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n. 7-8/2004 - © copyright

CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. III CIVILE - sentenza 1 giugno 2004 n. 10483.

Imposte e tasse - Accertamento - Avviso di liquidazione - Richiesta di somme non dovute - Risarcimento dei danni non patrimoniali - Ammissibilità e condizioni.

E' possibile accordare un risarcimento in via equitativa per il danno morale patito da un contribuente al quale sia stata erroneamente richiesta con avviso di liquidazione una imposta già  pagata, se il giudice di merito individua l'illecito colposo fonte del danno ed indica il turbamento morale in cui questo danno si sia concretato (1).

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(1) V. il commento di L. VIOLA, Ancora su diritto tributario e tutela risarcitoria: l’apertura al danno non patrimoniale, di seguito riportato.

In calce al presente documento è riportato il testo della sentenza in commento.

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LUIGI VIOLA
(Magistrato del T.A.R. Puglia, Sez. di Lecce. Professore a contratto di diritto dell’economia
nell’Università degli Studi di Trieste e di diritto sportivo nell’Università degli Studi di Udine)

Ancora su diritto tributario e tutela risarcitoria:
l’apertura al danno non patrimoniale

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SOMMARIO: 1. La  prima apertura giurisprudenziale: Cass. 722/1999  - 2. I legami con l’istituto dell’autotutela: la successiva evoluzione giurisprudenziale – 3. Una seconda decisione della Corte di cassazione sui rapporti tra diritto tributario e tutela risarcitoria – 4. L’estensione dell’azione risarcitoria anche al danno non patrimoniale: Cass. 10483/2004 - 5. Una critica della decisione ed un possibile quadro ricostruttivo

1. La prima apertura giurisprudenziale: Cass. 722/1999.

Il 1999 si è rivelato anno di importanti aperture giurisprudenziali, non solo per l’apertura alla risarcibilità degli interessi legittimi operata da Cass. S.U. 22.7.1999 n. 500 [1], ma anche per una successiva decisione [2] delle Sezioni Unite della Corte di cassazione che ha riaffermato l’applicabilità della previsione dell’art. 2043 c.c. alle attività svolte dall’Amministrazione finanziaria: <<l’attività della p.a., anche nel campo tributario, deve svolgersi nei limiti posti non solo dalla legge, ma anche dalla norma primaria del neminem laedere, per cui è consentito al giudice ordinario - al quale è pur sempre vietato stabilire se il potere discrezionale sia stato, o meno, opportunamente esercitato - accertare se vi sia stato da parte della stessa amministrazione un comportamento colposo tale che, in violazione della suindicata norma primaria, abbia determinato la violazione di un diritto soggettivo>>.

La decisione -che non a caso si inserisce, insieme a Cass. S.U. 500/99, in un <<medesimo, ampio discorso sulla giurisdizione del giudice ordinario nei riguardi delle amministrazioni pubbliche [3]>>- nasce dalla notifica, nel 1992, di una cartella esattoriale ad un avvocato per un preteso omesso versamento IRPEF (redditi 1986). L'interessato impugnava l'atto in sede giurisdizionale denunciandone l'erroneità ed avendo in verità maturato per quello stesso periodo d'imposta, in luogo di un debito verso l'Erario, un ben più consistente credito d'imposta; l’impugnazione della cartella non riusciva però ad evitare, né l’avviso di mora, né un pignoramento mobiliare eseguito presso lo studio professionale.

<<Solo dopo aver notificato una diffida stragiudiziale al Centro di Servizio Imposte dirette, all'Intendenza di Finanza, al Ministero delle Finanze, e all'Ispettore Compartimentale delle Imposte Dirette>> l’interessato riceveva, poi, il sospirato <<sgravio totale della soprattassa e degli interessi, indebitamente richiesti [4]>>.

Per di più, il professionista subiva, sempre nel 1992, una visita della Guardia di Finanza, interessata questa volta ai suoi redditi del 1991 (ed in particolare ,ai viaggi effettuati all’estero); vicenda che, pur citata nella parte in fatto della sentenza, sembra però di difficile collegamento con i fatti posti a base dell’azione risarcitoria, chiaramente riferiti al solo periodo di imposta 1986.

Il professionista citava in giudizio il Ministero delle Finanze chiedendo la condanna <<al rimborso delle spese sostenute…. (e)  al risarcimento dei danni subiti in conseguenza dei comportamenti illegittimi della Amministrazione Finanziaria dello Stato, anche in relazione alla lesione dell'immagine di cittadino e della reputazione professionale [5]>>.

In primo grado, il Tribunale negava la propria giurisdizione ed affermava la giurisdizione delle Commissioni tributarie; giurisdizione, al contrario, affermata dalla Corte d’appello e dalle Sezioni unite della Corte di cassazione (su ricorso incidentale dell’Amministrazione finanziaria), sulla base di una lettura restrittiva della previsione dell’art. 2 del d.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546 (nuova disciplina del contenzioso tributario): <<è vero che l'attuale art. 2 del d.lgs. 546/92 contiene una formulazione più ampia rispetto al d.p.r. 636/72 avendo ampliato la giurisdizione esclusiva del giudice tributario anche per le controversie concernenti le sovraimposte e le imposte addizionali, nonché le sanzioni amministrative e gli altri accessori (art. 2, 2° comma). Tuttavia la sola previsione degli "altri accessori" non è di per sé sufficiente a radicare la giurisdizione esclusiva del giudice tributario anche alle controversie sul risarcimento del danno per comportamento illecito dell'Amministrazione finanziaria. Infatti per accessori s'intendono gli aggi dovuti all'esattore, le spese di notifica, gli interessi moratori, ed al limite il maggior danno da svalutazione monetaria ex art. 1224, 2° comma c.c. [6]>>.

Nel caso di specie, al contrario, l’azione risarcitoria non investiva gli accessori del credito tributario, ma aveva ad oggetto un comportamento illecito dell’amministrazione finanziaria, per di più, successivo rispetto all’esaurimento del rapporto tributario: <<nella specie, invece, cessato qualunque rapporto tributario tra contribuente e Amministrazione finanziaria, il primo denunzia comportamenti dolosi o colposi dell'amministrazione che gli hanno cagionato un danno ai sensi della Generalklausel espressa nell'art. 2043 c.c.. Va riconosciuta quindi piena autonomia alla proposta azione di risarcimento del danno, che risulta non connessa ad una delle controversie tributarie indicate all'art. 2 del d.lgs. 546/92, ma piuttosto collegata alla condotta della Guardia di Finanza e all'attività, dolosa o colposa, dei funzionari dell'Amministrazione finanziaria [7]>>.

Le Sezioni unite della Corte di cassazione coglievano poi l’occasione per riaffermare, nello spirito che aveva già dato vita a Cass. S.U. 500/99, la soggezione dell’Amministrazione finanziaria ai principi generali in materia di responsabilità civile: <<l'attività della p.a., anche nel campo tributario, deve svolgersi nei limiti posti non solo dalla legge, ma anche dalla norma primaria del neminem laedere, per cui è consentito al giudice ordinario - al quale è pur sempre vietato stabilire se il potere discrezionale sia stato, o meno, opportunamente esercitato - accertare se vi sia stato da parte della stessa amministrazione un comportamento colposo tale che, in violazione della suindicata norma primaria, abbia determinato la violazione di un diritto soggettivo; infatti, stanti i principi di legalità, imparzialità e buona amministrazione, dettati dall'art. 97 cost., la p.a. è tenuta a subire le conseguenze stabilite dall'art. 2043 c.c., atteso che tali principi si pongono come limiti esterni alla sua attività discrezionale, ancorché il sindacato di questa rimanga precluso al giudice ordinario [8]>>.

La sentenza è stata oggetto di una lettura in chiave enfatica da parte della grande stampa (che non ha mancato di evidenziare i legami con la precedente Cass. S.U. 500/99); la dottrina ha, al contrario, proposto una lettura più critica e prudente.

In particolare, è stato rilevato come la ricostruzione dei fatti operata nella decisione non sia scevra di sostanziali ambiguità e come, soprattutto, non sia <<molto chiaro se, nella fattispecie, la visita della Guardia di Finanza subita (ingiustificatamente, parrebbe) dal contribuente abbia avuto a che fare con il precedente atto dell'amministrazione finanziaria di accertamento di una maggiore imposta sui redditi nei riguardi del contribuente: un atto, quest'ultimo, posto poi nel nulla (per autotutela della stessa amministrazione, anche questo parrebbe), non prima, tuttavia, che si pervenisse a un pignoramento mobiliare a carico del contribuente, quale primo atto effettivamente pregiudizievole della procedura di riscossione coattiva [9]>>.

L’incertezza nella qualificazione dei fatti di causa si è poi risolta in una sostanziale incertezza ricostruttiva; in particolare, <<non è chiaro, in sostanza, se la Suprema corte abbia ritenuto di dare risalto, quale elemento introduttivo di una possibile fattispecie di responsabilità ex articolo 2043 c.c. (da giudicare in prosieguo nel merito) a quella che, in pratica, potrebbe qualificarsi come una mera "condotta" ascrivibile all'amministrazione finanziaria (ossia la "visita" della Guardia di Finanza al contribuente, operata, per così dire, sine titulo, eppertanto suscettibile di aver gettato "discredito" sull'immagine del contribuente stesso) ovvero se la stessa, sempre nel quadro degli apprezzamenti utili a rinvenire il predetto elemento introduttivo, abbia dato risalto all'agire "attizio" dell'amministrazione finanziaria (adozione di un atto di accertamento di maggiore imposta, poi vanificato perchè riscontrato privo di fondamento) ovvero ancora se siano stati considerati equamente rilevanti l'uno e l'altro modus agendi [10]>>.

