LexItalia.it

Articoli e noteRimpiciolisci il caratteri Ingrandisci i caratteri Clicca qui per segnalare la pagina ad un amico Stampa il documento

n. 4/2011 - © copyright

STEFANO USAI

Inefficacia del contratto e buona fede del terzo contraente

horizontal rule

Autorevole dottrina [i], nel fornire alcuni chiarimenti su aspetti peculiari della “nuova” fattispecie dell’inefficacia del contratto di cui agli artt. 121 e 122 del decreto legislativo 104/2010, ha evidenziato la difficoltà e/o gli ostacoli al riconoscimento della buona fede del terzo contraente che - per effetto della dichiarazione giudiziale di inefficacia – si vede “privato” degli effetti contratto stipulato con la stazione appaltante.

Buona fede che, se dimostrata potrebbe, nel caso di stipulazione di un contratto di appalto pubblico dichiarato successivamente inefficace, dar luogo ad una responsabilità della stazione appaltante ex art. 1338 c.c. nei confronti del terzo contraente. Articolo 1338 del c.c. il quale – semplificando e per ciò che rileva ai nostri fini – ammette il risarcimento dei danni subiti dalla parte che, in modo incolpevole, abbia confidato sulla bontà del contratto.

Correttamente nel contributo citato si evidenzia come risulti particolarmente difficile affermare in relazione alle diverse ipotesi di privazione di effetti del contratto, la buona fede del contraente ed anzi molteplici aspetti tendono sicuramente ad escluderla. In particolare, tendono ad inibire fortemente ogni tentativo di ammetterla tutta quella serie di motivazioni riconducibili alla circostanza nota secondo cui “la violazione di regole di diritto pubblico - in applicazione del principio ignorantia iuris non excusat - non è tollerata neanche in capo al privato che concorrerebbe colposamente alla stipulazione di un contratto in presenza di un aggiudicazione affetta da vizi non gravi, e probabilmente da questi non conosciuti, ma conoscibili usando l'ordinaria diligenza” [ii].

Rientra nell’ambito di questi aspetti del diritto pubblico (ovviamente) anche l’intera sequenza procedimentale che regola il procedimento amministrativo contrattuale. Tra questi quindi, anche quella serie di vizi classificati come non gravi e pertanto, non rientranti nell’ambito della casistica delineata nell’articolo 121 del decreto legislativo 104/2010, ma comunque in grado, tenuto conto “degli interessi delle parti, dell'effettiva possibilità per il ricorrente di conseguire l'aggiudicazione alla luce dei vizi riscontrati, dello stato di esecuzione del contratto e della possibilità di subentrare nel contratto, nei casi in cui il vizio dell'aggiudicazione non comporti l'obbligo di rinnovare la gara e la domanda di subentrare sia stata proposta” (art. 122 del decreto legislativo 104/2010), di indurre il giudice amministrativo a dichiarare l’inefficacia del contratto.

Il problema della conoscibilità dei vizi

E’ sicuramente vero che il brocardo che non ammette ignoranza esplica i suoi effetti anche nell’ambito del procedimento amministrativo, pur complesso, dell’attività contrattuale della pubblica amministrazione.

La considerazione espressa vale soprattutto, almeno, per alcune delle ipotesi catalogate come “gravi violazioni” dal legislatore nell’articolo 121 del decreto legislativo 104/2010, in cui, all’annullamento dell’aggiudicazione segue come conseguenza – si potrebbe dire – fisiologica la dichiarazione di inefficacia del contratto. Residuando al giudice un solo potere di precisare “in funzione delle deduzioni delle parti e della valutazione della gravità della condotta della stazione appaltante e della situazione di fatto, se la declaratoria di inefficacia” sia da ritenersi “limitata alle prestazioni ancora da eseguire alla data della pubblicazione del dispositivo” oppure se questa operi anche “in via retroattiva” ( primo comma dell’articolo 121).

Ma il punto su cui appare rilevante approfondire le questioni poste dall’interrogativo di cui in premessa, è quello di stabilire se alcuni vizi che inficiano l’aggiudicazione dell’appalto possano ritenersi davvero conoscibili da parte del contraente con l’ordinaria diligenza. Aspetto, come annotato, rilevante ai fini dell’ammissibilità della buona fede. Anche, e soprattutto, perché “la buona fede (…) è inversamente proporzionale alla riconoscibilità/gravità del vizio che affligge l’aggiudicazione [iii].

Analizzando la casistica dell’articolo 121 del codice del processo amministrativo, qualche dubbio che i vizi siano conoscibili con l’ordinaria diligenza appare quanto meno legittimo.

