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Articoli e note

n. 6/2005 - © copyright

ANTONIO VACCA
(Avvocato)

 Il dissenso in seno alla conferenza di servizi ed il ruolo attribuito alle conferenze intergovernative dalla L. 15/05. (Commento dell’art. 14 quater  L. n. 241/90)

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La legge n. 15/2005 ha radicalmente riformato l’articolo 14 quater  della L. n. 241/1990 recante la disciplina del dissenso espresso nella conferenza di servizi, attribuendo un ruolo di primo piano alle conferenze intergovernative (Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano e la Conferenza Unificata ex art. 8 D.Lgs. n. 281/1997).

In particolare il comma 3 prevede che in caso di dissenso espresso da un’amministrazione preposta alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute e della pubblica incolumità, l’amministrazione procedente deve, entro dieci giorni, rimettere la decisione al Consiglio dei ministri, in caso di conflitto tra amministrazioni statali, alla Conferenza Stato-regioni, in caso di dissentimento tra un’amministrazione statale ed una regionale o tra più amministrazioni regionali ed, infine, alla Conferenza unificata, in caso di dissenso tra un amministrazione statale o regionale ed un ente locale o tra più enti locali.

Il comma 3 bis, poi, dispone che se il dissenso è espresso da una regione o da una provincia autonoma in una delle materie di propria competenza, l’amministrazione procedente affida, sempre entro dieci giorni, la determinazione sostitutiva alla Conferenza Stato-regioni, se il dissenso verte tra un’amministrazione statale ed una regionale o tra amministrazioni regionali ed alla Conferenza unificata, in caso di conflitto tra una regione o provincia autonoma ed un ente locale.

In entrambe le ipotesi, nel termine perentorio di trenta giorni dalla rimessione, salvo proroga determinata dalla complessità della istruttoria [1], la conferenza intergovernativa, attributaria del potere decisionale sostitutivo, deve pronunciarsi. Decorso inutilmente il suddetto termine, su iniziativa del ministro per gli affari regionali, la determinazione conclusiva della conferenza di servizi è rimessa al Consiglio dei ministri oppure, in caso si verta in materia non attribuita alla competenza statale ex art. 117, comma 2 e articolo 118 della Costituzione, alla competente giunta regionale ovvero alle competenti giunte delle province autonome di Trento e di Bolzano. In quest’ultimo caso, però, il legislatore ha previsto un ulteriore strumento sostitutivo, affidando automaticamente la decisione, in caso di inerzia della competente giunta regionale o provinciale, al Consiglio dei ministri e prevedendo solo un’integrazione [2] nella composizione del medesimo, dovendo il Consiglio dei ministri deliberare con la partecipazione dei Presidenti delle regioni interessate [3].

La disciplina in parola, sia per quanto espressamente disposto sia per quanto posto nell’oblio del silenzio, pone non pochi problemi, sia di ordine teorico che pratico.

In primo luogo si pone come prodromica ad ogni ulteriore analisi la questione qualificatoria in ordine al potere decisorio sostitutivo attribuito alle conferenze intergovernative in caso di dissenso sorto in seno alla conferenza di servizi ed alla decisione conseguente all’esercizio del medesimo. Tale determinazione ha sicuramente natura di provvedimento amministrativo, sostituendo sotto ogni effetto l’atto conclusivo della conferenza di servizi, posta in una condizione di stasi dal dissenso motivato di un soggetto partecipante. Nondimeno la correlata potestà amministrativa sostitutiva presenta delle peculiarità dovute sia alla configurazione strutturale, funzionale ed istituzionale delle conferenze intergovernative, attributarie della medesima, sia alla dinamica delle posizioni di interesse coinvolte.

Quanto al primo profilo occorre sottolineare che la Corte Costituzionale, con una giurisprudenza costante ed, oramai, consolidata [4], afferma che la Conferenza Stato-regioni [5] “lungi dall’essere un organo appartenente all’apparato statale o a quello delle regioni è la sede privilegiata del confronto e della negoziazione tra lo Stato e le Regioni, avente il fine di favorire il raccordo e la collaborazione tra l’uno e le altre” [6]. In altri termini si nega alle conferenze intergovernative la natura di mero organo amministrativo per riconoscere ad esse quella di “luogo di concertazione ove svolgere un dialogo ed una contrattazione tra i soggetti preposti alla gestione della cosa pubblica” [7], di “mera sede di concertazione e di confronto, anzitutto politico, ma non solo, tra Governo e Regioni” [8].