Ora, se si dovesse optare per la prima interpretazione  (eccesso della Guardia di Finanza nel corso dell’attività di verifica), <<il caso deciso dalla Cassazione tornerebbe a essere di poco momento: si può, invero, dare per pacifico che una "condotta" della p.a. priva di "causa", sia suscettibile di produrre, in concreto, un danno ingiusto al privato e di aprire dunque la strada a una tutela risarcitoria [11]>>.

Al contrario, nel caso in cui dovesse optarsi per la seconda ipotesi ricostruttiva (che riporta all’emanazione dell’atto tributario illegittimo la fattispecie causativa dell’illecito) <<lo scenario delle conseguenze derivanti dall'arresto della Suprema corte potrebbe assumere un ben diverso rilievo>>, tale da integrare una vera e propria <<caduta dei privilegi del fisco>>; <<si potrebbe invero inferire - con riflessi incidenti anche sulla "chiave" giusta di lettura della precedente sentenza n. 500 - che anche nei riguardi dell'amministrazione-Fisco (l'amministrazione finanziaria dello Stato ma anche ogni altra amministrazione "minore", se dotata di potestà impositiva, e dunque dei poteri di accertamento, liquidazione e riscossione di tributi propri) valga la regola secondo la quale procedure amministrative (preordinate all'accertamento e all'esazione, anche coattiva, dei tributi) risultanti comunque illegittime sono suscettibili di produrre un danno ingiusto, in quanto capaci, in ultima analisi, di aver dato luogo a una lesione della regola (superiore) del neminem laedere [12]>>.

Ed è probabilmente la seconda interpretazione ad essere maggiormente in linea con il filo dell’evoluzione giurisprudenziale.

Sul punto, è, probabilmente, nel giusto la grande stampa ad individuare un “filo rosso” tra Cass. S.U. 500/99 e la successiva decisione della Corte di cassazione dedicata alla materia tributaria; l’ambientazione di Cass. S.U. 722/99, nel particolare momento storico di apertura della Suprema Corte alla risarcibilità dei danni causati dalla pubblica amministrazione anche durante l’esercizio dell’attività provvedimentale, porta, infatti, a preferire la seconda interpretazione che, indubbiamente, evita disparità di trattamento tra la soluzione dettata con riferimento all’attività amministrativa in generale e la ricostruzione riservata alla materia tributaria.

È, quindi, proprio l’aspirazione ad una piena tutela del cittadino nei confronti degli atti illeciti (tributari e non) dell’amministrazione pubblica ad imporre, pur in presenza di una decisione caratterizzata da molte imperfezioni e ambiguità (e che contrasta con la straordinaria chiarezza, espositiva e concettuale, di Cass. S.U. 500/99), la soluzione che estende anche all’emanazione di atti di accertamento  tributario, l’applicazione della previsione dell’art. 2043 c.c. in materia di responsabilità civile.

Sembra poi che sia proprio l’interpretazione maggiormente rispondente alle esigenze di tutela del cittadino/contribuente a prevalere nelle (finora  poche) decisioni che hanno affermato la responsabilità dell’Amministrazione finanziaria per atti di accertamento o iscrizioni a ruolo illecite; al proposito, si segnalano due decisioni del Giudice di pace di Mestre [13] che hanno affermato la responsabilità dell’Amministrazione finanziaria per il danno patrimoniale derivante dalla necessità di valersi dell’assistenza di un commercialista <<nella redazione dell’istanza di sgravio>> relativa ad <<una cartella di pagamento recante un’indebita pretesa>>.

2. I legami con l’istituto dell’autotutela: la successiva evoluzione giurisprudenziale.

Una decisione [14] del Giudice di pace di Roma ha affrontato il tema dei rapporti tra autotutela dell’Amministrazione finanziaria e responsabilità civile, soprattutto, come vedremo, nella prospettiva sostanziale del danno non patrimoniale-esistenziale.

A base della vicenda uno di quegli ordinari episodi di disservizio amministrativo/tributario che, purtroppo, affliggono ancora la nostra vita.

Un cittadino decideva di demolire, nel lontano 1974, la propria autovettura, consegnando targhe e documenti ad una agenzia dell’ACI (che rilasciava regolare ricevuta del deposito); ciò nonostante, nell’anno 2001, riceveva due avvisi di mora che, dopo svariati accertamenti, risultavano relativi  ad iscrizioni a ruolo effettuate dal Ministero delle Finanze, per i presunti mancati pagamenti del bollo auto per gli anni 1994 e 1995 della vettura demolita 27 anni prima.

L’interessato tentava <<per tre volte di avvalersi della cosiddetta "autotutela" presso l’Ufficio Entrate di Roma…….., sia personalmente che a mezzo del proprio commercialista all’uopo delegato, al fine di dimostrare l’inesistenza del presupposto giuridico dell’obbligo di pagamento ed ottenere l’immediata cancellazione di ogni imposizione a proprio carico>>; non ricevendo risposta era però costretto ad adire il Giudice di pace di Roma per sentirlo dichiarare <<l’’illegittimità dell’obbligo di pagamento per il bollo auto del suddetto veicolo…… la nullità e l’illegittimità degli avvisi di mora ricevuti e l’illegittimità del comportamento del Ministero delle Finanze per il tramite degli uffici preposti all’autotutela, per aver rifiutato la soluzione della vicenda in via stragiudiziale, condannando per l’effetto il Ministero stesso al risarcimento ex art. 2043 c.c., quantomeno in via equitativa, dei danni subiti dall’attore, indicati forfettariamente in un importo non minore di L. 1.500.000 ed al rimborso delle spese di lite [15]>>.

La causa era decisa con una sentenza emessa secondo equità dal Giudice di pace di Roma che, dopo aver rilevato, come i fatti di causa si fossero svolti in un contesto caratterizzato dall’<<affidamento, da parte del cittadino di poter utilizzare gli strumenti di autoesercizio delle proprie ragioni, introdotti al fine di evitare l’insorgere di contenzioso in sede giudiziaria e di risolvere in sede amministrativa problemi sorti tra il privato e la pubblica amministrazione, strumenti diffusi e portati a conoscenza degli utenti mediante l’inserimento delle relative norme reperibili sul sito del Ministero delle Finanze>>, riteneva di poter procedere all’accertamento della perdita di possesso della vettura da parte dell’attore <<a decorrere dalla data del 12.4.74, con conseguente venire meno, dalla suddetta data, di ogni onere ed obbligo a carico dell’attore conseguente alla proprietà ed alla circolazione del veicolo [16]>>.

Il giudicante affrontava poi  il punto che a noi maggiormente interessa, rilevando come nella fattispecie fossero presenti tutti gli elementi per procedere all’annullamento in sede di autotutela delle iscrizioni a ruolo: <<la documentazione già prodotta dall’attore e successivamente dal professionista da lui incaricato nel corso dell’accesso al competente Ufficio delle Entrate del Ministero delle Finanze per ottenere lo "sgravio in autotutela", supportata dall’autocertificazione dell’interessato, avrebbe consentito l’annullamento d’ufficio dell’imposizione, in applicazione di quanto disposto dall’art. 2 del d.m. 11.2.97 n. 37 recante norme relative all’esercizio del potere di autotutela da parte di organi dell’Amministrazione finanziaria e delle circolari esplicative relative alla documentazione idonea a consentire l’esonero dal pagamento delle tasse automobilistiche per avvenuta cessazione dei diritti connessi alla proprietà dell’auto [17]>>.

A questo punto, il gioco era praticamente fatto; al giudicante non rimaneva, infatti, che rilevare come <<la mancata considerazione della situazione, che evidenziava la sussistenza dell’errore sul presupposto dell’imposta>> costituisse <<una violazione del dovere che incombe alla pubblica amministrazione verso la generalità dei cittadini>> e come tale violazione avesse cagionato un danno all’attore, costituito dal <<disagio conseguente all’attività inutilmente esercitata per accedere agli uffici amministrativi, (dalla) necessità di incaricare altrettanto inutilmente un professionista di curare la pratica in via amministrativa ed altro professionista per adire l’autorità giudiziaria [18]>> e liquidato, in via equitativa, in L. 1.500.000.

Siamo, quindi, in presenza di una decisione che ha posto al centro della fattispecie risarcitoria il mancato esercizio, da parte dell’Amministrazione finanziaria, del potere di autotutela, oggi espressamente regolamentato dal d.m.  11 febbraio 1997 n. 37 (regolamento recante norme relative all'esercizio del potere di autotutela da parte degli organi dell'Amministrazione finanziaria [19]).

La decisione affronta, quindi, un terreno particolarmente accidentato che ha dato vita ad una serie di contrasti dottrinali e giurisprudenziali di una certa importanza; al proposito sussistono, infatti, una serie importante di incertezze in ordine al giudice competente [20] a conoscere dei silenzi e dei dinieghi di autotutela, all’obbligo per l’amministrazione di provvedere sull’istanza del contribuente [21] e, infine, alla possibilità per il giudice di sindacare il mancato esercizio del potere di autotutela [22] .

Quello che è certo è che il Giudice di pace di Roma ha compiuto una decisa opzione per la tesi che afferma l’obbligo per l’Amministrazione finanziaria di provvedere sulle istanze di autotutela proposte dal contribuente, dando così vita ad un sistema che trasporta nella sistematica risarcitoria una tematica finora limitata all’ambito tributario.

