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n. 6/2006 - ©
copyright
MARCO
SMIROLDO
(Magistrato della Corte dei conti)
La
domiciliazione degli Atenei ai fini
delle notificazioni di atti e provvedimenti giudiziali
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SOMMARIO: 1.- Il problema della domiciliazione degli Atenei: la soluzione delle Sezioni Unite della Cassazione. 2.- La natura giuridica delle Università: da organi dello Stato a enti pubblici autonomi. 3.- I limiti dell’autonomia normativa delle Università in materia di rappresentanza e difesa in giudizio: l’incompetenza del Regolamento d’Ateneo e le possibili aperture verso il riconoscimento della competenza dello Statuto d’autonomia. 4.- Le possibili prospettive evolutive del principio del naturale domicilio legale dell’Ateneo: la domiciliazione dell’Università e nell’Università.
1.- Il problema della domiciliazione degli Atenei: la soluzione delle Sezioni Unite della Cassazione.
Con la sentenza n. 10700 del 10 maggio 2006 (in questa Rivista, http://www.lexitalia.it/p/61/casssu_2006-05-10-2.htm) le Sezioni unite della Cassazione hanno affrontato uno dei temi più delicati tra quelli che concernono la rappresentanza e difesa in giudizio delle Università pubbliche, stabilendo che il luogo di domiciliazione degli Atenei ai fini della notificazioni di atti e provvedimenti giudiziali è la loro sede legale e non la sede dell’Avvocatura dello Stato territorialmente competente.
Prima di fissare il principio di diritto, la Cassazione ha esaminato la disciplina della rappresentanza e difesa in giudizio delle amministrazioni pubbliche disegnato dal r.d. 30.10.1933 n. 1611 (T.U. delle leggi sulla rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato e sull'ordinamento dell'Avvocatura dello Stato), chiarendo i termini essenziali della fondamentale dicotomia esistente tra patrocinio ope legis (artt. 1 – 11, T.U. 1161/33) e il patrocinio “facoltativo o autorizzato” (art. 43, T.U. 1161/33) dell’Avvocatura dello Stato.
La prima forma di rappresentanza e difesa in giudizio è prevista direttamente dalla legge (art. 1, T.U. 1161/33) per le amministrazioni dello Stato, le quali conseguentemente sono domiciliate (appunto) ope legis presso l’Avvocatura dello Stato (art. 11, T.U. 1161/33).
Il c.d. patrocinio “facoltativo o autorizzato” (art. 43, T.U. 1161/33) riguarda, invece, le amministrazioni pubbliche non statali ed enti sovvenzionati, sottoposti a tutela o vigilanza dello Stato: in questi casi, l’Avvocatura potrà assumere la rappresentanza e difesa in giudizio “sempre che ne sia autorizzata [l’Avvocatura: ndr] da disposizioni di legge, di regolamento o di altro provvedimento approvato con regio decreto”, senza necessità del mandato ad litem (art. 45, T.U. 1161/33).
In particolare, con riferimento alla domiciliazione nel caso di patrocinio “facoltativo o autorizzato”, le SS.UU hanno chiarito che l’art. 45, T.U. 1161/33 che disciplina l’esercizio delle funzioni assegnate all’Avvocatura erariale dall’art. 43, T.U. 1161/33, non richiama l’art. 11, T.U. 1161/33, e pertanto nel caso delle amministrazioni non statali non vale la domiciliazione presso l’ufficio territorialmente competente dell’Avvocatura dello Stato, ma le ordinarie regole di domiciliazione degli atti previste dal c.p.c. [1].
Ciò posto la Cassazione, superando la precedente giurisprudenza [2] che considerava come organo statale le Università, ha qualificato ora gli Atenei come “ente pubblico autonomo”.
Tale nuova configurazione, secondo l’impostazione delle SS.UU., deriva non tanto dalla loro soggettività giuridica, già riconosciuta dall'art. 1 del r.d. n. 1592 del 1933 (che in realtà attribuiva personalità giuridica agli Atenei), quanto dalla rafforzata autonomia delle Università attuata con l’entrata in vigore della legge 168 del 1989, che ha specificato le forme di manifestazione dell’autonomia universitaria.
Le Università, infatti, oltre a quella didattica, scientifica, organizzativa, finanziaria e contabile, godono ora della autonomia normativa (statutaria e regolamentare), “potestà, quest'ultima, idonea a caratterizzare le Università come ente pubblico autonomo, e non più come organo dello Stato”.
