LexItalia.it  

 Prima pagina | Legislazione | Giurisprudenza | Articoli e note | Forum on line | Weblog

 

Articoli e note

n. 10/2007 - © copyright

IGNAZIO SCUDERI*

L’ennesimo caso "Catania” –
profili relativi alla giurisdizione

horizontal rule

La recente sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale di Catania 19 aprile 2007 numero 679 e l’ordinanza del TAR Lazio del 12 aprile 2007, n. 1664, relative all’ennesimo “caso Catania” ed in particolare all’impugnazione da parte di alcuni abbonati della sanzione del squalifica del campo, richiedono alcune ulteriori riflessioni nella materia del diritto sportivo, con particolare riferimento all’eventuale giurisdizione dello Stato ed ai profili relativi alla legittimazione.

** ** **

1.- I fatti relativi al giudizio e le statuizioni dei giudici amministrativi sulla giurisdizione e sulla legittimazione degli “abbonati”.

1.- La questione esaminata dal TAR Catania riguarda, come risulta dalla medesima sentenza 679/07, l’azione proposta da alcuni “abbonati” del calcio Catania, in relazione alla sanzione della squalifica del campo.

Essa, era finalizzata “..alla rimozione della lesione, asseritamene subita per fatto e colpa del terzo (la F.I.G.C.), del diritto di credito (c.d. tutela aquiliana del credito) vantato dagli abbonati nei confronti della società sportiva Catania calcio s.p.a., nonché alla tutela dei connessi o correlati diritti personalissimi ed inviolabili (art. 2 della Costituzione) all’immagine, all’onore ed al decoro degli stessi abbonati, attraverso l’emanazione di pronunce (prima cautelari e, poi, di merito) idonee anche alla "reintegrazione in forma specifica" dei diritti lesi (così come previsto, nell’ambito della giurisdizione elusiva, dall’art. 35, 1° comma, del decreto legislativo n. 80/1998, nel testo sostituito dall’art. 7, 1° comma, lettera c, della ripetuta legge n. 205/2000, nonché, per quanto concerne anche la giurisdizione generale di legittimità, dall’art. 7, 3° comma, della legge TAR, nel testo sostituito dall’art. 7, 4° comma, della stessa legge n. 205/2000, oltre che, con estensione analogica in entrambi tali ambiti, dall’art. 2058 del codice civile)”.

Il TAR CATANIA, ha ritenuto la giurisdizione del Giudice Amministrativo, così argomentando “..da diversi anni la giurisprudenza riconosce la c.d. tutela aquiliana del credito. Originariamente, la tutela accordata dall’ordinamento giuridico per reagire contro il danno derivante da fatto illecito ex art. 2043 c.c. era circoscritta ai diritti reali ed ai diritti personali (libertà, onorabilità, etc.); in un secondo momento, la giurisprudenza, sia di merito che di legittimità, ha esteso tale tutela ai c.d. diritti relativi, ossia valevoli o esercitabili soltanto nei confronti di pertinenza di soggetti determinati o determinabili, quali il diritto di credito… Comunque, per quanto riguarda i ricorrenti, il credito, che trova il suo momento genetico nel rapporto contrattuale intercorrente con la società in esito alla stipula del contratto di abbonamento, non è rappresentato soltanto dal diritto di assistere alle gare casalinghe, ma anche da tutto quell’insieme di condizioni psicologiche, sociali, ambientali e ludiche la cui violazione costituisce danno morale ed esistenziale.

L’impossibilità per i ricorrenti di assistere a tali incontri non deriva ovviamente da inadempimento colpevole imputabile alla società, ma dall’adozione degli atti impugnati, adottati dalla resistente F.I.G.C.

Conclusivamente, non si può in alcun modo dubitare che sussista, nella materia de qua la giurisdizione del G.A., che deve considerarsi esclusiva alla stregua della espressa qualificazione in tal senso contenuta nel predetto art. 3, 1° comma, della legge n. 280/2003...

2.- Tale impostazione era stata sostanzialmente condivisa dal TAR LAZIO con l’ordinanza 1664/07, secondo cui “..ritenuto di dover disattendere anche l’eccezione di difetto di legittimazione attiva dei ricorrenti, sollevata sempre dalle parti resistenti, essendo indubbia la posizione qualificata che gli stessi, in quanto titolari di abbonamenti per seguire le partite di calcio giocate nello stadio della società Catania, rivestono nell’ordinamento;

"Considerato infatti che, a fronte di una lesione, di carattere patrimoniale e non, che i ricorrenti affermano di subire dal provvedimento impugnato non può dubitarsi della loro legittimazione ad adire questo giudice per la tutela non tanto del diritto di natura patrimoniale, che nasce dalla stipula del contratto di abbonamento, quanto sicuramente dell’interesse a vedere le partite casalinghe di calcio della soc. Catania allo stadio, atteso che, diversamente opinando e premessa la giurisdizione di questo giudice, una tale situazione giuridica soggettiva non potrebbe trovare altra forma di tutela; …

Deve ancora rilevarsi, in proposito, che la legittimazione attiva dei ricorrenti – così come il loro interesse processuale ex art. 100 c.p.c.- si configura, al di là di ogni dubbio, sulla base di ulteriori argomentazioni che possono riassumersi nei termini che seguono:

Non possono essere posti in dubbio l’interesse sostanziale e la legittimazione ad agire dei ricorrenti, tutti in possesso di "abbonamento" per assistere allo svolgimento delle partite "casalinghe" della squadra di calcio del Catania, relativamente al campionato di Serie A, anno

2006/2007, per cui tale interesse sostanziale si appalesa come personale, diretto e concreto;

Non può correre alcun dubbio sulla circostanza che ogni abbonato sia titolare tanto di un diritto soggettivo (quello al rimborso della quota parte di abbonamento pagata e non goduta), quanto di un preciso interesse legittimo a che la Federazione non adotti provvedimenti sanzionatori a carico della società calcistica che direttamente risultino lesivi della propria situazione giuridica soggettiva”.

3.- In sostanza dunque, i Tribunali hanno riconosciuto la giurisdizione del Giudice Amministrativo, in quanto “gli abbonati” sarebbero titolari sia di una posizione di interesse legittimo rispetto agli atti sanzionatori adottati a carico della società; ed inoltre, d’una posizione di diritto soggettivo per la tutela aquiliana del credito.

In tal caso, la giurisdizione amministrativa deriverebbe dalla circostanza che, nella materia in questione, “..la giurisdizione del G.A., deve considerarsi esclusiva alla stregua della espressa qualificazione in tal senso contenuta nel predetto art. 3, 1° comma, della legge n. 280/2003..”.

In entrambi i casi viene dunque operata una interpretazione estesa del dettato normativo contenuto nell’articolo 2, lett. b, D.L. n. 220 del 2003 che, in applicazione del principio di autonomia dell’ordinamento sportivo da quello statale, riserva al primo la disciplina delle questioni aventi ad oggetto "i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l’irrogazione ed applicazione delle relative sanzioni disciplinari sportive".

Ciò, nella considerazione che detto principio, letto unitamente all’articolo 1, secondo comma, dello stesso decreto legge, non apparrebbe operante nel caso in cui la sanzione non esaurisca la sua incidenza nell’ambito strettamente sportivo, ma rifluisca nell’ordinamento generale dello Stato.