In ordine, invece, al secondo aspetto bisogna rilevare che la potestà sostitutiva delle conferenze intergovernative sorge esclusivamente al verificarsi di una crisi nell’attività di contemperamento dei vari interessi pubblici che formano oggetto della conferenza di servizi; nello specifico ove siano coinvolti interessi connessi alla tutela dell’ambiente, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico artistico, della sature e della pubblica incolumità  e vi sia un conflitto tra un’amministrazione statale ed una regionale e/o locale, oppure ove siano compromessi da comportamenti configgenti ed esorbitanti interessi afferenti a materie di competenza regionale.

La conseguente constatazione che il fine e la ragione giustificatrice della potestà sostitutiva in parola è da rintracciare nella necessità di ricomporre una crisi nell’attività di contemperamento degli interessi pubblici e l’attribuzione di tale compito alle conferenze intergovernative, sedi naturali e congenite di concertazione e di confronto tra soggetti pubblici, portano, allora, a concludere che l’esercizio della potestà amministrativa sostitutiva in parola non può che estrinsecarsi in un’intesa, il contenuto della quale verrà poi formalizzato in un vero e proprio provvedimento amministrativo che si porrà quale esito del procedimento o dei procedimenti convogliati nella conferenza di servizi.

La ricostruzione qualificatoria svolta consente di affrontare più agevolmente la questione, molto spinosa, delle modalità di esercizio del potere sostitutivo da parte delle conferenze intergovernative, problema, peraltro, acuito dal completo silenzio della legge a riguardo.

Occorre, però, al fine di procedere ad un’analisi puntuale in ordine alle modalità di espressione della propria volontà da parte delle conferenze intergovernative, indicare distintamente le varie ipotesi  di conflitto da cui scaturisce l’attribuzione in capo alle conferenze medesime del potere decisorio sostitutivo, ipotesi che vedremo, nel proseguo, essere tra di esse solo apparentemente omogenee ed, invece, essenzialmente e sostanzialmente incommensurabili:

1.      dissenso tra un’amministrazione statale ed una regionale in ordine a interessi che involgano la tutela dell’ambiente, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico artistico, della sature e della pubblica incolumità oppure in una materia di competenza regionale, con conseguente competenza sostitutiva attribuita alla Conferenza Stato-regioni;

2.      dissenso tra più amministrazioni regionali in ordine a interessi che involgano la tutela dell’ambiente, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico artistico, della sature e della pubblica incolumità oppure in una materia di competenza regionale, con conseguente competenza sostitutiva attribuita alla Conferenza Stato-regioni;

3.      dissenso tra un’amministrazione statale o regionale ed un ente locale in ordine a interessi che involgano la tutela dell’ambiente, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico artistico, della sature e della pubblica incolumità oppure in una materia di competenza regionale, con conseguente competenza sostitutiva attribuita alla Conferenza unificata ci cui all’articolo 8 del D.Lgs. 28 agosto 1997, n. 281;

4.      dissenso tra più enti locali in ordine a interessi che involgano la tutela dell’ambiente, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico artistico, della sature e della pubblica incolumità, con conseguente competenza sostitutiva attribuita alla Conferenza unificata ci cui all’articolo 8 del D.Lgs. 28 agosto 1997, n. 281. 

Quanto alla fattispecie sub 1), nel silenzio della legge, si deve ritenere applicabile, conformemente alla ricostruzione qualificatoria suesposta, la norma generale contenuta nell’articolo 3, comma 2, del D.Lgs. 28 agosto 1997, n. 281, la quale dispone che “le intese si perfezionano con l’espressione dell’assenso del Governo e dei Presidenti delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano”.

Tale disposizione, per quanto apparentemente chiara ed univoca, in realtà può dare luogo a tre distinte ricostruzioni interpretative, tutte astrattamente compatibili con la lettera della legge. In primo luogo si potrebbe ritenere che si pone la necessità del consenso dei Governo e di tutti i Presidenti delle Regioni e delle Province autonome componenti, la Conferenza Stato‑Regioni, ragion per cui l'assenza anche di uno solo di essi alla riunione ove l'intesa risulta posta all'ordine dei giorno ne impedirebbe il perfezionamento.