Quanto al problema specifico della rappresentanza e difesa in giudizio degli Atenei, la Cassazione ha inquadrato gli Atenei nell’ambito degli enti in favore dei quali, ai sensi dell’art. 43, R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, l’Avvocatura può assumere la rappresentanza e difesa in giudizio “sempre che ne sia autorizzata da disposizioni di legge, di regolamento o di altro provvedimento approvato con regio decreto”.
Detta autorizzazione è recata, secondo la decisione in commento, dall'art. 56 del r.d. n. 1592 del 1933, alla stregua del quale : "Le Università e gli Istituti superiori possono essere rappresentati e difesi dall'Avvocatura dello Stato nei giudizi attivi e passivi avanti l'autorità giudiziaria, i collegi arbitrali e le giurisdizioni amministrative speciali, sempreché non trattisi di contestazioni contro lo Stato."
Si delinea in tal modo per le Università un’ipotesi di patrocinio facoltativo o autorizzato prevista dall'art. 43 del r.d. n. 1611 del 1933, anche se al riguardo occorre sottolineare sin d’ora che - a rigore - nel caso dell’art. 56 r.d. n. 1592 del 1933 non si tratta di autorizzazione, ma di una possibilità (per di più) riconosciuta alle Università e non all’Avvocatura.
Infatti, l’autonomia normativa degli Atenei, secondo la ricostruzione datane dalle SS.UU. nella decisione in esame, non consente a quest’ultimi di definire la disciplina giuridica della loro rappresentanza in giudizio e dello ius postulandi, rimanendo per loro fermo comunque il c.d. patrocinio “facoltativo o autorizzato” previsto appunto dal combinato disposto degli artt. 56 r.d. n. 1592 del 1933 e 43, comma 4, del r.d. n. 1611 del 1933, con i limitati effetti previsti per tale forma di rappresentanza che, in sintesi, sono: l’esclusione della necessità del mandato; la facoltà, salvo i casi di conflitto, di non avvalersi dell'Avvocatura dello Stato con apposita e motivata delibera; l’esclusione della domiciliazione degli Atenei presso l’Avvocatura dello Stato.
La decisione delle SS.UU. fornisce una molteplicità di spunti di riflessione, in particolare per ciò che concerne la ricostruzione dei lineamenti dell’autonomia universitaria [3] tra i quali appaiono più significativi per il loro contenuto di novità, in primo luogo, quello riguardante la natura giuridica degli Atenei ed, in secondo luogo, quello concernente i limiti dell’autonomia normativa delle Università in materia di rappresentanza e difesa in giudizio.
2.- La natura giuridica delle Università: da organi dello Stato a enti pubblici autonomi.
La natura giuridica di enti pubblici autonomi delle Università – come si è visto - si fonda sulla considerazione dell’ampiezza della loro potestà normativa e regolamentare, riconosciuta dalla legge 168 del 1989, quale espressione di un grado d’autonomia che, secondo la Cassazione, consente di considerare gli Atenei fuori dal novero delle amministrazioni statali propriamente dette.
Sul punto la decisione in commento sembra porsi in una linea ricostruttiva divergente rispetto a quella fatta propria dal Consiglio di Stato, secondo la quale le Università sono (ancora) enti che non esulano dal novero delle amministrazioni statali.
Su tali posizioni è, infatti, l’ultima giurisprudenza in materia della VI Sezione del Consiglio di Stato che, con la sentenza 11 giugno 2004, n. 5810, ha riaffermato il patrocinio ope legis dell’Avvocatura dello Stato e la conseguente domiciliazione presso la medesima degli Atenei, sul presupposto che quest’ultimi non esulassero ancora [4] dal novero delle “amministrazioni statali”.
In sostanziale linea di continuità con la citata decisione si pone la successiva sentenza n. 4909 del 21 settembre 2005, sempre della Sezione VI del Consiglio di Stato, con la quale, escludendo la domiciliazione ope legis delle Università presso l’Avvocatura (in ciò anticipando sulla questione la decisione delle SS.UU.), in un obiter dictum si è confermata “la pacifica ininfluenza” della intervenuta trasformazione autonomistica dell’Università rispetto al modo di atteggiarsi della loro rappresentanza e difesa in giudizio.
In realtà, nell’attuale contesto ordinamentale tale qualificazione appare non in linea con una costante opzione normativa.
Il riferimento è ovviamente all’art. 33, comma 6, della Costituzione repubblicana [5], ed alla l. 9 maggio 1989, n. 168, istitutiva del Ministero dell’Università e della Ricerca scientifica, che all’art. 6 ha confermato la personalità giuridica degli Atenei e delineato i caratteri della loro autonomia, nel rispetto dei principi dell’art. 33 Cost. [6].