Inoltre – prosegue la predetta ordinanza del T.A.R. Lazio - "una diversa interpretazione del citato art. 2 D.L. n. 220 del 2003 condurrebbe a dubitare della sua conformità a principi costituzionali, perché sottrarrebbe le sanzioni sportive alla tutela giurisdizionale del giudice statale".

La stessa ordinanza conclude sul punto, rilevando che, nella vicenda in esame, è impugnata la sanzione disciplinare della squalifica del campo di calcio, con l’obbligo di giocare in campo neutro e a porte chiuse, e quindi senza la presenza del pubblico le gare casalinghe; sanzione che comporta una indubbia perdita economica per la società Catania calcio in termini di mancata vendita di biglietti ed esposizione a possibili azioni giudiziarie da parte dei titolari di abbonamenti.

4.- L’esame delle conclusioni cui giungono le citate decisioni, richiede d’un canto il richiamo ai principi normativi e giurisprudenziali che nel corso di decenni hanno disciplinato la materia, con particolare riferimento alla questione della giurisdizione; dall’altro, l’individuazione del complessivo ambito normativo delineato dal Decreto Legge 220/03, in relazione specificamente alla materia da essa effettivamente disciplinata (nel caso delle decisioni commentate, estesa in maniera amplissima).

In particolare, dovendo in primo luogo essere verificata l’eventuale esistenza d’una giurisdizione di legittimità del Giudice Amministrativo, risulta indispensabile richiamare i principi decennali, consolidati ed univoci, espressi dalla giurisprudenza circa l‘impugnabilità dei provvedimenti resi dagli organi delle Federazioni sportive.

La materia, è stata costruita giuridicamente secondo il seguente schema (cfr., per tutte, Cassazione, Sezioni Unite, sentenze n. 3091-86 e 3092-86):

a) le Federazioni sportive, pur avendo natura prevalente di soggetti privati, partecipano tuttavia della natura pubblica del C.O.N.I., perché di questo sono "organi", secondo il testuale disposto dell'art. 5 della legge 16 febbraio 1942, n. 426, e dell'art. 2 del D.P.R. 2 agosto 1974, n. 530.

b) Nello svolgimento delle concrete attività, la natura pubblica delle Federazioni è rilevata dall'emanazione di norme regolamentari che, in quanto hanno un particolare contenuto organizzatorio, tendono a un fine coincidente con quello istituzionale del C.O.N.I.; mentre, ogni altra attività delle Federazioni resta attratta nell'orbita "del privato".

c) i detti provvedimenti, amministrativi o giudiziali, quindi, possono essere impugnati davanti al giudice ordinario o davanti al giudice amministrativo, a seconda che, in modo effettivo, concernano diritti soggettivi o interessi legittimi.
I regolamenti che riguardano l'organizzazione delle Federazioni disciplinano, tra l'altro, le condizioni di ammissione dei vari soggetti coinvolti nell'esercizio dell'attività sportiva, dagli atleti alle imprese interessate alle sponsorizzazioni.
Il riscontro dell'esistenza delle dette condizioni dà luogo alla pronuncia di tipici atti amministrativi (definiti dalla dottrina "di ammissione") i quali, per essere legati, all'esercizio di un potere sicuramente discrezionale quanto alla valutazione dell'idoneità del soggetto rispetto ai fini che sono propri dell'organizzazione sportiva, possono dar luogo soltanto alla lesione di interessi legittimi.

d) Discorso più articolato deve essere fatto per le domande concernenti la regolarità della gara ed i provvedimenti disciplinari, tenuto conto delle regole tecniche che sono proprie dello svolgimento delle competizioni sportive.

Si tratta di valutare la natura della posizione soggettiva rispetto all'applicazione delle regole tecniche che determinano il risultato di una competizione agonistica.

All’interno di tale nozione, và ovviamente ricompresa anche la successiva fase innanzi agli organi di Giustizia Sportiva, relativa all’esercizio del potere disciplinare.

Risultato che - per sgombrare il campo da equivoci - può essere stabilito (e questo è normale, con riferimento all'ordinamento sportivo organizzato sotto l'egida del C.O.N.I.) non solo con l'acquisizione immediata di un certo punteggio sul campo di gara, ma anche con la successiva verifica di regolarità nell'acquisizione predetta e la fase di applicazione di eventuali sanzioni disciplinari.

Di modo che non avrebbe senso porre il problema della qualificazione della posizione soggettiva con riguardo al preteso consolidarsi di una certa situazione sorta dopo l'acquisizione del risultato in campo, seguita dal successivo sconvolgimento della situazione predetta (presentato sotto la specie della "lesione") per effetto di una pronuncia sopravvenuta in sede di verifica.
Secondo l'ordinamento sportivo, il risultato delle competizioni agonistiche si acquisisce mediante applicazione di norme tecniche, tra le quali rientra, appunto, quella che comporta la verifica di regolarità del punteggio (la c.d. verifica di "regolarità di gara", operativamente affidata agli organi di "giustizia sportiva").

Ora, non può certamente negarsi che dal conseguimento definitivo del risultato possano sorgere vari interessi, di varia natura (ma non è di questo che le Sezioni Unite debbono oggi occuparsi).

Tuttavia, non è neppure pensabile - data la peculiarità del sistema, prevalentemente tecnico, di acquisizione dei risultati sportivo agonistici e di regolamentazione dell’attività agonistica sotto il profilo organizzativo delle singole competizioni - che possano essere vantati diritti soggettivi o lamentate lesioni di essi, con riferimento alle valutazioni operate dagli organi tecnici ("arbitri" e "giudici").

D’un canto infatti manca infatti la possibilità di identificare nelle regole tecniche in questione e nella disciplina del riscontro dell'osservanza di esse da parte degli organi federali l'esistenza di "norme di relazione", tale da dar luogo alla configurabilità di diritti soggettivi e di contrapposti obblighi fra i vari soggetti che sono coinvolti nell'esercizio dell'attività sportiva.

Dall’altro, sono peculiari della materia particolari profili di urgenza e celerità nella definizione dei calendari, la cui certezza è posta anche a tutela delle società sportive, per ovvi profili organizzativi.

Ma neppure può configurarsi la sussistenza di interessi legittimi.

Perché questi ultimi siano configurabili come posizioni soggettive concretamente tutelabili davanti al giudice amministrativo, occorre che l'atto provvedimentale suscettibile di annullamento sia un vero e proprio "provvedimento amministrativo", cioè un provvedimento emanato da un soggetto di diritto pubblico, o da un altro organismo che, però, da tale soggetto abbia ricevuto una specifica investitura, nell'esercizio di una potestà pubblica.

Ma una volta detto che le Federazioni sportive sono soggetti privati e che, in quanto organi del C.O.N.I., ricevono da quest'ultimo investitura pubblica solo per emanare norme regolamentari di contenuto organizzatorio finalisticamente coincidenti in modo perfetto con le norme fondamentali del detto ente pubblico, deve concludersi che hanno natura intrinseca di atti amministrativi solo ed esclusivamente quei provvedimenti che siano direttamente attuativi delle norme predette.

