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Articoli e note

n. 10/2007 - © copyright

FRANCESCO VERGINE

Profili penali ed amministrativi della contraffazione
di prodotti commerciali (*)

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SOMMARIO: 1. La contraffazione fenomeno criminale globale. 2. Falsità in marchi e brevetti. Art. 473 c.p.: la tutela penale del marchio. 3. Commercio di prodotti contraffatti ed orientamenti della giurisprudenza penale: profili generali. 4. Il delitto di introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni distintivi falsi (art. 474 c.p.).  5. La pronuncia della Corte di Cassazione, II sezione penale, sentenza n. 12926 del 5-17 marzo 2004. 6. La tesi del c.d. falso grossolano inoffensivo. 7. Il delitto di vendita di prodotti industriali con segni mendaci (art. 517 c.p.). Differenze rispetto all’art. 474 c.p. 8. La condotta dell’acquirente di merce contraffatta. Il reato di incauto acquisto: rapporto con l’illecito amministrativo previsto dall’art. 1 commi 7 ss. legge 14.5.2005 n. 80 e s.m. 9. Questioni normative in materia di commercio abusivo e lotta alla contraffazione. 10. Questioni organizzative della lotta alla contraffazione.

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1. La contraffazione fenomeno criminale globale.

La contraffazione è un fenomeno mondiale di carattere economico, imprenditoriale e criminale.

La gestione dei prodotti contraffatti esige organizzazioni che controllano la produzione all’origine, la circolazione, la distribuzione a grossisti e dettaglianti.

Sono gravissimi i danni prodotti all’economia mondiale, nonché i pericoli per la salute dei consumatori , per lo sviluppo ordinato, redditizio e leale delle imprese, per la fiscalità statale cui sono sottratte vaste aree di imposizione tributaria.

Sono quindi enormi i costi derivanti alla collettività dall’esigenza che gli Stati agiscano a diversi livelli contro il fenomeno, dai governi alle dogane, alle forze di polizia, alla autorità giudiziaria, ai tribunali penali e civili.

Altrettanto occorre dire per i costi economici e di immagine sopportati dalle imprese stesse per prevenire o reprimere anche in sede civile i fenomeni di imitazione servile, usurpazione, pirateria di opere dell’ingegno, ovvero di alterazione e contraffazione dei prodotti industriali.

Decisivo il ruolo delle economie emergenti nello sviluppo dell’"industria mondiale del falso", che inonda i mercati europei di beni contraffatti.

Ma rilevante pare in Italia anche il fenomeno della sovrapproduzione "parallela" di beni ad alto valore aggiunto o di lusso, nonchè le duplicazioni illegali di opere dell’ingegno di carattere musicale cinematografico, ricreativo ecc..

Alimenti, alcolici, profumi e cosmetici, abbigliamento e relativi accessori in pelle e non, software, materiali audio e video, orologi, farmaci, elettrodomestici, relativi ricambi, giocattoli ed altro ancora costituiscono i settori di maggiore interesse delle organizzazioni criminali che producono e distribuiscono i falsi nel mondo ed in Italia.

Poco omogenee risultano essere talora le risposte operative dei soggetti preposti alla tutela dei diversi beni giuridici collettivi e dei privati in gioco, mancando moduli uniformi e diffusi, ovvero esperienze consolidate nel settore.

Si pensi ad esempio alla mancanza di strutture specializzate di polizia giudiziaria presso le Procure, in una materia complessa in quanto caratterizzata da una molteplicità di fattispecie penali ed amministrative, che si sovrappongono ed aggiungono alla disciplina generale del codice penale.

Carente altresì appare l’informazione ai consumatori e quindi la prevenzione circa i pericoli per la salute e la sicurezza fisica delle persone, nonché in ordine ai danni rilevantissimi all’economia nazionale, al sistema delle imprese ed al mondo delle opere dell’intelletto e creative.

Secondo le stime della World trade organisation (W. T. O. organizzazione mondddiale del commercio) il mercato criminale mondiale della contraffazione fattura ogni anno circa 100 miliardi di dollari (SORBINO - CALABRIA, "Commercio di prodotti contraffati: progetto per l’integrazione delle strategie di contrasto", convegno nazionale di polizia locale, Riccione, sett. 2004).

Il danno per le industrie e per il prodotto interno lordo, anche nel nostro paese, è davvero enorme ed ammonterebbe circa al 9% dell’intero commercio mondiale.

La contraffazione può essere definita come un complesso di violazioni delle leggi nazionali ed europee, nonché dei contratti in materia di proprietà intellettuale e diritti di sfruttamento commerciale dei prodotti.

Essa va divisa in due grandi filoni: la pirateria audio, video e dei prodotti informatici (piracy); la falsificazione degli altri prodotti, siano essi artigianali che industriali (counterfeiting).

Scopo di questo studio è l’approfondimento di alcune questioni normative ed operative in materia di lotta alla contraffazione e di riflesso anche alla vendita abusiva, ovvero senza licenza oppure in violazione dei limiti e prescrizioni, specie in forma itinerante su aree pubbliche, fenomeno spesso collegato.