E si tratta certamente di una novità di non poco momento ove si ragioni sul fatto che la dottrina immediatamente successiva a Cass. S.U. 722/99 aveva paventato che, tra la tante <<conseguenze (irrazionali quanto si vuole, eppure pienamente comprensibili, sotto altri profili)>> della decisione, vi fosse anche una minore <<propensione dei dirigenti delle amministrazioni preposte all'acquisizione delle entrate tributarie a porre in essere atti di autotutela le quante volte da questo pur legittimo e apprezzabile ripristino della legalità violata (da atti del procedimento tributario privi di adeguata base giuridica) possa temersi la conseguenza di una premessa di azione di danno patrimoniale da parte del contribuente [23]>>; al contrario, l’evoluzione della problematica risarcitoria indotta anche da Cass. S.U. 722/99  evidenzia come anche l’autotutela entri nel cono dell’azione risarcitoria e come, quindi, i dirigenti debbano prendere stimolo dall’aumento delle decisioni in materia di risarcimento danni per aumentare la propensione ad esercitare l’autotutela e non, al contrario, per diminuirla.

3. Una seconda decisione della Corte di cassazione sui rapporti tra diritto tributario e tutela risarcitoria.

La Corte di cassazione è ritornata sulla problematica della tutela risarcitoria dei diritti del contribuente con la sentenza 27 gennaio 2003 n. 1191 [24], confermando sostanzialmente la svolta operata da Cass. S.U. n. 722/99.

A base della vicenda, un’ingiunzione originata da una presunta evasione dell’imposta di fabbricazione sugli oli minerari; presunta evasione che aveva dato vita, parallelamente, ad un rinvio a giudizio dell’interessato <<per i reati di associazione per delinquere, falso continuato in certificati di provenienza, evasione continuata dell’imposta di fabbricazione sugli oli minerali e trasporto illecito degli stessi>>.

L’interessato contestava l’ingiunzione davanti al Tribunale di Milano con un giudizio successivamente dichiarato estinto per mancata riassunzione.

Dopo la definitiva assoluzione da parte della Corte di cassazione per non aver commesso il fatto, l’Amministrazione finanziaria procedeva all’iscrizione a ruolo del tributo, sulla base dell’originaria ingiunzione, divenuta definitiva a seguito dell’estinzione del giudizio di opposizione.

Il comportamento dell’Amministrazione finanziaria induceva il ricorrente a proporre un giudizio avanti al Tribunale di Milano per la declaratoria dell’illegittimità dell’iscrizione a ruolo e la condanna dell’amministrazione al risarcimento dei danni subiti.

L’azione risarcitoria era accolta dal Tribunale, prima e dalla Corte d’Appello di Milano, poi,  con sentenze che condannavano l’Amministrazione finanziaria al risarcimento dei danni derivanti dal proprio illegittimo comportamento; in particolare, la Corte d’Appello di Milano rilevava come la definitiva assoluzione in sede penale dell’imputato, avesse definitivamente precluso ogni possibilità di <<pretendere la riscossione di quei tributi, di cui il giudice penale per gli stessi atti di contrabbando per cui l’ingiunzione era stata emessa…aveva accertato l’inesistenza dei presupposti, essendo del tutto irrilevante l’argomentazione dell’appellante principale, relativa alla definitività dell’ingiunzione fiscale>>.

L’impianto complessivo della decisione era confermato dalla Corte di cassazione sulla base di due argomentazioni; la prima si riduce, in sostanza, nel richiamo di principi consolidati della materia dell’imposta di fabbricazione sugli oli minerali[25].

Più interessante, ai fini che ci occupano, la seconda argomentazione, di respiro più generale e costituita da un sostanziale richiamo dell’itinerario argomentativo già individuato in Cass. S.U. n. 722/99; itinerario argomentativo fondato sulla riaffermazione della soggezione della pubblica amministrazione alla <<norma primaria del neminem laedere, per cui è consentito al giudice onorario di accertare se vi sia stato, da parte della stessa amministrazione, un comportamento colposo tale che, in violazione della suindicata norma primaria, abbia determinato la violazione di un diritto soggettivo>>; soggezione che non trova ostacolo nella natura discrezionale del potere, <<atteso che tali principi si pongono come limiti esterni alla sua attività discrezionale, ancorché il sindacato di questa rimanga precluso al giudice ordinario>>.

Del resto, l’obbligo dell’Amministrazione finanziaria di rispettare i principi di imparzialità, correttezza e buona amministrazione trova oggi un significativo riscontro anche nella l. 27 luglio 2002 n. 212 (c.d. Statuto del contribuente); è quindi evidente come la decisione della Corte di cassazione costituisca un significativo riscontro di quanto recentemente affermato da una parte della dottrina[26] in ordine al possibile rapporto tra cd. Statuto dei diritti del contribuente e  problematica risarcitoria.

La decisione della Corte di cassazione interviene poi anche su un secondo punto problematico della materia, costituito dall’individuazione del danno risarcibile ed in particolare, dalla possibilità di qualificare <<come danni le spese legali asseritamente sostenute dalla controparte per le varie azioni che sarebbe stata costretta ad intraprendere, in sede giurisdizionale ed amministrativa, per resistere alle ingiuste pretese dell’Amministrazione>> [27].

La risposta della Corte di cassazione, al proposito, è decisamente positiva e fondata sulla possibilità  di prendere in considerazione e valutare come voce autonoma di danno le spese di assistenza legale tutte le volte in cui vengano <<in considerazione come elemento del danno subito in conseguenza di un fatto illecito>>; ed una simile considerazione è ancora più valida nelle fattispecie, come quella decisa dalla Corte di cassazione, sviluppatesi sotto il vigore del previgente sistema di contenzioso tributario ove, proprio la <<mancata previsione di condanna dell’amministrazione alle spese giudiziali per il caso di soccombenza in tema di contenzioso tributario>> rendeva necessaria la liquidazione in sede risarcitoria delle spese di assistenza legale sostenute.

In definitiva, l’esame di Cass. 1191/2003 evidenzia chiaramente, con riferimento ai dubbi rilevati al § 1 in ordine all’interpretazione di Cass. S.U. 722/99, come, alla fine, sia decisamente prevalsa la prospettiva “attizia” e come, quindi,  vi possano essere pochi dubbi in ordine al fatto che l’atto illecito fonte di risarcimento fosse costituito, nel caso deciso da ultimo dalla Corte di cassazione, dall’illegittima iscrizione a ruolo e non da comportamenti materiali dell’Amministrazione finanziaria; la sistematica risarcitoria si amplia, quindi decisamente riportando al “prisma” della risarcibilità anche la vera e propria attività di accertamento tributario e non solo i comportamenti materiali della p.a.

4. L’estensione dell’azione risarcitoria anche al danno non patrimoniale: Cass. 10483/2004.

Già in sede di primo commento a Cass. 1191/2003 [28], si era evidenziato  come l’esame complessivo della (poca) casistica giurisprudenziale relativa all’azione risarcitoria nei confronti dell’amministrazione finanziaria evidenziasse chiaramente, oltre ad alcune decisioni (Cass. 27.1.2003 n. 1191, ma si vedano anche le già cit. Giud.  pace Mestre 18.9.2000 e  14.12.2000) sicuramente riportabili alla tipologia del danno patrimoniale, anche ulteriori modelli di sentenza (in particolare, la sentenza del Giudice di pace di  Roma 21.8.2001, esaminata al § 2) riportabili alla tipologia, di più recente emersione, costituita dal cd.. danno esistenziale.

Il <<disagio conseguente all’attività inutilmente esercitata per accedere agli uffici amministrativi>> risarcito dal Giudice di pace di Roma con riferimento all’attività propria dell’amministrazione finanziaria altro non è, infatti, che una particolare accentuazione dello stesso danno (perdita di tempo nel tentativo di colloquiare con uffici sordi alle esigenze del cittadino), ormai sufficientemente scandagliato da molte decisioni giurisprudenziali [29] riportate al nuovo istituto del danno esistenziale.

Ed è proprio sulla problematica dell’applicabilità di questa particolare tipologia di danno all’attività di accertamento tributario svolta dalla pubblica amministrazione che oggi interviene la nuova decisione della Corte di cassazione che si commenta.

Una migliore ricostruzione della problematica presuppone però un veloce excursus delle novità giurisprudenziali intervenute, in materia di risarcibilità del danno non patrimoniale, nella primavera-estate del 2003 ed in particolare, di due decisioni della Corte di cassazione (si tratta delle sentenze 31 maggio 2003 n. 8827 e 8828 [30]) e della Corte costituzionale (Corte cost. 11 luglio 2003 n. 233 [31]) che <<hanno rivoluzionato il sistema della responsabilità civile in relazione al danno alla persona, e quindi al danno esistenziale [32]>>.

In particolare, la sentenza  31 maggio 2003 n. 8828 della Corte di cassazione procedeva ad una rilettura critica della previsione dell’art. 2059 c.c., non più letta in connessione esclusiva con l’art. 185 c.p. e quindi non più  diretta <<ad assicurare tutela soltanto al danno morale soggettivo, alla sofferenza contingente, al turbamento dell’animo transeunte determinati da fatto illecito integrante reato (interpretazione fondata sui lavori preparatori del codice del 1942 e largamente seguita dalla giurisprudenza)>>; <<nel vigente assetto dell’ordinamento, nel quale assume posizione preminente la Costituzione - che, all’art. 2, riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo -, il danno non patrimoniale deve (quindi) essere inteso come categoria ampia, comprensiva di ogni ipotesi in cui sia leso un valore inerente alla persona [33]>>.

