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n. 12/2011 - © copyright

ANTONIO VETRO
(Presidente on. Corte dei conti)

Il dolo contrattuale o civilistico: applicazione nei giudizi di responsabilità amministrativa
secondo la più recente giurisprudenza della Corte dei conti.

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La Sezione giurisdizionale per la Sardegna, con sentenza n. 294/09, ha condannato tre convenuti per il danno erariale di rilevante ammontare conseguente ad un investimento del tutto scriteriato.

Riguardo all’elemento soggettivo per l’affermazione della responsabilità amministrativa, la Sezione "ha precisato che quello che si ravvisa nella condotta del (primo convenuto) è un dolo contrattuale, nel senso inteso dalla Corte di cassazione, secondo cui per la configurabilità del dolo nell’inadempimento ovvero nell’incompleto o inesatto adempimento della prestazione dovuta da parte del debitore, è sufficiente la consapevolezza di dovere una determinata prestazione ed omettere di darvi esecuzione intenzionalmente, senza che occorra altresì il requisito della consapevolezza del danno (v. sentenza n. 25271/2008 e giurisprudenza conforme ivi richiamata).

Non è quindi necessario in questa sede stabilire se e in che misura il convenuto fosse consapevole che dalla sua condotta potesse derivare un danno ingiusto, né tanto meno se nella fattispecie sia ravvisabile un dolo penalmente inteso, trattandosi di accertamento rimesso ad altro giudice. L’investimento ha avuto ad oggetto l’acquisto, tramite la banca incaricata del collocamento in Italia, di quote di fondi comuni d’investimento, gestiti da una banca lussemburghese. Esso, data la sua tipologia, non poteva dare alcuna garanzia né del capitale, né del rendimento. In definitiva, dai fatti esposti e comprovati si desume la consapevole volontà del convenuto di contravvenire ai propri doveri di Presidente (dell’Ente) e di gestore di denaro pubblico, operando in dispregio della volontà del CDA e consentendo che un soggetto terzo disponesse liberamente dei fondi pubblici, determinando a sua discrezione la composizione dell’investimento.

Anche nel caso del (secondo convenuto) trattasi di fattispecie di dolo contrattuale, per cui valgono le considerazioni già svolte. Anche nella condotta del (terzo convenuto) sono ravvisabili gli estremi del dolo, nei termini già evidenziati per gli altri convenuti. Ne emerge infatti un comportamento, sia omissivo che commissivo, volontariamente e consapevolmente teso a favorire le iniziative della (promotrice finanziaria), in cui spicca, oltre alla inerzia di fatto mantenuta nella fase del fraudolento disinvestimento, il rilascio alla promotrice finanziaria di moduli firmati in bianco, che le hanno consentito un’ampia quanto arbitraria possibilità di rimodulare a suo piacimento la composizione dell’investimento (fatto di cui è quasi superfluo sottolineare la straordinaria gravità, anche considerando che esso venne compiuto all’insaputa del CDA)".

Con sentenza 14.11.2011 n. 516 la Sez. I di appello ha riformato la sentenza della Sezione territoriale osservando, in particolare, quanto segue:

"Questo giudice d’appello non ritiene di poter confermare la posizione del primo collegio giudicante, laddove esso ha qualificato le condotte dei soggetti condannati come dolose, facendo nella specie riferimento alla categoria del dolo contrattuale. Più esattamente, ha ritenuto la sentenza impugnata che per la configurabilità del dolo nell’inadempimento della prestazione è sufficiente la consapevolezza, da parte del debitore, di dovere una determinata prestazione ed omettere di darvi esecuzione intenzionalmente, senza che occorra altresì il requisito della consapevolezza del danno.

