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Articoli e note

 

DANIELE RISO

L’assetto normativo delle concessioni radiotelevisive:
dalla sentenza della Consulta n. 420/94
alle prospettive di diffusione del sistema digitale terrestre

La Corte costituzionale, secondo il disegno del Costituente del 1948, svolge l'essenziale funzione di "stabilizzatore" del rapporto tra principi costituzionali di riferimento ed attività normativa del Parlamento, mirando ad un'armonizzazione del sistema delle fonti e delle norme che dovrebbero comunque porsi tutte all'interno del quadro costituzionale.

E' innegabile che l'episodicità del controllo riduce l'area di azione della Corte che, peraltro, recupera talvolta ampi poteri sul versante dell'incisività, emanando delle sentenze additive o modificative di testi normativi.

Il valore delle decisioni della Consulta risulta unanimemente riconosciuto quale espressione della più elevata forma di controllo democratico sull'operato del legislatore. Appare, inoltre, indiscutibile l'esito del procedimento di controllo, rispetto al quale tertium non datur: una legge della Repubblica può essere classificata dalla Corte come conforme a Costituzione oppure contrastante con le norme di riferimento costituzionale e, dunque, da eliminare dal sistema delle fonti del diritto.

Tuttavia, si è talvolta assistito ad un abbandono da parte della Consulta di tale sistema binario di valutazione, con uno scivolamento verso un esito anomalo del giudizio di legittimità costituzionale.

E’ il caso della sentenza della Corte costituzionale n. 420 del 1994 (1) avente ad oggetto la "disciplina del sistema radiotelevisivo pubblico e privato", di cui alla legge n. 223/90 ed al decreto legge n. 323/93.

Con tale decisione, la Consulta ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 15 c. 4 della legge 6 agosto 1990 n. 223 (c.d. legge Mammì), nella parte in cui consente ad uno stesso soggetto di essere titolare di tre concessioni televisive nazionali o del 25% delle reti pianificate. Secondo la Corte costituzionale, una tale concentrazione di concessioni in capo ad un medesimo soggetto non garantirebbe il valore del pluralismo radiotelevisivo, espresso dall'art. 21 della Costituzione.

La questione di legittimità era stata posta incidentalmente dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio (2), anche con riferimento a talune disposizioni del decreto legge n. 323/93 (3); tali norme, nel loro combinato disposto con gli articoli 15 c. 4 ed 8 c. 7 della legge n. 223/90, consentivano la prosecuzione dell'attività di emittenti nazionali, anche senza la garanzia del pluralismo (ed anche se escluse dal rilascio della concessione in base al D.M. 13/8/92), fino all'emanazione della nuova legge sulla radiotelevisione e, comunque, per non più di tre anni dall'entrata in vigore del decreto legge 323/93 (cioè fino al 27 agosto 1996) (4). La Corte costituzionale non ha ritenuto di dover pronunciare l'incostituzionalità delle norme del decreto legge 323/93, limitando la valutazione di illegittimità al solo art. 15 c. 4 della legge n. 223/90.

La sentenza n. 420/94 – come sopra anticipato - ha un esito anomalo in quanto, pur dichiarando l'illegittimità costituzionale dell'art. 15 c. 4 della l. n. 223/90 non ne determina l'immediata fuoriuscita dal nostro ordinamento, ma predispone una forma di incostituzionalità, per così dire, "ad orologeria": la norma dell'art. 15 c. 4, pur difforme rispetto al quadro costituzionale, continua a produrre i propri effetti giuridici per volontà della stessa Consulta, che cade in una sorta di contraddizione logica.

Infatti, la Corte costituzionale, sollecitando il legislatore ad intervenire in materia per emanare una nuova disciplina conforme alla Costituzione, afferma che "la dichiarazione di incostituzionalità non determina un vuoto di disciplina, vuoto che significherebbe un arretramento verso la mancanza di alcun limite alla titolarità di plurime concessioni. Rimane, infatti, pienamente efficace il decreto legge 323/93 e quindi resta ferma nel periodo di transizione - e limitatamente a tale periodo - la provvisoria legittimazione dei concessionari già assentiti con D.M. 13 agosto 1992 a proseguire nell'attività di trasmissione con gli impianti censiti".

La Consulta, quindi, giustifica il permanere del decreto legge 323/93 (cosiddetta disciplina-ponte), sulla base della provvisorietà della disciplina in esso contenuta ed in attesa della nuova legge sulle radiotelevisioni. Ma così facendo, ridà (temporaneamente) vita all'art. 15 c. 4 della l. n. 224, richiamato nel testo del decreto legge n. 323/93 (5).

