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Articoli e note

n. 7-8/2006 - © copyright

GIOVANNI VIRGA

Sull’ammissibilità o meno dell’azione di risarcimento
dei danni proposta con ricorso per ottemperanza

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SOMMARIO: 1. Premessa. 2. Gli orientamenti della giurisprudenza del Consiglio di Stato, delle Sez. Unite della Cassazione e del Presidente del Consiglio di Stato. 3. Critica dei vari orientamenti. L’unicità dell’azione risarcitoria e la necessità che essa sia esaminata da un singolo giudice.

1. Premessa.

Una delle (tante) questioni che finora non hanno trovato ancora una definitiva - e direi anche soddisfacente - soluzione nell’ambito della complessa problematica della risarcibilità della lesione di interessi legittimi riguarda l’ammissibilità o meno di una azione di risarcimento dei danni proposta per la prima volta con ricorso per l'esecuzione del giudicato.

La soluzione della questione ha rilevanza non solo pratica (dato che, nel caso di risposta positiva al quesito, sarebbe possibile chiedere il risarcimento dei danni approfittando della "scorciatoia" del giudizio di ottemperanza, il quale ha un iter molto più celere rispetto a quello del giudizio ordinario), ma anche teorica, atteso che la soluzione del quesito presuppone ed implica non solo l’esatto inquadramento dell’azione di risarcimento dei danni nell’ambito del giudizio amministrativo, ma anche l'individuazione della funzione ormai svolta dal giudizio di ottemperanza.

La posizione della giurisprudenza in ordine a tale questione non è stata univoca, anche se, come diremo subito, negli ultimi mesi, specie dopo la decisa presa di posizione del Pres. de Roberto nel corso dell’ultima cerimonia ufficiale di inaugurazione dell’anno giudiziario del Consiglio di Stato, si sono succedute delle pronunce che hanno negato la possibilità di proporre l’azione di risarcimento dei danni con ricorso per esecuzione del giudicato.

2. Gli orientamenti della giurisprudenza del Consiglio di Stato, delle Sez. Unite della Cassazione e del Presidente del Consiglio di Stato.

Cercando di ricostruire la posizione della giurisprudenza in argomento e limitando l’esame solo alla giurisprudenza del Consiglio di Stato e delle Sezioni Unite della Cassazione, va constatato che:

a) in un primo tempo la giurisprudenza del Consiglio di Stato (v. Sez. IV, sentenza 1 febbraio 2001 n. 396, in questa Rivista, pag. http://www.lexitalia.it/private/cds/cds4_2001-396.htm e Sez. VI, sentenza 18 giugno 2002 n. 3332, ivi, pag. http://www.lexitalia.it/private/cds/cds6_2002-06-18-2.htm) si era orientata nel senso di ritenere inammissibile "una domanda di risarcimento del danno che, sebbene conseguente ad una pronuncia di annullamento, venga proposta per la prima volta in sede di giudizio di ottemperanza", atteso che "il giudice dell’ottemperanza in materia di risarcimento dei danni derivanti da lesione di interessi legittimi è chiamato ad un intervento principalmente esecutivo del contenuto del giudicato formatosi nel corso del giudizio di cognizione; più precisamente, il giudizio di ottemperanza è idoneo ad aggiungere un ulteriore contenuto cognitivo (cioè sostanziale) al giudicato già formatosi, solo entro limitati ambiti, che riguardano solo il quantum e non anche l’an del risarcimento".

Secondo questo primigenio orientamento, infatti, il giudice dell’ottemperanza è chiamato ad un intervento prettamente esecutivo del contenuto del giudicato formatosi nel corso del giudizio di cognizione; solo entro limitati ambiti il giudizio di ottemperanza è idoneo ad aggiungere un ulteriore contenuto cognitivo (cioè sostanziale) al giudicato già formatosi, peraltro limitato al quantum e non anche all’an del risarcimento.

