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GIOVANNI VIRGA
Motivazione successiva e tutela della pretesa
alla legittimità sostanziale del provvedimento amministrativo
(pubblicato in Dir. proc. amm. 1993, pag. 507 ss.)
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[1] Cfr. in proposito M.S. Giannini (voce «Motivazione dell’atto amministrativo», in Enc. dir., vol. XXVII, Milano, 1977, p. 258 ss., spec. a p. 267; id., Diritto amministrativo, vol. II, Milano 1993, p. 260 ss.), il quale impiega la espressione riassuntiva di «motivazione successiva» per riferirsi al problema dell’ammissibilità o meno dell’integrazione della motivazione con atti successivi.
[2] In questo senso v. da ult. C.G.A., 20 aprile 1993, n. 149; ma v. già in precedenza T.A.R. Veneto, Sez. I, 10 giugno 1987 n. 648, in Foro amm. 1988, I, p. 3721 ss., con nota di S. D'Alessandro, Obbligo di motivazione del provvedimento amministrativo ed interesse sostanziale del ricorrente ed in Dir. proc. amm. 1989, p. 470 ss., con nota di P. Bartot, La motivazione tra vizio formale e tutela sostanziale in giudizio. Per un precedente più remoto v. Cons. Stato, Sez. IV, 28 novembre 1962 n. 807, in Cons. Stato, 1962, I, p. 1907.
[3] V. in questo senso Cons. Stato, Sez. VI, 19 marzo 1992 n. 174, in Foro It. 1993, III, 176 ss., con nota di richiami; nel senso di ammettere l’integrabilità della motivazione attraverso gli scritti difensivi, sia pur non esplicitamente, sembra orientarsi anche il C.G.A. con la sopra indicata sentenza n. 149/1993.
[4] Tra le più recenti pronunce che affermano l'impossibilità di integrare ex post la motivazione dei provvedimenti nel corso del giudizio v. Cons. Stato, Sez. V, 13 novembre 1990 n. 776, in Cons. Stato 1990, I, 1235; id., 12 ottobre 1990 n. 715, e 13 novembre 1990 n. 782, in Foro amm. 1990, 2333 e 2707; id., 6 giugno 1990 n. 501, in Cons. Stato 1990, I,768;
[5] In questo senso v. in part. Cons. Stato, Sez. IV, 26 giugno 1990 n. 519, in Foro amm. 1990, 1450.
[6] Cons. Stato, Sez. V, 10 giugno 1989 n. 374, in Foro amm. 1989, 1767.
[7] Cfr. Cons. Stato, Sez. V, 15 gennaio 1990 n. 22, in Foro amm. 1990, 65 ed in Riv. amm. R.I. 1990, 456.
[8] V. in questo senso in part. Cons. Stato, Sez. V, 23 maggio 1984 n. 396, in Cons. Stato 1984, I, 569, secondo cui «la p.a. ha facoltà di integrare con successivi atti la motivazione di atti precedenti che risulti carente o incongrua: tale facoltà, tuttavia, va esercitata entro breve tempo e comunque non oltre l'avvenuta impugnazione dell'atto in sede giurisdizionale».
[9] A. Romano Tassone, Motivazione dei provvedimenti amministrativi e sindacato di legittimità, Milano 1987, p. 394.
[10] V. in questo senso Cons. Stato, Sez. IV, 26 giugno 1990 n. 519, in Foro amm. 1990, 1450; Sez.VI, 9 ottobre 1989 n. 1312, in Giur. it. 1990, III,1,168; Sez. IV, 5 luglio 1989 n. 449, in Cons. Stato 1989, I,895; Corte Conti, sez. contr., 18 dicembre 1986 n. 1718, in Riv. Corte conti 1987, 483; Cons. Stato, Sez. V, 1 ottobre 1986 n. 482, in Cons. Stato 1986, I,1502; Tribunale sup.re acque, 28 gennaio 1989 n. 4, ivi, 1989, II,108; T.A.R. Lazio sez. I, 1 dicembre 1982 n. 1018, in T.A.R. 1983, I,9; Cons. Stato, Sez. V, 26 marzo 1982 n. 256, in Cons. Stato 1982, I, 313; T.A.R. Sardegna 14 maggio 1980 n. 201, in Foro amm. 1981, I, 1462.