Già il Tribunale amministrativo del Lazio, nell'ordinanza di rimessione, ammoniva la Corte costituzionale sottolineando che "il vizio non può dirsi insussistente per il dichiarato carattere provvisorio della disciplina censurata (..) sia perché‚ non esiste nella Costituzione una norma che consenta di derogare alle disposizioni in essa contenute nel caso di discipline provvisorie, sia soprattutto perché, nel caso di specie, la continua reiterazione di norme provvisorie tende di fatto a consolidare e perpetuare una situazione nata dall'occupazione spontanea dell'etere da parte dei privati" (6).

Sulla base della sentenza della Corte costituzionale e del decreto legge n. 323/93, si ha una situazione nella quale, fino all'entrata in vigore della nuova disciplina del sistema radiotelevisivo e comunque per un periodo non superiore a tre anni (dall'entrata in vigore del d.l. 323/93), i titolari di concessioni proseguono nell'esercizio della radiodiffusione televisiva in ambito nazionale. La Corte costituzionale dichiara, quindi, l'illegittimità dell'art. 15 c. 4 della legge n. 223/90, ma sposta gli effetti della decisione fino alla data di emanazione della nuova legge sulla radiodiffusione o comunque fino al 27 agosto 1996.

In tale situazione la Corte costituzionale ha assunto un atteggiamento prudente, mostrando "una certa sensibilità politica cercando di controbilanciare, con un impatto morbido, gli effetti dirompenti della dichiarazione di incostituzionalità" (7).

Il comportamento della Consulta, per quanto discutibile e per certi versi contraddittorio, non lacera però il sistema costituzionale nel suo complesso. Accade però che il potere legislativo nel suo complesso (sia attraverso la decretazione d’urgenza che attraverso leggi ordinarie), ponendo una priorità emergenziale, abbia perpetuato lo stato di provvisoria legittimazione delle norme dichiarate incostituzionali ben oltre il termine fissato dalla Consulta, sospendendo di fatto l’autoritatività (8) e gli effetti della sentenza n. 420/94, nell’indifferenza pressoché generale sulla questione (9).

E' accaduto, infatti, che si giungesse alla scadenza del triennio (esattamente alla data del 27/8/96) indicato dalla sentenza n. 420/94 quale intervallo utile per legiferare in materia, senza che la nuova legge sulle radiotelevisioni fosse varata (10).

Alla data del 27 agosto 1996 avviene ciò che molti sospettavano, ma che già il Tribunale amministrativo regionale del Lazio paventava nell'ordinanza di rimessione: il Governo emana un decreto-legge (28/8/1996 n. 444) che reitera il precedente, oltrepassando così il termine ultimo di "emergenza costituzionalmente autorizzata" dalla Consulta, e provocando una lacerazione dell'ordine costituzionale gravissima e senza precedenti così espliciti.

Tale provvedimento viene ancora una volta riproposto (d.l. 23/10/96 n. 545), proprio pochi giorni prima del deposito della sentenza della Consulta in materia di non reiterabilità dei decreti-legge (11). Si assiste, infatti, in tal caso ad un'anticipazione dell'emanazione del decreto-legge di reiterazione (il precedente decreto legge non era ancora scaduto alla data del 23/10/96), proprio per evitare di incappare nelle maglie della sentenza n. 360/96 della Consulta (12).

L'art. 1 del decreto legge n. 545/96 proroga al 31 gennaio 1997 il termine per l'emanazione della nuova disciplina in materia radiotelevisiva, con buona pace per le parole espresse dalla Consulta nella propria sentenza. Occorre sottolineare che, anche da un punto di vista letterale, il decreto svaluta la sentenza n. 420/94, parlando di "indicazioni date dalla Corte costituzionale" (art. 1) e non di vere e proprie prescrizioni.

Intervenuta la sentenza della Consulta n. 360/96, non era più possibile procedere all'ulteriore reiterazione di decreti legge in materia. Ci si aspettava quindi la tanto attesa nuova legge sull'assetto radiotelevisivo. Tuttavia, l'emergenza si perpetua ed interviene la legge di conversione del decreto legge n. 545/96 recante "disposizioni urgenti per l'esercizio dell'attività radiotelevisiva" (legge 23/12/96 n. 650) (13). L'art. 1 della legge n. 650/96 propone l'ennesima proroga dei termini (e quindi l'ennesima nullificazione dell'operato della Consulta) fino alla data del 31 maggio 1997, concedendo peraltro, al Parlamento, un ulteriore spatium deliberandi fino al 31 luglio 1997, qualora alla prima scadenza (31 maggio) una delle Camere avesse già approvato il testo di legge.