Interessante è la motivazione della seconda delle due pronunce citate (si tratta della sentenza n. 3332/2002, Est. Chieppa), con la quale la Sez. VI si dà anche carico di esaminare gli argomenti ex adverso addotti con una sentenza del T.A.R. Campania Napoli (Sez. I, sentenza 4 ottobre 2001 n. 4485), con cui era stato rilevato, al fine di affermare la ammissibilità dell’azione di risarcimento del danno proposta per la prima volta con il giudizio di ottemperanza, che l’esame della domanda risarcitoria deve ritenersi subordinato al previo esame della richiesta di esecuzione, il cui accoglimento può in alcuni casi elidere del tutto l’area del danno risarcibile, con la conseguenza che solo il giudice dell’ottemperanza, con i suoi ampi poteri di cognizione estesi anche nel merito, è in grado di sciogliere l’alternativa tra la via dell’esecuzione in forma specifica – se ancora possibile – e quella risarcitoria per equivalente, nel caso in cui la prosecuzione dell’azione amministrativa abbia ormai impedito la prima strada.

La Sez. VI, con la richiamata decisione, pur dichiarando "apprezzabili" le considerazioni svolte dal T.A.R. Campania, e pur ritenendo che tali considerazioni "possano anche condurre ad una rivalutazione della questione dell’ammissibilità di un ricorso cumulativo contenente sia la richiesta di esecuzione del giudicato sia la domanda risarcitoria a condizione che, in applicazione del principio di conservazione e di conversione degli atti processuali, sussistano i presupposti di contenuto e forma previsti per un’ordinaria azione cognitoria, quale quella risarcitoria", ha ritenuto tuttavia che il principio del doppio grado del giudizio costituisce un limite invalicabile nell’esame della prospettata questione, con la conseguenza che deve confermarsi l’inammissibilità di una domanda risarcitoria proposta per la prima volta in sede di giudizio di ottemperanza di una decisione del Consiglio di Stato e quindi in un unico grado di giudizio.

In sostanza, anche alla stregua delle due pronunce citate, la posizione della giurisprudenza del Consiglio di Stato, fin dall’origine, non era del tutto monolitica: mentre infatti, con la prima pronuncia citata, la Sez. IV si è limitata ad affermare l’inammissibilità dell’azione di risarcimento del danno proposta per la prima volta con ricorso per ottemperanza, fondando tale statuizione sull’asserita possibilità per il giudice dell’ottemperanza di determinare solo il quantum e non anche all’an del risarcimento, con la seconda decisione citata, la Sez. VI finisce per limitare l’applicazione del principio ai soli casi in cui la domanda risarcitoria sia stata proposta per la prima volta in sede di giudizio di ottemperanza di una decisione del Consiglio di Stato e quindi in un unico grado di giudizio, fondando tale conclusione sul rispetto del principio del doppio grado del giudizio.

Con la stessa pronuncia, tuttavia, si dichiara che la questione dell’inammissibilità va "riconsiderata" nel caso in cui la domanda di risarcimento dei danni sia stata proposta con ricorso per ottemperanza innanzi al T.A.R. e sia proposta assieme alla domanda di esecuzione in forma specifica.

B) Dopo queste prime due pronunce, si sono invece succedute nel tempo altre due decisioni (Sez. V, sentenza 25 febbraio 2003 n. 1077, in questa Rivista, pag. http://www.lexitalia.it/private/cds/cds5_2003-02-25.htm e, più recentemente, Sez. IV, sentenza 30 gennaio 2006 n. 290, ivi, pag. http://www.lexitalia.it/p/61/cds4_2006-01-30.htm) che hanno invece ritenuto senz’altro ammissibile la proposizione dell’azione di risarcimento del danno con il ricorso per ottemperanza, affermando che "con la nuova formulazione dell’art. 7, comma 3, della L. TAR, la funzione del processo di ottemperanza di realizzare l’assetto di interessi delineato dalla pronuncia irrevocabile di annullamento di provvedimenti illegittimi, è stata arricchita e completata dal potere attribuito al giudice amministrativo di condannare l’amministrazione al risarcimento del danno, sia attraverso la reintegrazione in forma specifica che per equivalente".

E’ stato pertanto ritenuto che sussiste la competenza giurisdizionale del giudice dell’ottemperanza in ordine alla richiesta di restituzione-risarcimento avanzata a seguito del passaggio in giudicato della sentenza che ha annullato gli atti di una procedura espropriativa, costituendo tale giudizio la naturale "prosecuzione" del precedente.