Sicuramente, possono essere ritenuti conoscibili, e ciò avrebbe per effetto l’esclusione in nuce della buona fede e della possibilità di ottenere un eventuale risarcimento ex articolo 1338 del c.c., i vizi dell’aggiudicazione definitiva riconducibili alla casistica di cui alle lettere a), c) e d) del primo comma dell’articolo 121 in commento.

Nel dettaglio, i riferimenti in parola riguardano l’aggiudicazione definitiva intervenuta senza la pubblicazione del bando o dell’avviso con cui si indice la gara quando la pubblicazione in parola risulta espressamente prevista dal codice degli appalti. Le altre ipotesi attengono alle violazioni, rispettivamente, dello stand still sostanziale di 35 giorni dall’ultima delle comunicazioni dell’aggiudicazione definitiva oppure il caso in cui il contratto sia stato stipulato “senza rispettare la sospensione obbligatoria del termine per la stipulazione derivante dalla proposizione del ricorso giurisdizionale avverso l'aggiudicazione definitiva”. Sempre che, in entrambi i casi, le violazioni in argomento abbiano privato – aggiungendosi a vizi propri dell’aggiudicazione – il ricorrente della possibilità di avvalersi dei mezzi di ricorso annullando ogni possibilità di ottenere tutela.

Nei casi appena citati, francamente, appare difficile ravvisare una qualche buona fede del contraente perché si tratta di vizi facilmente conoscibili e rilevabili.

Qualche perplessità circa una normale conoscibilità del vizio, con l’utilizzo – da parte dell’appaltatore – dell’ordinaria diligenza, può essere espressa in relazione alla ipotesi richiamata nella lettera b) dell’articolo 121. Come noto, la specifica prevede l’annullamento dell’aggiudicazione e la privazione degli effetti del contratto [iv] nell’ipotesi in cui la stazione appaltante si sia determinata ad aggiudicare l’appalto per il tramite della procedura negoziata o dell’ affidamento in economia “fuori dai casi consentiti e questo abbia determinato l'omissione della pubblicità del bando o avviso con cui si indice una gara nella Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea o nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, quando tale pubblicazione è prescritta dal decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163”.

Si conviene che nel caso di “abuso” di procedura negoziata appare improbabile una buona fede nel terzo contraente considerato che le ipotesi risultano scolpite direttamente (già) dal legislatore comunitario e recepite dal legislatore domestico. Giocoforza, la misura (lo sforzo) di diligenza richiesta al contraente quale cartina di tornasole della buona fede è praticamente irrisorio. Nel caso concreto sarà sufficiente confrontare il procedimento amministrativo avviato (ed a cui il contraente abbia partecipato) con il dettato legislativo e/o analizzare gli orientamenti giurisprudenziali (costanti) che ribadiscono la supremazia del principio di evidenza pubblica rispetto alle procedura derogatorie [v].

Il problema si pone, ed in questo trova ragione la perplessità che si intende esprimere, nel caso di abuso del procedimento di acquisizione in economia. L’articolo 121 stabilisce che l’annullamento dell’aggiudicazione implica la privazione degli effetti del contratto nel caso in cui questo sia stato stipulato in seguito ad acquisizione di prestazioni in economia (ex art. 125 del codice degli appalti) “fuori dai casi consentiti”.

Quali sono i casi consentiti che ammettono il ricorso al procedimento semplificato?

La norma sulle acquisizioni in economia, ovvero l’articolo 125, individua nei commi 6 e 10 alcune ipotesi in cui il procedimento semplificato risulta ammesso. Le disposizioni in parola, ammettono poi la possibilità di ricorrere al procedimento di acquisizione in economia in una serie (praticamente) indeterminata ed indefinita di casi la cui configurazione giuridica è rimessa sostanzialmente all’autonoma discrezionalità della stazione appaltante sulla base delle “proprie specifiche esigenze [vi].

Sostanzialmente la stazione appaltante può ricorrere alle acquisizioni in parola, tanto per le ipotesi stabilite direttamente dal legislatore ed in relazione a queste, effettivamente, un tentativo di dimostrare la buona fede del terzo contraente appare impresa diabolica, quanto in una serie di ipotesi che – per potere essere validamente utilizzate – devono essere recepite all’interno del regolamento, o comunque stabilite in un provvedimento di carattere generale, adottato dalla stazione appaltante che recepisce le prerogative consentite dal procedimento semplificato in argomento. Ora, ritenere che le ipotesi fissate dalla stazione appaltante siano conoscibili dall’appaltatore appare cosa comunque non semplice soprattutto per la tendenza di queste ad intensificare il ricorso a questa procedura - in particolare - per ogni fattispecie di bene e di servizio e per la ricordata tendenza a ritenere il procedimento de quo come alternativo alla procedura ordinaria. Aspetto questo che, senza un definitivo chiarimento, è tale da ingenerare naturalmente il massimo affidamento da parte dell’appaltatore.