E’ tuttavia con il successivo D.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29 che il legislatore, per la prima volta, ha espressamente distinto nell’ambito delle pubbliche amministrazioni, le amministrazioni dello Stato dalle altre pubbliche amministrazioni, e tra quest’ultime ha differenziato ulteriormente le istituzioni universitarie, sottolineandone in tal modo la particolare natura giuridica.
Tale qualificazione giuridica è stata ribadita dalla legislazione successiva (D.lgs. 80 del 1998) e quindi confermata, da ultimo, dall’art. 1, comma 2, del D.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, e s.m.i., nel quale il legislatore puntualizza definitivamente la distinzione, nell’ambito delle pubbliche amministrazioni, tra amministrazioni dello Stato da un lato, e Istituzioni universitarie, dall’altro lato.
Conclusivamente, l’esame dell’evoluzione della normativa in materia dimostra che, ora anche per espressa disposizione di legge, le Università non rientrano nel novero delle amministrazioni statali [7] e quindi con la sentenza n. 107000 del 2006 le Sezioni unite della Cassazione si è quindi autorevolmente confermato un principio già presente nella vigente legislazione e che pertanto può considerarsi ormai definitivamente acquisito.
3.- I limiti dell’autonomia normativa delle Università in materia di rappresentanza e difesa in giudizio: l’incompetenza del Regolamento d’Ateneo e le possibili aperture verso il riconoscimento della competenza dello Statuto d’autonomia.
Un secondo ordine di riflessioni riguarda, come anticipato, la posizione delle SS.UU. in riferimento ai limiti che incontra l’autonomia normativa di ogni Ateneo nel disciplinare la propria rappresentanza e difesa in giudizio.
Le SS.UU., nel configurare il patrocinio “facoltativo o autorizzato” delle Università da parte dell’Avvocatura, confermano che l’art. 56 del r.d. n. 1592 del 1933, secondo il quale gli Atenei possono avvalersi dell’Avvocatura dello Stato per la loro rappresentanza e difesa in giudizio, non è stato espressamente abrogato dalla legge n. 168 del 1989 sull’autonomia universitaria, né si configura abrogazione tacita per incompatibilità, poiché detta legge non reca disposizioni in materia.
In particolare, secondo le SS.UU. in ordine alla disciplina della rappresentanza e difesa in giudizio delle Università non possono assumere rilevanza disposizioni eventualmente adottate dagli Atenei con fonte regolamentare, volte ad escludere il patrocinio dell’Avvocatura dello Stato in deroga alla disciplina fissata dagli art. 56 del r.d. n. 1592 del 1933 e 43 del r.d. n. 1611 del 1933.
Non giova richiamare al riguardo l’art. 7, comma 11, della legge n. 168 del 1989, secondo cui, per ciascuna Università, con l’emanazione del regolamento di ateneo, cessano di aver efficacia le disposizioni legislative e regolamentari con esso incompatibili. Ai sensi del precedente comma 7, il regolamento di ateneo può infatti dettare soltanto norme per l’amministrazione, la finanza e la contabilità, anche in deroga alle norme sull’ordinamento contabile dello Stato e degli enti pubblici, e non può quindi recare norme in materia processuale suscettive di derogare a norme di tale natura.
La Cassazione in tal modo precisa quali siano gli ambiti di possibile intervento delle fonti d’autonomia normativa delle Università nel disciplinare la loro rappresentanza e difesa in giudizio.
Il principio affermato in materia assume particolare rilevanza atteso che la tutela giurisdizionale è il necessario complemento di ogni autonomia garantita, ed è innegabile che la disciplina della individuazione del soggetto cui conferire la rappresentanza in giudizio e lo ius postulandi incida in maniera significativa sulle forme di manifestazione di tale autonomia [8].
Così, può ritenersi in linea col sistema delle fonti di produzione del diritto disegnato dalla Costituzione (art. 33 Cost.) la posizione della Cassazione riguardo all’impossibilità per i regolamenti d’Ateneo di recare norme in materia processuale suscettive di derogare alla disciplina fissata dagli art. 56 del r.d. n. 1592 del 1933 e 43 del r.d. n. 1611 del 1933.
L’espresso riferimento contenuto in sentenza alla sola fonte regolamentare induce a ritenere che le SS.UU. – seppur implicitamente – abbiano la sciata aperta la possibilità che si giunga ad una diversa conclusione con riferimento alla competenza dello Statuto d’autonomia degli Atenei a disciplinare la rappresentanza processuale e regolamentare lo ius postulandi, tenendo conto dell’articolazione istituzionale propria di ogni singola Università.