Nei giorni successivi alla decisione della Consulta n. 420/94 si erano già registrati alcuni interventi preoccupati ove si sottolineava che "ben difficilmente la Corte potrà accettare una proroga ulteriore rispetto al termine massimo contenuto nel d.l.323/93" (14). Tuttavia, la realtà ha superato anche la più oscura delle previsioni, senza che ciò abbia prodotto reazioni negli attori istituzionali che hanno giustificato la successione degli atti normativi in materia di radiotelevisione a causa della "particolarità della situazione (..), della necessità di procedere alla revisione del piano di assegnazione delle frequenze, che ha reso impossibile il passaggio a regime del sistema introdotto dalla l.n.223/90; questo spiega l'esigenza, assolutamente insuperabile di autorizzare la prosecuzione delle trasmissioni con gli impianti censiti" (15).

Ma quale livello di eccezionalità è sopportabile da un ordinamento giuridico senza che questo si trasformi da sistema di garanzia della legalità a sistema di acquiescenza tacita rispetto a qualunque forma emergenziale?

Alla data del 31.7.97, termine ultimo indicato dalla legge n. 650/96 per legiferare in materia, viene emanata la legge n. 249/97 (c.d. legge Maccanico) recante “Istituzione dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (denominata anche AGCOM) e norme sui sistemi delle telecomunicazioni e radiotelevisivo” (16).

Nel periodo storico in cui l’Italia inizia a conoscere il fenomeno delle Authority indipendenti, nasce dunque tale organismo costituito, in forma piuttosto articolata, da:

- Presidente (17)

- Commissione per le infrastrutture e le reti: ha compiti di predisposizione ed approvazione del piano di assegnazione delle frequenze (competenza che passerà successivamente al Consiglio dell’Authority) ed esprime il proprio parere sul piano nazionale di ripartizione delle frequenze elaborato dal Ministero delle Comunicazioni (18); ha inoltre varie competenze di controllo sulle strutture e sui gestori delle comunicazioni (definizione delle misure di sicurezza sulle comunicazioni, tenuta del registro degli operatori delle comunicazioni, vigilanza sui tetti di radiofrequenza compatibili con la salute ecc.)

- Commissione per i servizi e i prodotti (19): ha prevalentemente un ruolo di vigilanza sui prodotti radiotelevisivi, sul livello di qualità degli stessi, sulle forme di pubblicità, sul rispetto delle norme a tutela dei minori e sulla tutela delle minoranze linguistiche ecc;

- Consiglio (20): è l’organo centrale dell’Authority ed ha competenze di grande impatto quali l’adozione dei regolamenti di funzionamento dell’organismo, la verifica dei bilanci e dei dati relativi alle attività ed alla proprietà dei soggetti autorizzati o concessionari del servizio radiotelevisivo, l’accertamento dell’effettiva sussistenza di posizioni dominanti nel settore radiotelevisivo e l’adozione dei conseguenti provvedimenti, l’autorizzazione ai trasferimenti di proprietà delle società radiotelevisive.

La legge n. 249/97 interviene sul problema delle concentrazioni radiotelevisive, introducendo due tipi di limitazioni che conformano - in via di principio - la disciplina normativa alle indicazioni contenute nella sentenza n. 420/96 della Consulta:

a) Limitazioni alla titolarità delle concessioni: l’art. 2 c. 6 indica che ad uno stesso soggetto (o a soggetti controllati da o collegati a soggetti i quali a loro volta controllino altri titolari di concessioni in base ai criteri individuati nella vigente normativa) non possono essere rilasciate concessioni né autorizzazioni che consentano di irradiare più del 20% rispettivamente delle reti televisive o radiofoniche analogiche e dei programmi televisivi o radiofonici numerici, in ambito nazionale, trasmessi su frequenze terrestri (21), sulla base del piano delle frequenze.

b) Limitazioni di tipo economico-finanziario: secondo l’art. 2 c. 8 lett. d) i soggetti destinatari di concessioni televisive in ambito nazionale anche per il servizio pubblico (..) possono raccogliere proventi per una quota non superiore al 30% delle risorse del settore radiotelevisivo in ambito nazionale riferito alle trasmissioni via etere terrestre e codificate.

Il medesimo art. 2 sanziona qualsiasi atto o comportamento avente per oggetto o per effetto la costituzione o il mantenimento di una posizione dominante da parte di uno stesso soggetto (anche attraverso soggetti controllati o collegati) con la nullità degli atti giuridici, delle operazioni di concentrazione e delle intese contrastanti con i divieti contenuti nell’articolo stesso.

L’Autorità è preposta ad adottare i provvedimenti necessari per eliminare o impedire il formarsi di posizioni lesive del pluralismo.