C) A complicare ulteriormente il quadro complessivo, si è inserita la nota (e contestata) sentenza delle Sez. Unite della Cassazione (sentenza 23 gennaio 2006 n. 1207, in questa Rivista, pag. http://www.lexitalia.it/p/61/casssu_2006-01-23.htm) con la quale il massimo organo regolatore della giurisdizione ha affermato, tra l’altro, che: "la connessione legale tra tutela demolitoria e tutela risarcitoria è peraltro subordinata all’iniziativa del ricorrente, il quale resta libero di esercitare in un unico contesto entrambe le azioni passando attraverso il giudizio di ottemperanza per ottenere il risarcimento del danno, ovvero di riservarsi l’esercizio separato dell’azione risarcitoria dopo aver ottenuto l’annullamento dell’atto o del provvedimento illegittimo, proponendo la sua domanda al giudice ordinario, cui compete in via generale la cognizione sulle posizioni di diritto soggettivo".

La sentenza in questione, come già notato in un precedente intervento ("Un dissidio (forse) componibile", in questa Rivista, pag. http://www.lexitalia.it/p/61/virgag_contrasto.htm), ammette, sia pure obiter, che l’azione risarcitoria possa essere proposta dopo l’annullamento dell’atto innanzi allo stesso giudice amministrativo mediante un ricorso per ottemperanza.

D) L’affermata possibilità di ottenere il risarcimento del danno in sede di ottemperanza è tuttavia stata decisamente contestata in un passo della relazione sullo stato della giustizia del Pres. de Roberto (pubblicata in questa Rivista, pag. http://www.lexitalia.it/articoli/deroberto_2006.htm).

Ha osservato testualmente il Pres. de Roberto (punto 10 della relazione) che: "sebbene tale statuizione (delle Sezioni Unite, secondo cui ai fini dell’esercizio dell’azione risarcitoria innanzi al giudice amministrativo andrebbe utilizzato il giudizio di ottemperanza: n.d.r.) possa, forse, non ritenersi vincolante per il giudice amministrativo (la Corte di cassazione, come giudice regolatore della giurisdizione può definire solo i limiti esterni della potestas decidendi delle altre giurisdizioni e non le modalità processuali con le quali il contenzioso di queste ultime viene gestito) deve rilevarsi l’assoluta inadeguatezza di un processo, come quello di ottemperanza, a porsi quale congegno chiamato a garantire la tutela dei diritti compromessi dopo l’annullamento dell’atto amministrativo".

"Ed invero l’ottemperanza (processo rivolto a consentire la realizzazione di obblighi che hanno ottenuto in sede di cognizione la loro puntuale definizione) si presenta come istituto che per l’incompletezza del contraddittorio, la sommarietà dei mezzi istruttori utilizzabili, la gestione in un unico grado, la posizione dominante riservata al commissario ad acta (figura di difficile decifrazione: organo amministrativo o longa manus del giudice?) mal si presta a divenire la sede per l’accertamento dell’an e del quantum del danno provocato al diritto dalla esplicazione del potere".

E) Dopo questo intervento, sono state depositate alcune decisioni (v. per tutte da ult. Sez. V, sentenza 21 giugno 2006, n. 3690, in questa Rivista, pag. http://www.lexitalia.it/p/61/cds5_2006-06-21-2.htm, con commento adesivo di O. CARPARELLI, Risarcimento del danno innanzi al G.A. a cognizione piena; v. anche C.G.A., sentenza 22 marzo 2006, n. 93, ivi, pag. http://www.lexitalia.it/p/61/cga_2006-03-22-2.htm) secondo le quali "è inammissibile una domanda di risarcimento del danno derivante da lesione di interessi legittimi, proposta per la prima volta in sede di giudizio di ottemperanza, atteso che il giudizio di ottemperanza è riservato alla esecuzione delle decisioni passate in giudicato, sicché, mediante il giudizio di ottemperanza può essere data esecuzione ad una condanna al risarcimento del danno che sia stata già emessa nell’apposito giudizio cognitorio".

Con la sentenza della Sez. V da ult. citata è stato inoltre aggiunto che "nel caso di domanda di risarcimento del danno per lesione di interessi legittimi, la pretesa dell’istante alla concentrazione nel giudizio di ottemperanza della fase cognitoria e della fase esecutiva, è ammessa soltanto per quelle ipotesi di danno che si siano verificate successivamente alla formazione del giudicato e proprio a causa del ritardo nella esecuzione della pronuncia irretrattabile" (v. nello stesso senso in prec. Sez. VI, sentenza 8 marzo 2004 n. 1080, in questa Rivista, pag. http://www.lexitalia.it/p/cds/cds6_2004-03-08-3.htm).