Al riguardo occorre rilevare che l’Università è un ente autonomo con proprio Statuto, atto d’autonomia normativa cui la Costituzione riconosce la legittimazione a porre le regole dell’ordinamento autonomo dell’Ateneo “nel rispetto dei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato” (art. 33, comma 6, Cost.), leggi che per porre tali limiti efficacemente devono riferirli espressamente alle Università (art. 1, comma 2, l. n. 168 del 1989).
Con riferimento alla rappresentanza e difesa in giudizio delle Università, in realtà, non sembra possa rintracciarsi una norma diversa dall’art. 56 del r.d. n. 1592 del 1933 che disciplini detta materia, e quest’ultima – come si è visto – prevede una possibilità per l’Università, e non un obbligo, di avvalersi del patrocinio dell’Avvocatura.
Infatti, dall’esame del tenore letterale e normativo del testo della disposizione non è possibile riscontrare alcuna autorizzazione per l’Avvocatura ad assumere la rappresentanza e difesa delle Università. Pertanto non può a rigore ritenersi l’art. 56 del r.d. n. 1592 del 1933 quale norma che integra i presupposti previsti dall’art. 43 del R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, per l’operatività del patrocinio autorizzato dell’Avvocatura nei confronti degli Atenei.
In realtà, il sistema si compone e chiarisce proprio operando un distinguo sul piano tecnico-giuridico tra “patrocinio facoltativo” e “patrocinio autorizzato”.
Così, al primo (“patrocinio facoltativo”) deve ricondursi la rappresentanza e difesa in giudizio degli Atenei, proprio perché la “possibilità” loro data dalla legge di avvalersi dell’Avvocatura costituisce una facoltà, espressione dell’esercizio della loro autonomia costituzionalmente riconosciuta. Da tale ricostruzione consegue che non sarà necessaria una delibera motivata per non avvalersi dell’avvocatura, in quanto la scelta del soggetto al quale conferire il potere rappresentativo e lo ius postulandi rappresenta, nella valutazione legislativa, un atto che rientra nella sfera d’autonomia (ora anche) costituzionalmente garantita delle Università [9], e pertanto, per gli Atenei il patrocinio erariale rappresenta uno dei possibili modi di stare in giudizio, al pari di quello che si realizza attraverso il ministero di un avvocato del libero foro.
Al “patrocinio autorizzato” faranno invece ricorso le altre amministrazioni pubbliche per le quali l’Avvocatura – che in astratto incontrerebbe un limite all’esercizio del proprio ufficio in favore di quegli enti - abbia l’autorizzazione – che detto limite rimuove - ad assumerne la rappresentanza e difesa in giudizio. Al riguardo è bene sottolineare, conclusivamente, che il R.D. 8 giugno 1940, n. 779, non riporta le Università tra gli enti per i quali si è confermata per l’Avvocatura l’autorizzazione in parola.
Così, se e nei limiti in cui la ricostruzione proposta può ritenersi condivisibile, può concludersi che l’Ordinamento non contiene limiti legali espressamente incidenti sull’autonomia normativa degli Atenei in materia di rappresentanza e difesa in giudizio, consentendo allora di affermare che sul punto lo Statuto può legittimamente disciplinare le regole che attengono al conferimento del potere rappresentativo in giudizio e lo ius postulandi.
Lo Statuto delle Università, infatti, al pari di quello dei Comuni, è una fonte d’autonomia normativa dell’ente costituzionalmente garantita, che si inquadra tra le fonti sub primarie che trovano copertura e legittimazione direttamente nella Costituzione.
Per confermare quanto detto in ordine alla possibilità dello Statuto di un Università di disciplinare la propria rappresentanza e difesa in giudizio, è possibile allora richiamare - stante l’evidente eadem ratio decidendi - quanto statuito dalle Sezioni Unite, superando il precedente (e più restrittivo) orientamento giurisprudenziale, con la sentenza n. 12868 del 16/06/2005, secondo la quale la rappresentanza in giudizio del comune ad opera del sindaco non è più esclusiva, perché lo statuto del Comune (atto a contenuto normativo di rango paraprimario o subprimario, la cui conoscenza appartiene alla scienza ufficiale del giudice) può legittimamente affidarla ad altri soggetti, tra cui i dirigenti.
4.- Le prospettive del principio del naturale domicilio legale dell’Ateneo: la domiciliazione dell’Università e nell’Università.
Da ultimo non sarà inutile gettare uno sguardo prospettico sulle possibili ricadute che la soluzione accolta in materia di domiciliazione degli Atenei pubblici da parte delle Sezioni unite della Cassazione potrà determinare in ordine alla concreta individuazione del domicilio legale dell’Università in relazione alla sua propria specifica articolazione istituzionale.
