione amministrativa fino ad un milione e che con la stessa pena fossero punite le contravvenzioni alle ordinanze del sindaco.
Essendo stato tale articolo abrogato e non essendosi provveduto alla sua sostituzione, viene a mancare un fondamento normativo al potere sanzionatorio del comune. Tale fondamento, secondo quanto dispone l'art. 1 della L. 24 novembre 1981 n. 689, può essere sancito solo da una legge formale (e non già dallo statuto).
Un particolare problema è quello della estensibilità delle innovazioni del nuovo testo unico agli enti locali delle regioni a statuto speciale. In proposito l' art. 1 del testo unico, con una formula ambigua, stabilisce che: "le disposizioni del presente testo unico non si applicano alle regioni a statuto speciale, se incompatibili con le attribuzioni previste dagli statuti e dalle relative norme di attuazione" (formula questa meno rispettosa dell'autonomia speciale rispetto a quella dell'art. 137 della l. 127/97).
Se il testo unico in esame potesse qualificarsi come un testo unico "compilativo", si sarebbe potuto sostenere la tesi che il testo unico trovi applicazione per quelle norme che, essendo state recepite con le precedenti leggi regionali , sono state interpretate dallo stesso testo unico. Ma, come è stato sopra dimostrato, il testo unico del 2000 non può considerarsi compilativo e, quindi, può trovare applicazione sul territorio della regione a statuto speciale solo per effetto di un atto legislativo di recezione da parte della assemblea regionale.
Vige infatti per la competenza esclusiva il principio della "prevenzione", secondo cui la nuova legge statale che disciplina una materia già regolata dalla legge regionale esplica la sua efficacia sul territorio della regione solo se ed in quanto la fattispecie regolata non abbia già trovato disciplina nella legge regionale e sia con essa compatibile (vedansi, per il territorio siciliano, le due leggi regionali di recezione parziale 21 dicembre 1991 n. 48 e 7 settembre 1998 n. 23).
Si sarebbe potuto almeno sperare che con la emanazione del testo unico si fosse finalmente posto un freno alla profluvie di innovazioni in materia di enti locali, ma già con la legge finanziaria 2001 sono state modificate per i piccoli comuni alcune norme approvate con il testo unico appena tre mesi prima e questo esempio ci fa dubitare che voglia finalmente instaurarsi quella tanto auspicata stabilità della legislazione, che si sarebbe dovuta realizzare con la emanazione di un testo unico.
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V. in questa rivista la pagina dedicata al nuovo ordinamento degli ee.ll. nella sezione degli approfondimenti*.
Sulle modifiche introdotte dalla legge finanziaria 2001 v. da ult. in questa rivista:
L. OLIVERI, Il doppio regime dell'ordinamento locale.
R. NOBILE, Piccoli comuni e responsabili dei servizi fra il d.lgs. 18/8/2000 n. 267 e la legge 23/12/2000 n. 388. Una querelle mai sopita ed il successivo intervento di L. OLIVERI.