2. Falsità in marchi e brevetti. Art. 473 c.p. : la tutela penale del marchio.

Il bene giuridico protetto nelle norme incriminatrici degli artt. 473 e 474 c.p. è la fiducia che il pubblico indeterminato dei consumatori ripone nella genuinità dei segni distintivi delle opere dell’ingegno o dei prodotti industriali (G. Fiandaca - E. Musco, Diritto penale parte speciale, vol. I terza edizione p. 555 ss.).

Il marchio è un segno usato dalla impresa per contraddistinguere un prodotto, ovvero una merce. Ai fini della tutela penale esso va inteso come indicatore di provenienza aziendale dell’oggetto contrassegnato.

La legge penale italiana tutela solo i marchi registrati, a differenza della legge civile (art. 2751 c.c.): l’ultimo comma dell’art. 473 c.p. infatti subordina la tutela penale del marchio al fatto che siano state osservate le norme interne od internazionali sulla tutela della proprietà industriale od intellettuale.

Oltre al marchio, in effetti le norme penali tutelano anche i segni distintivi nazionali od esteri. La dottrina ha rilevato che si tratta di una espressione dal significato dubbio, che potrebbe attenere ai contrassegni dei prodotti industriali diversi dai marchi: ad esempio i nomi commerciali, le denominazioni d’origine.

Non pare tuttavia accettabile tale tesi se è vero che all’epoca della promulgazione del codice penale tali segni erano privi di ogni tutela anche solo di rango civilistico, col che pare evidente che non si tratti altro se non di un mero " pleonasmo" (Fiandaca-Musco, dir. pen . cit. pag. 557). Scopo del legislatore penale dell’epoca era forse evitare una restrittiva interpretazione del concetto di marchio tutelabile.

Pare chiaro in definitiva che attribuire al segno distintivo autonoma tutela rispetto al marchio inteso in senso stretto, porterebbe ad una interpretazione estensiva" in malam partem" delle fattispecie sanzionate penalmente.

Va poi rammentato che il marchio può avere altre funzioni quali la garanzia della qualità del prodotto, una funzione ornamentale ecc…ma esse sono irrilevanti penalmente non ricadendo di regola nell’ambito oggettivo di tutela delle norme incriminatrici in esame.

Con riguardo all’art. 473 c.p., che incrimina la condotta di "contraffazione", ricordiamo che essa consiste nel far assumere al marchio falsificato caratteri tali da creare confusione nel pubblico sulla provenienza del prodotto.

La condotta di "alterazione" invece è la parziale modifica di un marchio genuino, conseguita aggiungendo o eliminando elementi marginali.

3. Commercio di prodotti contraffatti ed orientamenti della giurisprudenza penale: profili generali.

3.1. La materia del commercio ambulante su aree pubbliche è disciplinata dalla legge generale di riforma del commercio, il c.d. decreto Bersani (d. lgs. n. 114/1998), che rinvia per una disciplina di dettaglio alle leggi regionali.

Di rilievo sono le competenze in argomento del Comune, che è chiamato dalla legge statale ad una disciplina di specifiche fattispecie, attraverso regolamenti di competenza del Consiglio Comunale.

Come noto, esistono due forme di commercio sul suolo pubblico: mediante posteggi fissi, oppure in forma itinerante.

Il commercio itinerante è certamente l’ipotesi che riveste una serie di profili, siano amministrativi che penali, che più impegnano le amministrazioni locali e gli organi di controllo.

E’ frequente infatti che il commerciante od il venditore itinerante detengano e vendano merce contraffatta, ovvero servili imitazioni di prodotti griffati.

3.2. La detenzione e la vendita di prodotti recanti marchi contraffatti sono fattispecie caratterizzate da rilevanti profili penali e di polizia amministrativa.

In ordine ai primi è necessario anzitutto mettere un punto fermo nella interpretazione delle norme penali incriminatrici fin qui operata da parte della Cassazione, con specifico riguardo ai reati contro la pubblica fede ed il patrimonio collegati al commercio c.d. "abusivo" di merce contraffatta.

Già nel 2001 la Cassazione a sezioni unite aveva stabilito il principio del concorso dei reati di ricettazione e commercio di prodotti con segni distintivi falsi, nella ipotesi concreta della vendita al pubblico di merci "contraffatte" ( Cassazione, sezioni unite penali, sentenza del 7.6.2001 n. 23427 ).

Ciò aveva eliminato alcuni dubbi interpretativi circa l’ammissibilità del concorso dei due reati, peraltro dotati di distinta oggettività giuridica, essendo afferenti il primo alla tutela del patrimonio (ricettazione), il secondo alla tutela della fede pubblica (commercio di prodotti falsi) ( cfr. PAPA, La vendita di prodotti con marchi contraffatti: spunti sui rapporti tra ricettazione e norme disciplinanti la circolazione di cose illecite in Riv. it. dir. proc. pen.,1985 ,715).

Occorre chiarire anzitutto che ricorrono gli estremi del reato di ricettazione in ogni condotta dolosa di acquisizione o ricezione di beni che costituiscano profitto patrimoniale di un qualsiasi delitto.

Ne segue che è ravvisabile la ricettazione anche nella condotta di acquisizione di beni che siano il risultato di attività di contraffazione od alterazione di marchi o segni distintivi, nazionali od esteri, di opere dell’ingegno o prodotti industriali: tali attività sono infatti rilevanti ai fini del delitto ex art. 473 c.p., commi 1 o 2, che costituisce in sostanza il reato "presupposto" rispetto alla successiva condotta di ricettazione dei beni, che per l’appunto siano stati in precedenza e da terzi contraffati od alterati (Cassazione penale, sez. II, sentenza n. 12249 del 13.12.1988).