Al riguardo, per completezza, occorre ricordare che nell’individuare nella sede legale dell’Ateneo il luogo esclusivo di notificazione degli atti giudiziali le Sezioni unite della Cassazione si pongono in ideale linea di continuità con una precedente decisione in subiecta materia del Consiglio di Stato [10], nella quale si era affermato la validità della notifica “diretta” dell’originario ricorso nei confronti dell’Università presso il suo “naturale” domicilio legale.
A tale conclusione la giurisprudenza amministrativa giungeva, superando una precedente decisione [11], ponendo in evidenza che se è necessaria la “conoscibilità generale ex ante” del domicilio legale presso l’Avvocatura, allora tale conoscibilità è concepibile solo ed esclusivamente per le Amministrazioni dello Stato, per quelle Amministrazioni cioè per le quali la legge stessa prevede in via generale l’esclusivo patrocinio dell’Avvocatura erariale.
In tale contesto il Consiglio di Stato chiariva che tale norma di generale privilegio non era collegabile all’ipotesi in cui pubbliche amministrazioni si possano solo “avvalere” di tale patrocinio, di per sé non necessariamente conoscibile da parte di terzi e la cui artificiosa estensione renderebbe difficilmente plausibile l’allargamento di un privilegio concepibile solo per le Amministrazioni dello Stato in senso tecnico, in quanto solo per quest’ultime espressamente previsto dalla legge.
La distinzione prospettata trovava, peraltro, la sua logica corrispondenza nell’altrettanto nota distinzione tra rappresentanza e difesa “attiva” e quella “passiva”, cioè tra l’esercizio del patrocinio in veste di attore o di convenuto, per cui, nell’ambito del patrocinio “facoltativo” ex lege la conseguente domiciliazione può essere giustificata (quale conseguenza “fisiologica” della rappresentanza facoltizzata dalla legge), solo nella prima ipotesi (in cui si porta a conoscenza del convenuto l’effetto domiciliatorio), ma non nella seconda in cui l’attore non può considerarsi (ex lege) edotto dell’avvenuto “avvilimento” da parte dell’Amministrazione (non statale) e del relativo domicilio (diverso da quello della sede legale dell’Amministrazione).
La ‘conoscibilità generale ex ante’ del domicilio legale, da individuarsi nella sede dell’Ateneo, rileva, in realtà, non solo per le esigenze di tutela dei terzi nei rapporti con l’Università e le sue articolazioni istituzionali (Facoltà, Dipartimenti, etc.), ma anche per assicurare sia una compiuta garanzia degli interessi della comunità universitaria, sia – in prospettiva – l’affermarsi di un principio di generale tutela giuridica e giudiziaria degli interessi che trovano una loro sintesi rappresentativa nelle singole articolazioni istituzionali presenti all’interno dell’Università.
Nell’attuale sistema istituzionale, disegnato dall’ art. 33, comma 6, Cost., e art. 6, comma 1, l. 9 maggio 1989, n. 168 [12], le Università sono enti esponenziali di comunità composite (docenti, personale tecnico-amministrativo, studenti), intestatarie di interessi pubblici qualitativamente e quantitativamente differenziati [13], e potenzialmente anche confliggenti [14], che trovano una loro istituzionalizzazione nella creazione, p. es., di Facoltà, Dipartimenti, Istituti, etc., e che devono conseguire forme di adeguata tutela non solo rispetto agli interessi dello Stato - persona, ma anche riguardo a quelli di altri enti pubblici non statali, siano essi territoriali [15], locali, istituzionali, economici, ora anche strutturati su moduli operativi ed istituzionali tipici del diritto privato.
Limitando in questa sede l’accenno alle tematiche che riguardano i rapporti con i terzi, occorrerà verificare, in relazione alla specifica articolazione istituzionale delle singole Università così come configurata dallo Statuto, il rilievo che all’interno di questa assume il grado di autonomia di ciascuna struttura e, soprattutto, la capacità (autonomia) che lo statuto assicura a ciascuna di esse di divenire titolare diretta di rapporti giuridici (attivi e passivi) con soggetti terzi.
Per fare un esempio, se il direttore di un Dipartimento universitario, al quale lo Statuto d’autonomia riconosce la capacità di ordinare, a valere sui fondi del bilancio dipartimentale, spese per la ricerca, conclude in nome e per conto del Dipartimento – e non dell’Università – un contratto e quindi si rende inadempiente, a quale articolazione istituzionale andrà notificato l’atto introduttivo del giudizio: al Dipartimento, in persona del suo legale rappresentante, che ha contratto il debito inadempiuto, ovvero al Magnifico Rettore dell’Università della quale fa parte il Dipartimento, che della procedura negoziale non conosce neanche l’esistenza?