Dopo l’intervento di Cass. 8828/2003, la clausola di riserva di legge prevista dall’art. 2059 c.c. deve quindi essere riferita, oltre che agli artt. 185 c.p. e 89 c.p.c. (secondo una prospettiva indubbiamente valida al momento dell’emanazione del codice civile) ed alle ipotesi espressamente previste dalla legislazione successiva, anche ad una lettura costituzionalmente orientata estesa ai <<valori della persona costituzionalmente garantiti ... atteso che il riconoscimento nella Costituzione dei diritti inviolabili inerenti alla persona non aventi natura economica implicitamente, ma necessariamente, ne esige la tutela, ed in tal modo configura un caso determinato dalla legge, al massimo livello, di riparazione del danno non patrimoniale [34]>>.

Dalla rottura della cd. <<dicotomia zoppa>> finora imposta agli interpreti proprio dall’ingombrante presenza della previsione dell’art. 2059 c.c., deriva, quindi, un nuovo schema ricostruttivo che, al di là delle <<beghe nominalistiche>>, prevede un sistema fondato sulla dicotomia tra danno patrimoniale (riportabile alla previsione dell’art. 2043 c.c.) e danno non patrimoniale (riportabile alla previsione dell’art. 2059 c.c.); a sua volta, il danno non patrimoniale conterrebbe al proprio interno due sottocategorie costituite:

1) dal danno morale;

2) dai danni  derivanti <<dalla lesione di interessi di rango costituzionale inerenti alla persona>> (comprendendo nella sottocategoria il danno biologico e tutti i danni derivanti dalla lesione di altri interessi di rango costituzionale inerenti alla persona [35]).

La nuova ricostruzione sistematica era poi sostanzialmente recepita da Corte cost. 11 luglio 2003 n. 233 (non a caso, definita [36] <<mera pronuncia per relationem, scarna ed essenziale nei contenuti>>) che recepiva la nuova ricostruzione sistematica di Cass. 8828/2003, con l’unica modificazione costituita dall’adozione di una schema ricostruttivo del danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c. tripartito e riportato a tre elementi fondamentali, costituiti:

1) dal danno morale soggettivo (inteso come transeunte turbamento dello stato d’animo della vittima);

2) dal danno biologico in senso stretto (inteso come lesione dell’interesse, costituzionalmente garantito, all’integrità psichica e fisica della persona, conseguente ad un accertamento medico);

3) dal <<danno (spesso definito in dottrina ed in giurisprudenza come esistenziale) derivante dalla lesione di (altri) interessi di rango costituzionale inerenti alla persona [37]>>.

In definitiva, dal “rimescolamento” delle caratteristiche ricostruttive dell’istituto della responsabilità civile compiuto da Cass. 8828/2003 e da Corte cost. 233/2003, emergeva quindi un danno esistenziale, definitivamente consacrato dal “concordato giurisprudenziale” tra Corte di cassazione e Corte costituzionale, inquadrato all’interno di una nuova lettura del danno non patrimoniale previsto dall’art. 2059 c.c. e caratterizzato da una struttura a doppio stadio riportabile a due elementi fondamentali costituiti:

1) dalla violazione di un interesse costituzionalmente rilevante (necessaria ad integrare la clausola di riserva di legge presente all’interno dell’art. 2059 c.c);

2) dalla necessità per il danneggiato di provare che la violazione dell’interesse costituzionalmente protetto abbia determinato altresì conseguenze concretamente pregiudizievoli sulla propria sfera esistenziale (secondo la tipica struttura, quindi, dei cd. danni-conseguenza [38]).

La problematica dell’applicabilità della nuova sistematica del danno non patrimoniale-esistenziale imposta da Cass. 8828/2003 e da Corte cost. 233/2003 anche all’attività di accertamento tributario è stata affrontata,  come già rilevato, dalla sentenza della Corte di cassazione (Cass. Sez. III civ. sentenza 1 giugno 2004 n. 10483) che si commenta.

In particolare, la Corte di cassazione era chiamata a pronunciarsi su una decisione del Giudice di pace di Assisi che aveva condannato il Comune di quella città al risarcimento dei danni derivanti dall’erroneo invio di un avviso di liquidazione per omesso versamento dell'ICI nell'anno 1993 (versamento che invece era stato regolarmente eseguito) e costituiti dalla <<turbativa della serenità familiare….provocata dall'indebita intimazione>> (danni liquidati, in via equitativa e << simbolica,……in lire 100.000>>).

Particolare importanza, ai fini che ci occupano (la sentenza assume notevole interesse anche per la puntualizzazione di alcuni aspetti relativi alla problematica della colpa dell’amministrazione tributaria; aspetti che esulano dall’economia e dalla finalità del presente scritto), deve essere attribuita al quarto e al quinto motivo di ricorso costituiti:

1) dalla <<violazione delle regole processuali in materia di onere della prova e di convincimento del giudice e, in particolare, dell'art. 115 del codice di procedura civile e art. 2697 del codice civile" per avere il giudice di pace accolto la domanda indipendentemente dalla prova del turbamento che la destinataria avrebbe sofferto a seguito del ricevimento dell'avviso di liquidazione inviatole dal Comune e per aver ritenuto che il Comune avrebbe dovuto effettuare il controllo manuale dei bollettini scartati dal lettore ottico perchè recanti (non consentite) correzioni a penna benché l'ente avesse provato che, in base alle prescrizioni dell'art. 10, D. Lgs. n. 504/1992, esso deve operare esclusivamente sulla base di supporti informatici e degli elenchi trasmessi dal concessionario>>;

2) dalla <<motivazione perplessa, contraddittoria e sostanzialmente insussistente sul punto decisivo costituito dalla individuazione del danno, ritenuto né patrimoniale né morale soggettivo, e considerato tuttavia risarcibile "nell'accezione della portata innovativa" di Cass., SS.UU. n. 500/1999, che peraltro aveva stabilito la risarcibilità del danno derivato da lesione degli interessi legittimi, senza affrontare il diverso tema della risarcibilità del danno non patrimoniale [39]>>.

Nel decidere congiuntamente i due motivi di ricorso, la Corte di cassazione parte dalla rilevazione dell’insufficienza della motivazione in ordine al danno risarcito, come già rilevato, costituito dalla <<turbativa della serenità familiare provocata da un danno ingiusto posto in essere dal Comune>>.

Il Giudice di pace di Assisi non aveva però chiarito <<in che senso, sotto quali profili, per quali ragioni l'avviso di liquidazione (di lire 540.188) avesse inciso sulla serenità familiare, volto che il riferimento alla famiglia ineluttabilmente evoca rapporti interpersonali e che uno stato d'ansia non indotto da vicende che concernano un componente del nucleo familiare in tanto può turbare la serenità dei rapporti interni alla famiglia in quanto sia così possente da impedirne la normale estrinsecazione da parte del soggetto che dallo stato d'ansia risulti affetto. Il riferimento alla turbativa della serenità familiare è, dunque, assolutamente immotivato>>.

Per di più, il riferimento alla generica turbativa della serenità familiare derivante dall’avviso di accertamento è da ritenersi affetto da intrinseca contraddittorietà: <<l'affermazione, poi, che quella "turbativa" fosse stata provocata da un danno ingiusto è, per un verso, insanabilmente contraddittoria posto che il turbamento era stato poco prima considerato esso stesso il danno; ed è, per altro verso, del tutto apodittica, giacché assume l'ingiustizia del danno come connotazione insita nella condotta del comune perchè colposa, benché il danno sia una conseguenza della condotta, il cui elemento soggettivo non è dunque idoneo a qualificare, in sé, come ingiusti i suoi effetti>>.

5. Una critica della decisione ed un possibile quadro ricostruttivo.

Se si dovesse procedere ad una efficace sintetizzazione della struttura argomentativa di Cass. 10483/2004, potrebbe semplicemente concludersi che si tratta di una sentenza che brilla più per quello che non dice (e che assume per presupposto) che per quello che effettivamente dice.

Posta davanti alla tematica costituita dall’impossibilità di  riportare il danno risarcito (sicuramente non riportabile alle tipologie del danno patrimoniale e del danno morale soggettivo) alla <<portata innovativa di Cass., SS.UU. n. 500/1999, che peraltro aveva stabilito la risarcibilità del danno derivato da lesione degli interessi legittimi, senza affrontare il diverso tema della risarcibilità del danno non patrimoniale>> (quinto motivo di ricorso), la Cassazione non richiama la sistematica complessiva già proposta da Cass. 8828/2003 (come già rilevato, tutta giocata su  una struttura a doppio stadio, costituita dalla violazione  di un interesse costituzionalmente rilevante e dalla necessità per il danneggiato di provare che la violazione dell’interesse costituzionalmente protetto abbia determinato altresì conseguenze concretamente pregiudizievoli sulla propria sfera esistenziale), ma preferisce recepire per implicito tale costruzione, procedendo al sindacato concreto delle motivazione in ordine, proprio, alle conseguenze concretamente pregiudizievoli per la sfera soggettiva dell’interessata derivanti dalla violazione di un interesse costituzionalmente rilevante perpetrata dall’amministrazione.

In altre parole, l’adesione alla costruzione proposta da Cass. 8828/2003 (come già rilevato, sostanzialmente recepita anche da Corte cost. 233/2003) non è espressa, ma è desumibile, proprio, dal sindacato operato sul “secondo elemento” dello schema ricostruttivo proposto dalla citata decisione del giudice di legittimità e, quindi, dalle considerazioni formulate in ordine alla complessiva insufficienza delle argomentazioni a tal proposito utilizzate dal giudice di primo grado.