Nel caso da ultimo evidenziato – l’abuso del procedimento in economia - sembra residuare uno spazio per poter ravvisare la buona fede del terzo contraente che si affida alla stazione appaltante che abbia deciso – per individuate specifiche esigenze – di acquisire la prestazione per il tramite di un procedimento ad inviti (si pensi al cottimo fiduciario) o – addirittura – si sia determinata ad affidare direttamente la commessa per importi economici al di sotto dei 20 mila euro, per servizi e forniture, o di 40 mila euro per i lavori.

Nei casi accennati è molto difficile che l’appaltatore abbia una consapevolezza dell’errore (possibile) della stazione appaltante ed è difficile stabilire la misura dell’ obbligo di diligenza/conoscenza che grava su questi. Per farla breve, il problema è quello di chiarire fino a che punto si può ritenere che questi possa essere in grado di comprendere che una data prestazione non poteva essere aggiudicata attraverso un procedimento in economia ma avrebbe dovuto essere affidata – invece - attraverso una procedura ad evidenza pubblica?

L’inefficacia del contratto nelle ipotesi meno gravi

Il problema della corretta individuazione della misura del “contributo di diligenza” che l’appaltatore deve apprestare e gli stessi rapporti di questo rispetto all’ inefficacia del contrato è destinato ad acuirsi in relazione alla disposizione contenuta nell’articolo 122 del decreto legislativo 104/2010.

A differenza della previsione contenuta nell’articolo 121 – e fuori anche dai casi in cui siano consentite le sanzioni alternative ex art. 123 dello stesso decreto legislativo - “il giudice che annulla l'aggiudicazione definitiva stabilisce se dichiarare inefficace il contratto, fissandone la decorrenza, tenendo conto, in particolare, degli interessi delle parti, dell'effettiva possibilità per il ricorrente di conseguire l'aggiudicazione alla luce dei vizi riscontrati, dello stato di esecuzione del contratto e della possibilità di subentrare nel contratto, nei casi in cui il vizio dell'aggiudicazione non comporti l'obbligo di rinnovare la gara e la domanda di subentrare sia stata proposta”.

In questo caso l’aspetto della buona fede del terzo contraente può avere una duplice valenza: in primo luogo in relazione alla stessa valutazione del giudice che non risulta vincolato (probabilmente) a statuire la privazione dell’efficacia del contratto nonostante l’annullamento dell’aggiudicazione d’altra parte (ed in modo simmetrico), la buona fede può avere rilievo ai nostri fini per l’’eventuale riconoscimento risarcitorio.

La norma, volutamente di chiusura del microsistema giuridico che sanziona con l’efficacia del contratto le intervenute violazioni del procedimento amministrativo contrattuale, appare indefinita e comprensiva di un catalogo di violazioni, anche, difficile da elencare che impone ulteriori difficoltà all’appaltatore in relazione alla conoscibilità di eventuali vizi attraverso l’ordinaria diligenza.

Alcuni recenti esempi giurisprudenziali, probabilmente, consentono di dar conto della difficoltà dell’appaltatore di acquisire consapevolezza sulla congruità o meno dell’azione contrattuale della stazione appaltante. Soprattutto quando questa si sia determinata ad utilizzare delle procedure semplificate non normativamente disciplinate. Circostanze che hanno inevitabili effetti sulla intensità dell’affidamento del contraente.

Al riguardo – a titolo esemplificativo – si possono citare due recenti pronunce del TAR Sardegna, nn. 85 e 212 del 2011, con cui si è statuito che anche nel cottimo fiduciario, la stazione appaltante è tenuta a rispettare il principio della pubblicità delle sedute di gara. Con le pronunce richiamate si è puntualizzato che l’organo valutatore deve procedere all’apertura delle buste, sia della documentazione sia delle offerte tecnico/economiche, in seduta pubblica. Nel dettaglio, nella sentenza n. 212/2011 il giudice sardo – in modo condivisibile – ha puntualizzato che il principio della pubblicità delle sedute risponde all’esigenza di garantire la trasparenza delle operazioni di gara” ed “opera, indipendentemente dal fatto che il bando lo preveda, in tutte le ipotesi in cui all’aggiudicazione si pervenga attraverso un’attività di tipo procedimentale (…) , ancorché semplificata e quindi anche in relazione ai cottimi fiduciari” ([vii]). Nel prosieguo del decisum, per completezza, si sottolinea che “l’applicazione del detto principio implica che la fase concernente l’apertura dei plichi contenenti la documentazione amministrativa e tecnica, quella di verifica della detta documentazione, e quella di apertura delle buste con le offerte economiche, debbano sempre avvenire in seduta pubblica, così da assicurare a tutti i partecipanti la possibilità di assistere alle relative operazioni a tutela del corretto svolgimento della procedura”.