Si sarebbe tentati di rispondere, in via di prima battuta, e salvo chiaramente il diverso avviso che sul punto si determinerà in giurisprudenza, che nell’esempio proposto forse l’atto introduttivo va notificato al Dipartimento, per mancanza di titolarità del rapporto controverso in capo al Rettore.
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[1] La soluzione accolta dalle SS.UU. era stata proposta in un nostro precedente scritto al quale ci si permette di rinviare: M. SMIROLDO, Il patrocinio e la domiciliazione degli Atenei pubblici nella giurisprudenza del Consiglio di Stato, in Il Consiglio di Stato, n. 3, marzo 2005.
[2] Ci si riferisce a precedenti pronunce della Cassazione la quale, qualificando gli Atenei come pubbliche amministrazioni non statali, aveva ritenuto che la rappresentanza e difesa in giudizio di un’Università degli Studi statale, ove non sussista conflitto con lo Stato o con le Regioni, spetti ope legis all’Avvocatura dello Stato[2], in forza del combinato disposto dell’art. art. 56, comma 1, del R.D. 31 agosto 1933, n. 1592, e dell’art. 43 del R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, e s.m.i.: così, Cass. civ., sez. I, 26 gennaio 2001; Cass. civ., sez. lav., 18 agosto 1997, n. 7649.
[3] Tra i numerosissimi contributi in materia d’autonomia universitaria v., BAIDUZZI, Autonomia dell'istruzione ed autonomia regionale dopo la riforma del titolo v della costituzione - L'autonomia universitaria dopo la riforma del Titolo V della Costituzione, in Istituzioni del federalismo, 2004, fasc. 2-3, pp. 263; SILVESTRI, L'autonomia universitaria tra vecchi e nuovi centralismi, in Quaderni costituzionali, 2002, fasc. 2, pp. 335-336; CORPACI, Ambito e contenuti dell' autonomia universitaria alla luce della recente legislazione di riforma, in Il foro italiano, 1993, fasc. 2, pt. 5, pp. 102-122; SACCOMANNO, L'autonomia universitaria fra principi costituzionali e riforme "in itinere", in Politica del diritto, 1991, fasc. 1, pp. 137-178; OCCHIOCUPO, Costituzione e autonomia normativa delle Università. Relazione al convegno promosso dall' Associazione italiana dei costituzionalisti ed organizzato dall' Università degli studi di Bologna sul tema: "L' autonomia universitaria", Bologna, 25 novembre 1988, in Il foro italiano, 1990, fasc. 6, pt. 5, pp. 252-263; FOIS, Intervento, in L’autonomia universitaria, Atti del Convegno dell’Associazione italiana dei costituzionalisti (Bologna, 25-26.11.1988), Padova, 1990, 66 ss.; PALADIN, Stato e prospettive dell' autonomia universitaria, in Quaderni costituzionali, 1988, fasc. 1, pp. 161-181; POTOTSCHNIG, L' autonomia universitaria: strutture di governo e di autogoverno. Relazione al III convegno annuale dell' Associazione italiana di costituzionalisti, Bologna, 25 novembre 1988, in Giurisprudenza costituzionale, 1988, fasc. 11-12, pp. 2305-2315; MAZZIOTTI DI CELSO, L' autonomia universitaria nella costituzione. Relazione tenuta al convegno sul sistema universitario statale del Lazio, Roma, 14-16 aprile 1980, in Diritto e società, 1980, fasc. 2, pp. 229-246; MODUGNO, Riserva di legge e autonomia universitaria, in Dir. e soc., 1978, 758; CORREALE, L' autonomia universitaria, in Il foro amministrativo, 1977, fasc. 3, pt. 1, pp. 597-629.
[4] In effetti, l’inclusione delle istituzioni universitarie tra gli organi dello Stato può esser predicata solo in una prospettiva storica, ossia facendo riferimento all’ordinamento dell’Italia preunitaria, nell’ambito del quale le strutture universitarie, pur dotate di limitata autonomia tecnica, operavano alla stregua di veri e propri organi dello Stato.
Tale condizione rimase confermata per le Università anche successivamente all’entrata in vigore della c.d. “Legge Casati” (l. 13 novembre 1859, n. 3725), la quale, accomunando in un’unica disciplina l’intero comparto dell’istruzione pubblica, riaffermò il mancato riconoscimento di qualunque autonomia di rilievo alle Università, escludendone la personalità giuridica.
La “statalizzazione” degli Atenei italiani, sancita dalla legge Casati, rimase in vigore per circa sessant’anni.