È d'obbligo, allora, la conclusione che una volta escluso - come pare indubitabile doversi fare - che rientrino in modo diretto nella categoria delle norme organizzatorie quelle regole che l'ordinamento federale ha emanato o emana per la ordinata acquisizione dei risultati delle competizioni agonistiche, ivi comprese come detto quelle che disciplinano l’applicazione di sanzioni disciplinari in relazione alle competizioni, ogni e qualunque provvedimento attuativo di esse non potrà mai essere qualificato come provvedimento amministrativo, non potendo in alcun modo essere qualificato come espressione (diretta o indiretta) di una potestà pubblica.

La conclusione del discorso è quella che non trascura di considerare come nell'ambito di taluni organismi (prevalentemente ma non necessariamente privati) sussiste - quale espressione di una particolare autonomia - la possibilità dell'emanazione di determinate norme "interne" di comportamento, la cui osservanza o meno, da parte dei destinatari, pur rilevante nell'ambito predetto, è assolutamente irrilevante, nell'ambito dell'ordinamento generale.

È ben nota l'impostazione dottrinale secondo cui l'ordinamento può assumere, nei confronti di un "ordinamento separato", tre possibili atteggiamenti: l'ignorarlo, il riconoscerlo "come ordinamento", il riconoscerlo "come proprio soggetto di diritto".

Ma, all'evidenza, questi possibili atteggiamenti non sono tanto rigidi da escludersi sempre vicendevolmente, potendosi ben pensare che ciascuno di essi possa di volta in volta trovare giustificazione nei confronti del medesimo organismo ("ordinamento separato"), a seconda delle sue varie manifestazioni.

Può, cioè, ritenersi che anche nelle ipotesi in cui tale organismo venga riconosciuto "come ordinamento", oppure "come soggetto dell'Ordinamento generale", possa sempre esservi spazio per l'individuazione di una zona di "ignoranza", perfettamente coincidente con quella che è stata denominata di "irrilevanza" di determinate norme interne.

L'ordinamento generale ha interesse all'inserimento dell'organizzazione sportiva nell'ambito della realtà sociale, di modo che, se pur non formale riconoscimento consente (per non mortificare una insopprimibile vocazione autonomistica) che l'intera struttura assuma forma e sostanza di ordinamento separato, tuttavia impone (quando giudica inopportuna una completa abdicazione sui capisaldi programmatici) che le norme fondamentali di esso si armonizzino con quelle proprie, oppure assicura (quando è in gioco il primato della giurisdizione) la tutela delle posizioni giuridiche gravitanti nell'orbita dell'ordinamento predetto.

Tutto questo, però, non significa che l'ingerenza sia tale da coprire ogni aspetto dell'attività normativa dell'ordinamento separato, posto che esistono norme interne (denominate extragiuridiche dalla dottrina che ne ha individuato l'essenza), che pur dotate di rilevanza nell'ambito dell'ordinamento che le ha espresse, sono insuscettibili di inquadramento giuridico nell'ambito dell'ordinamento generale.

Tali sono, indiscutibilmente, le norme meramente tecniche; e fra esse sicuramente rientrano quelle che l'ordinamento sportivo ha elaborato ed elabora ai fini dell'acquisizione dei risultati delle competizioni agonistiche e della loro organizzazione (intesa in senso stretto), secondo quel meccanismo di decisione immediata e di verifica successiva cui si è in precedenza accennato (cfr., sul punto, anche Cassazione Civile, Sezioni Unite, 26 ottobre 1989, n. 4399).

5.- Tali principi, come detto da sempre espressi dalla giurisprudenza amministrativa, risultano oggi codificati nel Decreto Legge 19 Agosto 2003 numero 220, convertito con modificazioni nella Legge 280/2003.

Tale normativa ha solo natura riepilogativa, come già detto in precedenti note (si veda, Il caso Catania Calcio e la normativa anterteriore al D.L. 19 Agosto 2003 numero 220, Rassegna Amministrativa Siciliana, DBI, 2006, pagine 2017 e seguenti; inoltre, A.De Silvestri, La c.d. autonomia dell’ordinamento sportivo nazionale, in La Giustizia Sportiva, analisi critica della legge 17 Ottobre 2003 n.280).

Il recepimento dei principi giurisprudenziali citati tuttavia, riguarda solo i profili sostanziali della materia, considerato che la normativa invece introduce una disciplina radicalmente nuova di natura strettamente processuale.

6.- Una prima questione meritevole di analisi, riguarda il carattere, tassativo e vincolante o meno, dell’elencazione delle materie che l’articolo 2 del Decreto Legge 220/03, sembra riservare all’autonomia sportiva; ciò in particolare, con riferimento al dettato dell’articolo 1 secondo comma del medesimo decreto.

Giova richiamare letteralmente le due norme.

Il citato articolo 1 invero, dispone espressamente che “.. i rapporti tra l’ordinamento e l’organizzazione della Repubblica sono regolati in base al principio dll’autonomia, salvi i casi di rilevanza per l'ordinamento giuridico della Repubblica di situazioni giuridiche soggettive connesse con l'ordinamento sportivo…”.

Ai sensi dell’articolo 2 inoltre, dedicato espressamente all’“2. Autonomia dell'ordinamento sportivo”, “..1. In applicazione dei princìpi di cui all'articolo 1, è riservata all'ordinamento sportivo la disciplina delle questioni aventi ad oggetto:

a) l'osservanza e l'applicazione delle norme regolamentari, organizzative e statutarie dell'ordinamento sportivo nazionale e delle sue articolazioni al fine di garantire il corretto svolgimento delle attività sportive;

b) i comportamenti rilevanti sul piano disciplinare e l'irrogazione ed applicazione delle relative sanzioni disciplinari sportive..”.

Ora, tanto il Tribunale catanese che quello romano, allorché hanno riconosciuto la possibilità di impugnare la sanzione, hanno ritenuto non tassativa e vincolante tale elencazione, dovendosi essa leggersi in combinato disposto col principio dettato dall’articolo 1.

In particolare, la decisione del TAR CATANIA precisa che “..nella vicenda in esame, è impugnata la sanzione disciplinare della squalifica del campo di calcio, con l’obbligo di giocare in campo neutro e a porte chiuse, e quindi senza la presenza del pubblico le gare casalinghe; sanzione che comporta una indubbia perdita economica per la società Catania calcio in termini di mancata vendita di biglietti ed esposizione a possibili azioni giudiziarie da parte dei titolari di abbonamenti.

Per sua natura, quindi, tale sanzione assume indubbia rilevanza anche al di fuori dell’ordinamento sportivo, ed è quindi impugnabile dinanzi al Giudice amministrativo”.

Una più attenta lettura delle due norme tuttavia, fa sorgere alcuni dubbi circa la soluzione appena citata.

La “riserva” in favore dell’ordinamento sportivo delle materie elencate nel citato articolo 2 invero, non sembra potere essere ricompresa nel principio generale sancito dall’articolo 1 con la conseguenza che, verrebbe meno il suo carattere tassativo, ove fosse riconosciuta una ipotetica rilevanza per l’ordinamento statale.