È quindi necessario procedere ad una complessiva ricostruzione dell’intera problematica, sulla base dello schema proposto da Cass. 8828/2003, cercando così di supplire alle lacune argomentative indubbiamente contenute in Cass. 10483/2004.

Come già rilevato, il primo elemento del nuovo danno non patrimoniale è costituito dalla necessità di riempire la clausola di riserva di legge prevista dall’art. 2059 c.c., con una previsione espressa in materia di risarcibilità (prime tra tutte, le norme “più vecchie” costituite dall’art. 185 c.p. e dall’art. 89 c.p.c.) o con una più generica <<violazione di un interesse costituzionalmente rilevante>> (novità sostanzialmente introdotta da Cass. 8828/2003).

Ora, è indubbio come la materia che ci occupa sia ampiamente caratterizzata da quella “copertura costituzionale” necessaria ad integrare la riserva di legge prevista dall’art. 2059 c.c.; come già rilevato in altre occasioni [40], la presenza, nella nostra Carta costituzionale, di due disposizioni (gli artt. 23 e 53 [41]) espressamente destinate alla disciplina di tutte le prestazioni, personali o patrimoniali, imposte e dell’intero sistema tributario, oltre a costituire l’”architrave” del nostro intero sistema tributario, assume un ruolo importante anche nella problematica risarcitoria venendo a legittimare la  risarcibilità del danno non patrimoniale-esistenziale derivante dalla violazione, anche mediata, delle citate previsioni costituzionali.

Riprendendo poi uno schema ricostruttivo elaborato con riferimento alla problematica dei rapporti tra art. 97 della Costituzione e l. 7 agosto 1990 n. 241 [42], deve rilevarsi come, nella materia tributaria, le previsioni costituzionali (gli artt. 23 e 53, ma anche l’art. 97, più genericamente riferito all’intera p.a.) trovino applicazione anche attraverso la mediazione di una legge di grande importanza, come la l. 27 luglio 2002 n. 212 (c.d. Statuto del contribuente), non a caso, recante una previsione di apertura (l’art. 1, 1° comma) che, oltre a rimarcare il valore direttamente attuativo delle previsioni degli <<articoli 3, 23, 53 e 97 della Costituzione>> dell’intera legge, attribuisce alle disposizioni della legge il valore di <<princìpi generali dell'ordinamento tributario>> derogabili o modificabili <<solo espressamente e mai da leggi speciali>>.

Del resto, è proprio, sulla base dell’art. 1, 1° comma della l. 212/2000,  che una recente decisione della Corte di cassazione [43] ha attribuito alle previsioni del cd. Statuto del contribuente valore di <<principi generali dell'ordinamento tributario>> con <<rilevanza del tutto particolare nell'ambito della legislazione tributaria ed una sostanziale superiorità rispetto alle altre disposizioni vigenti in materia>>.

È poi quasi superfluo richiamare quanto rilevato in altra sede [44] in ordine alla circostanza che la sistematica complessiva di Cass. 8828/2003 e Corte cost. 233/2003  operi un riferimento agli <<interessi di rango costituzionale inerenti alla persona>> e non alle disposizioni costituzionali, così legittimando <<una lettura non ferma, ingessata, angusta della Costituzione, ma dinamica, fatta di rimandi a tutto quanto è espressione dei valori ad essa sottesi, dalle più importanti leggi speciali successive al 1948, alle normative transnazionali e comunitarie, dalle Carta di Nizza e alla Convenzione di New York sui diritti dei bambini, alla l. 104, e così via [45]>>; lettura dinamica che assumerà sicuramente un ruolo importante anche nella problematica risarcitoria relativa al diritto tributario.

Il punto “assorbito” dalla scarna motivazione di Cass. 10483/2004 è quindi costituito, proprio, dalla risposta positiva in ordine all’astratta risarcibilità del danno non patrimoniale derivante dall’illegittima attività di accertamento tributario; risposta  positiva che è evidentemente desunta (diversamente, la Cassazione non sarebbe infatti scesa all’esame degli aspetti concreti della fattispecie risarcitoria) dall’individuazione di una violazione di interessi costituzionalmente protetti (desumibili dalle previsioni degli artt. 3, 23, 53 e 97 Cost.) idonea ad integrare la clausola di riserva di legge prevista dall’art. 2059 c.c.

Al contrario, su quello che possiamo definire come il secondo livello della fattispecie risarcitoria ex art. 2059 c.c. (necessità per il danneggiato di provare che la violazione dell’interesse costituzionalmente protetto abbia determinato altresì conseguenze concretamente pregiudizievoli sulla propria sfera esistenziale, secondo la tipica struttura dei cd. danni-conseguenza), la motivazione di Cass. 10483/2004 è certamente più articolata e tale da dare vita ad una vera e propria opzione interpretativa.

I passi della decisione relativi al difetto di motivazione in ordine alla <<turbativa della serenità familiare>> derivante dall’illegittimo avviso di liquidazione (e, quindi, alla mancanza di una prova concreta della verificazione dello stesso danno) ed alla contraddittorietà di un simile riferimento (<<l'affermazione….che quella "turbativa" fosse stata provocata da un danno ingiusto è….. insanabilmente contraddittoria posto che il turbamento era stato poco prima considerato esso stesso il danno>>) si pongono, infatti, in sintonia quasi perfetta con il punto 3.1.10 di Cass. 8828/2003 ed in particolare, con la rilevazione del fatto che il danno esistenziale non coincide <<con la lesione dell'interesse protetto>> e consiste, al contrario, <<in una perdita, nella privazione di un valore non economico, ma personale, costituito dalla irreversibile perdita del godimento del congiunto, dalla definitiva preclusione delle reciproche relazioni interpersonali, secondo le varie modalità con le quali normalmente si esprimono nell'ambito del nucleo familiare; perdita, privazione e preclusione che costituiscono conseguenza della lesione dell'interesse protetto [46]>>.

Nella lettura di Cass. 8828/2003 (ed oggi, anche di Cass. 10483/2004), il danno esistenziale è, quindi, una tipica ipotesi di <<danno-conseguenza>>, da allegarsi e provarsi a cura del danneggiato: <<non vale pertanto l'assunto secondo cui il danno sarebbe in re ipsa, nel senso che sarebbe coincidente con la lesione dell'interesse. Deve affermarsi invece che dalla lesione dell'interesse scaturiscono, o meglio possono scaturire, le suindicate conseguenze, che, in relazione alle varie fattispecie, potranno avere diversa ampiezza e consistenza, in termini di intensità e protrazione nel tempo [47]>>.

L’adesione di Cass. 10483/2004 alla sistematica di Cass. 8828/2003 in ordine alla natura di danno-conseguenza del danno non patrimoniale è quindi così evidente da non aver bisogno di altre evidenziazioni.

In realtà, però Cass. 8828/2003 era caratterizzata da alcune precisazioni interpretative che attenuavano in maniera tanto rilevante l’onere probatorio incombente sul danneggiato, da indurre la dottrina a parlare di  un vero e proprio processo di <<eventizzazione>> del pregiudizio  attraverso il quale <<il tipo di pregiudizio sofferto finisce, volta per volta,  proiettato automaticamente al livello di interesse protetto [48]>>; in particolare, l’attenzione dell’interprete deve essere riportata:

1) alla precisazione in ordine alla possibilità,  per il giudice, di fare ricorso a <<valutazioni prognostiche ed a presunzioni sulla base degli elementi obbiettivi che sarà onere del danneggiato fornire>>;

2) all’utilizzazione di vere e proprie “categorie-grimaldello” (come, per i pregiudizi di carattere morale, la <<violazione dell’interesse all’integrità morale>> e, per le ripercussioni dannose che coinvolgano la sfera personale esterna del soggetto, la <<violazione di un interesse alla libera esplicazione della personalità, protetto dall’art. 2 della Cost. [49]>>), tali da dare vita ad una <<griglia operativa estremamente ampia>> applicabile <<a fronte di qualunque ripercussione non patrimoniale  [50]>>.

In definitiva, l’opzione di Cass. 8828/2003 per la natura di danno-conseguenza del danno non patrimoniale era temperata da una serie di tecniche interpretative (il massiccio ricorso a valutazioni prognostiche; l’utilizzazione di tecniche di “eventizzazione” del danno tali da far coincidere praticamente violazione dell’interesse protetto e pregiudizio) tali da far presagire il prevalere, nella pratica, di modelli di sentenze non eccessivamente rigidi per quello che riguarda gli oneri probatori incombenti sul danneggiato; e l’aspettativa di un forte “annacquamento” dell’onere probatorio era ancora più forte nel campo della responsabilità civile della p.a., ove la presenza dell’art. 97 della Costituzione legittimava l’attesa dell’affermazi9one di processi di eventizzazione del danno specifici della materia [51].

Ora, rispetto a questa ricchezza argomentativa (o forse, anche, contraddittorietà) di Cass. 8828/2003, l’ultima decisione della Corte di cassazione costituisce certamente opzione per una configurazione della responsabilità civile dell’amministrazione finanziaria del tutto “chiusa” sul concetto di danno-conseguenza ed insensibile ai citati processi di “eventizzazione” che, alla fine, nascono proprio dalla rilevazione della sostanziale difficoltà di  riportare il danno non patrimoniale (soprattutto nella variante esistenziale ) alla rigida applicazione dei principi in materia di onere della prova; e si tratta, probabilmente, di una scelta interpretativa che non trova molta rispondenza nell’evoluzione più complessiva della problematica e che, probabilmente, finirà per essere corretta da altre decisioni della stessa Corte di cassazione.