La legge n. 249/97 è proiettata – come i successivi interventi normativi - alla soluzione del problema delle concentrazioni attraverso l’utilizzo delle nuove tecnologie; in tale ottica l’art. 2 c. 13 afferma che “al fine di favorire la progressiva affermazione delle nuove tecnologie trasmissive, ai destinatari di concessioni radiotelevisive in chiaro su frequenze terrestri è consentita, previa autorizzazione dell’Autorità, la trasmissione simultanea su altri mezzi televisivi”.

 

I soggetti legittimamente operanti all’entrata in vigore della legge Maccanico:

L’esercizio dell’attività radiotelevisiva è stato proseguito, per circa un biennio, dai soggetti legittimamente assentiti alla data di entrata in vigore della legge n. 249/97 sulla base di una serie alluvionale di proroghe.

L’art. 3 c. 1 della legge n. 249/97 consente, infatti, ai soggetti legittimamente operanti alla data di entrata in vigore della legge stessa la prosecuzione dell’esercizio della radiodiffusione sonora e televisiva in chiaro in ambito nazionale e locale fino al rilascio delle nuove concessioni ovvero fino alla reiezione della domanda e comunque non oltre il 30.4.98; il successivo c.2 prevede poi che entro il 31.1.98 venga approvato il piano nazionale delle frequenze e che le nuove concessioni private vengano rilasciate entro il 30.4.98 per una durata sessennale.

Successivamente, con legge 30 aprile 1998 n. 122 (22), (art. 1 c. 1) i termini per l’approvazione del piano nazionale delle frequenze e per le nuove concessioni vengono prorogati di nove mesi e dunque rispettivamente al 31.10.98 ed al 31.1.99.

Il Consiglio dell’Authority approva il piano nazionale di assegnazione delle frequenze il 30.10.98 (23), entro il termine previsto dalla legge 122/98; tuttavia verrà posticipato il termine per il rilascio delle nuove concessioni.

Interviene infatti la legge 29 marzo 1999 n. 78 (24) (art. 1 c. 1) che consente ai soggetti legittimamente operanti alla data del 31 gennaio 1999, ai sensi della legge 30 aprile 1998, n. 122, la prosecuzione dell'esercizio della radiodiffusione televisiva in ambito nazionale fino al rilascio della concessione ovvero fino alla reiezione della domanda e, comunque, non oltre il 31 luglio 1999.

Il Ministero delle Comunicazioni provvede al rilascio delle concessioni il 28 luglio 1999.

Fin qui la legge Maccanico – proroghe a parte - sembrerebbe finalmente porsi in linea con la sentenza della Consulta n. 420/94; tuttavia il provvisorio circuito di extra-costituzionalità di disposizioni di legge in contrasto con una sentenza della Consulta andrà a perpetuarsi ancora fino ai nostri giorni con riferimento invece ai soggetti illegittimamente operanti.

 

I soggetti illegittimamente operanti all’entrata in vigore della legge Maccanico:

L’art. 3 c. 6 della legge n. 249/97 consente ai soggetti esercenti la radiodiffusione televisiva in ambito nazionale che superino i limiti previsti dall’art. 2 c. 6 (soggetti dunque illegittimamente operanti) di poter proseguire in via transitoria, successivamente al 30.4.98 l’esercizio delle reti eccedenti gli stessi limiti, nel rispetto degli obblighi stabiliti per le emittenti nazionali televisive destinatarie di concessione, a condizione che le trasmissioni siano effettuate contemporaneamente su frequenze terrestri e via satellite o via cavo. Il termine di durata di tale ulteriore proroga non è predeterminato per legge.

Infatti, la contemporanea presenza su frequenze terrestri e via satellite/cavo è ritenuta ammissibile dall’art. 3 c. 7 per un periodo fissato dall’Autorità in relazione all’effettivo e congruo sviluppo dell’utenza dei programmi radiotelevisivi via satellite/cavo, trascorso il quale la trasmissione potrà essere effettuata esclusivamente via satellite o via cavo.

 

Il sistema radiotelevisivo pubblico

L’art. 3 c. 9 della legge Maccanico prevedeva che entro il 30.4.98 la concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo presentasse un piano per una ristrutturazione che consentisse, pur nell’ambito dell’unitarietà del servizio pubblico, di trasformare una delle sue reti televisive in una emittente che non può avvalersi di risorse pubblicitarie.

Il Consiglio di Amministrazione della Rai ha approvato in data 29.4.98  le linee guida per la realizzazione della nuova Rai tre e dei piani aziendali coordinati; tale piano ha ottenuto il parere favorevole della Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi (art. 3 c. 9 l. n. 249/97) in data 8.2.01.