Con la pronuncia in argomento, il giudice ha annullato gli atti di gara e – in applicazione dell’articolo 121 del decreto legislativo 104/2010 - ha statuito l’inefficacia del contratto eventualmente stipulato.

Come noto, l’ineccepibile ragionamento espresso nella sentenza in commento è tutt’altro che pacificamente accolto in giurisprudenza ed in dottrina. Inoltre, nella pratica operativa il cottimo fiduciario – e comunque le acquisizioni in economia - in virtù delle particolarità del procedimento, viene inteso come procedura alternativa alla gara ordinaria ed in quanto tale, per assenza di specifici richiami normativi nella disposizione generale ex articolo 125 del codice, viene ritenuto totalmente avulso dall’ordinamento giuridico degli appalti. Nella specie, in giurisprudenza - come annotato - , sono state espresse posizioni esattamente contrarie a quella appena riportata. Si pensi alla pronuncia del TAR Friuli Venezia Giulia, Trieste, sez. I, del 28 ottobre 2010 n. 716.

Nel caso di specie da ultimo citato si è affermato che “l’invocato principio di pubblicità delle gare non si estende alla procedura avente ad oggetto l'acquisizione di forniture in economia, non essendo l'osservanza di tale principio previsto dall'art. 125 del D.Lgs. 12 aprile 2006 n. 163”.

 

E’ chiaro che innanzi a queste (molteplici) difficoltà sulla individuazione della disciplina applicabile, sui vari orientamenti giurisprudenziali e circa gli stessi comportamenti contrattuali delle stazioni appaltanti, appare ben difficile che l’uso dell’ordinaria diligenza possa consentire all’appaltatore di comprendere e di acquisire una chiara consapevolezza su eventuali errori commessi dall’amministrazione aggiudicatrice.

Se appare evidente che la buona fede sia sicuramente da escludersi nel caso della violazione del principio della pubblicità delle sedute di gara nello svolgimento di un procedimento ordinario, considerazioni diverse si possono esprimere in relazione alla violazione dello stesso principio in occasione dello svolgimento di quei procedimenti semplificati riguardo ai quali la stessa giurisprudenza manifesta più di una perplessità. In questo caso (ma ciò vale anche per altri vizi “non gravi” non facilmente conoscibili da parte dell’appaltatore), probabilmente, non potrà non assumere rilievo la buona fede del terzo contraente in relazione ad un contratto – ritenuto regolare – che sia stato privato di effetti dal giudice amministrativo.


 

horizontal rule

[i] S. Ruscica L'inefficacia del contratto di appalto pubblico sul n. 3/2011 di questa rivista, pag.  http://www.lexitalia.it/p/11/ruscica_contratto.htm

[ii] S. Ruscica L’inefficacia … cit.

[iii] In questo senso, S. Ruscica Il nuovo processo degli appalti pubblici, Dike Giuridica 2010.

[iv] Salvo che la stazione appaltante si affidi al peculiare meccanismo stabilito nel comma V dell’articolo 121.

[v] In questo senso, altra autorevole dottrina, ha precisato che in presenza di “gravi violazioni, la buona fede del terzo assume carattere decisamente recessivo”, M. Lipari, Il recepimento della “direttiva ricorsi”: il nuovo processo super-accelerato in materia di appalti e l’inefficacia “flessibile” del contratto nel d. lg. n. 53 del 2010, in Foro amm., 2010, p. XCIX.

[vi] L’inciso viene ripetuto tanto nel comma 6 (lavori in economia) quanto nel comma 10 ( forniture e servizi in economia) dell’articolo 125 ed anche nel primo comma dell’articolo 330 del Regolamento attuativo del codice degli appalti DPR 207/2010.

[vii] Cfr. fra le tante, TAR Sardegna, I Sez., 28/1/2011 n. 85 e 14/6/2010 n. 1487; Cons. Stato, V Sez., 10/11/2010 n. 8006.


Stampa il documento Clicca qui per segnalare la pagina ad un amico