In secondo luogo si potrebbe ritenere necessario il consenso del governo e di tutti i Presidenti delle Regioni e delle Province autonome presenti alla seduta ove l'intesa è posta all'ordine dei giorno, con la conseguenza che il voto unanime di tali Presidenti rappresenta la posizione dell'intera Conferenza Stato‑Regioni e, quindi, anche di quei Presidenti che non hanno voluto partecipare per manifestare la propria volontà.

In terzo luogo, seppure con qualche forzatura della lettera della legge, si potrebbe ritenere sufficiente al fine di perfezionare l'intesa, il consenso dei Governo e della maggioranza dei Presidenti delle Regioni e delle Province autonome. Per prospettare una tale ricostruzione, però, pare necessario vedere nell'espressione usata dal legislatore "assenso dei Presidenti delle Regioni e delle Province autonome" una sineddoche, indicante la Conferenza Stato‑Regioni, con la conseguenza che la norma in esame dovrebbe essere letta nel­ seguente modo: “le intese si perfezionano con l'espressione dell'assenso dei Governo e della Conferenza Stato‑Regioni".

La constatazione che l’esercizio del potere sostitutivo da parte della Conferenza Stato-regioni si concretizzi in un’intesa, il contenuto della quale, però, verrà poi formalizzato in un vero e proprio provvedimento amministrativo che si porrà quale esito del procedimento o dei procedimenti convogliati nella conferenza di servizi, consente, tuttavia, di risolvere comodamente il dilemma ricostruttiva in parola, interpretando la disposizione dell’articolo 3 del D.Lgs. n. 281/97 alla luce di quanto previsto dall’articolo 2, comma 2, del medesimo decreto, a norma del quale “ferma la necessità dell’assenso del Governo, l’assenso delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano per l’adozione degli atti di cui alla lettera g) [9] è espresso, quando non è raggiunta l’unanimità, dalla maggioranza dei Presidenti delle Regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano, componenti la Conferenza Stato–regioni, o da assessori da essi delegati a rappresentarli nella singola seduta”. Si deve, dunque, ritiene sufficiente, al fine della valida formazione della intesa provvedimentale de qua, della presenza di un idem consensum da parte della compagine governativa, rappresentata ex lege in seno alla Conferenza Stato-regioni dal Presidente del Consiglio dei ministri, e da parte della maggioranza assoluta dei rappresentanti regionali e provinciali.

Quanto alla fattispecie sub 2), occorre, invece, rilevare che l’applicazione del combinato disposto dell’articolo 3, comma 2 e dell’articolo 2, comma 2, del D.Lgs. n. 281/97 risulta più problematico, in quanto il conflitto nel contemperamento degli interessi coinvolti nella conferenza di servizi riguarda esclusivamente interessi “dimensionalmente” regionali, ragion per cui non si vede come si possa giustificare la necessità dell’assenso del Governo, il quale diverrebbe in questo modo, ingiustificatamente, parte attiva e  decisiva in ordine alla soluzione di una crisi ad esso estranea [10].

Risulta, allora, necessario compiere un’interpretazione evolutiva, che in conformità con il dettato costituzionale, non determini ingiustificate invasioni di competenza; in particolare occorre ritenere che, nel caso di specie, la Conferenza Stato-regioni si ponga esclusivamente come “organo” regionale, esprimente la sola volontà delle autonomie territoriali [11] e che l’assenso del Governo sia qualificabile in termini di apporto esterno rispetto all’intesa provvedimentale, assegnando, dunque, al Governo un mero ruolo di imparziale coordinatore e compositore delle attività poste in essere in seno alla conferenza Stato-regioni dai soli Presidenti delle Regioni e delle Province autonome.

In realtà le perplessità ricostruttive in ordine alle modalità di esercizio del potere sostitutivo da parte della Conferenza Stato-regioni nell’ipotesi sub 2), sono dovute al dubbio che l’attribuzione di tale potestà decisoria sostitutiva alla conferenza intergovernativa in parola sia essenzialmente ingiustificata, avuto riguardo all’assetto funzionale ed istituzionale della stessa [12].