Il termine entro il quale dev’essere istituita l’emittente senza risorse pubblicitarie dev’essere fissato dall’Authority contestualmente all’indicazione del termine di cui all’art. 3 commi 7 e 11, previsto per il passaggio su satellite o cavo delle reti private illegittimamente operanti.

 

La legge n. 66/2001 ed il nuovo sistema di diffusione digitale su frequenze terrestri:

Nel frattempo, con decreto legge del 23 gennaio 01 n. 5, viene prospettato un superamento dei problemi di saturazione dell’etere con l’utilizzo delle nuove tecnologie di tipo digitale terrestre che consentono un più efficace utilizzo dello spettro di frequenze, tale da incrementare il numero dei potenziali operatori.

Si tratta, tuttavia - come afferma l’Authority – di un sistema che nasce “sotto l’impulso di una forte volontà politica: non è l’esito di una scelta di investimento effettuata in autonomia dagli imprenditori televisivi (..) ma rappresenta piuttosto un’opzione di politica industriale, una svolta di innovazione conseguente ad una decisione strategica su scala nazionale volta a spegnere i sistemi di trasmissione in tecnica analogica e a digitalizzare il Paese” (25).

Le nuove disposizioni, convertite con modifiche nelle legge 20 marzo 01 n. 66 (26), prevedono che entro il 31 dicembre 2002 venga adottato il piano nazionale di assegnazione delle frequenze televisive in tecnica digitale e che al 31 dicembre 2006 cessino le trasmissioni terrestri analogiche. Si tratta di una data molto ravvicinata perché si possa ottenere il completo superamento dell’attuale assetto radiotelevisivo e che difficilmente – secondo molti osservatori – potrà essere rispettata (27).

La legge n. 66/01 indica gli attuali concessionari del servizio radiotelevisivo quali attori fondamentali per determinare il passaggio al nuovo sistema in tecnica digitale terrestre: è infatti previsto, all’art. 2 bis c. 1, un obbligo a carico dei soggetti titolari di almeno due concessioni televisive di riservare, in ciascun blocco di programmi e servizi diffusi in tecnica digitale, pari opportunità e comunque almeno il 40% della capacità trasmissiva del medesimo blocco di programmi e servizi a condizioni eque, trasparenti e non discriminatorie, per la sperimentazione da parte di altri soggetti che non siano società controllanti, controllate o collegate.

La legge introduce inoltre un interessante elemento di novità nella differenziazione fra operatori di rete e fornitori di contenuti, ciò che innova completamente rispetto all’attuale modello di operatore integrato che fornisce sia le strutture trasmissive che i contenuti, con probabile diminuzione dei costi d’ingresso nel settore televisivo (28).

 

L’ordinanza di rimessione alla Consulta del TAR Lazio 15 febbraio 2001 (29):

Il Tar del Lazio con Ordinanza n. 158 del 15.2.01 ha dichiarato la rilevanza e la non manifesta infondatezza, con riferimento agli artt. 3, 21 e 136 della Costituzione, della questione di legittimità costituzionale degli artt. 2 c. 6 e 3 c. 6 e 7 della legge n. 249/97, nella parte in cui “anziché decretare il superamento definitivo dell’assetto fissato dall’art. 15 c. 4 della legge n. 223/90 – giudicato incostituzionale per effetto della sentenza della Corte Costituzionale n. 420/94 – e quindi l’effettiva efficacia di nuovi limiti alla concentrazione di reti e frequenze, ha bensì individuato il parametro del 20% (delle reti televisive analogiche) ma ne ha contestualmente rinviato l’applicazione ad una data imprecisata, prevedendo la facoltà di proseguire nell’esercizio delle reti eccedenti il limite nonché l’attribuzione all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni del potere di fissare il termine del potere transitorio”.

Il ricorso di merito era stato presentato al Tar del Lazio da organismi ed associazioni di consumatori che sostenevano l’illegittimità dei provvedimenti (30) con i quali si è data attuazione alle norme della legge n.249/97, deducendo l’eccezione di illegittimità costituzionale degli artt. 2 c. 6 e 3 c. 6 e 7 della legge stessa: il legislatore avrebbe operato una evidente violazione dei principi di ragionevolezza, del pluralismo nella manifestazione del pensiero, della libertà di iniziativa economica, come affermati dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 420/94, la cui pronuncia risulta quindi palesemente elusa, con ulteriore violazione dell’art. 136 Cost.

Il Tar del Lazio ha ritenuto che la questione fosse rilevante nel giudizio promosso in quanto “l’insieme degli atti impugnati è stato adottato in costanza del regime transitorio scaturente dalla normativa impugnata, caratterizzato dalla deroga al limite del 20%” (posto dalla legge n. 249/97) (31).