Per affermare il principio si è fatto riferimento al primigenio orientamento della giurisprudenza del Consiglio di Stato, secondo il quale non poterebbe operarsi una traslazione in sede di ottemperanza di tutto il giudizio risarcitorio, indifferentemente per l’an e per il quantum, in quanto, se così fosse – oltre a risultare violata la chiara disposizione del citato art. 35, commi 1 e 2 del D. L.vo n. 80 del 1998, come modificati dall’art. 7 della L. n. 205 del 2000 – verrebbe ad essere del tutto pretermessa la verifica di sussumibilità della situazione concreta nell’astratta fattispecie complessa di cui all’art. 2043 c. c., applicabile, mutatis mutandis, anche al danno ingiusto prodotto dalle Pubbliche amministrazioni, e che postula, tra l’altro, l’accertamento di un pregiudizio effettivo, patrimonialmente valutabile, che sia collegato da un nesso di causalità immediata e diretta con l’illegittimità del provvedimento amministrativo da cui la lesione sia derivata.

E così si è tornati al primo orientamento, che in genere negava l’ammissibilità dell’azione di risarcimento proposta per la prima volta con ricorso per ottemperanza, facendo leva sul fatto che il giudizio per esecuzione del giudicato è limitato alla sola (e stretta) esecuzione di una sentenza passata in autorità di cosa giudicata, il che presuppone ed implica che l’an del risarcimento debba essere accertato con apposito giudizio di cognizione.

Nessuna delle pronunce citate ha sentito la necessità di deferire la soluzione della questione all’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato. Eppure tale esigenza derivava non solo e non tanto dal fatto che, come già detto, la giurisprudenza sul punto non è mai stata del tutto univoca, ma anche dalla circostanza che il prevalente orientamento negativo della giurisprudenza sembra confliggere con una recente sentenza emessa proprio dell’Adunanza Plenaria (sentenza 29 aprile 2005, n. 2, in questa Rivista, pag. http://www.lexitalia.it/p/51/cdsadplen_2005-04-29.htm), con la quale è stato affermato che, "nel caso di annullamento in sede giurisdizionale degli atti inerenti alla procedura di espropriazione per pubblica utilità (dichiarazione di pubblica utilità e occupazione di urgenza), il proprietario dell’area può chiedere - mediante il giudizio di ottemperanza - la restituzione del bene piuttosto che il risarcimento del danno per equivalente monetario, anche se l’area è stata irreversibilmente trasformata a seguito della realizzazione dell’opera pubblica".

Con questa sentenza, che si occupa specificamente della possibilità per il proprietario espropriato di conseguire - mediante ricorso per ottemperanza - la restituzione del bene nel caso di annullamento in s.g. degli atti inerenti alla procedura di espropriazione per pubblica utilità, è stato sia pure per incidens, affermato che, con lo stesso giudizio di ottemperanza è possibile ottenere, in alternativa alla restituzione del bene, il risarcimento del danno, così ammettendosi implicitamente che la domanda di risarcimento del danno può essere proposta, in alternativa a quella di esecuzione in forma specifica, con il ricorso per ottemperanza.

3. Critica dei vari orientamenti. L’unicità dell’azione risarcitoria e la necessità che essa sia esaminata da un singolo giudice.

Anche se il deferimento della questione all’Adunanza Plenaria sarebbe oltremodo opportuno, al fine di pervenire ad una soluzione univoca della questione, vanno a questo punto esaminati i vari argomenti fin qui esposti per affermare ovvero per negare la possibilità di chiedere il risarcimento del danno mediante il giudizio di ottemperanza.

In proposito, anzi, sono individuabili, anche alla stregua di quanto in precedenza detto, tre posizioni:

1) un primo orientamento (da considerare prevalente) tende a negare recisamente la possibilità di chiedere il risarcimento dei danni con il ricorso per esecuzione del giudicato, facendo leva essenzialmente su due argomenti:

a) la natura dello stesso giudizio di ottemperanza, nel quale il giudice è chiamato ad un intervento principalmente esecutivo del contenuto del giudicato formatosi nel corso del giudizio di cognizione; ciò presuppone ed implica che l’accertamento dell’an della domanda di risarcimento abbia trovato già definizione in apposito giudizio di cognizione proposto in via ordinaria;

b) la struttura del giudizio di ottemperanza, il quale (come rilevato dal Pres. de Roberto) "si presenta come istituto che per l’incompletezza del contraddittorio, la sommarietà dei mezzi istruttori utilizzabili, la gestione in un unico grado, la posizione dominante riservata al commissario ad acta .... mal si presta a divenire la sede per l’accertamento dell’an e del quantum del danno provocato al diritto dalla esplicazione del potere".

