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Articoli e note

 

Emanuele Tringali
(Avvocato)

L’atto amministrativo virtuale.
Brevi note sulla "firma elettronica" ex art. 3 D.Lgv. 39/93.

L’evento informatico, rappresentato dall’uso dell’elettronica in ogni campo della società moderna, non poteva non coinvolgere i principi che disciplinano il procedimento amministrativo ed il sistema burocratico della Pubblica Amministrazione.

Non sfugge a nessuno, per esempio, che su ogni scrivania di un qualsiasi ufficio pubblico non manca mai un computer. Ed ancora: confrontiamo uno di quei "vecchi" certificati anagrafici (di quelli scritti integralmente ed olografamente dal buon scribano comunale, che necessitavano una ricerca tra i polverosi libri riposti negli archivi comunali, che richiedevano una "raccomandazione" del politico di turno per essere rilasciati in "appena" due giorni), con quelli che, da qualche tempo, ci vengono rilasciati "a vista" grazie ad una macchina elettronica che memorizza l’integra anagrafe comunale e che stampa il certificato in pochissimi secondi e (quasi) senza alcuna fatica dell’impiegato comunale.

Da ultimo, è noto come il Comune di Palermo abbia istituito un apposito ufficio che rilascia licenze commerciali "a vista" ed in tempo reale per le tabelle non contingentate (gioiellerie, cartolerie, ecc.) proprio grazie ad un servizio di informatizzazione delle procedure burocratiche in materia. E’ facile immaginare che tali procedure informatizzate saranno presto allargate in parecchi altri campi della burocrazia.

Sotto gli aspetti della celerità e della praticità, i cui esempi testè fatti sono stati volutamente semplificati, è certo che l’avvento dell’elettronica ha comportato un miglioramento generale della qualità complessiva del servizio offerto alla cittadinanza dall’amministrazione.

Tuttavia, per certi altri aspetti, meno "pratici", l’informatizzazione dei procedimenti amministrativi, così come regolamentata, crea non pochi problemi di rispondenza tra i criteri ed i requisiti giuridici dell’atto amministrativo (previsti a pena di invalidità, in senso ampio) da un lato, e, dall’altro lato, gli scopi di efficienza e di ottimizzazione che la macchina burocratica vuole perseguire attraverso l’informatizzazione.

Invero, i principi fondamentali che regolano l’informatizzazione della pubblica amministrazione sono stati sanciti con il D.Lgv. n. 39/93 che costituisce, per così dire, la prima disciplina organica sull’argomento, attraverso la quale il computer è stato, in un certo senso, "legittimato" giuridicamente.

La legittimazione giuridica del computer è stata peraltro, di recente confermata dal legislatore che all’art. 15 della L. 15 marzo 1997 n. 59 ha statuito che gli atti formati dalla Pubblica Amministrazione e dai privati con strumenti informatici sono validi e rilevanti a tutti gli effetti di legge.

Epperò, a ben vedere, l’elemento informatico, inteso quale sistema di utilizzo ottimale di banche dati (è questo, in ultima analisi, lo scopo di tale tecnologia, confermato dal tenore dell’art. 4 del D.Lgv. 39/93), appare fuorviato, siccome impropriamente utilizzato, dall’art. 3 del citato D.Lgv. 39/93 che testualmente recita:

"1. Gli atti amministrativi adottati da tutte le pubbliche amministrazioni sono di norma predisposti tramite i sistemi informativi autorizzati.

2. Nell’ambito delle pubbliche amministrazioni l’immissione, la riproduzione, su qualunque supporto e la trasmissione di dati, informazioni e documenti mediante sistemi informatici, nonchè l’emanazione di atti amministrativi attraverso i medesimi sistemi, devono essere accompagnate dall’indicazione della fonte e del responsabile dell’immissione, riproduzione, trasmissione o emanazione. Se per la validità di tali operazioni e degli atti emessi sia prevista l’apposizione di firma autografa, la stessa è sostituita dall’indicazione a stampa, sul documento prodotto dal sistema automatizzato, del nominativo del soggetto responsabile".