3.3. In secondo luogo, occorre rilevare che orientamenti diversi si sono registrati

nel tempo nella giurisprudenza di legittimità in ordine all’ipotesi di acquisto o di ricezione, nella consapevolezza della provenienza delittuosa ex art. 473 c.p., di beni contraffatti od alterati, allo scopo di vendita.

Alcune pronunce avevano a suo tempo stabilito che il reato ex art. 474 c.p. di introduzione e commercio nello Stato di prodotti falsi concorre con la ricettazione, attesa la diversa oggettività giuridica dei due delitti (Cassazione sez. II sentenza n. 3154 del 27.7.1996; Cassazione sez. V, sent. n. 2098 del 6.3.1997).

In altre sentenze invece si riteneva sussistere tra le due fattispecie un rapporto di specialità ex art. 15 c.p., che determinava l’assorbimento dell’art. 474 c.p. nella fattispecie, più grave e con elementi specializzanti della ricettazione ex art. 648 c. p. (Cass. sez. V, sent. n. 1315 del 27.4.1998 e sent. n. 5525 del 14.1.2000).

Ciò peraltro veniva sostenuto prescindendo dalla eventuale natura abusiva, cioè senza titolo amministrativo, del commercio (in qualsiasi forma, fisso od ambulante) svolto dal venditore, attenendo tale aspetto ai profili amministrativi della fattispecie, regolati dalla citata legislazione di settore.

La tesi si fondava comunque sulla natura plurioffensiva del reato ex art. 474 c.p. di introduzione e commercio di prodotti falsi, ritenuto avere anche natura di reato contro il patrimonio, oltrechè contro la pubblica fede.

In alcuni casi infatti la giurisprudenza ha ritenuto che la norma è rivolta alla protezione del monopolio sull’opera e sul marchio ed è quindi posta anche a tutela del patrimonio dei privati.

In particolare si era poi ritenuto che nella vendita di merci contraffatte andava esclusa l’ipotesi della ricettazione in quanto:

1. la ricezione di beni contraffatti od alterati era semplicemente un antefatto non punibile della detenzione per la vendita dei prodotti recanti marchi falsi ; essa sarebbe priva di rilievo autonomo nella condotta punita dall’art. 474 c.p.;

2. le opere riprodotte abusivamente ed i beni con marchi falsi erano da ritenere prodotti e non proventi di reato, come invece richiesto dall’art. 648 c.p.

3.4. Le Sezioni unite nel 2001, con la sentenza sopra citata ( Cassazione, sezioni unite penali, sentenza del 7.6.2001 n. 23427) hanno infine risolto il contrasto giurisprudenziale, chiarendo che ricettazione e commercio di prodotti falsi sono delitti che possono concorrere nell’ipotesi della vendita di merce contraffatta.

Ciò anche nell’ipotesi della semplice detenzione al fine di vendere, qualora il commerciante da un lato sia consapevole della provenienza della merce da altro delitto (reato presupposto), dall’altro vi sia la coscienza e volontà di detenere cose contraffatte destinate alla vendita.

Ricettazione e commercio di prodotti falsi sono infatti fattispecie penali che secondo la Corte suprema descrivono condotte diverse sotto il profilo strutturale e cronologico, tra cui non si configura rapporto di specialità, nè d’altronde risulta dal sistema penale una diversa volontà, espressa od implicita, del legislatore ( cfr. guida al diritto – sole 24 ore n. 27 del 10.7.2004 , p. 59 ).

Si registra poi un ulteriore orientamento (Cassazione, sezione II pen. sentenza n. 12926/2004, guida al diritto, cit.), relativo al solo art. 474 c.p., norma di cui la Corte suprema fornisce una puntuale ricostruzione, partendo da una disamina approfondita del bene giuridico tutelato.

Si stabilisce che non è rilevante l’eventuale inganno a carico del compratore.

La sentenza citata, per altro verso, conferma l’astratta possibilità del concorso con la ipotesi di ricettazione, secondo l’insegnamento citato delle Sezioni Unite penali.

4. Il delitto di introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni distintivi falsi ( art. 474 c.p.).

4.1. L’art. 474 c.p. prevede un delitto contro la pubblica fede (c.p. libro II, titolo VII ), volto alla tutela dell’affidamento collettivo nella veridicità dei marchi e segni distintivi dei prodotti industriali e opere dell’ingegno.

Esso richiede la contraffazione o l’alterazione di un marchio protetto e riconosciuto nello Stato od all’estero (Cassazione penale, sezione V, 7.5.1986 n. 2670; idem, sezione V, 27.5.1981 n. 4980).

La condotta punibile consiste nel detenere per vendere o nel porre in commercio prodotti industriali con marchi o segni contraffatti od alterati, avendone coscienza e volontà (Cassazione penale sezione V, 27.5.1973 n. 387; sezione VI, 12.4.1986 n. 2897).

Si ha contraffazione, come detto sopra, quando vi è la integrale riproduzione in tutta la sua configurazione di un marchio o segno distintivo. Vi è la condotta di alterazione invece quando la riproduzione è parziale, ma confondibile col marchio o segno originale.