E’ opportuno precisare, al riguardo, che non di rado la giurisprudenza di questa Corte dei conti ha ritenuto applicabili, per valutare l’azione dei dipendenti pubblici come dolosa, i criteri elaborati dalla dottrina e dalla giurisprudenza in materia di dolo c.d. contrattuale o in adimplendo, affermando quindi che è sufficiente, perché ricorra il dolo nell’inadempimento di preesistenti doveri di comportamento nascenti dal rapporto con l’ente pubblico, che i dipendenti tengano scientemente un comportamento violativo di un obbligo di servizio e non è quindi necessaria la diretta e cosciente intenzione di agire ingiustamente a danno di altri: v. Sezioni riunite, 18.9.1996, n. 58 e Sezione giurisdizionale Lazio, 27.1.2004, n. 216. Altri precedenti affermano invece che il dolo deve consistere nella volontà dell’evento dannoso, che si accompagni alla volontarietà della condotta antidoverosa: SS.RR., 10.6.1997, n. 56; Sezione giurisdizionale Toscana, 7.10.2002, n. 739. Il collegio ritiene preferibile quest’ultimo indirizzo.

Ed invero, l’adozione del concetto di dolo contrattuale si porrebbe in contrasto con la più accreditata tesi sulla natura extracontrattuale della responsabilità amministrativa (v., in proposito, Cassazione, SS.UU., 25.10.1999, n. 744 e 14.5.1998, n. 4874), oltre a collidere con la stessa regola secondo cui la predetta responsabilità amministrativa richiede un comportamento (almeno) gravemente colposo, poiché esso sarebbe difficilmente configurabile con riferimento alla violazione di preesistenti, specifici obblighi. E dunque, il dolo si può concretare ove si cumulino, con la conoscenza della causa del danno, dati della realtà che comprovino il ricorrere di ulteriori consapevolezze circa l’effettività e lo specifico contenuto del danno medesimo.

In questo senso, cfr. Corte dei conti, Sez. III app., 28 settembre 2004, n. 510, nella quale si precisa che il dolo c.d. "erariale" va inteso come stato soggettivo caratterizzato dalla consapevolezza e volontà dell’azione o omissione contra legem, con specifico riguardo alla violazione delle norme giuridiche che regolano e disciplinano l’esercizio delle funzioni amministrative ed alle sue conseguenze dannose per le finanze pubbliche; nello stesso senso, v. anche Sezione I app., 22.3.2010, n. 198; Sezione giurisdizionale Puglia, 11.10.2006, n. 885 e Sezione giurisdizionale Veneto, 28.1.2004, n. 104.

Tenendo presenti tali principi generali, non sembra a questo giudice di poter affermare con la necessaria sicurezza che gli odierni interessati - le cui condotte, pure, si caratterizzano per un assoluto e totale dispregio delle cautele minime dell’azione amministrativa - abbiano però agìto con la consapevolezza delle conseguenze dannose dei rispettivi comportamenti o, comunque, come opinato dalla sentenza per cui è causa, con la ferma volontà di non adempiere gli obblighi assunti".

Si premette che, in sede penalistica, come ricordato dalla Cassazione con sentenza n. 21091/2004, ai fini della sussistenza dell'elemento soggettivo vanno distinti il dolo eventuale, e cioè l'accettazione del rischio del verificarsi dell'evento, il dolo diretto, e cioè la rappresentazione dell'evento come realizzabile con elevato grado di probabilità o addirittura con certezza, senza essere un obiettivo perseguito, il dolo intenzionale, e cioè la rappresentazione e la volizione dell'evento di danno altrui o di vantaggio patrimoniale, proprio o altrui, come conseguenza diretta e immediata della condotta dell'agente e obiettivo primario da costui perseguito.

Secondo la Sezione sarda, la condotta dolosa richiesta per l’affermazione della responsabilità amministrativa è individuabile nel dolo contrattuale nell’inadempimento ovvero nell’inesatto adempimento della prestazione dovuta da parte del debitore, per il quale è sufficiente la consapevolezza di essere tenuto ad una determinata prestazione, omettendo intenzionalmente di darvi esecuzione, senza che occorra altresì il requisito della consapevolezza del danno.