Essa invero, con l’individuazione delle materie riservate all’autonomia sportiva, risulta essere effettuata “..in applicazione dei princìpi di cui all'articolo 1”.

Sembrerebbe dunque, che tra le due norme si configuri un rapporto di specie a genere, nel senso che opererebbe una qualificazione normativa degli atti adottati nelle materie indicate nell’articolo 2, come comunque irrilevanti per l’ordinamento statale e sottratte al sindacato del Giudice Amministrativo.

Una diversa soluzione priverebbe di significato l’elencazione delle materie indicate nell’articolo 2.

Non avrebbe avuto alcun senso invero: affermare il principio dell’autonomia sportiva; introdurre una deroga allorquando essa incida su questioni rilevanti per l’ordinamento statale ed infine, operare una specifica elencazione di materie, che ricadrebbero nella “riserva” dell’autonomia sportiva.

Una conferma indiretta si trae dall’iter del procedimenti di conversione del Decreto Legge, sfociato poi nella Legge 380/2003.

La norma contenente l’elencazione delle materie riservate invero, è stata riformulata in sede di conversione, essendo state soppresse materie, quali i provvedimenti di ammissione, limitandosi l’indicazione solo a quelle materie relative al “corretto svolgimento delle attività sportive ed agonistiche”.

Il legislatore dunque, ha ritenuto come strettamente riservate le materie indicate all’articolo 2, non essendo stato necessario limitare la loro elencazione, ove fosse comunque applicabile il principio derogatorio della rilevanza per l’ordinamento statale.

Secondo tale ricostruzione pertanto, sarebbe stato il legislatore a qualificare gli atti disciplinari come confinati nello stretto ambito dell’irrilevante nell'ambito dell'ordinamento generale, venendo ontologicamente meno la loro natura di provvedimenti amministrativi.

Se così fosse, le decisioni dei Tribunali catanese e romano, non avrebbero potuto ritenere impugnabile la sanzione, affermando tout court che una diversa interpretazione si sarebbe posta in contrasto con i principi costituzionali.

Ferma restando tale possibilità infatti, è evidente che innanzi ad una eventuale espressa qualificazione normativa, il criterio di interpretazione costituzionalmente orientata, avrebbe dovuto cedere il passo al criterio di interpretazione letterale (cfr., per tutte, Cassazione civile , sez. lav., 26 gennaio 2006, n. 1552), dovendo eventualmente essere sollevata questione di costituzionalità (e non disapplicata la norma).

Un primo dubbio circa la correttezza delle decisioni commentate, riguarda pertanto la stessa configurabilità della sanzione come provvedimento amministrativo.

Né possibile ipotizzare che la natura del provvedimento, come qualificata dalla normativa, possa miutare a seconda che agisca un soggetto piuttosto che un altro.

Ovvero, ove si riconosca che la sanzione venga considerata come atto rilevante solo per l’ordinamento sportivo e sottratto al sindacato del Giudice Amministrativo, ciò deve valere sia per i soggetti ad esso aderenti, che per i terzi estranei.

7.- Il profilo che più rileva nella vicenda in oggetto tuttavia, a prescindere dalla natura della sanzione, è quello relativo alla astratta possibilità di qualificare come rilevante per l’ordinamento statale, nell’ambito della normativa destinata specificamente alla regolamentazione dell’attività sportiva, la posizione dell’”abbonato”.

La circostanza che il Decreto Legge riconosca la sindacabilità degli atti “sportivi” rilevanti per l’ordinamento statale, non esclude l’esigenza di valutare l’esatta natura della posizione soggettiva rispetto all'applicazione delle regole che destinate alla regolamentazione del corretto svolgimento delle competizioni sportive (ivi comprese quelle determinano il risultato di una competizione agonistica).

Tale valutazione non va condotta in via generale ed astratta, ricomprendendovi anche profili non strettamente connessi alla regole sportive ed alla loro incidenza sui diretti destinatari di esse (ovvero, le società, i giocatori e comunque i tesserati).

Ovvero, la previsione contenuta nell’articolo 1 del Decreto Legge 220/03, non consente di attribuire rilievo ad una eventuale incidenza indiretta delle regole tecniche su soggetti estranei all’ordinamento sportivo e non incisi in via immediata e diretta, ovvero in relazione allo specifico ambito della materia regolata; con la conseguenza che essi non possono vantare una posizione giuridica qualificata, idonea ad attribuire loro la legittimazione ad agire.

Va al riguardo richiamato il consolidato principio manualistico, che individua l’interesse legittimo non già in una semplice posizione differenziata, ma dall’esistenza d’una qualificazione normativa, ovvero la specifica esistenza di una norma o di un “blocco di norme” che attribuisca l’interesse a determinati soggetti, rispetto a quello di tutti gli altri.

Al riguardo, è stato più volte deciso che “..ai fini della configurazione dell'interesse legittimo non è sufficiente che sussista un qualsiasi interesse differenziato, rispetto a quello di altri soggetti, al corretto esercizio del potere da parte dell'autorità amministrativa, ma è necessario anche che l'interesse individuale sia qualificato, sia cioè preso in considerazione dalla norma attributiva del potere, nel senso che tale norma deve prendere in considerazione oltre l'interesse pubblico che è precipuamente preordinata a soddisfare, anche l'interesse individuale privato ..” (Cons.giust.amm. Sicilia , 10 agosto 1990, n. 263).

Ed ancora che, “è principio acquisito che la nozione di interesse legittimo va riferita ad ogni situazione di interesse sostanziale, configurabile anche quale realizzazione di una utilità sperata, che abbia non solo carattere differenziato rispetto alla generalità, ma sia altresì qualificato per un certo grado di protezione ad esso accordata dall'ordinamento” (così, Corte Costituzionale, 4 dicembre 1998, numero 363).

Peraltro, tali pronunzie derivano dalla costante nozione giuridica dell’interesse legittimo, elaborata dalla migliore dottrina, secondo cui “.. sembra congruo ricostruire la vicenda in termini di un unitario potere del titolare dell'interesse di perseguire un'utilità della vita, potere che si articola in varie facoltà funzionali alle particolari situazioni determinate dall'esercizio (o dal non esercizio) della potestà. Questo unitario potere, nasce direttamente dalla legge o da situazioni legittimanti, viene esercitato nei vari modi sopra indicati, e muore solo con il definitivo perseguimento della utilità prevista; in pratica è ipotizzabile per ogni procedimento del quale possa essere parte il titolare dell'interesse, così come il diritto soggettivo è configurabile per ogni possibile bene in senso giuridico” (così, Salvatore Giacchetti, Presidente di Sezione del Consiglio di Stato, L'interesse legittimo alle soglie del 2000, in Lex Italia).

8.- Ora, a prescindere dalla dubbia correttezza con la quale la normativa in questione viene applicata dagli organi sportivi, è ovvio che la specifica disciplina relativa all’applicazione delle norme regolamentari, organizzative e statutarie dell'ordinamento sportivo nazionale e delle sue articolazioni al fine di garantire il corretto svolgimento delle attività sportive, ivi comprese le sanzioni rilevanti sul piano disciplinare (queste ultime in quanto immediatamente e direttamente incidenti sulle medesime competizioni), possa riconoscere una posizione qualificata all”abbonato” o addirittura prenderlo giuridicamente in considerazione.

