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Decreto legislativo n. 80/98 - Questioni di costituzionalità
di Antonio Leo Tarasco
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SOMMARIO: 1. Il giudice amministrativo e i procedimenti sommari - 2. La speditezza processuale nell'evoluzione normativa - 3. Il procedimento monitorio alla prova - 4. Il giudice amministrativo e i poteri cautelari: il viatico dell'art. 700 c.p.c. - 5. La tutela cautelare ante causam.
1. Il giudice amministrativo e i procedimenti sommari.
E' il provvedimento amministrativo più importante degli ultimi quarant'anni. E già viaggia in affanno tra le aule dei Tribunali amministrativi regionali, rischiando di essere modificato a colpi di censure di incostituzionalità.
In Campania, ci ha pensato la I sezione del Tar, che con l'ordinanza 18 febbraio 1999 n. 445 ha rimesso all'Alta Consulta il giudizio sul sospetto di incostituzionalità dell'art. 35 co. 3 del discusso Decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80, "nella parte in cui non prevede che il giudice amministrativo, nelle controversie di cui al comma 1, può disporre i provvedimenti previsti dall'art. 186-ter del codice di procedura civile".
La pietra d'inciampo è consistita nella impossibilità per il giudice amministrativo di adottare i medesimi provvedimenti monitori previsti nel processo civile: nella specie, l'ordinanza per il pagamento di somme non contestate (art. 186-bis) e l'ordinanza di ingiunzione di pagamento o di consegna (art. 186-ter).
Infatti, a fronte del potere del G.A di condannare al "risarcimento del danno ingiusto" (almeno) nelle controversie devolute alla sua giurisdizione esclusiva (art. 35 co. 1), assumendo, se del caso, "i mezzi di prova previsti dal codice di procedura civile" (art. 35 co. 2), consulenza tecnica d'ufficio compresa, stante l'attuale quadro normativo al G.A. sarebbe inibita l'adozione dei provvedimenti monitori.
Come, infatti, osservato dai giudici remittenti, "l'art. 35 del citato d. lgs. n. 80 (…) prevede le forme ed i limiti nel cui ambito va estesa la disciplina del codice processual-civilistico nell'istruzione probatoria, demandando ad opportune modifiche del regio decreto n. 642 del 1907 gli eventuali adattamenti" determinati dalla specificità del processo amministrativo in relazione alle esigenza di celerità e concentrazione del giudizio.
"Essa tuttavia - scrive la I sez. Tar Campania - non contempla la modifica o l'integrazione delle forme e delle modalità in cui si esprime l'attività decisoria del giudice amministrativo". E' per questo che, a rigore, la domanda del ricorrente concernente l'adozione delle ordinanze di cui all' art. 186-bis e 186-ter c.p.c. per ottenere somme di denaro per prestazioni rese alla Regione Campania andrebbe disattesa.
Ma proprio lì dove finisce la norma, i magistrati amministrativi napoletani iniziano a sospettare dell'incostituzionalità dell'art. 35 co. 3 d. lgs. n. 80/98, almeno "nella parte in cui esclude il ricorso a strumenti di rapido soddisfacimento della pretesa creditoria, nonostante la sussistenza, secondo i presupposti previsti per il rito ordinario innanzi al giudice ordinario, di una elevata probabilità e fondatezza delle ragioni dedotte dal creditore".
In tal senso, l'assenza di simili rimedi processuali si porrebbe in contrasto con il fondamentale canone di ragionevolezza delle norme giuridiche che disciplinano casi analoghi (art. 3 Cost.), con il diritto alla difesa (art. 24 Cost.) e con le garanzie di giustiziabilità nelle controversie instaurate con la P.A.
Non ragiona nello stesso modo la sezione 1° ter del Tar Lazio: stessa fattispecie, ma esito di giudizio diametralmente opposto. Qualche mese prima dall'ordinanza di remissione alla Corte costituzionale, il T.A.R. LAZIO [1] ha ingiunto al Ministero dell'Interno "il pagamento delle fatture di cui in motivazione per la somma di L. 23.614.310", ex art. 186 ter c.p.c. e sulla base dell'art. 33 D. lgs. 80/98.