[11] Cons. Stato, Sez. V, 13 novembre 1990 n. 776, in Cons. Stato 1990, I, 1235; Sez. V, 6 giugno 1990 n. 489, in Foro amm. 1990, 1464; Sez. V, 27 febbraio 1990 n. 208, ivi 1990, 409; Sez. V, 16 ottobre 1989 n. 649, in Cons. Stato 1989, I, 1196, che in particolare, alla stregua del principio, ha ritenuto irrilevante la circostanza che la domanda di equo indennizzo era stata presentata in ritardo, dato che di tale circostanza non era sto fatto cenno nel provvedimento di diniego; Sez. V, 14 febbraio 1989 n. 123, in Foro amm. 1989, 157; id., 1 aprile 1989 n. 191, ivi 1989, 981; id., 16 maggio 1989 n. 290, ivi 1989, 1394; id., 22 giugno 1989 n. 391, ivi 1989, 1778; Sez. V, 28 ottobre 1988 n. 638, ivi 1988, 2865; id., 12 maggio 1987 n. 283, ivi 1987, 1036; T.A.R. Marche 8 ottobre 1980 n. 292, in Giur. merito 1982, 716.
[12] Cons. Stato, Sez.V, 6 giugno 1990 n. 501, in Foro amm. 1990, 1465 e Sez. IV, 3 dicembre 1986 n. 812, in Cons. Stato 1986, I,1856.
[13] Cons. Stato, Sez. V, 15 gennaio 1990 n. 22, in Foro amm. 1990, 65 ed in Riv. amm. R.I. 1990, 456.
[14] Cons. Stato, Sez. IV, 3 novembre 1982 n. 712, in Foro amm. 1982, I, 1820 .
[15] Si fa riferimento alle sentenze del T.A.R. Veneto, Sez. I, 10 giugno 1987 n. 648, del Cons. Stato, Sez. VI, 19 marzo 1992 n. 174, e del C.G.A. n. 149 del 20 aprile 1993, già citate in precedenza.
[16] In particolare nella sentenza del T.A.R. Veneto, Sez. I, n. 648/1987 si afferma tra l'altro che: «L'unica seria obiezione che al riguardo (e cioè alla possibilità di integrare ex post la motivazione: n.d.r.) potrebbe muoversi è quella che aderendo a tale impostazione verrebbe consentito ad una delle parti, vale a dire all'amministrazione, di modificare il thema decidendum. Senonchè tale obiezione è giustificata solo enfatizzando l'individuazione dell'oggetto del giudizio nel provvedimento impugnato, mentre è noto che la dottrina e la giurisprudenza sempre più sottolineano che quello viene in rilievo essenzialmente in quanto atto d'esercizio della funzione amministrativa e che l'oggetto reale del giudizio è la pretesa sostanziale che la parte ricorrente fa valere nel processo.».
Nella sentenza del C.G.A. n. 149/1993 similmente si afferma che il giudizio amministrativo non è più un giudizio sull’atto impugnato; invece «il vero oggetto del giudizio è la pretesa con cui il ricorrente allega, per i motivi da lui indicati, l’illegittimità di un provvedimento amministrativo, chiedendo la conseguente rimozione della situazione antigiuridica da esso creata. Sicchè sarebbe venuto meno il presupposto sistematico sul quale si fondava l’orientamento tradizionale» secondo cui sussisterebbe il divieto di integrare la motivazione dopo la proposizione del giudizio.
[17] V. in tal senso la motivazione della sentenza del T.A.R. Veneto n. 648/1987, citata in precedenza.
[18] V. in questo senso la sentenza del C.G.A. n. 149/1993, cit.
[19] V. Caianiello, Manuale di diritto processuale amministrativo, Torino 1988, p. 411.
[20] V. per tutti G. Greco, L’accertamento autonomo del rapporto nel giudizio amministrativo, Milano 1980, spec. alle pp. 210 ss.