La questione appare poi non manifestamente infondata in riferimento agli artt. 3, 21 e 136 della Costituzione: il Tar Lazio, ribadisce la non derogabilità dei principi fissati dalla Consulta con la decisione n. 420/94 e indica come la legge n. 249/97 “anziché decretare il superamento definitivo dell'assetto giudicato incostituzionale e quindi l’efficacia di nuovi limiti alla concentrazione di reti e frequenze, ha bensì individuato il parametro del 20%, ma ne ha contestualmente rinviato l’applicazione ad una data imprecisata”.

Il Tar Lazio rammenta conclusivamente che “la sentenza n. 420/94 ha già accordato al legislatore una moratoria di circa due anni, inutilmente decorsa ed illegittimamente dilatata. Ma, soprattutto, che degli istituti invocati dalle parti resistenti non può farsi un uso strumentale, che si risolve nella grave elusione del giudicato costituzionale e nella plateale violazione dei principi in esso affermati”.

La Corte Costituzionale non ha ancora emesso la propria sentenza, pur avendo chiuso la fase istruttoria.

 

La delibera dell’AGCOM 7 agosto 2001:

L’Autorità con delibera del 7.8.01 (32), ha innanzitutto esaminato la situazione delle concessioni televisive italiane, ribadendo che:

- sulla base dell’art. 2 c. 6 della legge n. 249/97 e della pianificazione fissata in data 30.10.98 – un medesimo soggetto privato non può essere titolare di concessioni che permettano di irradiare più di due reti televisive nazionali;

- sulla base dell’art. 3 c. 11 nessun soggetto può essere destinatario di più di una concessione televisiva su frequenze terrestri in ambito nazionale per la trasmissione di programmi in forma codificata;

- sulla base dell’art. 3 c. 9 il concessionario del servizio pubblico radiotelevisivo dovrà trasformare una delle proprie reti televisive in una emittente che non può avvalersi di risorse pubblicitarie (33).

L’analisi dell’Authority si snoda secondo un percorso piuttosto articolato, che integra in una sorta di sintesi normativa le disposizioni della legge n. 249/97 con quelle della legge n. 66/01: le trasmissioni terrestri in tecnica digitale sono infatti indicate, ai fini dell’art. 3 c. 7 e 11 della legge n. 249/97, come “terza modalità diffusiva che estende il perimetro dei sistemi alternativi alla diffusione terrestre in tecnica analogica e accelera lo sviluppo delle famiglie in grado di ricevere i segnali televisivi in forme diverse da quella tradizionale”.

L’Authority pone quale scenario di fondo “la necessità di operare un bilanciamento tra l’allargamento delle voci a cui assentire l’accesso all’emittenza nazionale privata e l’esigenza di tenere conto delle realtà economiche comunque esistenti rispetto alle quali gli interventi deconcentrativi non devono avere un effetto punitivo”.

Di seguito, l’Authority va a fissare il termine di cui all’art. 3 commi 7-9-11 entro cui le reti private (in chiaro e criptate) eccedenti devono essere trasferite su satellite/cavo ed una delle emittenti pubbliche non potrà più avvalersi di risorse pubblicitarie.

Sotto un profilo concreto l’Authority, analizzata la scarsa diffusione – al dicembre 2000 -della televisione via cavo (0,3% delle famiglie italiane) e di quella via satellite (13% delle famiglie italiane), ed individuate le discrete potenzialità diffusive che il sistema digitale terrestre dovrebbe garantire nei prossimi anni, indica nel 50% della popolazione coperta dai sistemi di trasmissione alternativi alla via terrestre analogica (satellite, cavo, digitale terrestre), la soglia tale da garantire l’effettivo e congruo sviluppo di tali sistemi alternativi.

Tale soglia percentuale dovrebbe essere raggiunta il 31 dicembre 2003, termine entro cui le reti private eccedenti (in chiaro e criptate) dovranno essere veicolate esclusivamente su un sistema alternativo a quello analogico terrestre (satellite, cavo, digitale terrestre) ed una rete pubblica dovrà perdere il finanziamento pubblicitario.

La stessa Authority afferma che le proprie valutazioni sono ancorate  ad “assunzioni speculative ed ipotesi su comportamenti sociali dipendenti da numerose variabili”, e dunque pone dei margini di oscillazione significativi e tali da imporre una verifica al 31 dicembre 2002 (34).