Alcune novità di rilievo furono introdotte solo con la c.d. “riforma Gentile”, la l. 30 settembre 1923, n.2101, che interessò anche le Università. La nuova normativa garantì, tra l’altro, una certa autonomia dell’Università per tutto quanto riguardava la gestione amministrativa, consentendo il riconoscimento degli Atenei italiani come persone giuridiche (v. art. 1, comma 2, del R.D. 31 agosto 1933, n. 1592).
Per una sintesi delle radici storiche del modello prescelto, di derivazione prevalentemente humboldtiana, v. GRASSO, Libertà d’insegnamento, autonomia universitaria, “programmazione” della ricerca scientifica, in Dir. e soc.,1979, 161 ss.
Per l’esame delle vicende legislative da cui è stata interessata l’autonomia universitaria nel nostro paese, prima dell’avvento della Costituzione (e per l’illustrazione del significato del superamento - ad opera della riforma Gentile del 1923 del modello delineato dalla c.d. legge Casati del 1859), v. A.M. SANDULLI, L’autonomia delle Università statali, in Annali triestini, 1948, I, 61 ss. (ora in Scritti giuridici, IV, Diritto amministrativo, Napoli, 1990, 443 ss.), al quale si rinvia per il perspicuo esame del contenuto dell’autonomia predetta, in base alla legislazione, all’epoca, in vigore
[5] Per una ricostruzione del dibattito svoltosi in Assemblea costituente e sull’opzione garantistica che ne è scaturita, v.:CASSESE, in Comm. cost. a cura di Branca, Rapporti etico-sociali, Bologna-Roma, 1976, sub artt. 33-34, 215, ss
[6] In termini generali, sulla tipologia dei modelli di Università storicamente realizzatisi. sulle loro trasformazioni e sulle prospettive che ai medesimi si dischiudono, cfr. CASSESE, L’università e le istituzioni autonome nello sviluppo politico dell’Europa. in Riv. trim, dir. pubbl.. 1990, 755 ss.
[7] Per le medesime ragioni – ossia perché le Università non sono amministrazioni statali - si ritiene di poter considerare superata la distinzione sulla quale si basava la c.d. teoria dell’imputazione soggettiva della fattispecie.
Secondo tale impostazione, le Università non esulano dal novero delle amministrazioni statali, ma unicamente per i rapporti riferibili allo Stato-persona: pertanto, solo in relazione a tali rapporti la rappresentanza e difesa in giudizio delle Università spetta ope legis all’Avvocatura dello Stato. Viceversa, qualora il provvedimento dell’organo universitario realizzasse la cura concreta di un interesse pubblico, affidata in modo pieno ed esclusivo all’Università, tale provvedimento sarebbe riconducibile, quanto all’imputazione della fattispecie in senso proprio, solo ed unicamente all’Università stessa, ancorché i risultati in senso lato del relativo atto si possano imputare anche allo Stato-persona (Cons. di Stato, Sez. IV, sent. 16 febbraio 2002, n. 958, già in Cons. di Stato, sez. VI, con la sent. 25 giugno 1993, n. 461. Sul dibattito giurisprudenziale precedente v. DI GERONIMO, Natura giuridica, rappresentanza e difesa in giudizio delle Università degli Studi nell' attuale ordinamento, in Rivista amministrativa della Repubblica italiana, 1992, fasc. 4, pt. 1, pp. 415-424; FULCO, Considerazioni sulla rappresentanza e difesa in giudizio delle Università degli studi. Nota a TAR BA 11 maggio 1987, n. 74, in I tribunali amministrativi regionali, 1990, fasc. 3, pt. 2, pp. 141-144). Coerentemente con tale impostazione, la notifica del ricorso avverso un provvedimento dell' Università è stata considerata effettuata validamente presso la sede dell'Ente, pur se si è avvalso del patrocinio non obbligatorio dell'Avvocatura di Stato, nel caso in cui l'atto impugnato sia stato adottato dall’Università su materie affidate alla sua competenza e non su delega del Ministero dell'istruzione (T.A.R. Umbria, 30 dicembre 2003, n. 1072).
Detta teoria, in realtà, raccoglieva l’impostazione formulata in alcune deliberazioni della Corte dei conti precedenti all’entrata in vigore della legge sull’autonomia universitaria (l. 9 maggio 1989, n. 189), la quale, in sede di controllo, aveva precisato - con riferimento al trattamento economico del personale - che il Rettore dell’Università è chiamato in giudizio in qualità di organo decentrato del ministero della pubblica istruzione nel settore universitario, e non quale rappresentante dell’Università - persona giuridica (ex plurimis, Corte Conti, sez. contr., 23 marzo 1993, n. 38 e Corte Conti, sez. contr., 3 marzo 1988, n. 1910).