Al contrario, secondo la Sezione d’appello, "l’adozione del concetto di dolo contrattuale si porrebbe in contrasto con la più accreditata tesi sulla natura extracontrattuale della responsabilità amministrativa", citando in proposito le sentenze della Cassazione n. 744/1999 e n. 4874/1998.

La sentenza della Sezione d’appello suscita le più vive perplessità, per i seguenti motivi:

1)Per prima cosa, è da osservare che la sentenza della Cassazione n. 744/1999 dice esattamente il contrario di quanto ritenuto dalla Sezione d’appello, precisando che "in tanto sussiste la giurisdizione contabile, in quanto sia configurabile una responsabilità patrimoniale amministrativa di natura contrattuale, basata sulla esistenza di un rapporto di servizio tra l'autore del danno e l'ente danneggiato e sulla violazione di doveri ad esso inerenti, mentre ricade nella giurisdizione ordinaria, nello stesso ambito temporale, la responsabilità extracontrattuale dei medesimi dipendenti (Corte cost. 29 gennaio 1993 n. 24 e 30 dicembre 1987 n. 641 e Cass. sez. un. 10 ottobre 1997 n. 9858 e 21 ottobre 1983 n. 6177)".

Tale orientamento trova conferma in numerose altre sentenze della suprema Corte e, da ultimo, nella sentenza n. 4549/2010 secondo cui "la responsabilità patrimoniale amministrativa di natura contrattuale è basata sull'esistenza di un rapporto di servizio tra l'autore del danno e l'ente danneggiato e sui doveri ad esso inerenti, ricadendo invece nella giurisdizione ordinaria la responsabilità extracontrattuale verso enti terzi (Cass. sez. un. 30 gennaio 2003, n. 1472; 25 ottobre 1999, n. 744; 14 maggio 1998, n. 4874).".

La natura contrattuale della responsabilità amministrativa trova riscontro nella giurisprudenza delle SS.RR. della Corte dei conti: nella sentenza n. 4/1999 "è stata affermata la natura contrattuale come responsabilità da inadempimento di un obbligo precostituito dopo l'entrata in vigore della Carta costituzionale, anche per effetto del precetto dell'art. 28 Cost. … si è venuto determinando un consistente orientamento giurisprudenziale, assolutamente prevalente, che, coerentemente con l'affermazione della natura contrattuale della responsabilità amministrativa e contabile, ha dato applicazione alla norma civilistica dell'art. 1294 cod. civ.".

La natura contrattuale è stata affermata persino in relazione alla lesione dell’immagine della p.a., con sentenze della Sezione III di appello n. 243/2009 e n. 143/09. In quest’ultima si è precisato che "trattasi di un vero e proprio danno patrimoniale e non già di un danno non patrimoniale. Trattasi, inoltre, di danno da responsabilità contrattuale e non già extracontrattuale, da ricondurre perciò all’art. 1218 cc e non già al 2043 cc, in quanto, come chiarito dalla suprema Corte con la seconda delle pronunce che ha riconosciuto la giurisdizione della Corte dei conti in materia (SS.UU. n. 744/1999), interviene tra i medesimi "soggetti attivi e passivi" di un qualsivoglia altro danno erariale, ed in "violazione dei medesimi doveri funzionali" di servizio".

Non mancano sentenze di segno contrario. Così, nella sentenza della Sezione I di appello n. 532/2008, peraltro cassata dalla suprema Corte, si fa discendere, dalla "norma innovativa di cui all’art. 1, ultimo comma, della legge n. 20 del 1994, il superamento, da essa introdotto, della responsabilità contrattuale quale limite della giurisdizione della Corte dei conti e l’estensione di quest’ultima alla responsabilità extracontrattuale in danno di amministrazioni ed enti pubblici diversi da quelli di appartenenza del soggetto agente".