Non occorre dimostrare le concrete trattative per la vendita stessa, essendo sufficiente detenere, col chiaro intento di mettere in vendita, le merci fasulle (vedi anche Cassazione penale, sezione V, 25.5.1978 n. 6374).

4.2. In generale l’ambito di tutela della fede pubblica nel campo della contraffazione e del commercio abusivo era controverso nella giurisprudenza di legittimità.

Era stata affermata infatti la penale irrilevanza dei casi in cui il compratore può constatare la falsità del marchio, sia per la evidente scarsa qualità del prodotto, sia per il prezzo vile richiesto (Cassazione penale, sezione V, sentenza 2119/2000).

In sostanza, se il falso era grossolano, esso era da ritenere mediamente riconoscibile: la vendita era perciò lecita penalmente, mancando l’idoneità ad ingannare la persona di media esperienza e diligenza.

Questa ricostruzione privilegiava evidentemente la libera determinazione del privato, quindi la tutela della volontà negoziale e conseguentemente del patrimonio, che deve restare esente da incisioni causate da condotte fraudolente dei commercianti.

L’art. 474 codice penale era ricostruito quale reato di danno, che esigeva una contrattazione in cui l’acquirente è ingannato dal venditore circa la veridicità del marchio o del segno distintivo.

La tesi, se da un lato pare coerente con il principio dottrinale della "offensività" della fattispecie penale, dall’altra si pone in contrasto con l’oggetto giuridico della norma, costituito non dall’affidamento del privato nella libera e consapevole contrattazione, bensì dall’affidamento collettivo in ordine ai marchi dei prodotti oggetto dei traffici economici.

La tesi, restrittiva peraltro, si pone in collisione inoltre con la circostanza che è reato ex art. 474 codice penale anche la sola detenzione di merci contraffatte destinate alla vendita, ipotesi che è anteriore e prescinde comunque dalla successiva fase di contrattazione.

Essa trova poi smentita nella esigenza di tutela di un bene giuridico della collettività, la fede pubblica, che richiede la repressione anche di fatti che causano la sola probabilità di una lesione della fede pubblica stessa, quali ad esempio la vendita di merci con "griffes" fasulle, che entrano poi nel circuito commerciale generando confusione nel pubblico e causando rilevanti danni economici, anche d’immagine, alle " maisons" ledendo i diritti di proprietà industriale.

5. La pronuncia della Corte di Cassazione II sezione penale, sentenza n. 12926 del 5-17 marzo 2004.

5.1. L’orientamento che riconosce rilevanza all’inganno a carico del compratore fin qui esposto, anteriore alla sentenza in commento, è stato alla fine smentito dalla Suprema Corte.

Con la sentenza n. 12926 del 5-17 marzo 2004 della Cassazione penale, cade infatti la necessità di accertare se vi sia stato o meno inganno a carico del compratore eventualmente "deceptus" e se la falsificazione del bene sia "grossolana" o meno (cfr. Guida al diritto – sole 24 ore n. 27 del 10.7.2004 , p. 58 ss. " Punita la vendita di prodotti contraffatti anche se il falso non inganna l’acquirente", con nota di Marco Galdieri "La normativa ha la funzione di tutelare l’affidamento della collettività dei marchi").

La Cassazione penale aggiunge inoltre l’affermazione che si tratta di reato di pericolo, che non esige l’inganno ai danni dell’acquirente, né al contrario che la contraffazione sia "grossolana" e le condizioni di vendita tali da rendere edotto l’acquirente della reale natura e provenienza della merce

In particolare, secondo il giudice di legittimità l’ipotesi di reato dell’art. 474 c.p. è volta a tutelare in via principale e diretta non la libera determinazione dell’acquirente, ma la pubblica fede, intesa come affidamento della collettività nei marchi e segni distintivi che individuano le opere dell’ingegno od i prodotti industriali e ne garantiscono la circolazione.

Si tratta in effetti di una tutela penale anticipata della pubblica fede, "anticipata" rispetto alla soglia di lesione dell’affidamento collettivo, a nostro avviso, tale da prescindere dall’accertamento della volontà dell’acquirente e della sua rappresentazione della realtà dei fatti.

Infatti, rappresentazione e volontà del singolo acquirente attengono alla formazione e manifestazione del consenso negoziale, ciò che nell’art. 474 codice penale esula dalla struttura del reato e dal bene giuridico che si vuole tutelare (la pubblica fede).

La ricostruzione proposta dalla Cassazione induce quindi a considerare irrilevante l’errore negoziale del contraente, da un lato, così come l’eventuale dolo del venditore, dall’altro, in ordine alla veridicità del marchio, almeno ai fini dell’art. 474 c. p..

Deve peraltro essere segnalato che tali elementi di vizio della volontà negoziale hanno invece rilievo in ordine alla eventuale truffa perpetrata ai danni del consumatore- acquirente, nel caso in cui concorrano artifizi o raggiri posti in essere dal venditore (art. 640 codice penale), ovvero ai sensi dell’art. 517 codice penale in ordine al marchio non registrato.

In definitiva, nella sentenza in commento si evidenzia che l’art. 474 codice penale tutela l’affidamento collettivo in ordine ai marchi registrati, onde evitare confusione nelle transazioni commerciali, non l’affidamento del singolo che si determina all’acquisto.