2) un diverso orientamento ritiene invece senz’altro ammissibile l’azione di risarcimento dei danno proposta per la prima volta con il ricorso per esecuzione del giudicato, facendo riferimento al principio dell’unicità dell’azione risarcitoria, la quale, se è senza dubbio proponibile in forma specifica con il ricorso per ottemperanza, deve essere del pari ritenuta ammissibile mediante lo stesso ricorso anche se la relativa domanda tenda ad ottenere un risarcimento per equivalente monetario;

3) un terzo orientamento, per così dire intermedio, pur sembrando a tratti propendere per la ammissibilità dell’azione di risarcimento del danno proposta per la prima volta nel giudizio di ottemperanza (specie nel caso in cui la domanda di risarcimento per equivalente monetario sia stata avanzata assieme a quella di risarcimento in forma specifica), tuttavia nega tale possibilità nel caso in cui la domanda risarcitoria sia stata proposta con ricorso per esecuzione del giudicato proposto innanzi al Consiglio di Stato, dato che in tale ipotesi verrebbe violato il principio del doppio grado di giudizio.

Tutti gli orientamenti fin qui esposti (e riassunti, in via di larga sintesi) finiscono per far leva su argomenti di indubbia rilevanza, ma che tuttavia non sembrano, ex se, risolutivi.

Vero è infatti che il giudizio di ottemperanza si incentra sull’esecuzione di una sentenza passata in autorità di giudicato, ma, come da tempo chiarito dalla giurisprudenza del C.G.A. e del Consiglio di Stato, ciò riguarda il caso in cui il giudizio di ottemperanza abbia come oggetto una sentenza del giudice civile.

Nel caso invece in cui il giudizio di ottemperanza abbia come oggetto una sentenza emessa dal giudice amministrativo, così come da tempo rilevato da autorevole dottrina (v. per tutti S. GIACCHETTI, Il giudizio d'ottemperanza nella giurisprudenza del Consiglio di Giustizia Amministrativa, in questa Rivista, pag. http://www.lexitalia.it/articoli/giacchetti_ottemperanza.htm; id., L'esecuzione delle statuizioni giudiziali nei confronti della P.A. e la foresta di Sherwood, ivi, pag. http://www.lexitalia.it/articoli/giacchetti_esecuzione.htm), il giudice dell’ottemperanza non si limita a dettare misure di "stretta esecuzione", ma può anche adottare misure di vera e propria "attuazione" del giudicato, colmando gli "spazi vuoti" della sentenza di cognizione, dando luogo al noto fenomeno del "giudicato a formazione progressiva".

In tale quadro generale, sembra ammissibile che nell’ambito delle misure non già meramente "esecutive", ma anche "attuative" che può dettare il giudice dell’ottemperanza a seguito di un giudicato di annullamento di un atto amministrativo, vi sia anche quella di condannare la P.A. al risarcimento del danno, tenuto peraltro conto del fatto che, così come chiarito dalla Corte costituzionale con la nota sentenza n. 204 del 2004 (in questa Rivista, pag. http://www.lexitalia.it/p/corte/ccost_2004-07-06.htm) e ribadito di recente dalla stessa Corte con la sentenza n. 191 del 2006 (ivi, pag. http://www.lexitalia.it/p/61/ccost_2006-05-11.htm) "il risarcimento del danno ingiusto non costituisce sotto alcun profilo una nuova materia attribuita alla sua giurisdizione, bensì uno strumento di tutela ulteriore, rispetto a quello classico demolitorio (e/o conformativo), da utilizzare per rendere giustizia al cittadino nei confronti della pubblica amministrazione".