Quello che però deve essere rilevato, da subito, è come la decisione della Corte di cassazione sia stata probabilmente influenzata dall’impostazione data alla vicenda dalla sentenza di primo grado (purtroppo non reperita in riviste giuridiche); dalla stessa lettura della parte in fatto della sentenza di ricava, infatti, come l’azione risarcitoria proposta dall’interessato (espressamente riferita al danno relativo al <<tempo impiegato nella ricerca del bollettino di pagamento e per l'accesso agli Uffici comunali>> e allo <<stato di turbamento e di ansia provocato dall'intimazione….fino al ritrovamento del bollettino>>) avesse una maggiore estensione rispetto alla configurazione restrittiva (solo danno derivante dalla <<turbativa della serenità familiare provocata da un danno ingiusto posto in essere dal Comune>>) accolta dal Giudice di pace di Assisi.

La scelta del giudice di primo grado non è però “neutra”, ma porta all’esclusione dalla vicenda di una serie di interessi concreti (ad es. il danno costituito dal tempo perso in colloqui con l’amministrazione finanziaria che si sarebbero comunque potuti evitare [52]) che, a differenza della <<turbativa della serenità familiare>>, meglio si prestavano a processi di eventizzazione (la sottrazione di tempo alle attività realizzatrici della persona derivante dalla necessità di colloquiare con l’amministrazione per chiedere l’annullamento di atti di accertamento illegittimi è, infatti, evenienza che contiene in sé il pregiudizio); la soluzione della vicenda è stata pertanto fortemente influenzata dalla particolare impostazione data alla vicenda dal giudice di primo grado.

Sotto diverso angolo visuale, deve poi rilevarsi come, anche i principi enunciati da Cass. 10483/2004, non siano esenti da un qualche margine di incertezza, tale da permettere l’affermazione, anche in questo modello giurisprudenziale più restrittivo, di processi di eventizzazione del pregiudizio;  in particolare, l’attenzione dell’interprete deve essere riportata alla necessità di accertare la particolare “incidenza” che lo stato d’ansia indotto in un familiare può assumere nella comunità familiare: <<uno stato d'ansia non indotto da vicende che concernano un componente del nucleo familiare in tanto può turbare la serenità dei rapporti interni alla famiglia in quanto sia così possente da impedirne la normale estrinsecazione da parte del soggetto che dallo stato d'ansia risulti affetto>>.

Ma cosa può significare in concreto (e nell’ambito tributario) un simile accertamento?

Al proposito, è abbastanza facile prevedere l’affermazione di due soluzioni contrastanti:

a) la verifica dell’incidenza dell’avvenimento esterno sulla sfera familiare si limita ad una verifica dell’importo dell’accertamento illegittimo (nel caso di specie, molto limitato) in rapporto alla situazione patrimoniale familiare, così istituendo una specie di corrispondenza automatica tra accertamenti tributari economicamente onerosi e turbamento della serenità familiare (accertamento facilmente eseguibile dal giudicante sulla base di semplici elementi di fatto e presunzioni di facile applicazione);

b) si richiede, al contrario, l’accertamento di un turbamento effettivo della vita familiare, sotto il profilo psicologico o sotto il profilo della sfera esistenziale (riduzione delle possibilità di svago, istruzione ecc. derivanti dall’accadimento); in questo caso, quindi, la prova del pregiudizio da parte del danneggiato sarebbe effettiva e darebbe vita a più di una difficoltà probatoria.

È quindi, di tutta evidenza come l’imporsi dell’ipotesi ricostruttiva sub a) riporterebbe sostanzialmente l’intera problematica alla sistematica di Cass. 8828/2003, imponendo il ricorso a quei processi di eventizzazione del pregiudizio che vengono sostanzialmente a ridurre l’onere probatorio incombente sul danneggiato; al contrario, l’imporsi dell’ipotesi evidenziata sub b) confermerebbe definitivamente quegli aspetti di maggiore rigidità della problematica probatoria che sembrano evidenti in Cass. 10483/2004.

Ed è con questa sostanziale incertezza (e con un rinvio ai successivi sviluppi giurisprudenziali) che questa nota deve essere chiusa.

 

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[1] Cass. S.U. 22.7.1999 n. 500 in Foro it., 1999, I, 2487, con note di PALMIERI e PARDOLESI; Foro it., 1999, I, 3201, con note di  CARANTA, FRACCHIA, ROMANO e SCODITTI; Giornale dir. amm., 1999, 832,  con nota di  TORCHIA; Nuovo dir., 1999, 691, con nota di FINUCCI; Contratti, 1999, 869,  con nota di MOSCARINI; Giust. civ., 1999, I, 2261,  con nota di MORELLI; Urbanistica e appalti, 1999, 1067, con nota di PROTTO; T.A.R.., 1999, II, 225, con nota di BONANNI; Arch. civ., 1999, 1107; Danno e resp., 1999, 965, con note di CARBONE, MONATERI, PALMIERI, PARDOLESI, PONZANELLI e ROPPO; Corriere giur., 1999, 1367, con note di DI MAJO e  MARICONDA; Gius, 1999, 2760,  con nota di BERRUTI; Rass. giur. energia elettrica, 1999, 433; Nuove autonomie, 1999, 563, con nota di SCAGLIONE; Gazzetta giur., 1999, fasc. 35, 42; Guida al dir., 1999, fasc. 31, 36,  con note di  MEZZACAPO, CARUSO, DE PAOLA e FINOCCHIARO; Dir. e pratica societá, 1999, fasc. 21, 65; Ammin. it., 1999, 1399; Dir. pubbl., 1999, 463,  con note di ORSI BATTAGLINI e MARZUOLI; Rass. amm. sic., 1999, 9.

[2] Cass. S.U. 15.10.1999 n. 722 in Fisco, 1999, 13268; Corriere trib., 1999, 3475 con nota di GRIMALDI; Bollettino trib., 1999, 1777; Giust. civ., 1999, I, 2923; Guida al dir., 1999, fasc. 43, 50 con nota di VOLPE.

[3] I. VOLPE La controversia sulla richiesta di risarcimento spetta al giudice ordinario in Guida al dir., 1999, fasc. 43, 50.

[4] Le citazioni sono da Cass. S.U. 15.10.1999 n. 722, cit.

[5] Cass. S.U. 15.10.1999 n. 722, cit.

[6] Cass. S.U. 15.10.1999 n. 722, cit.

[7] Cass. S.U. 15.10.1999 n. 722, cit: <<nella specie la posizione dedotta è quella della lesione patrimoniale che si assume subita per un illecito comportamento della p.a. rispetto a un rapporto tributario ormai del tutto esaurito che opera solo come sfondo e che non assume alcuna connessione determinante rispetto alla richiesta di risarcimento dei danni>>.

[8] Cass. S.U. 15.10.1999 n. 722, cit.

[9] I. VOLPE La controversia sulla richiesta di risarcimento spetta al giudice ordinario in Guida al dir., 1999, fasc. 43, 50.

[10] I. VOLPE La controversia sulla richiesta di risarcimento spetta al giudice ordinario cit.,  50.

[11] I. VOLPE La controversia sulla richiesta di risarcimento spetta al giudice ordinario cit.,  50.

[12] Le citazioni sono da I. VOLPE La controversia sulla richiesta di risarcimento spetta al giudice ordinario cit.,  50.

[13] Giud.  pace Mestre, 18.9.2000 in Fisco, 2001, 11690 con nota di BELLINI; 14.12.2000 in Bollettino trib., 2001, 220;

Arch. locazioni, 2001, 273.

[14] Giud. pace Roma 21.8.2001, riportata nell’Appendice giurisprudenziale a L. VIOLA Il danno esistenziale nella responsabilità civile della pubblica amministrazione La Tribuna, Piacenza, 2003.

[15] Giud. pace Roma 21.8.2001, cit.

[16] Le citazioni sono da Giud. pace Roma 21.8.2001, cit.

[17] Giud. pace Roma 21.8.2001, cit.

[18] Le citazioni sono da Giud. pace Roma 21.8.2001, cit.

[19] Sull’autotutela tributaria si vedano  K. SCARPA L’autotutela tributaria in Riv. dir. trib., 2001, I, 441;  M. BRUZZONE Il riesame amministrativo dell’atto tributario tra tutela preventiva ed autotutela in Corriere trib., 2001, 2387; S. CANNISTRÀ e G. IZZI  L’autotutela tributaria e l’interesse del contribuente in Tributi, 2001, 1; F. CASORIA  I limiti applicativi dell’autotutela e i rimedi giurisdizionali al silenzio-rifiuto e al diniego espresso in Fisco, 2001, 10618, L. BELLINI e M. BELLINI L’autotutela in diritto tributario con particolare riferimento agli enti locali in Fisco, 2001, 14697;  P. AGOSTINELLI  Il riesame dell’accertamento nella disciplina dei tributi doganali: appunti e riflessioni intorno ad un diverso modo di concepire l’autotutela amministrativa sopra atti impositivi illegittimi in Riv. dir. trib., 2000, I, 923.

[20] Per la giurisdizione del giudice amministrativo, T.A.R. Toscana Sez. I  22.10.1999 n. 767 in Foro it., 2001, III, 27 con nota di CASCIA; Foro amm., 2000, 2266. Presuppone la giurisdizione del giudice tributario, Comm. trib. reg. Lazio 23.2.1998 in Dir. e pratica trib., 1998, II, 1395, con nota di CAUMONT CAIMI, Sul dovere di motivazione del diniego di autotutela in presenza di giudicato sfavorevole al contribuente; Fisco, 1998, 5159 con nota di CAPUTI.