Di qui la duplice natura giuridica dell’Università (persona giuridica o organo dello Stato – persona), e la possibilità di verificare se l’atto fosse imputabile allo Stato persona, ovvero all’istituzione universitaria.
Come si è visto, se la ricostruzione formulata dal giudice contabile poteva ritenersi coerente con lo stato della legislazione precedente al 1990, l’evoluzione normativa successiva ha ridotto ad unità il (già allora problematico) metamorfismo giuridico delle Università.
Gli Atenei, infatti, sono attualmente degli enti autonomi e soggettivamente distinti dalle amministrazioni statali, come dimostra l’attuale disciplina della contrattazione collettiva nazionale, il meccanismo di costituzione del rapporto di lavoro alle dipendenze delle Università e, soprattutto, il sistema di finanziamento degli Atenei. Quest’ultimo aspetto rappresenta un’autentica cartina di tornasole per dimostrare l’anacronismo dell’impostazione che fa dell’Università un’amministrazione statale.
[8]V. sul punto, D’ATENA, Profili costituzionali dell’autonomia universitaria, in Lezioni tematiche di diritto costituzionale, La Sapienza Editore, Roma, 1996.
[9] In tal senso, si ritiene debba darsi conto anche di una pronuncia, rimasta invero isolata, della Sesta sezione del Consiglio di Stato secondo la quale “conseguente all’entrata in vigore della l. 9 maggio 1989, n. 168 (n.d.r.: prima legge sull’autonomia universitaria), le Università non possono più essere rappresentate in giudizio dall’Avvocatura dello Stato”. Così, Cons. di Stato, Sez. VI, sent. 11 marzo 1998, n. 274.
[10] CONSIGLIO DI STATO SEZ. VI - sentenza 21 settembre 2005, n. 4909, in questa Rivista, pag. http://www.lexitalia.it/p/52/cds6_2005-09-21-6.htm
[11] Si tratta della citata sent. 11 giugno 2004, n. 5810, con la quale la VI sezione del Consiglio di Stato ha qualificato le istituzioni universitarie essenzialmente come amministrazioni statali, stabilendo in tal modo che la rappresentanza e difesa in giudizio delle Università è un’attribuzione ope legis dell’Avvocatura dello Stato.
Nel medesimo contesto, quanto alla domiciliazione legale, la Sezione ha ritenuto che il riconoscimento dell’autonomia universitaria a seguito dell’entrata in vigore della l. 9 maggio 1989, n. 168 non abbia fatto venir meno la regola stabilita dall’art. 56 del R.D. 31 agosto 1933, n. 1592, della domiciliazione legale delle Università presso l’Avvocatura dello Stato, in tal modo facendo propria anche la precedente giurisprudenza della Cassazione civile sul punto (Cass. civ., sez. I, 10 settembre 1997, n. 8877. Conforme: sez. lav. 14 febbraio 1997, n. 1353; Cass. 2 marzo 1994, n.2061; Cass. 5 luglio 1983, n. 4512).
[12] AQUILANTI, DE ANTONIIS, Appunti sui disegni di legge in materia di autonomia universitaria, in Il foro italiano, 1990, fasc. 2, pt. 5, pp. 91-95; CASSESE, Discussioni sull' autonomia universitaria. Relazione svolta all' Università di Sassari in occasione dell' inaugurazione del CDXXVIII anno accademico, Sassari, 19 gennaio 1990, in Il foro italiano, 1990, fasc. 5, pt. 5, pp. 205-209;
[13] MAZZIOTTI Dl CELSO, L’autonomia universitaria nella Costituzione, in Dir. e soc., 1980, 233 s. (il quale sottolinea che - a differenza delle autonomie territoriali e dell’autonomia delle confessioni religiose - l’autonomia universitaria, analogamente - ad es. - all’autonomia dell’ordine giudiziario, è riconosciuta nell’interesse dei componenti l’istituzione, e non in quello di quest’ultima, intesa come collettività).
[14] Per uno dei pochi casi noti di conflitto tra articolazioni istituzionali dell’Università (Facoltà vs Dipartimento) risolti in giurisprudenza, v., GROSSI, alcuni abbagli ed un luminoso punto fermo in tema di autonomia universitaria, con particolare riferimento alla posizione delle Facoltà e dei Dipartimenti, in Giur. Cost., 1991, fasc. 4, p. 2967 e ss
[15] POTOTSCHNIG, La collaborazione fra due autonomie di genere diverso: autonomia regionale e autonomia universitaria. Nota a C. Cost. 17 giugno 1992, n. 281, in Le regioni, 1993, fasc. 2, pp. 528-538;