Non trova intoppi il Tar Lazio nell'emettere l'ordinanza ingiunzione delle somme certe e non contestate "visto l'art. 33 del D.L.vo n. 80/98 e "visto l'art. 186 ter del codice di procedura civile", per un credito "assistito dalla certezza, liquidità ed esigibilità" e che sia "assistito altresì da prova scritta". Sulla base di questa semplice "addizione giuridica" (art. 186 ter c.p.c. più art. 33 D. Lgs. 80/98), il Tribunale amministrativo romano ha ritenuto possibile ingiungere "all'Amministrazione intimata il pagamento delle fatture di cui in motivazione ... con aggiunta di interessi al saggio legale fino alla data di effettivo pagamento".
Il contrasto tra le due opposte pronunce - quella laziale e l'altra campana - ha suscitato un certo disorientamento tra i primi commentatori. Tanto che qualcuno[2] non ha esitato a criticare una "confusione di lingue dagli effetti imprevedibili". Infatti, "grazie al D. L.vo n. 80/1998, assistiamo ad una strana metamorfosi: pretori che, nella materia del pubblico impiego, sono chiamati ad applicare principi ed istituti tipicamente pubblicistici; giudici amministrativi che, nella materia dei servizi, sono alle prese con richieste di decreti ingiuntivi, solitamente di pertinenza dell'A.G.O.".
2. La speditezza processuale nell'evoluzione normativa.
Ad ogni modo, il ragionamento dei magistrati campani che ha portato alla remissione davanti alla Consulta è duplice.
Anzitutto, viene affermata l'esigenza pre-giuridica e metapositiva di garantire ai cittadini un processo rapido. A tal proposito, viene richiamato anche l'art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, che afferma il sacrosanto diritto dei cittadini ad "ascoltare" la pronuncia di una sentenza "entro un ragionevole termine".
Ma al di là di tale esigenza , che è connaturale ad ogni comunità giuridica (e non a caso è stata recepita in una Convenzione sovranazionale sui diritti dell'uomo), i giudici del Tar Campania spulciano tra le pieghe del sistema giuridico italiano, e individuano normative precise che perseguono lo scopo di concentrare ed abbreviare il procedimento, in vista di una rapida soluzione delle controversie sorte.
Si pensi alla rapida procedura per soddisfare il c.d. diritto d'accesso agli atti amministrativi, (art. 25 l. 8 agosto 1990, n. 241), per reprimere la condotta antisindacale pur se posta in essere "da una amministrazione statale o da un altro ente pubblico non economico" (art. 28 co. 6, l. 20 maggio 1970, n. 300, come modificato dall'art. 6 l. 12 giugno 1990, n 146), per risolvere questioni meramente processuali od anche di merito, purché di facile e pronta soluzione (art. 27 l. 6 dicembre 1971, n. 1034), o infine, in materia di opere pubbliche, per definire immediatamente il giudizio, anche a seguito di una richiesta di sospensione: in tal caso, i termini sono contratti della metà (art. 19 d.l. 25 marzo 1997, n. 67, convertito in legge 25 marzo 1997, n. 135)[3].
Se questa è la direzione in cui va l'evoluzione legislativa, e se questo è anche lo spirito del d. lgs. n. 80/98, che per esigenze di "celerità ed concentrazione di giudizio" ha radicato in capo al G.A. sia i poteri di annullamento dell'atto illegittimo sia quelli di condanna al risarcimento del danno ingiusto, allora mal si comprende l'esclusione dei provvedimenti di cui agli art. 186-bis e 186-ter del c.p.c., che invece garantirebbero un immediato soddisfo dei crediti non contestati (art. 186-bis c.p.c.) o di quelli per i quali sia stata raggiunta la prova scritta (art. 186-ter), contribuendo così a snellire notevolmente attività del collegio.