 

[1] La sentenza 5 dicembre 1994 n. 420 è stata depositata in data 7 dicembre 1994, pubblicata in G.U. prima serie speciale n. 51 del 14/12/94 ed in Giurisprudenza costituzionale 1994 p. 3716, oltre che all'interno del Dossier della Camera dei Deputati n. 147 del 1996 p. 211.

[2] Cfr. le ordinanze di rimessione pubblicate in Gazzetta ufficiale, prima serie speciale, 11/5/94 n. 20, 18/5/94 n. 21 ed 1/6/94 n. 23.

[3] Il decreto legge 27 agosto 1993 n. 323, pubblicato in GU n. 202 del 28893, è stato successivamente convertito nella legge 27 ottobre 1993 n. 422.

[4] Cfr. Dossier della Camera dei Deputati sull'esercizio dell'attività radiotelevisiva e sul decreto legge n. 545/96, XIII legislatura, dicembre 1996, n. 147, p. 13, ove si afferma che "in sostanza tutte le emittenti televisive in attività. hanno continuato ad operare sulle frequenze occupate prima dell'entrata in vigore della legge n. 223/90".

[5] Cfr. Grandinetti Ottavio, Il futuro assetto della televisione, in Il Giornale di diritto amministrativo, n. 1/1995 p. 53, che constata come "per il presente la mancata dichiarazione di incostituzionalità della disciplina provvisoria fa sì che - a meno di un nuovo immediato intervento legislativo anche sulla disciplina provvisoria - tutto resti come prima, per lo meno fino all'agosto 1996. (..) In buona sostanza la Corte costituzionale ha considerato accettabile sino all'agosto 1996 una situazione che ha invece ritenuto inaccettabile da quella data in avanti".

[6] Cfr. Sentenza n. 42094 in Dossier Camera dei Deputati n. 147 del 1996 p. 215.

[7] In tal senso, commento alla sentenza n. 42094 di Zaccaria Roberto, in Giurisprudenza costituzionale 1994 p.3751.

[8] Si rammenta qui la peculiare valenza delle decisioni della Corte Costituzionale di cui all’art. 136 e 137 c. 3 della Costituzione.

[9] Cfr. Rodotà, Ragione di Stato e ragione d'antenna, in La Repubblica, 24/12/96, ove si afferma che "i garantisti dell'ultima ora questa volta non hanno battuto ciglio, ed hanno assistito impassibili alla violazione dei criteri indicati dalla Corte costituzionale in materia di concessioni televisive. (..) La ragion di Stato, o la ragion d'impresa, ha così potuto avere la meglio. E il neogarantismo ha mostrato d'essere a corrente alternata, venato di opportunismi e strumentalizzazioni, mentre il garantismo vero è una virtù dei momenti difficili".

[10] Ricordiamo che, dopo l'annuncio della sentenza della Consulta, in data 14/12/94 la Camera dei Deputati deliberava l'istituzione di una Commissione speciale presieduta dall'On. Napolitano, i cui lavori si intersecavano con gli eventi referendari in materia televisiva (11/695) e si interrompevano a causa dello scioglimento anticipato delle Camere.

[11] Cfr. Corte costituzionale, sentenza 24/10/96 n. 360 in Il corriere giuridico n. 12/1996 p. 1355.

[12] Non è, infatti, casuale che il decreto-legge n. 545/96, essendo intervenuto prima della scadenza del precedente decreto legge n. 444/96, contenga una disposizione (art. 3) con la quale si procede all'abrogazione espressa del decreto n. 444/96.

[13] Il testo del d.l.545/96 coordinato con la legge di conversione n.650/96 è rinvenibile in GU n.38 del 15/2/97.

[14] Così, Zaccaria Roberto, Commento alla sentenza n. 420/94, cit., p. 3751; ricordiamo inoltre Rodotà, cit., che si chiede "come reagirà la Corte costituzionale all'accantonamento clamoroso di una sua sentenza, che aveva sottolineato con forza come la posizione di Mediaset alterasse le condizioni dell'informazione, distorcesse il sistema politico, violando così i diritti dei cittadini?"

[15] Così, Avvocatura dello Stato, in Sentenza n. 420/94, p. 217 del Dossier della Camera dei Deputati n. 147/96.

[16] La legge 31.7.97 n. 249 è pubblicata in G.U. 31.7.97 n. 177 suppl. ord. n. 154/L e ripubblicata in G.U. 25.8.97 n. 197 suppl. ord. Per un primo commento cfr. Di Geronimo Rocco, Il sistema radiotelevisivo italiano dopo la riforma Maccanico, in Il Corriere Giuridico n. 11/1997.

[17] Il Presidente è nominato con DPR su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri, sentito il Ministro delle Comunicazioni.