[21] Cfr. in proposito E. Cannada Bartoli, voce «Interesse (dir. amm.)», in Enc. dir. 1972, vol. XXII, p. 23, il quale rileva che «non possono reputarsi illegittimi ... quegl’interessi che contrastano con la normativa sulla legittimità e per i quali sembra appropriata la qualifica d’interessi illegittimi»; sul punto v. anche S. Giacchetti, L’interesse legittimo alle soglie del 2000, in Giur. amm. sic. 1990, p. 625 ss., spec. a p. 627 ss. il quale aggiunge che si è in presenza di un interesse illegittimo «quando l’utilità pretesa non corrisponda ad una attività che il titolare della potestà può compiere legittimamente, nel soggetto richiedente manca in radice una posizione di interesse legittimo».
[22] S. Giacchetti, L’interesse legittimo alle soglie del 2000, cit., p. 627.
[23] Corte Cost., ord. 21 luglio 1988, n. 867, in Giur. cost. 1987, II, p. 1245 ss. ed in Giur. amm. sic. 1990, p. 82 ss.
[24] Corte Cost., sent. n. 251/1989, in Dir. proc. amm. 1990, p. 111 ss.
[25] F. Levi, L’attività conoscitiva della pubblica amministrazione, Torino 1967, p. 498 ss.; sul punto v. anche A. Romano Tassone, Motivazione dei provvedimenti amministrativi e sindacato di legittimità, cit., pp. 395-396, il quale aderisce in parte a tale posizione.
[26] A. Azzena, Natura e limiti dell’eccesso di potere amministrativo, Milano, 1976 p. 313
[27] V. in tal senso in part. la motivazione della sent. del C.G.A. n. 149/1993, cit., nella quale giustamente si osserva che «tenuto conto sia dell’attuale tenore dell’art. 328 cod. pen., sia delle personali dirette responsabilità previste dal decreto delegato sul pubblico impiego 30 dicembre 1992 n. 503, è estremamente improbabile che una amministrazione maliziosa possa oggi utilizzare il difetto di motivazione in funzione di un esercizio arbitrario della sue potestà».
[28] P. Bartot, La motivazione tra vizio formale e tutela sostanziale, cit., p. 480.
[29] Sui poteri dell'amministrazione a seguito dell'annullamento di un provvedimento per difetto di motivazione v. Cons. Stato, Ad. plen., 26 novembre 1984 n. 664, secondo cui perfino il provvedimento annullato per difetto di motivazione e riadottato «in violazione dei criteri enunciati nel giudicato sarà soggetto all'ordinario regime di impugnazione in quanto sarà pur sempre configurabile un rinnovato esercizio della discrezionalità»; conclusione quest'ultima considerata inaccettabile da R. Villata (Riflessioni in tema di giudizio di ottemperanza ed attività successiva alla sentenza di annullamento, in Studi per il centenario della Quarta Sezione Roma, 1989, p. 949 ss., spec. a p. 955) il quale osserva che se la nuova determinazione si pone in immediato contrasto con una statuizione della sentenza, ne rappresenta una diretta violazione; se invece è scorretta per altri profili, resta esterna all'imperatività dell'intervenuta pronuncia, epperò alla relativa esecuzione. Sul punto v. anche G. Vacirca, Riflessioni sulla natura del commissario giudiziale ad acta, in Foro amm. 1983, I, p. 380
[30] V. in proposito A. Romano Tassone, Motivazione dei provvedimenti amministrativi, cit., p. 404, il quale afferma che «i vizi della motivazione restano pur sempre vizi formali, e la reiterazione del provvedimento mal motivato deve sempre ritenersi, in linea teorica, ammissibile e comunque non pregiudicata dall’annullamento giurisdizionale».
[31] Per l’applicazione di tale norma v. Cons. Stato, Sez. V, 21 dicembre 1989 n. 863, in Foro amm. 1989, p 3337 ss., che ha conseguentemente dichiarato improcedibile la censura di incompetenza relativa a seguito della sopravvenuta ratifica dell'atto impugnato; Cass. civ., Sez. I, 26 marzo 1988 n. 2593, in Giust. civ. 1989, I,181 ed in Giur. it. 1989, I,1,297, secondo cui l’art. 6 l. 18 marzo 1968 n. 249 - che consente la convalida degli atti amministrativi viziati da incompetenza - trova applicazione non solo in pendenza di gravame in sede giurisdizionale innanzi ai giudici amministrativi, ma anche in caso di controversia avanti all'a.g.o.; T.A.R. Emilia Romagna, Sez. Bologna, 12 febbraio 1986 n. 83, in Foro amm. 1986, p. 1862, secondo cui il principio contenuto nell'art. 6 n. 249/1968 ha efficacia precettiva e carattere generale che trascende la norma che espressamente lo prevede ed il suo ambito applicativo, pertanto, trova applicazione anche nei confronti degli atti regionali.