3. Il procedimento monitorio alla prova.
Paradossalmente, a fronte dell'alluvione di commenti sul d. lgs. 80/98, pochi sono stati gli studiosi che si sono interrogati sull'estensibilità al processo amministrativo delle tecniche monitorie tipiche del processo civile, cogliendo l'occasione offerta dallo "spirito acceleratorio" del d. lgs. 80/98.
Dal canto suo, la maggioranza della dottrina si è dilungata nel segnalare meraviglie e limiti dell'ampliamento della giurisdizione esclusiva e ad interrogarsi (escatologicamente) sul futuro degli interessi legittimi e del riparto di giurisdizione[4].
Pochi sono stati, invece, (ed in ogni caso scarso è stato lo spazio dedicato) i giuristi che si sono chiesti come fare a massimizzare la speditezza del processo amministrativo, visto che "la dilatazione dei tempi comporta comunque un minor grado di effettività della tutela giurisdizionale"[5].
Anzi, alcuni autori (Follieri) hanno temuto che nel passaggio di attribuzioni dal giudice civile al giudice amministrativo "si perderebbero alcuni efficaci strumenti di tutela, quali la possibilità del decreto ingiuntivo, del sequestro conservativo, dei provvedimenti cautelari innominati, delle ordinanze di cui agli artt. 186-bis, ter e quater c.p.c."[6].
Se, invece, la Corte costituzionale si mostrerà sensibile alle esigenze di celerità e speditezza connaturali ad ogni procedimento giudiziario, il passaggio di competenza dal G.O. al G.A. delle questioni concernenti i famigerati ed intoccabili diritti patrimoniali consequenziali potrà costituire l'occasione per una piena equiparazione tra il processo civile e quello amministrativo.
In tal senso, alcuni autori si sono domandati se, mutando i poteri istruttori del G.A., ora ricomprendenti anche i normali mezzi probatori del processo civile, il giudice amministrativo sia autorizzato "anche alla emissione, ai sensi del c.p.c., di una eventuale ingiunzione di pagamento nei limiti in cui si ritenga già raggiunta la prova del danno su an e quantum a conclusione della fase cautelare. Sotto questo aspetto, il giudizio cautelare potrebbe essere esaltato nella sua funzione 'anticipatoria' del risultato di merito"[7].
Nella stessa direzione altra parte della dottrina, per la quale "non si vedono ragioni ostative per l'applicazione, in sede di processo cautelare amministrativo, dell'art. 186-bis c.p.c."[8]. Per tali autori, infatti, l'estensione dei mezzi processual-civilistici potrà avvenire non solo mediante l'applicazione diretta degli istituti del c.p.c. ma anche mediante l'adattamento di alcuni di tali istituti al giudizio amministrativo, "per mezzo di una interpretazione razionale e sistematica delle disposizioni sul processo amministrativo, che tenga conto della tutela che nel sistema passato ricevevano le situazioni giuridiche ora attribuite al G.A., tutela che la riforma non ha inteso sacrificare"[9].
Se risultasse percorribile questa strada, il giudizio di incostituzionalità del d. lgs. n. 80/98 potrà non essere del tutto scontato, potendo l'Alta Corte affermare l'immediata applicabilità degli istituti processual-civilistici, senza così dichiarare l'incostituzionalità della norma ma emanando soltanto una sentenza interpretativa di rigetto, di sostanziale accoglimento delle ragioni poste alla base della remissione da parte dei giudici napoletani.
4. Il giudice amministrativo e i poteri cautelari: il viatico dell'art. 700 c.p.c.
In realtà, il problema dell'ammissibilità del procedimento monitorio di cui agli artt. 186-bis e 186-ter del c.p.c. fa da pendant a quello dei poteri specificamente cautelari del giudice amministrativo, entrambi finalizzati - seppur con le loro lampanti differenze - a rendere giustizia nel più breve tempo possibile[10].
Infatti, il kit cautelare del magistrato amministrativo è - come noto alla dottrina - "molto limitato e fortemente tipizzato", risolvendosi unicamente nella sospensione dell'atto che sia stato previamente impugnato; pertanto, la tutela cautelare non potrebbe - a rigore - investire un atto o un comportamento dell'Amministrazione non impugnato ed insuscettibile di impugnatività.