Ciò trova conferma nella citata circostanza secondo cui è rilevante penalmente anche la sola detenzione della merce contraffatta, quando ad esempio la merce è rinvenuta addosso al venditore, in cassaforte, nelle borse, e non vi sono in atto trattative o apparenti contatti con potenziali clienti, finalizzati alla vendita.

5.2. In definitiva, la Cassazione penale, con una inversione di tendenza, con la citata sentenza n. 12926/2004, ricostruisce il delitto di introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi, art. 474 c.p., in modo innovativo per le seguenti ragioni:

- anzitutto per la lettera della norma, che non esige l’avvenuta compravendita;

- la collocazione sistematica dell’art. 474 codice penale nel libro II, titolo dei reati contro la fede pubblica;

- la evidente rilevanza non individuale del bene tutelato dalla norma incriminatrice, la pubblica fede, che è un bene di rango collettivo ;

- la fattispecie in esame non tutela un bene giuridico individuale, cioè la libera determinazione del compratore;

- il reato è di pericolo, quindi non occorre che si verifichi in effetti un inganno ai danni del singolo acquirente;

- è pertanto irrilevante che la contraffazione sia o meno "grossolana", ovvero agevolmente riconoscibile da persone di ordinaria diligenza ed esperienza;

- sono altresì irrilevanti le concrete modalità di vendita, poiché il successivo uso e la diffusione dei beni contraffatti possono comunque generare confusione nel pubblico (v. anche Cassazione penale sezione II, sentenza 8.11.2001/39863).

6. La tesi del c.d. falso grossolano inoffensivo.

Sono da respingere pertanto le argomentazioni talora poste a sostegno della tesi della penale irrilevanza in questo ambito di tutela del c.d. falso "inoffensivo", sub specie di contraffazione grossolana fondate sulla regola che non è punibile ciò che non reca offesa ad alcuno, né al bene giuridico tutelato ("falsitas quae nemini nocet non punitur").

Come noto, il falso in genere è classificabile come grossolano quando sia così immediatamente riconoscibile da non poter fare cadere in errore alcuno (cfr. Fiandaca-Musco, Dir. penale p. speciale, vol. I, ed. 3°, 2002,cit. 534 ss.).

La stessa giurisprudenza tuttavia esclude rigorosamente la punibilità del falso solo quando esso sia di evidente grossolanità, tale da risultare "assolutamente" inidoneo a trarre in inganno la generalità dei cittadini.

Il reato invece permane quando il falso presenti imperfezioni che pure riconoscibili da persone esperte, non rendono impossibile l’inganno rispetto alla media delle persone (Cass. 27.5.1992 , in Riv. Pen. 1992 , 733).

Nei casi all’attenzione di alcuni tribunali penali è stata sostenuta dai difensori anche la tesi del reato impossibile per inidoneità dell’azione.

Il ragionamento partiva dal carattere inoffensivo della falsificazione delle merci in vendita, posta la chiara riconoscibilità nella circostanza di merce "diversa" da quella originale "griffata", sia per il prezzo, sia per la condizione del venditore, sia per le altre modalità della vendita.

In tema di falso si rinviene in effetti giurisprudenza che afferma la inidoneità dell’azione ad ingannare la fede pubblica, quando la falsificazione risulti evidente all’uomo medio (Cassazione penale, sezione V, 9.10.1981 n. 8659, idem, 9.7.1981 n. 6780; in dottrina per la tesi del falso innocuo proprio in ordine all’art. 474 c.p. FASCE , "Brevi note in ordine all’innocuità del falso in relazione all’art. 474 c.p." in Riv. pen. 2001, p. 275).

Tuttavia occorre segnalare che in effetti tali pronunce attengono al settore del falso documentale, piuttosto che del falso commerciale.

7. Il delitto di vendita di prodotti industriali con segni mendaci (art. 517 c.p.). Differenze rispetto all’art. 474 c.p.

La disamina dell’art. 474 codice penale non può risultare completa senza un confronto con altre disposizioni penali ed in particolare con l’art. 517 codice penale, che punisce la vendita di prodotti industriali con segni mendaci.

Si tratta di un reato di pericolo, al pari dell’art. 474 c.p., che punisce chi mette in circolazione prodotti industriali con nomi, marchi e segni distintivi, nazionali o esteri, atti ad indurre il compratore in inganno circa origine, provenienza o qualità, a prescindere da ogni contraffazione (Cassazione penale sezione III, sent. 8.3.1985 n. 2250).

L’art. 517 codice penale prevede un reato a carattere sussidiario, che si distingue dalla fattispecie di cui all’art. 474 codice penale per i seguenti elementi costitutivi:

a) il bene giuridico è l’ordine economico, anziché la pubblica fede;

b) la condotta criminosa richiede non la contraffazione o l’alterazione, ma la semplice imitazione del nome e del marchio o del segno distintivo, purchè idonea a trarre in inganno;

c) non occorre l’estremo della registrazione o del riconoscimento del segno o del marchio.

E’ sufficiente quindi l’illegittima sostituzione del marchio originario con altro marchio o segno al fine di trarre in inganno il compratore circa l’origine della merce: si ricorda il caso delle motociclette assemblate cui erano state cancellate le diciture giapponesi d’origine e sostituite con altre italiane (Cassazione penale, sezione III, sentenza 8.3.1985 n. 2250).