[21] Nel senso dell’obbligo per l’amministrazione di provvedere sull’istanza di autotutela del contribuente, si vedano, T.A.R. Toscana Sez. I  22.10.1999 n. 767 cit., Comm. trib. reg. Lazio 23.2.1998 cit. e Comm. trib. centrale, 6.2.1986, n. 1159 in Comm. trib. centr., 1986, I, 158. Per l’obbligo dell’Amministrazione finanziaria di uniformarsi al giudicato dei tribunali (in particolare, sentenze penali di assoluzione) Corte cost. 23.3.1992  n. 120 in  Foro it., 1993, I, 1060 e Commiss. trib. prov. Bari, 9.6.2000 in Fisco, 2001, 1882.

[22] Per l’affermativa, T.A.R. Toscana Sez. I  22.10.1999 n. 767 cit.. Per la negativa, Cass., sez. trib., 9.10.2000, n. 13412 in Tributi, 2000, 1314; Riv. dir. trib., 2001, II, 464, con nota di LA ROSA; Nuovo dir., 2001, 832 con nota di LORENZETTI.

[23] Le citazioni sono da I. VOLPE La controversia sulla richiesta di risarcimento spetta al giudice ordinario cit.,  50.

[24] Vedila in Nuovo dir. 2003, 299 con nota di VENTURINI; Bollettino trib. 2003, 1097 con nota di ROSA; Dir. e Giust. 2003, f. 8, 106. Per un primo commento alla decisione della Corte di cassazione, si vedano G. RIPA Il giudicato penale trascina il fisco. Risarcimento del danno se l’amministrazione non si adegua in Italia Oggi del 3 aprile 2003 e L. VIOLA Diritto tributario e tutela risarcitoria in Giustizia amministrativa, 2003, 588 e in http://www.lexitalia.it/private/articoli/viola_risarcimento.htm    

[25] Per una veloce sintesi dei principi in questione si rinvia a L. VIOLA Diritto tributario e tutela risarcitoria cit.

[26] Sia consentito il rinvio a quanto già sostenuto in L. VIOLA Il danno esistenziale nella responsabilità civile della pubblica amministrazione cit.

[27] Per una impostazione sostanzialmente analoga, con riferimento alla necessità di avvalersi di un commercialista nei procedimenti di autotutela tributaria, si vedano le citt. Giud.  pace Mestre, 18.9.2000 e  14.12.2000.

[28] L. VIOLA Diritto tributario e tutela risarcitoria cit.. In precedenza si veda L. VIOLA Il danno esistenziale nella responsabilità civile della pubblica amministrazione cit.

[29] Per quello che riguarda il ritardo nel rilascio delle certificazioni scolastiche, si veda Giud. di pace Roma 28.6.2001 in Foro it., 2002, I, 1211 con nota di L. GILI  L’illecito per lesione di interessi legittimi delineato da Cass. 500/SU/99 alla ulteriore prova di applicazione concreta. Per quello che riguarda l’illegittima applicazione di sanzioni amministrative, Giud. pace Perugia 26.4.2000 n. 115 in Giust.it, Rivista Internet di diritto pubblico n. 6/2000 con note di G. SAPORITO Stress e forfait nel danno causato dalla pubblica amministrazione e G. VIRGA L'indennizzo automatico e forfettario ed…..il prezzo dei carciofi in http//www.giust.it  n. 6/2000. Per quello che riguarda l’interpretazione delle decisioni citate, ci si permette di rinviare a L. VIOLA Il danno esistenziale nella responsabilità civile della pubblica amministrazione cit.

[30] In Foro amm. CDS 2003, 1542;  Dir. e Giust. 2003, f. 24, 26 con nota di PECCENINI; Danno e resp. 2003, 713 con nota di PONZANELLI; Resp. civ. e prev. 2003, 675 con note di CENDON, BARGELLI e ZIVIZ; Foro it. 2003, I, 2272 con nota di NAVARRETTA; Danno e resp. 2003, 816 con note di BUSNELLI,  PONZANELLI e PROCIDA MIRABELLI DI LAURO; Dir. informatica 2003, 771; Giur. it. 2004, 29  con nota di SUPPA.

[31] In Giur. it. 2003, 1777 con note di CENDON e ZIVIZ; Dir. & Formazione 2003, 1177 con note di CENDON e ZIVIZ;  Dir. e Giust. 2003, f. 29, 42 con nota di PECCENINI; Resp. civ. e prev. 2003, 1036 con nota di ZIVIZ; Danno e resp. 2003, 939 con nota di BONA, CRICENTI e PONZANELLI; Giur. cost. 2003, f. 4; Riv. corte conti 2003, f. 4, 153; Giust. civ. 2003, I, 2019 Foro it. 2003, I, 2201 con nota di NAVARRETTA, Nuovo dir. 2003, 917 con nota di VENTURINI; Giur. it. 2004, 723 con nota di  CASSANO; D.L. Riv. critica dir. lav. 2003, 910 con note di GUARISO e PAGANUZZI. Per l’applicabilità del nuovo orientamento giurisprudenziale anche alla responsabilità civile della p.a., si rinvia a L. VIOLA La responsabilità civile della pubblica amministrazione dopo Cass. 8828/2003 e Corte cost. 233/2003 in Il Diritto di tutti, www.giuffre.it e Il danno esistenziale nella responsabilità civile della pubblica amministrazione dopo gli interventi della Cassazione e della Corte costituzionale in Cons. Stato 2003, II, 1993.

[32] G. CASSANO La responsabilità civile con due (belle?) gambe, e non più zoppa presente in vari siti Internet; le  citazioni utilizzate in queste pagine sono tratte dalla versione pubblicata su Diritto e diritti, www.diritto.it

[33] Le citazioni sono da G. CASSANO La responsabilità civile con due (belle?) gambe, e non più zoppa cit.

[34] Cass. 31.5.2003 n. 8828 cit.

[35] Le citazioni e lo schema ricostruttivo sono da G. CASSANO La responsabilità civile con due (belle?) gambe, e non più zoppa cit.

[36] Da P. CENDON e P. ZIVIZ Vincitori e vinti (…dopo la sentenza n. 233/2003 della Corte costituzionale) presente in vari siti Internet; in questo caso, le  citazioni utilizzate sono tratte dalla versione pubblicata su Diritto e diritti, www.diritto.it

[37] Le citazioni sono da Corte cost. 11.7.2003 n. 233 cit.

[38] Per l’esame più approfondito della sistematica complessiva di Cass. 8828/2003 e di Corte cost. 233/2203, ci si permette di rinviare a L. VIOLA La responsabilità civile della pubblica amministrazione dopo Cass. 8828/2003 e Corte cost. 233/2003 cit..

[39] Ai fini che ci occupano un qualche interesse può essere attribuito alla decisione anche del terzo motivo di ricorso. In questo caso, la Cassazione ha chiarito come l'obbligo di risarcire il danno da fatto illecito debba essere considerato <<del tutto estraneo alla nozione di "prestazione" cui ha riguardo l'art. 23 della Costituzione>>; conclusione del tutto scontata.

[40] In particolare, in L. VIOLA Il danno esistenziale nella responsabilità civile della pubblica amministrazione cit. e in Diritto tributario e tutela risarcitoria cit. con riferimento alla ricostruzione del danno esistenziale antecedente all’intervento di Cass. 8828/2003.

[41] Per le basi costituzionali del nostro diritto tributario, su tutti, si veda E. DE MITA Interesse fiscale e tutela del contribuente - Le garanzie costituzionali, IV ed., Giuffrè, Milano, 2000. Nella manualistica, R. LUPI  Diritto tributario - Parte generale, VII ed., Giuffrè, Milano, 2000; A. FANTOZZI  Diritto tributario, II ed., UTET, Torino, 1998; F. TESAURO Istituzioni di diritto tributario - vol. I: Parte generale, VI ed., 1998, UTET, Torino.

[42] Al proposito, si rinvia a L. VIOLA Il danno esistenziale nella responsabilità civile della pubblica amministrazione cit. e a La responsabilità civile della pubblica amministrazione dopo Cass. 8828/2003 e Corte cost. 233/2003 cit..

[43] Cass. sez. tributaria 14.4.2004 n. 7080 in www.altalex.com. In precedenza, Cass.10.12.2002 n. 17576 in Riv. dir. trib. 2003, II, 249 con nota di MASTROIACOVO; Dir. e prat. trib. 2003, II, 885 con nota di SOLARI; Foro it. 2003, I,1104.

[44] L. VIOLA La responsabilità civile della pubblica amministrazione dopo Cass. 8828/2003 e Corte cost. 233/2003 cit. e Il danno esistenziale nella responsabilità civile della pubblica amministrazione dopo gli interventi della Cassazione e della Corte costituzionale cit.

[45] Le citazioni sono da G. CASSANO La responsabilità civile con due (belle?) gambe, e non più zoppa cit.

[46] Cass. 31 maggio 2003 n. 8828, cit.

[47] Le citazioni sono da Cass. 31 maggio 2003 n. 8828, cit.

[48] P. CENDON e P. ZIVIZ Vincitori e vinti (…dopo la sentenza n. 233/2003 della Corte costituzionale) cit.

[49] Cass. 31 maggio 2003 n. 8828, cit.

[50] P. CENDON e P. ZIVIZ Vincitori e vinti (…dopo la sentenza n. 233/2003 della Corte costituzionale) cit.