Per questo, seppur con una punta di esagerazione, potremmo dire che i maggiori nodi del processo amministrativo (sono consistiti e) consistono nella mai raggiunta equiordinazione tra processo amministrativo e processo civile, almeno in relazione ai poteri di cui è dotato il G.A.
Come tutti ricorderanno, ne è passato di tempo prima di arrivare ad ammettere l'esperibilità dei c.d. provvedimenti cautelari innominati anche nel processo amministrativo!
Infatti, le sospensioni di cui all'art. 21 u.c. l. 6 dicembre 1971, n. 1034 ammesse della giurisprudenza amministrativa in presenza di dinieghi o di ammissioni della P.A. hanno il limitato scopo di "tutelare interinalmente situazioni di vantaggio già godute di fatto o de jure (…) o di neutralizzare esclusioni che, quando non siano addirittura tali da impedire la realizzazione di pretese connesse all'esercizio di libertà (…) sono tali da sacrificare interessi strumentali" [11], ma in nessun caso esse hanno per scopo di realizzare il soddisfacimento sostanziale delle pretese delle parti.
Proprio in ragioni di tali limitazioni processuali, e per riconoscere una tutela ai diritti soggettivi anche in assenza di un atto amministrativo impugnabile, dottrina e giurisprudenza si sono poste il problema della spendibilità del rimedio ex art. 700 c.p.c. I magistrati amministrativi avevano compattamente escluso l'utilizzabilità di rimedi diversi dalla sospensione dell'atto, nonostante la dottrina fosse favorevole all'applicazione analogica dell'art. 700, almeno nei limiti della tutela dei diritti.
A questa accorata richiesta di giustizia anticipatoria rispose la Corte costituzionale con la storica sentenza 28 giugno 1985, n. 190, con la quale vennero pacificamente ammessi i c.d. provvedimenti cautelari innominati.
Venne perciò dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 21 u.c. l. Tar nella parte in cui "limitando l'intervento d'urgenza del giudice amministrativo alla sospensione dell'esecutività dell'atto amministrativo impugnato, non consente al giudice di adottare nelle controversie patrimoniali in materia di pubblico impiego, sottoposte alla sua giurisdizione esclusiva, i provvedimenti d'urgenza che appaiano secondo le circostanze più idonei ad assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione sul merito, quante volte il ricorrente abbia fondato motivo di ritenere che durante il tempo necessario alla prolazione della pronuncia di merito il suo diritto sia minacciato da un pregiudizio imminente ed irreparabile".
La sentenza della C. cost. n. 190/85 fu salutata (Nigro) come un'autentica "conquista" del processo amministrativo.
Se conquista fu quella di quattordici anni fa, non è esagerato parlare oggi di nuova battaglia per far guadagnare al processo amministrativo un altro gradino di snellezza e velocità.
L'evoluzione giurisprudenziale [12] e le concrete esigenze della vita processuale sono addirittura nel senso di anticipare via via la definizione del merito della controversia proprio alla fase cautelare, vista l'irreversibilità di numerose fattispecie in assenza di una tempestiva pronuncia del G.A., seppur sulla scorta di una cognizione del tutto sommaria. In tal modo, la decisione del G.A. viene "scolpita in modo definitiva; e la sospensiva, da strumento di preservazione dell'effettività della giustizia, diventa strumento direttamente dispensatore di giustizia (sommaria)" [13].
Sicuramente, questa è una degenerazione del sistema. Ma se si riflette, essa nasce, per così dire, in buona fede, per risolvere, cioè, una patologia del sistema stesso: la lungaggine dei processi amministrativi e la inutilità di una sentenza pronunciata quando la lesività del provvedimento (o del diniego del provvedimento) si è definitivamente consolidata, rendendo inutiliter data ogni successiva pronuncia giurisdizionale.