Detta statuizione, però non è affatto condivisibile.

La responsabilità di soggetti appartenenti ad enti diversi dall’ente danneggiato va parimenti inquadrata nella tipologia contrattuale, in quanto ravvisabile nell’ambito di un rapporto di servizio, non più in senso stretto, bensì in senso ampio, come puntualmente specificato nella consolidata giurisprudenza della Cassazione. Così, nella sentenza n. 3899/2004 viene precisato che "un rapporto di servizio è ravvisabile ogni qual volta si instauri una relazione (non organica ma) funzionale caratterizzata dall'inserimento del soggetto esterno nell'iter procedimentale dell'ente pubblico come compartecipe dell'attività a fini pubblici di quest'ultimo, rapporto di servizio che, per costante giurisprudenza, implica l'assoggettamento alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di responsabilità patrimoniale per danno erariale, non rilevando in contrario la natura privatistica dell'ente affidatario e/o dello strumento contrattuale con il quale si è costituito ed attuato il rapporto in questione (ex plurimis, Cass. ord., 22 gennaio 2002 n. 715)".

Nello stesso senso sono le sentenze delle Sezioni unite n. 5163/2004 e 9963/2010.

2)La sentenza della Cassazione n. 4874/1998, anch’essa citata dalla Sezione d’appello, si è limitata a ricordare che "questa Corte - con le sentenze 18 dicembre 1985 n. 6473, 17 agosto 1990 n. 8368 e 11 dicembre 1991 n. 13418 delle sezioni unite - ha escluso che, nel caso in cui tra due figure soggettive pubbliche intercorra un rapporto di controllo, sia configurabile un rapporto di servizio tra soggetto controllato e titolari della funzione di controllo presso il soggetto controllante", senza sostenere minimamente la tesi della Sezione d’appello sulla asserita "natura extracontrattuale della responsabilità amministrativa".

3) La Sezione d’appello ha aggiunto che "l’adozione del concetto di dolo contrattuale" verrebbe "a collidere con la stessa regola secondo cui la predetta responsabilità amministrativa richiede un comportamento (almeno) gravemente colposo, poiché esso sarebbe difficilmente configurabile con riferimento alla violazione di preesistenti, specifici obblighi".

L’osservazione della Sezione appare oscura, sia perché non si comprende se il "difficilmente configurabile" si riferisca al "concetto di dolo contrattuale" od al "comportamento gravemente colposo", ma soprattutto perché risulta arduo capire la sequenza logica del ragionamento.

4) A sostegno della propria tesi la Sezione ha anche citato la sentenza delle Sezioni riunite n. 56/1997, però tale sentenza si presume sia inesistente, non comparendo affatto nella banca dati delle sentenze della Corte.

5) Ha citato, inoltre, la sentenza della Sezione I d’appello n. 198/2010, ma questa in realtà non getta alcuna nuova luce sulla vicenda, essendo stata riprodotta testualmente, parola per parola, nel punto in esame della sentenza.

6) Ha citato, infine, (a parte le sentenze delle Sezioni territoriali), la sentenza della Sez. III d’appello n. 510/2004, nella quale si precisa, in relazione al "richiamo che la Procura territoriale fa al dolo civile nel sistema contabile", che "in realtà, in termini di teoria generale, una ed una sola è la nozione di dolo: essa si può riassumere nella consapevolezza e volontà dell'agente sia di un'azione od un'omissione "contra legem" che delle sue conseguenze antigiuridiche. Il comportamento posto in essere con accettazione del rischio dell'evento può implicare per l'autore un maggiore o minore grado di adesione della volontà, secondo che egli consideri maggiore o minore la probabilità dell'avverarsi dell'evento. Se questo viene ritenuto certo o altamente probabile, l'autore non si limita ad accettare il rischio, ma accetta l'evento stesso che vuole; se l'evento, oltre che accettato, è perseguito, il dolo si colloca in un più elevato livello di gravità".