In proposito un’indicazione decisiva è fornita proprio dal diritto positivo [13] che, con riguardo alla Conferenza permanente per i rapporti tra Stato, regioni e province autonome di Trento e di Bolzano parla di “processi decisionali di interesse regionale, interregionale ed infraregionale”. La Corte costituzionale, sollecitata da una censura di illegittimità costituzionale sollevata avverso la disposizione in parola, ha avuto occasione di chiarire il significato della formula dell’articolo 2, comma 1 del D.Lgs. n. 281/97, individuando l’oggetto dell’attività della Conferenza Stato-regioni, sia in termini positivi che in termini negativi: “le disposizioni in esame non possono intendersi nel senso che il Governo o i membri della Conferenza possono provocare la deliberazione della medesima su qualsiasi argomento, anche d’interesse esclusivo di una o più regioni o di parte di esse, trasformando così la Conferenza in uno strumento contrario alla Costituzione di ingerenza in processi decisionali facenti capo all’esclusiva competenza e responsabilità delle regioni o di alcune di esse…………………. la Conferenza, invece, è sede di raccordo per consentire alle regioni di partecipare a processi decisionali che resterebbero altrimenti nell’esclusiva disponibilità dello Satto: ciò anche quando l’implicazione di politica generale riguardi oggetti che, per lal oro localizzazione, concernono una o più regioni o anche solo una parte del loro territorio” [14].

In altri termini si deve escludere che oggetto dell’attività della Conferenza Stato-regioni possano essere competenze di pertinenza regionale, con conseguente compressione dell’autonomia amministrativa delle regioni, così come costituzionalmente garantita, riconoscendo, invece, in capo alla Conferenza in parola la possibilità di vedersi attributaria di competenze in ordine a procedimenti relativi ad interessi dimensionalmente superiori, seppur non sovraordinati, rispetto a quelli regionali.

Alla luce delle considerazioni formulate dalla Corte costituzionale pare difficile riconoscere la legittimità costituzionale dell’attribuzione della potestà decisoria sostitutiva in esame alle conferenze intergovernative, le quali verrebbero così ha comprimere e, dunque, a ledere l’autonomia delle singole regioni o province autonome coinvolte nell’attività amministrativa oggetto della conferenza di servizi. Basti pensare al caso in cui l’oggetto della conferenza di servizi consista in un’attività amministrativa relativa ad un intervento pubblico che coinvolga gli interessi di due sole regioni; non si capisce per quale ragione la Conferenza Stato-regioni si debba ritenere competente a decidere e sciogliere il conflitto insorto tra le medesime, magari esprimendo la propria volontà a maggioranza assoluta dei suoi componenti, magari nonostante il voto contrario di una o di entrambe le regioni direttamente interessate.

Quanto alle fattispecie sub 3) e sub 4), le modalità di espressione della volontà in ordine all’esercizio del potere decisorio sostitutivo attribuito alla Conferenza unificata dalla L. n. 15/05 sono previste dall’articolo 9, comma 4, del D.Lgs. n. 281/97, a norma del quale “ferma restando la necessità dell'assenso del Governo, per l'adozione delle deliberazioni di competenza della Conferenza unificata, l'assenso delle Regioni, delle Province, dei comuni e delle comunità montane è assunto con il consenso distinto dei membri dei due gruppi delle autonomie che compongono rispettivamente la Conferenza Stato‑Regioni e la Conferenza stato‑città ed autonomie locali. L'assenso è espresso, di regola, all'unanimità dei membri dei due predetti gruppi, ma ove questa non sia raggiunta è espresso dalla maggioranza dei rappresentanti di ciascuno dei due gruppi".

Si ripresentano, dunque, tutte le problematiche e le perplessità già esaminate con riferimento alle ipotesi sub 1) e sub 2), per di più aggravate dalla natura ibrida e fragile della Conferenza unificata, caratterizzata da profondi vizi architettonici [15] e da intrinseci carenze di rappresentatività delle autonomie locali [16].