Ad onor di senso letterale, la norma sembrerebbe operare "nell’ambito delle pubbliche amministrazioni" e, quindi, soltanto "tra" ed "all’interno" delle pubbliche amministrazioni, con esclusione di ogni effetto esterno in capo direttamente ai cittadini.

Ma leggi successivamente emanate, quali, per esempio, l’art. 1 comma 87° della L. 28 dicembre 1995 n. 549, che traggono origine proprio dai principi base contenuti nel D.Lgv. 39/93, non consentono di restringere il senso e la portata del citato art. 3.

Infatti, detto art. 1 comma 87° della L. 549/95 espressamente recita:

"la firma autografa prevista dalle norme che disciplinano i tributi regionali e locali sugli atti di liquidazione e di accertamento è sostituita dall’indicazione a stampa del nominativo del soggetto responsabile, nel caso che gli atti medesimi siano prodotti da sistemi informativi automatizzati.

Il nominativo del funzionario responsabile per l’emanazione degli atti in questione, nonchè la fonte dei dati devono essere indicati in un apposito provvedimento di livello dirigenziale".

E ciò crea un problema di non poco conto: perchè, in buona sostanza, la normativa testè menzionata attribuisce valenza giuridica ad un atto amministrativo pur in mancanza del requisito dell’autografia della sottoscrizione, autografia sostituita da una "firma elettronica" (cosa, si badi!, ben diversa dalla c.d. "firma digitale" prevista dall’art. 10 del D.P.R. 513/97 che, comunque, non ha abrogato l’art. 3 del D.Lgs. 39/93).

Tale conclusione provoca sconcerto e disorientamento, atteso che sconvolge quello che è riconosciuto quale principio elementare delle regole giuridiche: quel principio secondo il quale "è giuridicamente inesistente l’atto amministrativo privo della sottoscrizione"; atto giuridicamente inesistente che, in quanto tale, è inefficace (quod nullum est, nullum producit effectum), inesecutorio, insanabile e persino inannullabile (atteso che, in quanto inesistente, non può essere annullato come, invece, avviene per gli atti che esistono benchè viziati).

Insomma, contrariamente a tutti i principi ispiratori del procedimento di formalizzazione degli atti amministrativi, secondo il tenore di che trattasi all’art. 3 del citato D.Lgv. 39/93 (ed anche dell’art. 1, comma 87° della L. 28 dicembre 1995 n. 549, che trae origine proprio dai principi base contenuti nel D.Lgv. 39/93) l’autografia della sottoscrizione non è più configurabile come requisito di esistenza giuridica dei provvedimenti, quanto meno nei casi in cui la pubblica amministrazione si serva dei sistemi informativi computerizzati. La sottoscrizione olografa viene, così, sostituita dal computer con una sottoscrizione elettronica che attribuisce all’atto una "paternità" virtuale.

Una simile conclusione non appare immune da vizi di legittimità costituzionale.

Sembrerebbe che il legislatore, nella foga di sviluppare una normativa compiuta, regolatrice dei nuovi sistemi di informatizzazione nella Pubblica Amministrazione, non abbia sufficientemente attenzionato le conseguenze, anche sul piano logico, di una simile innovazione.

E’ ovvio, infatti, che la ratio che induce a imporre la sottoscrizione olografa di un atto è quella di potere fornire la prova, al di là di ogni ragionevole dubbio, dell’esistenza dell’atto stesso, garantendo a chiunque vi abbia titolo la possibilità di verificare detta esigenza.

Orbene, se tale esigenza di certezza appare senz’altro rispettata dalla standardizzazione informativa del provvedimento e dalla forma elettronica del suo contenuto nelle ipotesi in cui il funzionario responsabile vi appone personalmente la firma, non altrettanto può dirsi di un documento sottoscritto con firma elettronica meccanicamente riprodotta (e da chiunque riproducibile!) su tale atto amministrativo.

Insomma, nulla rileva circa la maniera (rectius: la "formalità") con cui viene ad esistenza il contenuto di un atto amministrativo (ed, anzi, l’uso dei sistemi informatici semplifica il procedimento, snellendolo e rendendolo più efficace), ma a condizione che l’atto amministrativo finale conservi quel grado di sicurezza e di affidabilità (rectius: la "forma") che soltanto la sottoscrizione olografa del responsabile può attribuirgli.