[51] In questo senso, L. VIOLA La responsabilità civile della pubblica amministrazione dopo Cass. 8828/2003 e Corte cost. 233/2003 cit. e Il danno esistenziale nella responsabilità civile della pubblica amministrazione dopo gli interventi della Cassazione e della Corte costituzionale cit.

[52] Per un primo quadro delle possibili fattispecie risarcitorie, si rinvia a L. VIOLA Il danno esistenziale nella responsabilità civile della pubblica amministrazione cit. e Diritto tributario e tutela risarcitoria cit.

 

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 FATTO

I.C. conveniva dinanzi al Giudice di pace di Assisi il Comune di quella città, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni, patrimoniali e non, che assumeva patiti per fatto colposo del Comune, il quale le aveva erroneamente inviato un avviso di liquidazione per omesso versamento dell'ICI nell'anno 1993, versamento che invece era stato regolarmente eseguito. Il danno doveva essere ravvisato nel tempo impiegato nella ricerca del bollettino di pagamento e per l'accesso agli Uffici comunali, nonché nello stato di turbamento e di ansia provocato dall'intimazione e fino al ritrovamento del bollettino.

Il Comune, costituitosi in giudizio, chiedeva la reiezione integrale della domanda, eccependo, fra l'altro, l'inammissibilità-improponibilità della domanda di risarcimento del morale, non previsto dall'ordinamento se non in presenza di un fatto reato.

Il Giudice di pace di Assisi, con sentenza depositata l'11 maggio 2000, accoglieva la domanda, ritenendo risarcibile il turbamento arrecato alla C. dal danno ingiusto provocato dall'indebita intimazione, e condannava il Comune di Assisi al risarcimento di tale danno ex art. 2043 del codice

civile (nella lettura datane dalla sentenza delle Sezioni Unite della Corte di cassazione 22 luglio 1999, n. 500), danno quantificato, in via simbolica ex bono et aequo, in lire 100.000.

Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Comune di Assisi, sulla base di sei motivi, il primo dei quali attinente alla giurisdizione, cui ha resistito con controricorso la C..

Le sezioni unite hanno dichiarato inammissibile il primo motivo di ricorso con sentenza 17 dicembre 2001, n. 15937 ed hanno rimesso gli atti al primo presidente che ha assegnato il ricorso a questa sezione per la decisione sugli ulteriori cinque motivi.

Il ricorrente ha depositato memoria illustrativa.

DIRITTO

1. In esito alla citata sentenza delle Sezioni Unite n. 15937 del 2001 (che ha dichiarato inammissibile il primo motivo sul rilievo che "la deduzione di improponibilità della domanda per insussistenza nell'ordinamento di una norma astratta idonea al riconoscimento ed alla tutelabilità della posizione soggettiva fatta valere introduce una questione che attiene al merito e non alla giurisdizione"), vanno esaminati gli ulteriori cinque motivi di ricorso, con i quali sono dedotte:

a) violazione del principio generale dell'ordinamento, relativo all'esclusione della tutela risarcitoria del danno morale soggettivo per fatto non costituente reato (secondo motivo);

b) violazione dell'art. 23 della Costituzione in quanto la condanna della pubblica amministrazione al risarcimento del danno per aver provocato semplici preoccupazioni ai destinatari dei propri provvedimenti si risolve in una prestazione non prevista dall'ordinamento (terzo motivo);

c) "violazione delle regole processuali in materia di onere della prova e di convincimento del giudice e, in particolare, dell'art. 115 del codice di procedura civile e art. 2697 del codice civile" per avere il giudice di pace accolto la domanda indipendentemente dalla prova del turbamento che la destinataria avrebbe sofferto a seguito del ricevimento dell'avviso di liquidazione inviatole dal Comune e per aver ritenuto che il Comune avrebbe dovuto effettuare il controllo manuale dei bollettini scartati dal lettore ottico perchè recanti (non consentite) correzioni a penna benché l'ente avesse provato che, in base alle prescrizioni dell'art. 10, D. Lgs. n. 504/1992, esso deve operare esclusivamente sulla base di supporti informatici e degli elenchi trasmessi dal concessionario (quarto motivo);

d) motivazione perplessa, contraddittoria e sostanzialmente insussistente sul punto decisivo costituito dalla individuazione del danno, ritenuto né patrimoniale né morale soggettivo, e considerato tuttavia risarcibile "nell'accezione della portata innovativa" di Cass., SS.UU. n. 500/1999, che peraltro aveva stabilito la risarcibilità del danno derivato da lesione degli interessi legittimi, senza affrontare il diverso tema della risarcibilità del danno non patrimoniale (quinto motivo);

e) violazione della tariffa professionale forense per avere il giudice di pace liquidato diritti (lire 210.000) ed onorari (lire 500.000) di avvocato in misura superiore ai massimi stabiliti in relazione al valore della controversia (sesto motivo).

2.1. Il motivo sub a (secondo del ricorso) è infondato poiché il giudice di pace, nelle sentenze decise secondo equità, è esclusivamente vincolato al rispetto delle norme di rango superiore alla legge ordinaria e non anche ai principi generali dell'ordinamento (Cass. SS.UU. n. 716/1999, cui s'è uniformata la giurisprudenza successiva).

La rimeditazione di tale consolidato indirizzo, cui la corte di cassazione è sollecitata anche sotto il profilo della valutazione di costituzionalità dell'art. 113 del codice di procedura civile con il principio di indefettibilità del diritto di difesa garantito dall'art. 24 della Costituzione, di cui non sarebbe possibile la piena attuazione in difetto di prevedibilità del criterio equitativo cui il giudice di pace informerà la decisione, urta con l'assorbente rilievo che alle parti non ne è inibita l'indicazione e che, nella specie, il giudice di pace ha recepito la tesi prospettata dal ricorrente in atto di citazione.

2.2. Il motivo sub b (terzo del ricorso) è infondato in quanto l'obbligo di risarcire il danno da fatto illecito è del tutto estraneo alla nozione di "prestazione" cui ha riguardo l'art. 23 della Costituzione; e poiché, inoltre, nel caso di specie il privato s'è proclamato creditore e non obbligato ad una prestazione per la quale sia prevista riserva di legge.

2.3. Il motivo sub c e quello sub d (quarto e quinto del ricorso), che per la connessione delle questioni che pongono possono essere congiuntamente esaminati, sono fondati nei sensi di cui appresso.

In punto di sussistenza di un danno risarcibile in capo alla destinataria dell'avviso di liquidazione, il giudice di pace ha ritenuto che lo stato d'ansia e di preoccupazione economica che la C. aveva patito fino alla soluzione della vertenza dovesse configurarsi come "turbativa della serenità familiare provocata da un danno ingiusto posto in essere dal Comune".

Non è però chiarito in che senso, sotto quali profili, per quali ragioni l'avviso di liquidazione (di lire 540.188) avesse inciso sulla serenità familiare, volta che il riferimento alla famiglia ineluttabilmente evoca rapporti interpersonali e che uno stato d'ansia non indotto da vicende che concernano un componente del nucleo familiare in tanto può turbare la serenità dei rapporti interni alla famiglia in quanto sia così possente da impedirne la normale estrinsecazione da parte del soggetto che dallo stato d'ansia risulti affetto. Il riferimento alla turbativa della serenità familiare è, dunque, assolutamente immotivato.

L'affermazione, poi, che quella "turbativa" fosse stata provocata da un danno ingiusto è, per un verso, insanabilmente contraddittoria posto che il turbamento era stato poco prima considerato esso stesso il danno; ed è, per altro verso, del tutto apodittica, giacché assume l'ingiustizia del danno come connotazione insita nella condotta del comune perchè colposa, benché il danno sia una conseguenza della condotta, il cui elemento soggettivo non e' dunque idoneo a qualificare, in sè, come ingiusti i suoi effetti.

Ma anche in ordine alla colpa, la sentenza rivela una motivazione solo apparente. Essa è sul punto costituita dalle seguenti domande che il giudice di pace pone a se stesso:

A) i bollettini scartati dal lettore ottico non dovrebbero essere assoggettati ad una lavorazione manuale?

B) se la signora C. non avesse rettificato il numero di codice, è certo che con il codice errato il versamento sarebbe andato a buon fine? Non sembra che l'ente concessionario sia esente da responsabilità, anche in considerazione di un indebito arricchimento del Comune nel caso in cui la signora avesse pagato, onde evitare fastidi e disturbi.

Entrambe le questioni sub B concernono ipotesi estranee al caso di specie e sono perciò evidentemente inidonee ad integrare la ratio decidendi della vicenda sub iudice.

Quella sub A è palesemente retorica, ma quand'anche letta come affermazione è, in sè, ancora una volta assolutamente apodittica, in quanto priva del necessario supporto costituito dall'accertamento circa la possibilità del Comune di effettuare una lettura manuale, recisamente negata dall'ente territoriale convenuto.

La motivazione è, dunque, sui punti di cui sopra e nei sensi chiariti, meramente apparente.

2.4. Il motivo sub e (sesto del ricorso) è infondato poiché le norme che fissano i diritti e gli onorari di avvocato sono norme di diritto sostanziale, al cui rispetto il giudice di pace non è tenuto (cfr., ex plurimis, Cass., n. 10693/1999).

3. In conclusione, rigettati il secondo, il terzo ed il sesto motivo ed accolti, per quanto di ragione, il quarto ed il quinto, la sentenza va cassata con rinvio ad altro giudice di pace, che si designa in quello di Perugia e che provvederà anche a regolare le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte di cassazione accoglie per quanto di ragione il quarto ed il quinto motivo del ricorso, rigetta il secondo, il terzo ed il sesto, cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, al giudice di pace di Perugia.


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