Tali considerazioni, prima che sui dati letterali desumibili dal complesso normativo, si fondano su indubbie ragioni sostanziali, relative alla particolarità della materia.

Per un primo profilo infatti, non è neppure pensabile - data la peculiarità del sistema, prevalentemente tecnico, di acquisizione dei risultati sportivo agonistici e di regolamentazione dell’attività agonistica sotto il profilo organizzativo delle singole competizioni - che possano essere vantati diritti soggettivi o lamentate lesioni di essi, con riferimento alle valutazioni operate dagli organi tecnici (si pensi alle decisioni arbitrali).

Ma soprattutto, sono peculiari della materia particolari profili di urgenza e celerità nella definizione dei calendari, la cui certezza è posta anche a tutela delle società sportive, per ovvi profili organizzativi.

Tale esigenza di certezza, per di più ancorata a profili di estrema celerità e snellezza, non può certamente tenere conto di posizioni di terzi estranei all’ordinamento sportivo.

9.- Ricorrere in tale materia a facili paradossi è troppo semplice.

Ma, solo per esercizio personale, si pensi al gestore del bar dello stadio, il quale subisce certamente una lesione dalla squalifica dello stadio, tale addirittura da attribuirgli una posizione differenziata rispetto agli altri soggetti.

Ma tale posizione, non può certamente ritenersi qualificata e dunque identificabile con un interesse legittimo.

Allo stesso modo, lo sponsor di un giocatore, non può impugnare la sanzione disciplinare applicata a quest’ultimo (che, non giocando, non garantisce il profilo pubblicitario).

L’organizzazione dei calendari, l’orario delle partite o altri aspetti organizzativi, non possono certamente tenere conto di tali profili.

10.- La vicenda più significatica della incompatibilità tra la tutela dell’organizzazione della competizione dello sport e quella di eventuali posizioni di soggetti estranei al procedimento, sul piano sostanziale, si è verificata proprio in relazione al giudizio commentato.

Nel corso del giudizio invero, innanzi alle solito comportamento ostruzionistico della FIGC, il TAR CATANIA ha nominato un Commissario per l’esecuzione dei suoi ordini giurisdizionali, con lo specifico compito di fissare una data per lo svolgimento d’una partita.

Orbene, il Calcio Catania, che avrebbe dovuto essere il soggetto beneficiario indirettamente ma col massimo interesse dell’ordine giurisdizionale, ha rilevato l’impossibilità di svolgere la competizione fissata dal Commissario, per profili organizzativi e tecnici relativi agli allenamenti, la preparazione, la trasferta, la disponibilità dei giocatori ed altro.

11.- La verità è probabilmente quella che, le decisioni Tribunali Amministrativi commentate hanno di fatto – così come purtropo avviene da tutti i punti di vista (sociali e soprattutto della informazione) perso di vista la reale natura degli unici interessi tutelati, in via esclusiva, dall’ordinamento sportivo.

Ed inoltre, sotto il profilo giuridico – processuale, l’esigenza, ai fini di configurare l’ammissibilità del ricorso, di un interesse normativamente qualificato.

L’attività sportiva, soprattutto quella calcistica, ha assunto una particolare rilevanza economica, con i più svariati interessi connessi tra l’altro ai diritti televisivi, alla pubblicità ed alle quotazioni in borsa.

Tali interessi tuttavia, non assumono a rigore alcun rilievo nell’alveo dell’ordinamento sportivo strettamente inteso, rispetto al quale vanno tutelate, anche ai fini giurisdizionali, solo questioni ad esso strettamente connesse.

Eventuali interessi ontologicamente estranei all’ordinamento sportivo, ad essi riferiti solo indirettamente, seppur di grande rilevanza economica, non possono generare alcuna posizione qualificata.

Ovvero, chi decide di quotare in borsa la propria squadra, lo fa a proprio rischio e pericolo, senza potere pretendere che tale circostanza possa incidere sulle ordinarie regole di organizzazione dell’attività sportiva.

In sostanza, seppur una tale affermazione risulta utopistica, una partita della categoria più bassa è ontologicamente identica, quanto ai profili sportivi – ovvero gli unici rilevanti per l’ordinamento sportivo – alla finale di “coppa dei campioni”.

Il problema serio, ed al riguardo mi si consenta una considerazione di natura non giuridica, è che gli aspetti economici hanno in concreto, si ripete soprattutto nel calcio, sotterrato gli interessi sportivi.

Abbiamo dunque assistito, sotto il governo della FIGC, a fenomeni aberranti (quali “i passaporti falsi”, le fideiussioni false”, società fallite ma regolarmente iscritte in serie A solo per la rilevanza economica del gruppo di appartenza).

Tutto ciò, facendo riferimento solo a profili economici – come detto come tali irrilevanti per l’ordinamento sportivo – e eliminando radicalmente quest’ultimo (come confermato dalla circostanza che, situazioni uguali o analoghi, sono state trattate in maniera diversa, a seconda della rilevanza economica della questione o del soggetto).

Infine, è indubbio che la circostanza più grave è che, tali fatti, tutti reali, non sono stati mai oggetto di particolare attenzione da parte degli organi di informazione (che spesso, li ha radicalmente taciuto); ciò che costituisce, una gravissima menomazione della democrazia.

12.- Tali considerazioni, trovano riscontro anche nella disciplina, in gran parte di natura processuale, dettata dal Decreto Legge 220/03.

Essa come è noto, fu adottato in via di straordinaria urgenza, con il dichiarato fine di porre un rimedio all’eccezionale contenzioso, legata alla vicenda “Calcio Catania 2003”.

Tale Decreto, ci sia consentito dirlo, fu definito “salvacalcio”, nella realtà perché si tentò di sottrarre le assai discutibili determinazioni degli organi sportivi, dal legittimo controllo e sanzione degli Organi Giurisdizionali dello Stato (e quindi, da definirsi più che altro, come “salva arbitrio della FIGC”, non essendo pensabile che i Giudic dello Stato Vogliano attentare all’autonomia sportiva, avvenendo piuttosto il contrario, e cioè che un controllo reale, nonostante la evidenza di alcuni “pasticci”, non venga effettuato).

Ma, è indubbio che il Decreto Legge 220/2003 è espressamente ed univocamente riferito alle “società, le associazioni, gli affiliati ed i tesserati..”.

Sicchè, anche tale normativa riserva una posizione qualificata solo ai soggetti direttamente destinatari della disciplina organizzativa e di giustizia sportiva e non ai terzi estranei a tali profili (come confermato, dal particolare procedimento delineato dal Decreto Legge e basato sull’esaurimento dei gradi di giustizia sportiva).

Sicchè, sembra da escludersi che, rispetto ad una normativa di tale genere, espressamente dedicata alla “Giustizia Sportiva”, possono essere inquadrate posizioni terze, estranee all’ambito strettamente sportivo (esssnedo essa invece stata dettata, proprio per risolvere conflitti interni all’ordinamento sportivo).