5. La tutela cautelare ante causam
E' questa l'esigenza che ha portato all'emanazione della storica sentenza n. 190/85. E le stesse necessità pratiche ma anche di principio (medesima dotazione dei mezzi processuali per il giudizio civile e quello amministrativo) stanno alla base del tentativo della giurisprudenza di valicare un altro baluardo del giudice civile: quello dell'applicabilità della tutela cautelare ante causam, come disciplinata dagli artt. 669 bis e ss., e 700 e ss. del c.p.c.
Il Tar Lombardia[14], infatti, ha di recente rimesso alla Consulta la questione di costituzionalità dell'art. 21 l. Tar, nella parte in cui esclude l'esperibilità di siffatta tutela anche al processo amministrativo.
I primi commenti della dottrina sono nel senso di condividere le censure di disparità di trattamento mossi alla c.d. Bassanini ter (d. lgs. n.80/98), soprattutto dopo aver osservato che i provvedimenti ante causam sono sparsi un po’ in tutti i principali rami dell'ordinamento, dal processo penale al processo tributario (quest'ultimo modellato sulla falsariga di quello amministrativo), per non parlare degli ordinamenti giuridici stranieri.
Infatti, "se è possibile trasferire semplicemente un intero settore di contenzioso dal giudice amministrativo al giudice ordinario, in dipendenza di mutate valutazioni in ordine al ruolo della pubblica amministrazione e alla natura del rapporto d'impiego, non è dato di comprendere come siano giustificabili (…) disparità di trattamento per ciò che concerne la tutela processuale"[15].
Se il giudice amministrativo tende sempre più ad affermarsi come il giudice ordinario della P.A., almeno nei settori deferiti in toto alla sua giurisdizione, una differenziazione dei poteri processuali non pare né ammissibile in linea astratta né tollerabile in concreto.
Di violazione del principio del contraddittorio di certo non può parlarsi: la fase di contraddittorio, infatti, non sarebbe che differita ad un tempo successivo. Né tantomeno si può considerare il provvedimento ex art. 669 bis c.p.c. equiparabile all'abbreviazione dei termini per la fissazione della Camera di consiglio: un conto è convocare un collegio, un altro conto è convocare un organo monocratico.
Non tiene i tempi nemmeno l'accusa secondo cui mediante i provvedimenti cautelari ante causam si sacrificherebbe l'oralità del procedimento. Tutti sanno che "la trattazione orale non ha più l'importanza di un tempo"[16]. Pur in sede di piena cognizione della causa, le udienze ordinarie diventano sempre più degli appuntamenti dovuti e sempre meno necessarie, anche grazie alla completezza documentale consentita dalla diffusione dell'informatica giuridica.
Ma anche per i provvedimenti cautelari ante causam come per quelli monitori la soluzione, in fondo, potrebbe essere più semplice di quanto non sembri in apparenza.
Una volta introdotta la tutela cautelare innominata anche nel processo amministrativo, infatti, la Corte potrebbe pure dichiarare l'immediata operatività della disciplina processuale conseguente, e quindi del procedimento di cui agli artt. 669 bis e ss. e 700 c.p.c.: allo stesso modo, in tal caso la sentenza sarebbe interpretativa di rigetto, e non di pura incostituzionalità.
Se così non fosse, sarebbe più che fondata una declaratoria di illegittimità costituzionale dell'art. 21 l. Tar, per disparità di trattamento (art. 3 Cost.), violazione del diritto di difesa (art. 24 Cost.), diniego di giustizia amministrativa (art. 113 Cost.).
Antonio Leo Tarasco
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[1] Tar Lazio, Sez. I ter - Ordinanza 10 dicembre 1998 n. 3444 - Pres. Mastrocola, Est. Mele - Ditta Pompili Luigi (Avv. Giannarini) c. Ministero dell'Interno (Avv. Stato Macaluso), in www.lexitalia.it
[2] E' Giovanni Virga, che dal suo formidabile sito Internet di Diritto amministrativo (http:\\www.lexitalia.it) scrive, commenta ed anticipa.