Invero, la questione della sicurezza e dell’affidabilità di una sottoscrizione computerizzata è stata (parzialmente) affrontata dal citato art. 10 del D.P.R. n. 513/97 con la previsione della c.d. "firma digitale" (che, si ripete, è cosa ben diversa dalla "indicazione a stampa" prevista dall’art. 3 del D.Lgs 39/93). Epperò, per inciso, tale questione non appare soddisfatta, in special modo per ciò che riguarda il problema della "verifica di attendibilità" di tale "firma digitale", problema che rimane difficilmente risolvibile soprattutto per ciò che attiene all’associabilità del nominativo, che appare quale sottoscrittore dell’atto, al provvedimento stesso; e per ciò che riguarda la non riutilizzabilità della firma, per cui non si vede come evitarne l’uso improprio se non attraverso un eventuale sistema di criptazione che, forse, finirebbe per complicare enormemente il procedimento vanificando gli sforzi di semplificazione cui tende l’informatizzazione. In ogni caso, il regolamento di cui al D.P.R. 513/97 appare, allo stato, non di immediata applicazione pratica.

Per tornare, invece, all’analisi del secondo comma dell’art. 3 del D.Lgv. 39/93, è chiaro come la mera sottoscrizione elettronica "prestampata" (anche se in chiaro) del nominativo del responsabile del procedimento e/o del soggetto che rappresenta legalmente l’ente emittente, non soddisfa certo l’esigenza imprescindibile di individuazione esatta della persona a cui attribuire la titolarità dell’atto. E ciò per il semplice motivo che non vi può essere alcuna certezza circa la paternità dell’atto ed il controllo che su di esso il responsabile del procedimento è obbligato ad esercitare. Nè, per tali motivi, l’indicazione "a stampa" del nome del funzionario potrà attribuire a quest’ultimo alcuna responsabilità in conseguenza di tale atto.

In altri termini, il computer non può sostituirsi in toto all’attività dei funzionari, ma si rende comunque necessaria un’attività umana, ancorchè limitata alla fase della sottoscrizione olografa finale, fase ultimativa di un procedimento informatizzato che conclude formalmente l’atto elettronico sancendone l’esistenza giuridica ad ogni effetto.

In caso contrario, attribuendo mera valenza alla c.d. "firma elettronica", attraverso la sostituzione della sottoscrizione olografa con l’indicazione a stampa prevista dall’art. 3 del citato D.lgv. 39/93, senza idonee metodologie alternative di controllo della paternità dell’atto, si violerebbero le garanzie di certezza e di autenticità sancite dagli artt. 24, 28, 97 e 113 della Costituzione a tutela del cittadino.

L’art. 28 della Costituzione stabilisce il principio della responsabilità personale delle persone che agiscono quali organi della Pubblica Amministrazione. Essendo l’atto amministrativo il mezzo attraverso il quale gli organi della Pubblica Amministrazione agiscono, affinchè il principio costituzionale enunciato dall’art. 28 non rimanga un quid di meramente platonico, il cittadino deve potere individuare, con certezza ed inequivocabilmente, la persona cui attribuire la paternità dell’atto. Tale certezza è esclusa qualora l’atto manchi di firma autografa perchè sostituita da una mera riproduzione a stampa del presunto autore e/o controllore della legittimità dell’atto. D’altro canto, non si vede come i funzionari possano delegare ad altri (rectius: a coloro i quali gestiscono i computers) la parte essenziale del proprio lavoro (vale a dire, la formalizzazione dell’atto attraverso l’apposizione della sottoscrizione finale), svuotando pressocchè di significato la loro stessa funzione e la loro permanenza in ufficio. A meno che i funzionari siano loro stessi gli utilizzatori del software: ma in tal caso, non si vede proprio perchè non dovrebbero sottoscrivere olografamente l’atto emanato. Del resto, proprio il carattere "personale" della responsabilità dei funzionari, a meno di non provocare una contraddizione in termini, escluderebbe categoricamente la delega ad altri della sottoscrizione dell’atto emanato.