Una ulteriore questione determinata dalla riforma introdotta dalla L. n. 15/05 si può rinvenire nella previsione di un potere sostitutivo di secondo grado in caso di inerzia da parte delle conferenze intergovernative ad esercitare il proprio potere decisorio sostitutivo. Nello specifico è previsto che se nel termine di trenta giorni, salvo proroga, la Conferenza Stato-regioni o la Conferenza unificata non provvede, la decisione, su iniziativa del ministro per gli affari regionali, è rimessa al Consiglio dei ministri ovvero, quando verta in materia non attribuita alla competenza statale esclusiva o  ai sensi dell’articolo 118 della Costituzione, alla competente Giunta regionale. In quest’ultimo caso se la Giunta regionale non provvede nel termine di trenta giorni, la decisione è rimessa al Consiglio dei ministri, che delibera con la partecipazione dei Presidenti delle regioni interessate.

Mentre la previsione del potere sostitutivo di secondo grado in capo al Consiglio dei ministri o alla Giunta regionale competente in caso di inerzia delle conferenze intergovernative appare non solo conforme e compatibile con la “dimensione” degli interessi coinvolti nelle distinte ipotesi previste dal legislatore a tal riguardo, ma anche giustificato da ragioni di buon andamento ed efficienza, come peraltro confermato dalla previsione generale dell’articolo 3, comma 3 del D.Lgs. n. 281/97 [17],

non appare convincente, invece, la  attribuzione in capo al Consiglio dei ministri di un potere sostitutivo di terzo grado, in caso di inerzia della Giunta regionale competente, attenuato dalla sola presenza non deliberante dei Presidenti delle regioni interessate. Vertendosi, infatti, in materie escluse dalla competenza statale ed in presenza di dissensi sorti tra amministrazioni regionali e/o amministrazioni locali non si comprende come si possa giustificare un potere sostitutivo in capo al Governo, che affidi a quest’ultimo competenza decisoria in settori costituzionalmente esclusi dalla sua azione.

E’ vero, infatti, che dottrina e giurisprudenza, nel giustificare il potere sostitutivo dell’esecutivo statale, fanno costante riferimento al principio di buon andamento dell’amministrazione, al principio di continuità ed alle ragioni d’interesse nazionale che non tollerano situazioni paralizzanti che si traducano in una loro lesione. In particolare la Corte costituzionale [18] ha affermato che la forma di partecipazione costituita dalle intese in seno alle conferenze intergovernative non deve condurre ad esiti paralizzanti ne tradursi in una lesione dei principio di buon andamento dell'amministrazione, quale quella che si verrebbe a determinare, tra l'altro, ove il procedimento non dovesse concludersi entro termini ragionevoli, ragion per cui, per evitare ciò, il legislatore può legittimamente e, talora, deve prevedere termini certi per la conclusione dei procedimento d'intesa nonché meccanismi sostitutivi per il caso di mancato raggiungimento di una posizione comune. D'altronde la medesima necessità di tenere, nei rapporti reciproci tra Stato e Regioni, un comportamento leale giustifica la previsione di tali meccanismi, che consentono al Governo di superare eventuali atteggiamenti ostruzionistici delle autonomie, costituenti un illegittimo ed intollerabile impedimento all'esercizio dei poteri statali.

Nondimeno proprio il principio di leale collaborazione, il principio di autonomia costituzionalmente riservata[19] e la configurazione funzionale ed istituzionale delle regioni e degli enti locali posta dalla Costituzione, impongono di considerare tali poteri sostitutivi quali extrema ratio a cui è possibile ricorrere solo ed esclusivamente in ipotesi tassative e sempre che vengano in considerazione interessi statali operanti in materie rispetto alle quali esista un’interconnessione tra interessi statali, regionali e locali.

A conferma di ciò il dato letterale dell’art. 120, comma 2 della Costituzione che disciplinando la potestà sostitutiva del Governo rispetto agli organi delle Regioni e degli enti locali, limita la medesima ai soli casi di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria oppure di pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo richiedano la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica ed in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali.