[32] V. in tal senso T.A.R. Trentino Alto Adige sez. Trento, 10 novembre 1988 n. 387, in Foro amm. 1989, p. 2789 ss. con nota di G. Vesperini, secondo cui «la p.a. può esercitare il potere di sanatoria, di convalida, di rettifica e di annullamento di atti che siano stati impugnati in sede giurisdizionale»; T.A.R. Sicilia, sez. Catania, 18 novembre 1981 n. 528, in T.A.R. 1982, I, 328, secondo cui «l'autorità amministrativa può procedere alla convalida di un provvedimento illegittimo anche se impugnato in via giurisdizionale, mediante un provvedimento che contenga la menzione dell'atto da convalidare, l'indicazione espressa e specifica dei vizi, e la manifestazione di volontà di riparare a tali vizi» e T.A.R. Puglia 5 febbraio 1981 n. 9, in Foro amm. 1982, I, 1615, secondo cui «nell'ordinamento giuridico non è rinvenibile alcuna disposizione normativa o di principio che escluda la rinnovazione di un procedimento amministrativo nella parte ritenuta illegittima, qualora sia pendente un giudizio; anzi va riconosciuta forza espansiva all'art. 6 l. 18 marzo 1968 n. 249 - che consente la convalida degli atti viziati da incompetenza relativa anche in pendenza di ricorso - fino a farne espressione di un principio generale che presiede all'esplicazione dell'azione amministrativa».
In senso diverso, anche se non collidente, v. tuttavia Cons. Stato, Sez. V, 18 dicembre 1987 n. 792, in Cons. Stato 1987, I,1767 secondo cui «Alla p.a. non è consentito sacrificare retroattivamente diritti soggettivi dei privati, con atti amministrativi ancorchè emessi in sede di convalida di atti precedenti» (il principio è stato affermato con riguardo a delibere impositive di oneri di urbanizzazione, adottate a convalida di licenze edilizie) e Cons. Stato, Sez. VI, 27 giugno 1978 n. 893, in Giur. it. 1979, III,1,72, secondo cui «La regola secondo cui l'amministrazione non può modificare od integrare, con successive pronunce, gli atti impugnati in giudizio vale solo per gli atti provvedimentali, e non anche per gli altri atti amministrativi».
Nel senso di ritenere ammissibile la convalida dei provvedimenti amministrativi nel corso del giudizio è anche la dottrina più recente: P. Virga, Diritto amministrativo - Atti e ricorsi, Milano 1992, p. 149 (ma vedi già ne Il provvedimento amministrativo, Milano 1972, p. 500-501) e A.M. Sandulli, Manuale di diritto amministrativo, 1989, p. 709. In senso contrario era invece la dottrina precedente: Santaniello, voce «Convalida», in Enc. dir., vol. X, p. 503 ss., spec. a p. 505; Vitta, Diritto amministrativo, Torino 1955, p. 472; Alessi, Principi di diritto amministrativo, Milano 1972, p. 402. Intermedia e convincente ad avviso di chi scrive è la tesi espressa da L. Acquarone, L’attività amministrativa, p. 189, secondo cui la convalida del provvedimento è ammissibile anche nel corso del giudizio purchè siano salvaguardate le situazioni consolidate dei terzi, i quali non possono subire alcun pregiudizio dal provvedimento di convalida.
[33] In tal senso sembra orientarsi M.S. Giannini allorchè afferma (voce «Motivazione dell’atto amministrativo», cit., p. 267) che: «se però si accetti che il provvedimento come tale possa essere integrato da provvedimento successivo (ed è difficile negare che ciò non sia possibile, perchè il principio di autointegrazione vale per tutti gli atti programmatici, escluse le sentenze), non si vede come non possa aversi un’integrazione limitata alla motivazione».