[3] Per un dibattito sull'art. 19 del d.l. 67/97, si vedano in particolare Consiglio di Stato, sez. V, 4 luglio 1997, n. 771; Tar Calabria, sez. Reggio Calabria, 30 luglio 1997, n. 620, in Foro italiano, 1998, III, 50, con nota di M. Occhiena; Tar Lombardia 2 febbraio 1998, n. 144, in Foro italiano, 1998, 274; Picozza E. - X. Santiapichi, Alcune riflessioni sulla "miniriforma" del processo amministrativo, in Corriere giuridico, 1998, 1228
[4] Si vedano, ad esempio, Angeletti A., Il risarcimento degli interessi legittimi e la Corte costituzionale: un'ammissibilità rinviata a miglior occasione, in Giurisprudenza italiana, 1998, 1929 e ss. ed in www.lexitalia.it ; Virga G., Le riforme a metà, in Giust. amm. sic. n. 1/1998, 286 e ss. ed in www.lexitalia.it ; Veneziano S., La giurisdizione esclusiva: i servizi pubblici, in www.diritto.it; Satta F., Il decreto legislativo n. 80 del 1998, in www.diritto.it (Il testo è quello della relazione letta nell'incontro di studio organizzato a Roma dalle Associazioni Magistrati del Consiglio di Stato e dei Tribunali amministrativi il 5/6/1998 nel Palazzo Spada)
[5] Veneziano S., L'art. 35, commi 2 e 3, del D. leg.vo n. 80/1998 ed alcuni altri profili processuali della riforma, in www.diritto.it (Il testo è tratto dall'intervento svolto nella tavola rotonda a Palermo, il 10/10/1998, presso la sede del Tar Sicilia)
[6] Barbagallo G., Il nuovo riparto di giurisdizione: una scelta coerente, in Corriere giuridico, n. 12/1998, 1474: il testo è tratto dalla relazione tenuta al convegno organizzato dalla cattedra di Istituzioni di diritto privato della Facoltà di economia di Cagliari sul tema "La tutela di diritto privato nel nuovo riparto di giurisdizione", svoltasi a Cagliari il 26 settembre 1998
[7] Buricelli M., Decreto legislativo n. 80 del 1998 e giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo: risarcimento del danno e norme processuali, in www.diritto.it (Il testo è quello della relazione letta nell'incontro di studio organizzato a Roma dalle Associazioni Magistrati del Consiglio di Stato e dei Tribunali amministrativi il 5/6/1998 nel Palazzo Spada)
[8] Barbagallo G., Il nuovo riparto di giurisdizione, cit., 1474
[9] Barbagallo G., Il nuovo riparto di giurisdizione, cit., 1474
[10] Per un rapido excursus delle differenze tra i vari procedimenti speciali, v. Gianturco G., Diritto processuale amministrativo, IX ed., Napoli, Edizioni Simone, 1997, 497 e ss.
[11] Sandulli M.A., La giustizia cautelare sugli interessi legittimi "apre" all'art. 700 c.p.c.?, in Giustizia civile, n.5/1998, 236
[12] Si veda in proposito Tar Lombardia, sez. II, ord. 21/10/1997, n. 2015, (riportato in Caringella F., Nuovi percorsi monografici di diritto amministrativo, Napoli, 1998, Ed. Simone, 1222) che ha affermato la possibilità di adozione, da parte del G.A., di un provvedimento di urgenza ex art. 700 c.p.c. anche al di fuori dell'ambito della giurisdizione esclusiva.
[13] Caringella F., Nuovi percorsi monografici di diritto amministrativo, Ed. Simone, Napoli 1998, 1233 e 1234
[14] Tar Lombardia, ordinanza n. 1 del 30 giugno 1998, in Diritto processuale amministrativo, 1998, 724 e ss.
[15] Gallo C.E., Alla Corte costituzionale il problema della possibilità di provvedimenti cautelari ante causam nel processo amministrativo, in Diritto processuale amministrativo, n. 4/98, 858.
[16] Gallo C.E., Alla Corte costituzionale il problema della possibilità di provvedimenti cautelari ante causam, cit. 858.
V. la pagina di approfondimento dedicata al D.l.vo n. 80/98.