La consumazione del reato si realizza nel momento in cui il prodotto viene messo in vendita o altresì in commercio, ancorchè in concreto esso non abbia formato oggetto di compravendita.

L’elemento psicologico è costituito dal dolo generico, che non è escluso dalla consuetudine largamente praticata di applicare marchi o segni di fantasia in lingue straniere, atti ad indurre in inganno l’acquirente.

In ordine al carattere sussidiario del reato ex art. 517 codice penale rispetto alla fattispecie prevista dall’art. 474, deve ritenersi infine che quest’ultima fattispecie prevale nei casi di contraffazione del marchio vero e proprio, elemento non richiesto dalla minore ipotesi prevista dall’art. 517 codice penale.

Il confronto e le differenze emerse tra le due fattispecie sono state oggetto di approfondimento nella giurisprudenza penale (Cassazione penale, se. V, 7.2.1984, n. 1104; idem, 7.4.1986, n. 2670).

In definitiva, va rammentato che la giurisprudenza di legittimità ritiene prevalente la norma incriminatrice dell’art. 474 codice penale, che prevede una fattispecie più grave, nell’ipotesi in cui vi sia stata contraffazione in senso proprio del prodotto detenuto o posto in vendita, lasciando invece alla disposizione ex art. 517 codice penale un ruolo sussidiario, limitato alla imitazione dei prodotti.

Si ripropone quindi il problema della differenza tra le due ipotesi, contraffazione e mera imitazione del marchio o segno distintivo.

8. La condotta dell’acquirente di merce contraffatta. Il reato di incauto acquisto: rapporto con l’illecito amministrativo previsto dall’art. 1 commi 7 ss. legge 14.5.2005 n. 80 e modifiche.

8.1. Nel variegato quadro normativo vigente, si inserisce il decreto legge sulla "competitività ", poi convertito nella legge n. 80/2005.

L’art. 1 c. 7 ss. introduce una importante fattispecie sanzionatoria amministrativa in materia di lotta alla contraffazione.

Si tratta di una norma molto discussa e chiaramente destinata a scoraggiare, con una sanzione pecuniaria molto pesante ( il minimo nel verbale era in origine fissato a 3.333 euro, ovvero un terzo del massimo previsto in 10.000 euro), i potenziali clienti delle merci fasulle ed incidere quindi sul versante della domanda, diversamente dalle norme penali ed amministrative fin qui viste che incidono tutte sul versante dell’offerta, ovvero del venditore, del produttore o distributore.

Riportiamo il testo integrale della norma dell’ art. 1 c. 7 ss. legge n. 80/2005:

" 7. Salvo che il fatto costituisca reato, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria fino a 10.000 euro l'acquisto o l'accettazione, senza averne prima accertata la legittima provenienza, a qualsiasi titolo di cose che, per la loro qualità o per la condizione di chi le offre o per l'entità del prezzo, inducano a ritenere che siano state violate le norme in materia di origine e provenienza dei prodotti ed in materia di proprietà intellettuale. La sanzione di cui al presente comma si applica anche a coloro che si adoperano per fare acquistare o ricevere a qualsiasi titolo alcuna delle cose suindicate, senza averne prima accertata la legittima provenienza. ((In ogni caso si procede alla confisca amministrativa delle cose di cui al presente comma. Restano ferme le norme di cui al decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 70)).

8. Le somme derivanti dall'applicazione delle sanzioni previste dal comma 7 sono versate all'entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnate ad appositi capitoli, anche di nuova istituzione, dello stato di previsione del Ministero delle attività produttive e del Ministero degli affari esteri, da destinare alla lotta alla contraffazione.

9. All'articolo 4, comma 49, della legge 24 dicembre 2003, n. 350, dopo le parole: «fallaci indicazioni di provenienza» sono inserite le seguenti: «o di origine».

10. All'articolo 517 del codice penale, le parole: «due milioni» sono sostituite dalle seguenti: «ventimila euro»".

La norma prevede in definitiva una nuova fattispecie di illecito amministrativo a carico dell’acquirente di merce contraffatta e dell’intermediario nel traffico illecito in parola.

(Da segnalare che con la legge n. 49 del 21 febbraio 2006, in materia di Olimpiadi invernali, art. 5 bis ( "lotta alla contraffazione"), la sanzione amministrativa è stata modificata, prevedendo ora il minimo di euro 500.

Ai sensi della legge 24.11.1981 n. 689 è ammessa quindi la facoltà di pagamento in misura ridotta di euro 1000,doppio del minimo).

8.2. La norma appresta una sanzione alla condotta del compratore ed all’intermediario di merci contraffatte, quando al comune uomo della strada appaiano di provenienza dubbia.

Si pone pertanto la questione del concorso apparente di norme con l’art. 712 c.p., il c.d. reato di incauto acquisto ( acquisto di cose di sospetta provenienza).

La norma dell’art. 1 c. 7 legge n. 80/2005 infatti ricalca, anche nella lettera, l’art. 712 c.p. prevedendo una fattispecie che potremmo definire di "incauto acquisto amministrativo".

La norma della legge c.d. sulla competitività sembra prevalere, ai sensi della legge n. 689/1981 art. 9, essendo in rapporto di specialità, rispetto alla norma incriminatrice penale dell’art. 712 c. p..