Al termine di questo breve commento si può, dunque, concludere che l’inserimento delle conferenze intergovernative nel procedimento di risoluzione dei dissensi manifestatisi in seno alle conferenze di servizi pone dubbi sia in ordine alla compatibilità della struttura funzionale ed istituzionale delle conferenze intergovernative rispetto al compito di puntuale amministrazione così ad esse affidato, sia in ordine legittimità costituzionale di una disciplina che può surrettiziamente comportare uno straripamento delle competenze governative in ambiti riservati alle autonomie territoriali e locali. D’altronde è da verificare quale sarà nella prassi la concreta capacità delle conferenze intergovernative di esercitare il potere decisorio sostitutivo in parola e, a tal riguardo, è sufficiente analizzare i verbali degli ultimi anni di attività delle medesime per prevedere che le inevitabili difficoltà istruttorie che si presenteranno e la fragile struttura organizzativa e funzionale delle conferenze intergovernative, precluderanno alle stesse la possibilità di rispondere in termini di economicità ed efficienza alle attribuzioni sostitutive affidate ad esse dal legislatore, forse senza adeguata meditazione.

 

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[1] Non superiore a 60 giorni.

[2] In ordine alla legittimità costituzionale di tale previsione si tratterà nel proseguo dell’articolo.

[3] Al fine di coordinare il testo della riforma con il dettato della Costituzione è stato, inoltre, aggiunto un comma 3quater, a norma del quale, “in caso di dissenso tra amministrazioni regionali, i commi 3 e 3bis non si applicano nell’ipotesi in cui le regioni interessate abbiano ratificato, con propria legge, intese per la composizione del dissenso ai sensi dell’articolo 117, comma 8, della Costituzione, anche attraverso l’individuazione di organi comuni competenti in via generale ad assumere la determinazione sostitutiva in caso di dissenso”.

[4] V. sentenze n. 116/94, n. 206 del 2001 etc…..

[5] Il percorso logico-giuridico seguito dai giudici della Consulta nelle molteplici sentenze succedutesi nell’ultimo decennio può agevolmente essere esteso anche alla Conferenza Stato città ed autonomie locali ed alla Conferenza unificata.

[6] V. sentenza n. 116/94 della Corte Costituzionale.

[7] V. sentenza n. 206/01 della Corte Costituzionale.

[8] Ut supra.

[9] Art.2, comma 2, D.Lgs. n. 281/97: “al fine di garantire la partecipazione delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano a tutti i processi decisionali di interesse regionale, interregionale e infraregionale, la Conferenza Stato-regioni:…… g) adotta i provvedimenti che sono ad essa attribuiti dalla legge…..”.

[10] A maggior ragione ciò nel caso in cui il dissenso si abbia in materie di competenza regionale o provinciale.

[11] A maggioranza assoluta,

[12] Tale ragionamento si può riproporre anche in ordine alla fattispecie sub 1) ogni qualvolta il dissenso riguardi un’amministrazione statale e singole amministrazioni regionali, senza involgere interessi comuni alla generalità delle regioni componenti la conferenza Stato-regioni.

[13] Articolo 2, comma 1, del D.Lgs. n. 281/97.

[14] Sentenza n. 408/98 della corte costituzionale.

[15] Nella sentenza n. 408/98, la Corte costituzionale ha dichiarato che “"con la previsione di una Conferenza unificata non si ha affatto una commistione delle rappresentanze regionali e locali, ma solo un'unificazione funzionale, nell'ambito di un sistema in cui i Presidenti delle Regioni conservano la loro esclusiva rappresentanza delle istanze regionali così come i componenti della Conferenza stato‑città conservano la loro esclusiva rappresentanza delle istanze locali, mentre è solo la rappresentanza governativa ad essere propriamente unificata".

[16] Si pensi al fatto che, stando alla disciplina legislativa della composizione della Conferenza Stato-città ed autonomie locali, si potrebbe giungere a decidere anche in assenza del soggetto rappresentante dell’ente locale o degli enti locali direttamente coinvolti nella crisi sorta in seno alla conferenza di servizi.

[17] “Quando un’intesa espressamente prevista dalla legge non è raggiunta entro trenta giorni dalla prima seduta della Conferenza Stato-regioni in cui l’oggetto è posto all’ordine del giorno, il consiglio dei ministri provvede con deliberazione motivata”.

[18] V. ex multis sentenza n. 351/1991 della Corte costituzionale.

[19] Rafforzato dalla riforma del titolo V della Costituzione della Repubblica Italiana.


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