In ogni caso, non è possibile scindere il risarcimento del danno in forma specifica da quello per equivalente monetario, dato che entrambi i tipi di risarcimento costituiscono due facce della medesima medaglia e talvolta concorrono insieme, dato che, da un lato il risarcimento in forma specifica costituisce la prima forma di risarcimento da accordare, e che, dall’altro, ove non sia possibile l’integrale risarcimento in forma specifica, può essere riconosciuto per la parte residua il risarcimento per equivalente monetario.

Non è quindi possibile ritenere che è ammissibile un ricorso per esecuzione del giudicato con il quale si chiede il risarcimento in forma specifica, mentre non sarebbe possibile chiedere con lo stesso strumento il risarcimento per equivalente monetario.

Del resto la stessa Adunanza Plenaria, con la citata sentenza n. 2/2005, pur affrontando una fattispecie peculiare (il risarcimento dovuto a seguito dell’annullamento degli atti della procedura di espropriazione per p.u.) ha dovuto ammettere che il privato danneggiato - proprio con lo stesso ricorso per esecuzione del giudicato - può chiedere la restituzione dell’area "anche se l’area è stata irreversibilmente trasformata a seguito della realizzazione dell’opera pubblica" ovvero, in alternativa, il risarcimento per equivalente monetario.

L’unicità dell’azione risarcitoria (che risulta evidente nel caso in cui venga chiesta alternativamente ovvero cumulativamente il risarcimento in forma specifica e quello per equivalente monetario) induce a ritenere che, così come pacificamente è possibile chiedere mediante ricorso per ottemperanza il risarcimento in forma specifica, altrettanto dovrebbe ritenersi per il risarcimento per equivalente monetario.

Nè vale opporre che solo per quest’ultimo sussiste l’esigenza di una pronuncia che accerti l’an, dato che tale presupposto è richiesto pure per accordare il risarcimento in forma specifica.

Quindi, a meno di non volere affermare non è possibile chiedere mediante il giudizio di ottemperanza nè il risarcimento in forma specifica nè quello per equivalente (affermazione questa che, per quanto consta, nessuno finora è arrivato a fare), l’unicità dell’azione risarcitoria (nelle due forme previste) dovrebbe invece indurre a ritenere che, così come è ammissibile l’azione di risarcimento in forma specifica proposta con un ricorso per ottemperanza, altrettanto deve ritenersi nel caso di azione di risarcimento del danno per equivalente monetario proposta - cumulativamente od alternativamente - a quella di esecuzione in forma specifica.

Rimangono a questo punto da esaminare gli argomenti che fanno leva sulla asserita "inadeguatezza" per così dire stutturale del giudizio di ottemperanza per negare l’ammissibilità dell’azione di risarcimento del danno per equivalente monetario proposta per la prima volta con ricorso per esecuzione del giudicato.

Non vi è dubbio che - così come acutamente rilevato dal Pres. de Roberto, profondo conoscitore del processo amministrativo, nella già citata relazione - il giudizio di ottemperanza ha una struttura sotto alcuni profili inadeguata a fronteggiare le complesse problematiche che implica una domanda di risarcimento del danno.

I vizi rilevati (incompletezza del contraddittorio, sommarietà dei mezzi istruttori utilizzabili, gestione in un unico grado), imporrebbero una profonda revisione in sede legislativa dell’istituto - nato, come è noto, per assicurare l’esecuzione delle sentenze del giudice civile e poi esteso, con una giurisprudenza garibaldina del Consiglio di Stato, alle sentenze del giudice amministrativo.

Tuttavia le denunciate lacune e carenze non hanno impedito nel corso degli anni di utilizzare tale istituto, come già detto, addirittura per "colmare" le lacune del giudicato amministrativo, consentendo lo sviluppo della teorica del giudicato "a formazione progressiva".

In ogni caso le rilevate carenze non sembrano tali da precludere l’utilizzo di tale rimedio processuale per chiedere il risarcimento del danno. In proposito va rilevato che:

A) per quanto riguarda l’asserita incompletezza del contraddittorio, il Giudice delle leggi ha recentemente (v. la sentenza 9 dicembre 2005, n. 441, in questa Rivista, pag. http://www.lexitalia.it/p/52/ccost_2005-12-09.htm) ritenuto infondata la q.l.c dell’art. 91 del regolamento di procedura del 1907 nella parte in cui prevede la comunicazione integrale a cura della segreteria - piuttosto che la notifica - del ricorso per esecuzione del giudicato all’Amministrazione interessata.