La specialità pare evidente almeno con riguardo all’oggetto della fattispecie amministrativa, costituito solo dalle merci sottoposte alla tutela della proprietà intellettuale, ovvero della loro origine e provenienza, mentre l’incauto acquisto penale ha ad oggetto materiale la generalità dei beni che provengono da reato.

Di rilievo sono i seguenti elementi della fattispecie in esame:

1. l’acquirente di merci contraffatte soggiace all’obbligo di pagamento in misura ridotta di 1.000 euro ( doppio del minimo, ai sensi della legge n. 689/1981, art. 16);

2. autorità amministrativa competente per i ricorsi ed il procedimento sanzionatorio conseguente è la Prefettura;

3. i proventi sono devoluti allo Stato;

4. è previsto il sequestro amministrativo della merce acquistata, ai fini della confisca.

Da sottolineare nel contesto che il venditore soggiace comunque a conseguenze penali, trattandosi di merce contraffatta, con conseguente sequestro penale delle altre merci in vendita e denuncia per i reati di ricettazione e vendita di prodotti falsi, ex artt. 648 e 474 c.p.

La norma sembra in realtà disapplicata a causa della sua formulazione,visto che esordisce con la clausola di sussidiarietà ("Salvo che il fatto costituisca reato…."), che la rende di fatto inoperante, atteso che il fatto descritto coincide esattamente con la fattispecie dell’acquisto di cose di sospetta provenienza, art. 712 c.p., quantomeno con riguardo ai beni oggetto di diritti di proprietà industriale.

La circostanza in parola, unita alla sanzione originaria, piuttosto pesante nel minimo (1.000 euro), ne ha determinato una scarsa applicazione.

9. Questioni normative in materia di commercio abusivo e lotta alla contraffazione.

In conclusione, ci sembrano utili alcune considerazioni, specie con riguardo alla necessità di potenziare l’azione di controllo e repressione sul territorio dei deprecati fenomeni fin qui trattati.

9.1. Il decreto legislativo 31.3.1998 n. 114 (riforma del commercio) sanziona all’art. 29 l’esercizio del commercio su aree pubbliche senza autorizzazione, fuori dal territorio previsto nell’autorizzazione, ovvero in violazione di limitazioni e divieti stabiliti dal Comune.

In sostanza è perseguibile solo l’atto della vendita.

In entrambe le fattispecie citate di illecito amministrativo occorre rilevare che spesso di fatto la vendita nelle strade avviene a seguito e mediante un lungo e paziente stazionamento dei venditori, con involucri chiusi e contenenti la merce da esitare.

Ciò impedisce agli organi di polizia di verbalizzare il trasgressore e sequestrare le merci.

Occorre pertanto una modifica dell’art. 29 d. lgs. n. 114/1998, che preveda e sanzioni in via amministrativa anche la sola detenzione ai fini della vendita, esercitata abusivamente in forma itinerante su aree pubbliche, quale illecito amministrativo, equiparandola all’esercizio effettivo della vendita abusiva.

Ciò consentirebbe di potenziare l’azione di contrasto del commercio abusivo sulle spiagge, nelle strade, nei luoghi di arrivo e di stazionamento dei "venditori".

9.2. In ambito penale occorre poi rammentare la citata restrittiva giurisprudenza di merito, anche in ordine agli atti di assicurazione della prova da parte della polizia giudiziaria, in specie del sequestro probatorio di merci contraffatte ex art. 473 c.p..

Qualche tribunale ha ritenuto infatti che non integra il reato di introduzione nello Stato e commercio di prodotti distintivi con segni falsi, previsto dall’ art. 474 c. p., la detenzione di merci ove il marchio sia stato servilmente imitato, ovvero imitato in modo grossolano, imitazione quindi priva di idoneità decettiva della pubblica fede.

Si tratterebbe di imitazione rilevante solo in sede civile quale forma di concorrenza sleale (Tribunale Genova, sezione riesame, ord. 28 febbraio-2 marzo 2005 ).

Era stato annullato nel caso di Genova un sequestro probatorio disposto dal P.M. di 309 cartoni contenenti 7350 borse con marchio contraffatto Louis Vuitton, detenute da un extracomunitario.

La sezione del riesame del Tribunale ligure ha ritenuto nella specie di escludere la "contraffazione" in senso stretto, accogliendo l’orientamento che in sostanza distingue la imitazione mera dalla vera contraffazione del marchio, ritenendo che la prima sia irrilevante penalmente in quanto non atta ad ingannare i compratori.

La Cassazione ha mostrato di non condividere tale tesi (cfr. Cassazione sez. II penale, sent. 11.5.2005).

Da ultimo in tale senso segnaliamo anche la recente sentenza/ordinanza della Cassazione seconda sez. penale n. 00535 del 16.3.2006, che annulla ordinanza di dissequestro emessa dal Tribunale della libertà di Venezia il 22.12.2005.

La Suprema Corte, nel ribadire il principio costante della tutela ex art. 474 c.p. della pubblica fede e quindi la penale irrilevanza dell’eventuale inganno nel reato in questione, avente natura di reato di pericolo, chiarisce che:

- nei casi di contraffazione grossolana o di condizioni di vendita tali da escludere la possibilità di ingannare chi compra, non sussiste reato impossibile;

- sono comunque rilevanti ex art. 517 c.p. la modifica parziale del marchio o l’impiego di tessuti diversi dall’originale.