La difficoltà di individuazione concreta del funzionario che emana l’atto amministrativo, nelle ipotesi di firma elettronica di cui all’art. 3 del citato D.Lgv. 39/93, viola il precetto costituzionale di cui al primo comma dell’art. 24, atteso che mancano le modalità di accertamento della corrispondenza tra la persona apparentemente sottoscrittrice dell’atto ed il funzionario che, in effetti, avrebbe dovuto apporre la propria firma autografa. Con ciò evidenziandosi una oggettiva difficoltà di individuare il soggetto da cui eventualmente difendersi.

Per altro aspetto, il principio contenuto nell’art. 113 della Costituzione, per cui contro gli atti della Pubblica Amministrazione è ammessa sempre la tutela giurisdizionale, proclama, sul riflesso evidente del principio dell’art. 24 e dell’art. 28, l’inviolabilità di questa tutela che non può prescindere dalla certezza circa la provenienza e l’esistenza stessa dell’atto, elementi caratterizzati esclusivamente dall’autografia del provvedimento.

Del resto, l’art. 97 della Costituzione prescrive che nell’ordinamento degli uffici pubblici siano determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari. Tali determinazioni sono condizioni per assicurare il buon andamento e l’imparzialità della Pubblica Amministrazione, ravvisandosi in esse i mezzi per raggiungere una razionale, predeterminata e stabile distribuzione dei compiti nell’interesse del servizio, facendo si che il cittadino, nel rivolgersi alla P.A. conosca con esattezza qual’è l’ufficio competente, quali sono le attribuzioni, quali le responsabilità di colui che vi è preposto e che rappresenta il pubblico potere. Pertanto, in mancanza di un atto sottoscritto olografamente da chi lo emana, può essere esclusa la corrispondenza al contenuto precettivo dell’art. 97 della Costituzione, perchè manca la certezza che il personale dirigenziale che appare quale formale emanatore dell’atto, attraverso la sottoscrizione elettronica ai sensi dell’art. 3 del citato D.Lgv. 39/93, abbia effettivamente e preventivamente esplicato le attribuzioni cui per legge era obbligato. La sottoscrizione olografa è garanzia del fatto che chi lo emana ne ha avuto formale ed effettiva conoscenza ancora prima dell’emanazione, che lo ha rivisto controllandone gli elementi di legittimità e, se del caso, corretto; a prescindere dal fatto che, nella fase endoprocedimentale, a predisporre l’atto medesimo possa essere stato un sistema informatico.

Concludendo, un computer non può legittimamente sostituirsi a tutte le funzioni di un amministratore, nè può affidarsi la paternità di un atto amministrativo ad un sistema informatico cui si demanda, ai sensi dell’art. 3 del citato D.Lgv. 39/93, fin’anche la sottoscrizione di tale atto.

Un tale atto non può che definirsi "virtuale", perchè soltanto "virtuale" ed equivoca è la sottoscrizione elettronica, che non è equivalente ad una attività materiale di valutazione autoritativa proveniente effettivamente da colui a chi è demandato tale potere.

Il sistema informatico può agevolare l’assolvimento delle funzioni pubbliche, può preparare l’atto predisponendo tutte le attività endoprocedimentali e materiali, ma non può sostituire la sottoscrizione olografa (rectius: il controllo personale e finale) nè può eliminare il concetto di "autenticità" di un atto.

Perchè, a meno che non si voglia attribuire valenza di provvedimento amministrativo ad ogni effetto di legge anche ad una telefonata o ad una registrazione su nastro magnetico, solo attraverso una firma autografa si può convalidare, attribuendogli valenza ed efficacia, il procedimento che ha portato all’emanazione dell’atto finale che, in tale maniera e con le forme di legge, diviene un vero e proprio provvedimento amministrativo completo dei "crismi" che ne attestano immediatamente ed inconfutabilmente l’autenticità; e, quindi, una reale manifestazione di volontà destinata ad influire sulla sfera giuridica dei soggetti cui il provvedimento è destinato (c.d. esistenza giuridica dell’atto).


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