Con la stessa sentenza la Corte ha affermato che "il giudizio di ottemperanza non può più configurarsi come un procedimento caratterizzato da sommarietà e da un tenore non pienamente contenzioso (sicché, in passato, esso veniva definito "a contraddittorio attenuato"), essendo oggi invece pacifica la sua natura di procedimento contenzioso"; il che rende imprescindibile per esso il pieno rispetto del contraddittorio.

Tale contraddittorio, secondo la Corte, può essere pienamente attuato mediante l’art. 91 cit., il quale prevede la comunicazione del ricorso a cura della cancelleria, atteso che, ai fini del rispetto del principio del contraddittorio, non è indispensabile la procedura di notificazione (con tutti i costi e le lentezze che tale strumento comporta), ma è necessaria e sufficiente la comunicazione dell’atto nella sua interezza; la comunicazione, quindi, al pari della notificazione, costituisce senz’altro mezzo idoneo ad assicurare quelle garanzie di conoscenza e di ufficialità necessarie per il rispetto dei princípi della difesa in giudizio ex art. 24, secondo comma, Cost. e del contraddittorio.

B) Per quanto riguarda, invece, l’asserita sommarietà dei mezzi istruttori utilizzabili, è da rilevare che il giudizio di ottemperanza rientra nell’abito non solo della giurisdizione esclusiva ma anche in quella di merito e, pertanto, consente addirittura l’esperimento di mezzi istruttori maggiori rispetto a quelli ammissibili nell’ordinario giudizio di cognizione.

C) Maggiore spessore ha l’argomento che fa riferimento al fatto che il giudizio di ottemperanza è previsto di norma come un giudizio in unico grado, proponibile direttamente al Consiglio di Stato nel caso di giudicato formatosi su una sentenza da quest’ultimo emessa, che ha riformato la sentenza di primo grado.

Tale argomento ha indotto, come già rilevato, la Sez. VI (con la già citata sent. n. 3332/2002) a seguire una soluzione per così dire intermedia, che nega la possibilità di chiedere risarcimento del danno con ricorso per esecuzione del giudicato, nel caso in cui la domanda risarcitoria sia proposta per la prima volta in sede di giudizio di ottemperanza di una decisione del Consiglio di Stato e quindi in un unico grado di giudizio, dato che a ciò osterebbe "il principio del doppio grado del giudizio", il quale costituirebbe "un limite invalicabile".

Va tuttavia osservato che, secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale, il rispetto del doppio grado di giudizio non costituisce affatto un limite invalicabile per il legislatore. Valga per tutte il richiamo alla recente ordinanza 27 marzo 2003, n. 84 (in questa Rivista, pag. http://www.lexitalia.it/private/corte/ccost_2003-03-27-2.htm) con la quale la Corte ha affermato testualmente che "il legislatore gode di un’ampia discrezionalità nella regolamentazione dei diversi istituti processuali e nella previsione di forme differenziate di tutela con riguardo alla particolarità del rapporto dedotto in giudizio, nel rispetto del criterio della ragionevolezza; in particolare, non esiste un principio costituzionale del doppio grado della cognizione di merito, non inerendo tale istituto alla garanzia del diritto di difesa, sicché il legislatore può diversamente strutturare il giudizio di appello".

D’altra parte, ha aggiunto la Corte, "la garanzia della difesa si realizza non tanto con la duplicità della cognizione della causa da parte di giudici di merito diversi, ma con la possibilità concreta che nel processo vengano prospettate le domande e le ragioni delle parti, che non siano legittimamente precluse".

In ogni caso, ove il principio del doppio grado fosse ritenuto ormai insito nel principio costituzionale del giusto processo, nulla precluderebbe di sollevare questione di legittimità delle norme che individuano il giudice competente a decidere i ricorsi per esecuzione del giudicato, nella parte in cui prevedono la possibilità di adire direttamente il Consiglio di Stato nelle ipotesi in cui con il ricorso per ottemperanza sia stata avanzata anche una domanda di risarcimento del danno.