9.3. Pare necessario allora un intervento normativo sull’art. 474 c.p. che meglio definisca l’ambito oggettivo di applicazione della norma penale .

Le modifiche normative proposte, in definitiva, consentirebbero di perseguire:

- in sede amministrativa ex art. 29 d. lgs. n. 114/1998 le ipotesi di detenzione o vendita di merce non contraffatta, se svolte abusivamente o fuori da limiti e divieti locali;

- in sede penale ex art. 474 c.p. la detenzione e la vendita di merce recante marchi o segni distintivi nazionali od esteri, siano essi contraffatti che imitati servilmente o grossolanamente.

9.4. Strumentale rispetto al potenziamento del ruolo delle autonomie locali nella lotta alla contraffazione, riteniamo essere anche una modifica sostanziale dell’art. 57 c.p.p. ( Ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria) volta a ridurre i limiti generali delle qualifiche di polizia giudiziaria del personale della polizia locale, tema su cui pendono disegni di legge in parlamento.

In particolare occorre:

- eliminare il limite del territorio comunale alle funzioni di p.g. della Polizia Municipale;

- eliminare altresì il limite dell’orario di servizio.

Ciò consentirebbe di estendere l’azione di contrasto e repressione penale fino all’ambito del territorio provinciale e regionale, consentendo di colpire i luoghi di temporaneo stoccaggio e deposito delle merci contraffatte, destinate ai venditori al dettaglio sulle strade e nei mercati.

Infatti, spesso tali luoghi sono posti fuori dai Comuni ove poi si svolge il fenomeno della vendita abusiva.

10. Questioni organizzative della lotta alla contraffazione.

La lotta alla contraffazione ed alla pirateria, argomento di cui ci siamo già occupati, è attività che nel mondo ed in Italia occupa molti. Con l’articolo 1 quater della legge n. 80/2005 è stato istituito un organo di coordinamento governativo delle funzioni di tutela della proprietà industriale nel nostro paese. Riportiamo il testo integrale.

Legge 14 maggio 2005 n. 80 art. 1-quater. (Alto Commissario per la lotta alla contraffazione).

" 1. È istituito l'Alto Commissario per la lotta alla contraffazione con compiti di:

a) coordinamento delle funzioni di sorveglianza in materia di violazione dei diritti di proprietà industriale ed intellettuale;

b) monitoraggio sulle attività di prevenzione e di repressione dei fenomeni di contraffazione.

2. L'Alto Commissario di cui al comma 1 è nominato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri su proposta del Ministro delle attività produttive.

3. L'Alto Commissario si avvale per il proprio funzionamento degli uffici delle competenti direzioni generali del Ministero delle attività produttive.

4. Con decreto del Ministro delle attività produttive, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sono definite le modalità di composizione e di funzionamento dell'Alto Commissario, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica."

L’Alto Commissario deve in particolare: pianificare annualmente gli interventi da realizzare, studiare e coordinare le iniziative volte al contrasto della violazione dei diritti di proprietà industriale ed intellettuale, elaborare proposte normative anche in ordine all’apparato sanzionatorio penale ed amministrativo, alla semplificazione dei procedimenti davanti all’autorità giudiziaria ed amministrativi, promuovere campagne di comunicazione istituzionale a tutela dei diritti delle imprese e dei consumatori.

La norma ha abolito il Comitato nazionale anticontraffazione, istituito col codice della proprietà industriale ( D. lgs. 10.2.2005 n. 30) ed operante presso il ministero delle attività produttive.

Nasce così un nuovo organo del Governo italiano, che deve coordinare i molteplici soggetti pubblici, non pochi in effetti, che operano nel campo del contrasto di due fenomeni, contraffazione e pirateria, che incidono pesantemente sul nostro sistema fiscale in negativo, sottraendo risorse alla collettività ed alle imprese.

Circa l’organizzazione delle strutture pubbliche del settore, occorre evidenziare la necessità di assegnare un ruolo decisivo alle autonomie locali, da sempre impegnate sul territorio nella lotta ai fenomeni citati.

A tal fine si ritiene utile :

- prevedere rappresentanti di enti locali quali componenti dell’Alto commissariato per la lotta alla contraffazione;

- stabilire il principio che la Polizia Municipale è organo preposto alla lotta alla contraffazione ed al commercio abusivo, quale forza di polizia locale a competenza specializzata.

Sembra infine utile che in ambito provinciale si arrivi a costituire gruppi interforze specializzati in materia.

A tali gruppi operativi specializzati dovrebbe corrispondere analoga specializzazione per materia presso le procure della Repubblica.

La doppia specializzazione, della polizia giudiziaria e delle procure, peraltro si inserirebbe in un filone legislativo che ha già portato alla istituzione delle sezioni specializzate nelle controversie civili in materia di proprietà industriale presso i tribunali ordinari.

 

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(*) Relazione presentata al convegno internazionale "Marchio e disegno comunitario - strategie di protezione e difesa. Seminario itinerante sulla proprietà industriale ", organizzato dal Ministero sviluppo economico, Ufficio italiano marchi e brevetti, Venezia 27 aprile 2007 Palazzo Ducale.

("Roving seminar on industrial property. Community trademark and design. Protection strategies and defence" , Venice 27 april 2007, Palazzo Ducale).


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