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TAR LAZIO SEZ. I
- Sentenza 31 maggio 2000 n. 4504 -
TIM e Omnitel Pronto Italia (OPI) c/ Autorità garante della concorrenza
e del mercato - provvedimento impugnato: deliberazione
in data 28.9.99 di accertamento della violazione dell’art. 2 della
legge 287/90 e irrogazione di sanzioni pecuniarie.
I
pareri richiesti nel corso del procedimento istruttorio dinanzi all’Autorità
garante della concorrenza e del mercato, anche se obbligatori, (nella specie
quello dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni) non assumono natura
provvedimentale e, pertanto, non sono assistiti da quelle garanzie di
partecipazione stabilite in via generale dalla legge n. 241/90 e dalla normativa
specifica in materia di concorrenza.
In
presenza di un coordinamento consapevole di scelte commerciali che, viceversa,
avrebbero potuto liberamente dispiegarsi nella concorrenza, l’illiceità
coinvolge necessariamente le condotte di tutte le imprese partecipi
dell’intesa (nella spccie sia Tim che Omnitel Pronto Italia).
In
relazione alle sanzioni irrogate per le infrazioni accertate,
la pretesa delle ricorrenti al riconoscimento della buona fede collide
irreparabilmente con il sistema risultante dalla legge n.
287/90 posto che – una volta accertata una pratica concordata illecita
e grave – l’Autorità Antitrust non ha la discrezionalità di accordare
scriminanti ma deve procedere all’applicazione della sanzione.
Infine,
l’applicazione di una pena superiore al minimo edittale è correlata alla
gravità del sacrificio imposto alla collettività dei consumatori perpetuando
con pratica concordata l’applicazione al traffico fisso/mobile di una tariffa abnormemente elevata (1).
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(1)
Accordi e pratiche concordate: l’attività sanzionatoria dell’Autorità
garante della concorrenza e del mercato è troppo rigorosa?
di MARIA ADA
RUSSO
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Con una recentissima sentenza, depositata il 31 maggio 2000, il Tar del Lazio sez I si è pronunciato ancora una volta a seguito di provvedimento dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato (Antitrust) in tema di intese restrittive della libertà di concorrenza ai sensi dell’art. 2 della legge n. 287/90.
La questione è assai più interessante se si considera che la fattispecie vede coinvolte sia Tim Italia Mobile spa che Omnitel Pronto Italia spa in relazione alla deliberazione dell’ Autorità garante della concorrenza e del mercato in data 28 settembre 1999, con cui è stata accertata la sussistenza di tre diverse infrazioni al disposto della legge n. 287/90, con conseguente comminazione di sanzioni pecuniarie di notevole importo. In altre parole, l’Autorità preposta al settore ha ritenuto sussistere tra le società due delle ipotesi previste dall’articolo 2 della citata legge n.287, alle lettere a) e b), che testualmente vieta “le intese tra imprese che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza all’interno del mercato nazionale o in una sua parte rilevante, anche attraverso attività consistenti nel fissare direttamente o indirettamente i prezzi di acquisto o di vendita ovvero altre condizioni contrattuali oppure impedire o limitare la produzione, gli sbocchi o gli accessi al mercato, gli investimenti, lo sviluppo tecnico o il progresso tecnologico”.
Più precisamente, l’Antitrust ha censurato i comportamenti di Tim e Opi volti a dare luogo alle seguenti tre situazioni: a) l’intesa nella forma di pratica concordata nel corso del 1998 mediante fissazione di prezzi identici nella struttura e nel livello per i servizi di comunicazione fisso/mobile offerti al pubblico; b) l’intesa nella forma di accordo di rimodulazione delle condizioni economiche per le comunicazioni fisso/mobile; c) l’intesa nella forma di pratica concordata nella fissazione dei prezzi di terminazione praticati agli operatori di telecomunicazione.
A seguito di distinte impugnative da parte delle società Tim e Opi, rivolte alla contestazione degli accertamenti effettuati e delle sanzioni irrogate, il Tar del Lazio - dopo aver disposto la trattazione congiunta dei ricorsi per ragioni di connessione e aver riunito al merito l’istanza cautelare di sospensione- ha respinto entrambi i ricorsi.
Orbene, la sentenza che si commenta offre lo spunto per qualche riflessione in materia considerata l’attualità delle questioni trattate.
Innanzitutto, vengono in gioco il disposto e l’interpretazione dell’art. 2 della legge 287/90, comma 1°, nella parte in cui considera come intese “gli accordi e/o le pratiche concordate tra imprese”. Sul punto, la giurisprudenza, sia comunitaria che nazionale, distingue le due nozioni.
La pratica concordata - nella giurisprudenza della Corte di Giustizia europea – è ricostruita come una forma di coordinamento tra imprese che, senza aver raggiunto lo stadio dell’attuazione di un vero e proprio accordo, costituisce in pratica una consapevole collaborazione tra le imprese stesse a danno della concorrenza.
L’accordo si concretizza in una convergenza di volontà delle parti che vi accedono anche se non deve necessariamente dare luogo ad obbligazioni coercibili o ad un contratto valido. Peraltro, non è neanche necessario che sia formalizzato in un atto sottoscritto bastando un agreement verbale.