Peraltro, una tale discrasia risulta dalla medesima decisione del TAR CATANIA numero 679/2007, allorché si afferma che non si applicherebbe al ricorso proposto dagli abbonati il Decreto Legge 220/03, nella parte in cui prevede la competena funzionale del TAR LAZIO.

Ora, a prescindere dalla indubbia negativa peculiarità dell’intero sistema processuale delineato dal citato Decreto Legge, non appare possibile ipotizzare una sua applicazione frazionata, a seconda delle fattispecie.

In particolare, se si è ritenuto applicabile in via generale la normativa, con particolare riferimento ai profili relativi alla giurisdizione esclusiva che hanno condotto il Tribunale a riconoscere la giurisdizione amministrativa sull’azione risarcitoria degli abbonati, risulta quanto meno discutibile che sia stata omessa l’applicazione di una sua essenziale norma (fermo restando che, come detto, a parere di chi scrive, nella specie non sussisteva alcuna giurisdizione amministrativa).

** ** **

2.- Sulla giurisdizione amministrativa in ordine alla “tutela aquiliana” del credito.

Il TAR CATANIA, come già detto, ha ritenuto che “..non si può in alcun modo dubitare che sussista, nella materia de qua la giurisdizione del G.A., che deve considerarsi esclusiva alla stregua della espressa qualificazione in tal senso contenuta nel predetto art. 3, 1° comma, della legge n. 280/2003..”.

Le superiori considerazioni, a prescindere dalla singolarità dell’affermazione della giurisdizione amministrativa in ordine all’azione di risarcimento danni avanzata in virtù della pretesa impossibilità di assistere a partite di calcio (si pensi analogamente, all’abbonato di una manifestazione teatrale, che impugni il provvedimento di chiusura del teatro per ragioni di pubblica sicurezza), escludono una tale giurisdizione.

E’ noto invero che, il legislatore ordinario ben può ampliare l'area della giurisdizione esclusiva, purché lo faccia con riguardo a materie che, in assenza di tale previsione, contemplerebbero pur sempre, in quanto vi opera la pubblica amministrazione-autorità, la giurisdizione generale di legittimità.

Ma quest’ultima, ritenuta l’assenza in capo all’abbonato d’una posizione qualificata, và di conseguenza esclusa.

Peraltro, la giurisprudenza circa l’ampliamento della giurisdizione esclusiva, è stato oggetto di notevole critiche e limitazioni (da ultimo, la decisione della Corte Costituzionale numero 204/2004).

E’ invero escluso che la mera partecipazione della pubblica amministrazione al giudizio sia sufficiente perché si radichi la giurisdizione del giudice amministrativo (il quale davvero assumerebbe le sembianze di giudice "della" pubblica amministrazione: con violazione degli artt. 25 e 102, secondo comma, Cost.) e, dall'altro lato, è escluso che sia sufficiente il generico coinvolgimento di un pubblico interesse nella controversia perché questa possa essere devoluta al giudice amministrativo.
Al contrario, la ipotesi di giurisdizione esclusiva risulta giustificata, richiamando al riguardo le precedenti considerazioni, nello stretto ambito del contenzioso tra i soggetti appartenenti all’ordinamento sportivo e non a quelli ad esso radicalmente estranei.

Il testo del Decreto Legge 220/03, mirando proprio a risolvere il contenzioso connesso alla specifica materia della “giustizia Sportiva”, è al riguardo univoco.

Peraltro, da tali premesse, non deriva certamente la menomazione del diritto dell’abbonato, ove esistente, al risarcimento dei danni (e dunque, l’articolo 24 della Costituzione).

La natura non provvedimentale della sanzione e l’inesistenza d’una posizione qualificata, escludono la giurisdizione amministrativa.

La controversia inoltre, come detto, non può annoverarsi tra quella compresa nella giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo.

Inoltre, la disposizione contenuta nell'art.7, comma 4, della L. 21 luglio 2000, n.205, a norma del quale "Il tribunale amministrativo regionale, nell'ambito della sua giurisdizione, conosce anche di tutte le questioni relative all'eventuale risarcimento del danno, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, e agli altri diritti patrimoniali consequenziali", deve essere interpretata nel senso che oggetto di risarcimento devono essere unicamente i danni derivanti dalla lesione di un interesse giuridicamente rilevante, posti in essere da una Pubblica Amministrazione nell'esercizio della propria attività istituzionale, e non anche le pretese di natura creditizia derivanti da un fatto illecito posto in essere dal privato nei confronti dell'Amministrazione, che alla stregua dei principi del vigente ordinamento possono essere conosciute esclusivamente dall'autorità giudiziaria ordinaria.

E’ stato invero deciso che, “..in base all'art. 7 della L. n. 205/00 nel testo risultante a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 204/04, la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di pubblici servizi, ivi compresi i trasporti, non comprende le controversie riguardanti i diritti di credito nelle quali la pubblica amministrazione non sia coinvolta come autorità, dovendosi, quindi, escludere che tale giurisdizione si estenda fino a comprendere le liti sulla definizione dei rapporti patrimoniali derivanti dalla istituzione, modificazione o estinzione dei soggetti gestori di pubblici servizi.

Ritenuto, pertanto, il difetto di giurisdizione sulla domanda proposta dalla società ricorrente, il cui oggetto deve ritenersi estraneo alla cognizione del giudice amministrativo, per cui, va accolto l'appello e va disposta la revoca del decreto ingiuntivo oggetto del gravame” (Consiglio di stato , sez. V, 25 settembre 2006, n. 5621).

Ma comunque, resta indiscutibile che il comportamento della FIGC, allorquando difetti un provvedimento amministrativo, assurga al rango di comportamento illecito (e non illegittimo), incardinando la giuridizione del Giudice Ordinario (cui probabilmente gli abbonati, avrebbero dovuto rivolgersi).

** ** **

3.- La ordinanza del T.A.R. Lazio-Roma-Sezione terza ter del 12 Aprile 2007 numero 1664, nella parte relativa alla revoca del Decreto Presidenziale del TAR CATANIA.

Viene ora in esame, l’aspetto più drammatico (giuridicamente) ed assurdo della vicenda.

Ovvero quello relativo all’ordinanza del TAR Lazio numero 1664/07, che è giunto sino all’incredibile punto di revocare un Decreto Presidenziale adottato dal Presidente di un altro TAR !!

Le questioni sin qui trattate infatti, riguardano una materia assai complessa e disciplinata in maniera oltremodo confuso e disorganico.

Le soluzioni circa la qualificazione o meno della posizione dell’abbonato e sulla giurisdizione amministrativa, derivano da opzioni interpretative, sempre opinabili ma comunque tipiche della dialettica giuridica.

Sicchè, solo i successivi commenti giurisprudenziali e dottrinari, potranno giungere a conclusioni più o meno univoche sulla materia.

La decisione del TAR CATANIA, ha costituto una opzione interpretativa, più o meno opinabile, ma comunque derivante da un motivato sforzo argomentativo, correttamente condotto nell’alveo dei principi giudici.

Ma, si ritiene di potere affermare che la ordinanza del TAR LAZIO numero 1664/07, sia obiettivamente un monstrum.