[17] Si rammenta che il Piano Nazionale di riparto delle Frequenze è approvato con Decreto del Ministro delle Comunicazioni e costituisce una sorta di atto di programmazione generale, mentre l’approvazione del concreto Piano di Assegnazione delle Frequenze è attribuzione propria dell’Authority.

[18] Le due Commissioni sono costituite da quattro componenti cadauna e dal Presidente; i componenti sono eletti dal Senato della Repubblica e dalla Camera dei Deputati.

[20] Il Consiglio è composto dal Presidente e da tutti gli otto commissari.

[21] La legge n. 249/97 ed i successivi interventi normativi si attagliano ad i nuovi strumenti tecnologici di trasmissione, che possiamo esemplificare in: a) frequenze terrestri analogiche; b) tv via etere codificate (es. Telepiù); c) frequenze su satellite; d) tv via cavo, sistema di trasmissione marginale in Italia (es. Piano Socrate di Telecom Italia); e) diffusione digitale su frequenze terrestri con standard DAB e DVB (legge n. 66/01).

[22] La legge 30.4.98 n. 122 recante “Differimento di termini previsti dalla legge 31 luglio 1997, n. 249, relativi all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, nonché norme in materia di programmazione e di interruzioni pubblicitarie televisive” è pubblicata in GU n. 99 del 30.4.98.

[23] Delibera 30.10.98 n. 6898 in G.U. 10.11.98 n. 263, in base alla quale il numero delle reti a copertura nazionale è determinato nel numero di 17, di cui 11 assegnate alla radiodiffusione televisiva in ambito nazionale: l’art. 2 c. 6 della legge 249/97, unitamente a tale piano di assegnazione, non consentono dunque il rilascio ad un medesimo soggetto, ad esclusione della concessionaria pubblica, di concessioni che permettano di irradiare più di due reti televisive nazionali (vedasi infra Delibera AGCOM n. 346/01/CONS).

[24] La legge 29.3.99 n. 78 recante “Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 30 gennaio 1999, n. 15, recante disposizioni urgenti per lo sviluppo equilibrato dell'emittenza televisiva e per evitare la costituzione o il mantenimento di posizioni dominanti nel settore radiotelevisivo” è pubblicata in GU n. 75 del 31.3.99.

[25] vedasi infra Delibera AGCOM n. 346/01/CONS.

[26] La legge 20.3.01 n. 66 di “conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 23 gennaio 2001, n. 5, recante disposizioni urgenti per il differimento di termini in materia di trasmissioni radiotelevisive analogiche e digitali, nonché per il risanamento di impianti radiotelevisivi” è pubblicata in G.U. n. 70 del 24.3.01.

[27] Cfr. Grandinetti Ottavio, Tv: dalla legge Maccanico al digitale, in Giornale di diritto amministrativo n. 3/02 p. 246 ss. che pone l’accento sull’irrealistica previsione dei termini del passaggio al digitale terrestre.

[28] Così la Relazione annuale sull’attività svolta e sui programmi di lavoro 2001 dell’AGCOM, rinvenibile sul sito internet www.agcom.it p. 149, ove si afferma che “il modello di operatore a integrazione verticale, che contraddistingue la televisione analogica, ha costi elevati in quanto obbliga alla presenza diretta su un ampio arco di attività (dalla gestione della capacità trasmissiva alla vendita pubblicitaria fino alla creazione dei contenuti).

[29] Ordinanza Tar Lazio Sez. I del 15.2.2001 n. 158 in T.A.R. n. 1/2002 p. 13.

[30] I provvedimenti impugnati sono costituiti dal Piano nazionale di assegnazione delle frequenze 30.10.98, dal regolamento per il rilascio delle concessioni 1.12.98, dal Disciplinare per la valutazione delle domande (DM 8.3.99) nonché dai singoli provvedimenti concessori (30.7.99).

[31] Così l’ordinanza n. 158/01 in TAR cit. p. 14.

[32] Delibera dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni n. 346/01/CONS del 7.8.01, pubblicata in G.U. 27.8.01 n. 198 e sul sito internet www.agcom.it.

[33] Cfr. la citata Relazione annuale sull’attività svolta e sui programmi di lavoro 2001 dell’AGCOM, p. 153, e più in particolare il paragrafo su “La nuova Rai Tre e la decisione relativa a Retequattro/Telepiù nero”.

[34] In esito a tale verifica, vengono già posti dei criteri di rimodulazione dei termini: se alla verifica del 31.12.02 la quota di famiglie passata ai sistemi alternativi sarà inferiore al 35%, l’Autorità potrà posticipare il termine, così come potrà anticiparlo se alla verifica tale quota sarà superiore al 45%.


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