Come appare evidente, la sentenza della Sez. III, affermando che una ed una sola è la nozione di dolo e che la consapevolezza e volontà dell'agente delle conseguenze antigiuridiche di un'azione od un'omissione contra legem" può attuarsi o con accettazione del rischio dell’evento, con varie graduazioni, o con il perseguimento dell’evento lesivo, non si pone affatto sulla linea della sentenza n. 516/2011 della Sez. I di appello, ma piuttosto sulla linea sostenuta dalla Sezione territoriale sarda che, nel rappresentare un vicenda di scriteriato investimento che "non poteva dare alcuna garanzia né del capitale, né del rendimento", con "il rilascio alla promotrice finanziaria di moduli firmati in bianco, che le hanno consentito un’ampia quanto arbitraria possibilità di rimodulare a suo piacimento la composizione dell’investimento", ha puntualmente indicato ipotesi di condotta dolosa, per l’evidente, implicita, accettazione del rischio elevatissimo di un evento lesivo per le finanze pubbliche, facilmente prevedibile ex ante.

7) Ma, per concludere l’esame della sentenza n. 516/2011 della Sezione d’appello, un’osservazione di fondo rende radicalmente inaccettabile la statuizione ivi contenuta.

La Sezione d’appello, nella sostanza, nega che possa essere qualificata come dolosa la condotta, volitiva e consapevole, di amministratori pubblici, cui sia imputabile uno scriteriato investimento deciso in violazione dei più elementari canoni di correttezza e di buona amministrazione, con la prospettiva, estremamente prevedibile, di un gravissimo danno erariale. Richiede, invece "il ricorrere di ulteriori consapevolezze", non si comprende quali, "circa l’effettività e lo specifico contenuto del danno medesimo".

In altri termini pone, sia pure in modo tutt’altro che chiaro, limitazioni alle ipotesi del dolo eventuale, che comporta l'accettazione del rischio del verificarsi dell'evento, e del dolo diretto, che implica la rappresentazione dell'evento come realizzabile con elevato grado di probabilità o addirittura con certezza, senza essere un obiettivo perseguito, accettando senza alcun motivo esclusivamente l’ipotesi del dolo intenzionale.

Orbene, riguardo all’elemento soggettivo, nessuna norma giuridica consente per il dolo tale inaccettabile limitazione, a differenza della colpa per la quale una apposita disposizione legislativa ha previsto la limitazione generalizzata della stessa, alla sola colpa grave, per la responsabilità amministrativa.

8) Oltre tutto, secondo la Cassazione (sentenza n. 25271/2008, richiamata dalla Sezione territoriale): "giusta risalente giurisprudenza, per la configurabilità del dolo del debitore nell'inadempimento ovvero nell'incompleto o inesatto adempimento della prestazione dovuta, in difetto del quale l'art. 1225 c.c. ponendo una eccezione alla regola generale della risarcibilità dell'intero danno, limita il risarcimento a quello che poteva prevedersi nel tempo in cui è sorta l'obbligazione, è sufficiente la consapevolezza di dovere una determinata prestazione ed omettere di darvi esecuzione intenzionalmente, senza che occorra altresì il requisito della consapevolezza del danno (Cass. 25 marzo 1987, n. 2899)".

Per concludere, non può che esprimersi l’auspicio che l’inammissibile limitazione della responsabilità, per un danno erariale di grandi proporzioni da parte di soggetti legati alla pubblica amministrazione da rapporto di servizio, priva di qualsiasi supporto normativo ed in contrasto con un’ampia giurisprudenza, non abbia a ripetersi, anche per non scaricare sulla collettività, già gravata da pesi insostenibili per l’attuale crisi economico-finanziaria, gli oneri che senza giustificato motivo non vengano a gravare integralmente sui responsabili del danno stesso.

Roma 9 dicembre 2011.


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