Anche la giurisprudenza del Consiglio di Stato (cfr. Cons. Stato, sez. VI, n. 1792 del 1996) ha, di recente, evidenziato la peculiarità degli accordi ritenendo che “poiché le fattispecie di cui agli articoli 2 e 3 della legge 287 sono di stretta interpretazione, non sussiste accordo, suscettibile di configurare intesa restrittiva della concorrenza, laddove il patto tra società non sia stato concluso da soggetti abilitati ad assumere impegni a nome delle società stesse” (fattispecie in tema di compagnie di assicurazione). In particolare, come è stato ritenuto anche dalla dottrina (Liantonio) - mentre gli accordi necessitano di requisiti formali propri la cui esistenza va dimostrata durante la fase istruttoria preliminare al provvedimento – per le pratiche concordate è sufficiente l’accertamento probatorio degli effetti restrittivi della concorrenza.
Nel caso di specie, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato ha ritenuto sussistenti entrambe le figure di intesa previste dal predetto articolo 2 della legge del 1990: e cioè sia la forma della pratica concordata e sia quella più definita dell’accordo tra imprese.
Alcuni comportamenti delle società concessionarie delle reti radiomobili GSM non si sono concretizzati in un vero e proprio accordo -nonostante l’evidenza documentale di contatti e scambi tra le parti nel corso del 1998 in relazione alla materia del fisso/mobile - quanto piuttosto in una pratica concordata, comunque vietata dalla normativa in materia di tutela della concorrenza e del mercato, che è consistita nella fissazione di prezzi identici per le comunicazioni provenienti da apparecchi della rete fissa e terminate sulla rete mobile e nella predeterminazione dei prezzi di vendita dei servizi di interconnessione reti ad altri operatori.
In relazione alle nuove condizioni di offerta al pubblico per le comunicazioni fisso/mobile – invece - i comportamenti delle società ricorrenti hanno dato luogo ad un vero e proprio accordo, anch’esso vietato ai sensi dell’art. 2 della legge 287/90, nonostante non avesse prodotto alcun effetto di restrizione di concorrenza in quanto le tariffe erano state successivamente annullate dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni.
L’aspetto più interessante concerne le specifiche motivazioni a supporto della decisione Antitrust che è stata influenzata profondamente dal mutato quadro normativo rivolto tutto in un’ottica prevalente di liberalizzazione del settore delle telecomunicazioni in adesione agli orientamenti comunitari in materia. Ancora una volta si assiste alla significativa influenza della normativa dell’Unione Europea - si pensi all’entrata in vigore del DPR 318 del 1997 che è il Regolamento per l’attuazione delle direttive comunitarie nel settore – sul nostro ordinamento e sull’azione degli operatori del diritto.
In proposito, l’Autorità garante ha precisato che - nell’anno 1998, anno della liberalizzazione - a differenza che nei precedenti, la conservazione di prezzi eguali per entrambe le società non poteva essere considerata un effetto di autonome scelte imprenditoriali, dando luogo sicuramente ad un’intesa illecita.
Altro aspetto interessante della fattispecie è quello riguardante l’applicazione delle sanzioni amministrative irrogate da parte dell’Antitrust preposta allo specifico settore della tutela della concorrenza e del mercato.
In proposito, la dottrina (Clarich) fa notare che alcune delle autorità indipendenti, tra cui l’Antitrust, possiedono poteri che vengono usualmente attribuiti a organi facenti parte dell’ordine giudiziario (poteri ispettivi, istruttori, cautelari, sanzionatori). Il loro nucleo caratterizzante è rappresentato dal potere di accertamento e di qualificazione dei fatti con eventuale adozione di misure sanzionatorie, non dissimile dall’attività svolta dal giudice penale o civile, che implica una delicata e complessa operazione di valutazione di tutti gli elementi e circostanze della situazione.
Peraltro,
tenendo presente che questa attività è ricostruita da altri autori (Pajno)
come attività tipicamente contenziosa, la stessa è assistita dalle garanzie e
dal principio del contraddittorio assicurati anche mediante le procedure in
materia di partecipazione degli interessati
disciplinate dall’art. 14 della legge 287/90 e
nel DPR 217/98, che è il
Regolamento recante norme in materia di procedure istruttorie di competenza
dell’Antitrust.
Tanto
premesso, nella sentenza che si commenta, appaiono di particolare importanza
alcune considerazioni del giudice amministrativo in ordine all’applicazione
delle sanzioni.
In
primo luogo, il Collegio ritiene che – in presenza di un coordinamento
consapevole di scelte commerciali che, viceversa, avrebbero potuto liberamente
dispiegarsi nella concorrenza - l’illiceità coinvolge necessariamente le
condotte di tutte le imprese partecipi dell’intesa (nella specie sia Tim che
Omnitel Pronto Italia). In sostanza sono ritenute entrambe e parimenti
responsabili del comportamento lesivo della libertà di concorrenza e non assume
rilevanza alcuna quale dei due soggetti “avrebbe dovuto aprire le ostilità”
(nella fattispecie, si precisa che il compito di aprire la competizione
concorrenziale spettava al gestore TIM).