Non si vede inoltre come si possa affermare (come ha fatto la giurisprudenza più recente), inammissibile una azione di risarcimento del danno proposta per la prima volta con ricorso per esecuzione del giudicato, ed affermare nel contempo che "nel caso di domanda di risarcimento del danno per lesione di interessi legittimi, la pretesa dell’istante alla concentrazione nel giudizio di ottemperanza della fase cognitoria e della fase esecutiva, è ammessa soltanto per quelle ipotesi di danno che si siano verificate successivamente alla formazione del giudicato e proprio a causa del ritardo nella esecuzione della pronuncia irretrattabile".

L’asserita necessità del doppio grado di giudizio, dovrebbe sussistere anche nell’ipotesi di danno c.d. "successivo" (e cioè realizzatosi dopo la formazione del giudicato).

In realtà, l’unica soluzione che sembra soddisfacente (sia sotto il profilo teorico, sia sotto quello pratico) è quella di affermare l’ammissibilità dell’azione di risarcimento del danno proposta per la prima volta con il ricorso per l'esecuzione del giudicato.

Sotto il profilo teorico, perchè tale soluzione è rispettosa dal principio dell’unicità dell’azione risarcitoria.

Quando parliamo di risarcimento del danno, il nostro pensiero corre subito al risarcimento del danno per equivalente monetario. Ci si dimentica invece che, come da tempo rilevato in dottrina (v. per tutti P. VIRGA, La reintegrazione in forma specifica, in questa Rivista, pag. http://www.lexitalia.it/articoli/virgap_reintegrazione.htm) il risarcimento per equivalente monetario costituisce una forma di risarcimento che presuppone ed implica l’impossibilità di accordare il risarcimento in forma specifica.

Quest’ultima forma di risarcimento costituisce la principale forma di ristoro patrimoniale, mentre il risarcimento per equivalente monetario costituisce una forma subordinata che può essere esclusa nel caso in cui la prima sia pienamente satisfattiva delle pretese avanzate e che, comunque, può concorrere con essa nel caso in cui il risarcimento in forma specifica non sia integralmente satisfattiva.

Scindere il risarcimento in forma specifica da quello per equivalente monetario - affermando che la prima forma di risarcimento sarebbe senz’altro ammissibile se chiesta con ricorso per ottemperanza, mentre la seconda sarebbe inammissibile se richiesta mediante il medesimo strumento - comporterebbe un accertamento duale (il primo riservato al giudice dell’ottemperanza ed il secondo rimesso al giudice di cognizione) assurdo, che costringerebbe, in ipotesi, il privato danneggiato prima (con ricorso per ottemperanza) a verificare se sia possibile ottenere un risarcimento in forma specifica e poi, una volta acclarata tale impossibilità, a rivolgersi (con ricorso ordinario), al giudice di cognizione per ottenere il risarcimento per equivalente monetario.

Portando il ragionamento all’estremo, il giudice di cognizione innanzi al quale è stata direttamente proposta la domanda di risarcimento per equivalente, potrebbe dichiarare il ricorso inammissibile per non avere il privato danneggiato verificato (con il ricorso per ottemperanza) la possibilità di ottenere il risarcimento in forma specifica.

L’assurdità dell’accertamento duale è evidente nel caso in cui la richiesta delle due forme di risarcimento sia avanzata non già in via alternativa, ma in via cumulativa (si pensi ad es. ad una richiesta di risarcimento del danno chiesta a seguito di annullamento dell’aggiudicazione di una gara di appalto, in forma specifica per ciò che concerne l’assegnazione dei lavori e per equivalente monetario per il ritardo con il quale tale assegnazione avviene).

Se il giudice dell’ottemperanza è competente per la richiesta di risarcimento in forma specifica, altrettanto deve ritenersi per la richiesta di risarcimento per equivalente monetario, dato che solo lo stesso giudice è in grado di valutare sino a che punto ed in che misura può accordare l’una piuttosto che l’altra forma di risarcimento.

Tale soluzione, oltre che coerente sul piano dei principi, risulta anche opportuna sotto il profilo pratico.

Com’è noto, infatti, il giudizio di ottemperanza ha un iter molto più celere del giudizio ordinario. Costringere il ricorrente vittorioso, che ha lungo atteso la fissazione dell’udienza di merito innanzi al T.A.R. e magari, poi, innanzi al Consiglio di Stato, a "rimettersi in fila" proponendo un nuovo giudizio (con conseguente attesa delle nuove udienze di merito) per ottenere il risarcimento del danno, sembra oltremodo ingiusto e defatigante.


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