Al riguardo, è sufficiente riprendere le ampie argomentazioni contenute nella sentenza del TAR CATANIA numero 679/07, che correttamente ha ritenuto l’ordinanza del TAR LAZIO tamquam non esset.

Và al riguardo considerato, in ordine alla pretesa del TAR LAZIO di revocare, come ha esplicitamente fatto, il provvedimento giurisdizionale adottato da altro Tribunale Amministrativo di pari grado, che:

a) Una prima considerazione riguarda un profilo, poco trattato dal TAR Catania.

Il TAR LAZIO, come detto più volte, ha revocato il Decreto Presidenziale TAR CATANIA.

Ma nessuna norma, nemmeno transitoria o eccezionale, prevedeva un tale astratto potere.

L’articolo 3 quarto comma del Decreto Legge 220/03 invero, dispone espressamente che “..4. Le norme di cui ai commi 1, 2 e 3 si applicano anche ai processi in corso e l'efficacia delle misure cautelari emanate da un tribunale amministrativo diverso da quello di cui al comma 2 è sospesa fino alla loro conferma, modifica o revoca da parte del tribunale amministrativo regionale del Lazio, cui la parte interessata può riproporre il ricorso e l'istanza cautelare entro il termine di cui all'articolo 31, comma undicesimo, della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, decorrente dalla data di entrata in vigore del presente decreto e ridotto alla metà ai sensi del comma 3”.

Allora, la norma prevede una sospensione ope legis della misura cautelare (proprio giacchè non è consentito ad un Tribunale di pari grado di incidere sul provvedimento di altro Tribunale, in virtù del principio fissato dall’articolo 125 della Costituzione, con l’aggiunta che nella specie, il decreto monocratico non è appellabile dovendo essere previamente confermato in sede collegiale).

Ma non prevede alcuna revoca diretta da parte del TAR LAZIO, tantomento a seguito d’uno strumentale e fittizio ricorso per riassunzione, proveniente dal controinteressato e non dall’originario ricorrente, che abbia ottenuto la misura cautelare (come meglio vedremo in seguito) !!

b) Occorre tenere quindi conto, della "transitorietà" di tale norma.

Sotto la rubrica "norme sulla giurisdizione e disciplina transitoria", l’articolo 3 della legge n. 280/2003 citata, dopo aver individuato il T.A.R. del Lazio come unico territorialmente competente per le "questioni" indicate all’art. 1, al successivo comma 4, dispone l’applicabilità della disciplina di cui ai precedenti commi "anche ai processi in corso".

E’ pacifico che i caratteri essenziali di ogni disposizione transitoria sono:

1)la temporaneità: sussiste ed è efficace sino all’esaurimento dei rapporti da essa contemplati;

2)il non essere suscettibile di applicazione analogica;

Tale norma temporanea inoltre, prevede espressamente non solo il dies a quo per per attivare il congegno procedurale da essa previsto, ma anche il dies ad quem.

Il primo decorre, come recita il comma 4 citato "dalla data di entrata in vigore del presente decreto; il secondo "spira" -essendo ridotto della metà rispetto a quello ordinario- 15 giorni dopo da quella data (ossia, circa tre anni e mezzo fa).

Quindi, tale normativa "transitoria" non solo disciplina le controversie "in corso" alla data della sua entrata in vigore, ma condiziona, altresì, la sua concreta operatività all’assolvimento di un preciso onere, a pena di improcedibilità: la riassunzione entro un termine decadenziale.

In tale ottica, è stato adottato, in data 4 aprile 2007, il decreto presidenziale n. 401 con il quale, ritenuti sussistenti il fumus boni juris ed il periculum in mora, è stata disposta la sospensione cautelare, con efficacia erga omnes, dei provvedimenti impugnati.

Sennonché, in data 7 aprile 2007, la F.I.G.C. ha presentato un anomalo "atto di riproposizione in riassunzione" avanti la Sezione Terza Ter del T.A.R. del Lazio-sede di Roma, la quale, con ordinanza n. 1664 del 12 aprile 2007, ha accolto tale istanza di riassunzione ed ha revocato, per l’effetto, ai sensi dell’art. 3, 4° comma, del D.L. n. 220, il decreto presidenziale n. 401/2007, respingendo, al contempo l’istanza cautelare.

Il Collegio a tal punto, ha ovviamente ritenuto tamquam non esset la decisione del TAR LAZIO.

E ciò, in primo luogo, per il principio costituzionale di equiordinazione di tutte le Sedi della Giustizia Amministrativa di primo grado.

c) La verità è dunque che la FIGC, attraverso la decisione del TAR LAZIO, ha voluto compiere un vero e proprio atto di forza, eludendo i naturali e fisiologici meccanismi di accertamento della competenza.

La "riassunzione" invero presuppone che sia stato adito un T.A.R. diverso da quello di Roma e che quest’altro T.A.R. si sia dichiarato incompetente; diversamente, non ci sarebbe alcun interesse alla riassunzione del giudizio avanti al Tribunale laziale.

Così opinando – come osservato dal TAR CATANIA - oltre a darsi un senso logico e un concreto significato a tale "eventuale riassunzione", ne consegue che il T.A.R. romano agisca non come Giudice di appello (e ciò sconvolgerebbe l’assetto della giurisdizione Amministrativa), bensì, grazie all’atto di riassunzione, come Giudice di primo grado, non potendosi peraltro sottrarre al Consiglio di Stato le funzioni di Organo regolatore della competenza.

In sostanza, spetta al T.A.R. adito, anche nel caso in cui non coincida con quello del Lazio, delibare sull’appartenenza della competenza nel caso sottoposto al suo esame; anche se si ritiene che un tale tipo di competenza territoriale sia inderogabile. Tuttavia, nessuna disposizione impone che una tale cognizione venga effettuato dal T.A.R. del Lazio medesimo; quello che appare necessario è soltanto che, nel caso in cui il diverso T.A.R. adito accerta che si versa nelle ipotesi di cui all’art. 2 del D.L. n. 220/2003 (corretto svolgimento delle attività sportive ed agonistiche, l’ammissione e l’affiliazione alle federazioni di società…,etc.), tale T.A.R. deve dichiararsi incompetente.

Ma non può non restare fermo il principio basilare secondo cui l’unico strumento previsto nel processo amministrativo per contestare la competenza del T.A.R. periferico adito è esclusivamente costituito dalla proposizione, da parte dei resistenti, del regolamento di competenza dinanzi al Consiglio di Stato ai sensi e per gli effetti di cui al ricordato art. 31 della legge T.A.R. (che, nella specie, non è stato proposto).

Ovvero, nel caso in cui si ritenga sussistere una ipotesi di competenza funzionale inderogabile, la proposizione di un appello, nel caso in oggetto innanzi al Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana.

** ** **

4.- Sulla questione di merito, in relazione al provvedimento sanzionatorio.

Una breve analisi, merita anche la questione di merito, relativa all’applicazione della gravissima sanzione (ciò che conferma come allorquando gli organi sportivi possano fuggire al Giudice dello Stato, le conseguenze sono drammatiche).

Dalla lettura della decisione della Commissione disciplinare, emerge un dato assai rilevante, in ordine agli autori dei fatti criminosi.