Appare
questo un orientamento da condividersi in quanto giustamente rispettoso del
principio di par condicio tra le
due imprese coinvolte nella procedura di intesa; che sia poi questa accordo o
pratica concordata non importa, essendo comunque
entrambe le forme caratterizzate dall’elemento minimo della consapevole
collaborazione tra le imprese stesse a danno della concorrenza.
Inoltre,
il Collegio espressamente ritiene che la pretesa delle ricorrenti al
riconoscimento della buona fede collide irreparabilmente con il sistema
risultante dalla legge n. 287/90
posto che – una volta accertata una pratica concordata illecita e grave –
l’Autorità Antitrust non ha la discrezionalità di accordare scriminanti ma
deve procedere all’applicazione della sanzione.
Anche
questa considerazione deve assolutamente essere condivisa alla luce del testuale
disposto normativo.
In
proposito, l’art. 15 della legge 287, in tema di diffide e sanzioni, prevede
testualmente che “nei casi di infrazioni gravi, tenuto conto della gravità e
della durata dell’infrazione, l’Autorità dispone l’applicazione di una
sanzione amministrativa pecuniaria in misura non inferiore all’1% e non
superiore al 10% del fatturato realizzato in ciascuna impresa nell’ultimo
esercizio chiuso anteriormente alla notificazione della diffida relativamente ai
prodotti oggetto dell’intesa, determinando i tempi entro i quali l’impresa
deve procedere al pagamento della sanzione”.
Pertanto,
non sussiste alcuna possibilità di scelta sull’applicazione della sanzione
conseguente ad un accertamento
effettuato in sede istruttoria che abbia evidenziato una violazione della legge
287/90. Né la buona fede, come criterio generale del sistema, può valere come
eventuale esimente nel senso di eliminare il contrasto tra il fatto oggetto del
divieto (intesa) e l’ordinamento giuridico, perché nel settore della
concorrenza il bene tutelato dalla legge lo è sempre e non viene mai meno
“l’offesa “ a questo.
Pur
tuttavia, un temperamento a questo rigoroso orientamento potrebbe essere
rappresentato da un’altra recente
sentenza del Tar Lazio sez. I (n. 1902/98) che – comunque – non si attaglia
alla fattispecie in esame. In base a tale ultima sentenza
“nel caso di fattiva e decisiva collaborazione per la scoperta delle
intese vietate in tema di concorrenza commerciale trova applicazione il
principio secondo cui occorre accordare prevalenza all'interesse dei consumatori
e dei cittadini alla scoperta delle intese vietate rispetto all'interesse di
irrogare ammende alle imprese che, collaborando con le autorità competenti,
consentono di scoprire e vietare cartelli o contribuiscono al raggiungimento di
tali obiettivi”.
Si
deve ulteriormente precisare che nella fattispecie la misura delle sanzioni
irrogate dal Garante è di importo considerevole anche perché è superiore al
minimo edittale. Su questo specifico aspetto,
il Collegio - ritenendo
legittimo l’operato dell’Autorità – specifica che tale circostanza è
giustificata in relazione alla gravità del sacrificio imposto alla collettività
dei consumatori perpetuando con pratica concordata l’applicazione al traffico
fisso/mobile di una tariffa abnormemente elevata.
E’
questo un principio già consolidato nella giurisprudenza in materia anche se
devono essere considerati ulteriori elementi e circostanze. In proposito, è
stato ritenuto che costituiscono ulteriori elementi rilevanti in ordine alla
quantificazione della sanzione e alla valutazione della gravità
della violazione, sia la dimensione delle imprese coinvolte, sia il loro
potere economico e la conseguente influenza che sono suscettibili di esercitare
sul mercato, sia l'opera svolta dalle stesse per eliminare o attenuare
l'infrazione.
E’
appena il caso di ricordare che – con altra recentissima sentenza
(n.1348/2000) – il Consiglio di Stato, sez. VI, ha precisato che “nei casi
di provvedimento sanzionatorio di abuso di posizione dominante l’Antitrust è
tenuta a commisurare l’entità economica della sanzione al fatturato
realizzato dall’impresa nell’ultimo esercizio chiuso anteriormente alla
notificazione della diffida relativa ai prodotti oggetto dell’abuso, a
motivare congruamente la percentuale sanzionatoria da applicare sul valore dei
prodotti stessi e a considerare l’esatta durata delle violazioni
riscontrate”.
In ogni caso, l’elemento della gravità del sacrificio imposto alla collettività dei consumatori è oggi prevalente proprio in relazione alla priorità accordata alla tutela generale della categoria, anch’essa di matrice comunitaria e che ha visto, da ultimo, il legislatore intervenire con il recepimento della Direttiva UE n. 13/93 in materia di clausole abusive e con la legge n. 281/98 in materia di associazioni di consumatori.
Pertanto, non può sorprendere il parametro di riferimento della misura della sanzione alla gravità del sacrificio imposto alla collettività proprio in relazione allo stretto legame tra la tutela della concorrenza e quella del consumatore.