[34] Diverso ma non confliggente orientamento è stato espresso dalle Sezioni Unite della Cassazione civile per ciò che concerne l’impugnazione di provvedimenti in materia tributaria, essendo stato ritenuto che pur essendo inibito all’Amministrazione finanziaria «di dimostrare la fondatezza della sua pretesa allegando criteri diversi da quelli enunciati nell’avviso di accertamento», l’Amministrazione stessa ha comunque «il potere di rinnovare l’atto entro i termini di legge» (sent. 26 ottobre 1988 n. 5787, in Riv. giur. ed. 1989, p. 208 ss. con nota di C. Pennarola, Motivazione sufficiente, motivazione insufficiente e integrazione della motivazione nel contenzioso tributario avente ad oggetto avvisi di accertamento di valore ai fini dell’imposta di registro e dell’INVIM).
[35] Osserva in proposito M.S. Giannini (voce «Motivazione dell’atto amministrativo», cit., p. 267, nota 24) che la questione se sia possibile per il difensore dell’amministrazione integrare la motivazione mediante gli scritti difensivi - questione alla quale si è dato sempre risposta negativa - così come è solitamente formulata «è mal posta e si risolve in un luogo comune; il problema è solo probatorio, in quanto il provvedimento può essere collegato ad altri provvedimenti, a comportamenti, a prassi, che non sono enunciati in alcun atto del procedimento di formazione ma che, se tuttavia, esistono, e se ne dimostra il collegamento, non danno luogo ad alcuna supposizione del difensore all’autorità».
[36] Si tratta della sent. della Sez. VI n. 174 del 1992, in precedenza citata.
[37] La distinzione tra «giustificazione» e «motivazione», intendendo con la prima riferirsi all’indicazione dei presupposti del provvedimento, e con la seconda alla enunciazione delle ragioni dello stesso, è stata elaborata da C.M. Jaccarino, Studi sulla motivazione, con particolare riguardo agli atti amministrativi, Roma 1933, p. 42 ss., ed è stata seguita dalla prevalente dottrina (cfr. tra gli altri G. Zanobini, Corso di diritto amministrativo, I, Milano 1936, p. 309; A. Amorth, Il merito dell’atto amministrativo, Milano, 1939, p. 58 ss.; G. Roehrssen, Note sulla motivazione degli atti amministrativi, in Riv. dir. pubbl. 1941, I, p. 121 ss.).
La distinzione stessa è stata impiegata altre volte dalla giurisprudenza amministrativa: v. in part. Cons. Stato, Sez. IV, 6 febbraio 1984 n. 75, in Cons. Stato 1984, I, p. 135 e T.A.R. Sicilia Sez. Catania, 21 ottobre 1981 n. 495, Rass. giur. Enel 1982, p. 664.
Per ulteriori riferimenti e per una critica della concezione v. A. Romano Tassone, op. cit., 12 ss.
[38] Cfr. la nota redazionale alla sentenza del Cons. Stato Sez. VI, 19 marzo 1992 n. 174, pubblicata in Foro It. 1993, III, 176 ss.
[39] V. in tal senso V. Italia, in Procedimento amministrativo e diritto di accesso ai documenti (a cura di V. Italia e M. Bassani), Milano 1991, p. 43 ss., spec. a p. 56; G. Corso-F. Teresi, Procedimento amministrativo e accesso ai documenti, Rimini 1991, p. 57 ss., spec. alle pp. 63-64; A. Andreani, Idee per un saggio sulla motivazione obbligatoria dei provvedimenti amministrativi, in Dir. proc. amm. 1993, p. 1 ss.
[40] In questo senso sembra anche orientarsi A. Romano Tassone (op.cit., p. 396 ss.), secondo il quale sarebbe ammissibile la «giustificazione della misura adottata attraverso il richiamo, nel corso del processo amministrativo, ad elementi non desumibili dal procedimento, ma suscettibili di verificazione obiettiva ed in grado di legittimare, su un piano di giuridica necessità, la decisione autoritativa».
Cfr. in proposito anche V. Bongiovanni, Verso una motivazione implicita non desumibile dagli atti del procedimento in assenza di richiamo espresso a fatti ed atti di supporto? (nota a Cons. Stato, Sez. V, 24 maggio 1983 n. 172), in Cons. Stato 1983, II, p. 1615 ss.