E cioè che i fatti, piuttosto che essere direttamente collegati con lo svolgimento dell’evento sportivo, sarebbero il frutto della preventiva programmazione d’un disegno criminale, frutto di un contrasto in atto fra un determinato numero di soggetti (che non possono certamente essere definiti tifosi, ma solo delinquenti) e le forze dell’Ordine.

Il calcio Catania dunque, in sede di ricorso, avrebbe sottolineato come una tale circostanza, essendo estranea al fenomeno sportivo, non avrebbe potuto essere da essa controllata.

La Commissione ha preso atto di tali considerazioni, ma ha glissato completamente limitandosi ad affermare che i soggetti indicati avrebbero comunque occupato la Curva Nord (e pertanto, solo per questo, andrebbero definiti sostenitori).

La stessa Commissione ancora ha completamente omesso di prendere in considerazione le numerose ragioni esimenti esposte dal calcio Catania.

Un cenno a tal punto, è necessario in ordine alla nozione di “responsabilità oggettiva” per la quale, ai sensi dell’articolo 11 del Codice di Giustizia Sportiva, la società risponde per i fatti violenti commessi dai “propri sostenitori”.

Si tratta d’una forma di attribuzione di un determinato fatto ad un soggetto, sulla mera relazione causale, prescindendo dall’elemento psicologico del soggetto (dolo o colpa grave) e dalla stessa natura dell’atteggiamento (che potrebbe essere per niente antidoveroso).

Per questo motivo essa è in aperto contrasto con i principi del nostro ordinamento costituzionale (articoli 2,24,27 della Costituzione, pur essendo presente in forma più o meno palese nelle disposizioni di legge ordinaria contenute nei codici e nelle leggi speciali

Tale istituto per tale ultima ragione, và applicato con estrema prudenza, ponendosi l’esigenza di accertare con assoluta precisione ed adeguata istruttoria, e non con superficialezza ed approssimazione, l’esistenza dei presupposti per la sua operatività.

La responsabilità dunque, stando al citato articolo 11, và riconosciuta solo per fatti violenti commessi dai “sostenitori” in riferimento alla gara.

Nella specie tuttavia, colui che abbia programmato un disegno criminoso senza alcun riferimento allo svolgimento della gara, non è qualificabile come sostenitore”, ma solo come “delinquente comune”.

Lo stadio costituisce solo il luogo per consumare il reato (avvantaggiando il criminale, trattandosi di luogo affollato); ma non l’elemento qualificatore del soggetto.

Ad ulteriore conferma, nessun attinenza v’è stata tra tali fatti e lo svolgimento della partita (non essendo derivati da comportamenti arbitrali, scontri con la tifoseria avversaria, lamentele nei confronti della società).

Ecco perché, rispetto a tali fatti, la società non può rispondere nemmeno a titolo di responsabilità oggettiva, trattandosi di eventi che sfuggono al suo controllo, competenza, organizzazione ed attribuzione.

In tale senso si esprime in maniera chiara e tassativa, il primo comma dell’articolo 11 del Codice di Giustizia Sportiva, secondo cui “..la responsabilità è esclusa quando il fatto è commesso per motivi estranei alla gara”.       

La ragione è ovvia.

La società non dispone di alcuno strumento, di indagine, di controllo, di intervento, di repressione e sanzione nei confronti della delinquenza.

Essa infatti può limitarsi ad un coordinamento e controllo delle tifoserie organizzate, nonché a predisporre tutti i sistema di sicurezza necessari a garantire il coretto svolgimento della gara.

Ma non può certamente mettere in mano al magazziniere o al calciatore una pistola o i lacrimogeni.

Ogni altra funzione invero, spetta all’Autorità Statale, che invece dispone d’ogni strumento di tutela dell’ordine pubblico (ecco perché, la società ha l’obbligo di chiedere per ogni partita l’intervento dell’ordine pubblico).

La lettura della decisione della Commissione evidenzia anche, come la sanzione fosse una scelta ingiusta.

L’articolo 10 bis del Codice di Giustizia invero, prevede una serie di esimenti ed attenuanti (che conducono sino ad escludere qualsiasi resposanbilità) per il comportamento dei propri sostenitori, allorquando la società abbia adottato particolari forme di tutela dell’ordine pubblico (quali, modelli di oragnizzaione e gestione, cooperazione con le forze dell’ordine, misure di identificazione dei responsabili).

Dalla decisione risulta che il Calcio Catania abbia richiesto tali esimenti, dimostrando di avere operato tutti gli accorgimenti necessari.

Di ciò vi è conferma nella stessa decisione (che non contesta alla società alcun fatto in maniera diretta).

Ma la Commissione non ne ha tenuto minimamente conto.

Mi sia consentita infine, una breve considerazione sulla ipocrisia del mondo del calcio.

L’attuale situazione di violenza, comporterebbe la sospensione del campionato essendo un fenomeno riguardante tutta l’Italia (e non solo Catania).

Ma la FIGC, seguita in ciò dalle forze politiche, non vuole rinunziare a quelli aspetti economici che oramai hanno del tutto travolto il momento sportivo.

Con ciò, ponendo essa stessa in primo luogo, quella minaccia alla sicurezza pubblica che pretende poi di addossare ai club, ovviamente a quelli meno importanti.

Dopo la notte di Catania, il Presidente della Figc ha valorosamente e con grande responsabilità deciso di sospendere tutte le partite, rinviando la ripresa all’adeguamento degli staid sulla sicurezza in conformità del Decreto Pisanu.

Solo alcune decine di giorni dopo, il campionato è ripreso regolarmente, con le medesime emergenze e carenze strutturali (questo sì che è coraggio e determinazione) !!

Ma, c’è da chiedersi in primo luogo chi abbia autorizzato l’utilizzo degli stadi, nonostante l’assenza delle misure contenute nel decreto Pisanu (e, sotto tale profilo, è indubbia la responsabilità della FIGC per i danni subiti dagli abbonati, che certamente non hanno l’onere, al momento dell’acquisto degli abbonamenti, di accertare la regolarità degli stadi).

Ed inoltre, il decreto Pisanu risale al 2005.

Entro fine agosto tutti i club, oltre i 10.000 spettatori, dovevano mettersi in regola con tornelli e stewards.

Ma siccome i Comuni, proprietari degli stadi, non riescono a garantire adeguate misure strutturali per la sicurezza, ecco che per fare partire il campionato è stata concessa una proroga sino al 31 dicembre.

Quindi, dopo anni dal Decreto Pisanu e dalle successive proroghe, dopo gli eventi di Catania, stranamente San Siro, per il cui adeguamento erano previsti tempi lunghissimi e decine di milioni di euro, è divenuto “a norma “ in una nottata”

Ed ancora, nessuna sanzione per club i sostenitori dei quali sono ad ogni partita forniti di coltelli ed asce o che, soprattutto nei derby, danno vita a veri e propri guerriglie civili !

Insomma, è il momento di smetterla.

E’, se è vero che i fatti di Catania sono stati gravissimi, è altrettanto vero che la questione va affrontata complessivamente, senza ricorrere a facili capri espriatori.

 

horizontal rule

(*) Avvocato del Foro di Catania.


Stampa il documento Clicca qui per segnalare la pagina ad un amico