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ALFONSO RENDE
Elementi di criticità nell’attuale status dei segretari comunali e provinciali
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1. Gli scopi della riforma del 1997.
Trascorsi quasi quattro anni dalla riforma della disciplina sui segretari comunali e provinciali dettata dall’art. 17, commi 67-86 della legge 15 maggio 1997, n. 127, è possibile procedere a qualche valutazione più realistica sulla coerenza e sulla efficienza di un sistema fortemente innovativo rispetto al sedimentato passato.
Come noto, il nuovo status del Segretario comunale (e provinciale), nasce, come spesso accade, anzitutto da una ragione contingente: si trattava di evitare un referendum abrogativo di tale figura proposto dalla Lega Nord, con il favor di molti amministratori locali dell’Italia settentrionale, i quali guardavano con fastidio all’intrusione nella gestione degli autonomi Comuni e Province di un funzionario statale, gerarchicamente dipendente dal Prefetto, quale era, sino all’aprile 1998, il Segretario comunale o provinciale. L’ironia della sorte volle che gli altri referendum proposti nella medesima tornata non raggiunsero il quorum necessario per risultare validi; sorte che, dunque, con ogni probabilità, sarebbe toccata anche al referendum sui segretari comunali.
Ad ogni modo, per scongiurare in anticipo questo pericolo, rilevante anche in termini di possibile perdita di circa seimila posti di lavoro, si studiò una soluzione ritenuta in grado di soddisfare le esigenze di emancipazione degli Enti locali dal paternalismo governativo, senza cancellare d’un colpo la storica figura del Segretario comunale; si istituì, allo scopo, l’Agenzia Autonoma per la gestione dell’Albo dei Segretari comunali e provinciali, ente dotato di personalità giuridica di diritto pubblico, destinata a sostituire come “datore di lavoro” del Segretario, il Ministero dell’Interno [1], mentre, di converso, le confermate dipendenze funzionali dal Sindaco o dal Presidente della Provincia, vennero ampliate con il potere di diretta ed esclusiva nomina del Segretario e con più estese competenze in materia di ferie, aspettative e nulla osta da concedere a quest’ultimo.
Altro grosso tributo pagato alle istanze autonomistiche fu quello dell’eliminazione del parere obbligatorio, anche se non vincolante, sulla legittimità delle deliberazioni di Giunta e di Consiglio. In verità, una volta eliminata l’appartenenza del Segretario all’apparato statale e scongiurati pertanto i potenziali pericoli di ingerenza centralistica nel governo delle autonomie, probabilmente anche il parere circa la aderenza dei singoli provvedimenti alla normativa vigente avrebbe perso qualsivoglia valenza politica, per limitarsi, come giusto, ad essere una valutazione fatta da un tecnico del diritto, utile ad una gestione senza “intoppi” e controversie giudiziarie, così come utili sono in tal senso i conservati pareri resi circa la compatibilità col bilancio dell’ente delle spese che gli organi politici intendono affrontare e circa la regolarità tecnica – a questo punto di difficile delimitazione – affidata al responsabile del servizio di volta in volta interessato [2].
La motivazione prettamente politica
di liberarsi dal “controllore inviato dal Ministro di polizia” fu comunque
corroborata da giustificazioni efficientistiche: il Sindaco (o il Presidente
della Provincia) sono direttamente investiti dalla cittadinanza, per cui nessuno
meglio di loro è in grado di effettuare una scelta oculata del pubblico
dipendente da porre al vertice della struttura burocratica; il fatto poi di non
dipendere più gerarchicamente dal Prefetto, bensì da un organo a
rappresentanza mista Segretari-Amministratori locali (salvo due rappresentanti
nominati dalla Conferenza Stato-Città-Autonomie Locali)
[3],
serviva a spostare l’accento sulle capacità tecnico-gestionali di cui doveva
essere foriero il Segretario comunale o provinciale, a dispetto di una qualche
sua funzione politica di raccordo tra il sistema burocratico statale e quello
locale, funzione sino ad allora svolta dal Segretario stesso.
Ebbene, evitando di scendere nella valutazione politica di tali rivendicazioni, quello che qui preme analizzare è se gli scopi più prettamente efficientistici che hanno giustificato il nuovo status del Segretario comunale abbiano avuto modo di realizzarsi e se ciò sia avvenuto ed avvenga attraverso percorsi logico-giuridici dotati di sufficiente coerenza e, prim’ancora, in armonia con i principi generali dell’ordinamento amministrativo italiano.
2. (segue): il no
alla municipalizzazione ed all’Albo aperto.
La conservata estraneità dall’organico del singolo Ente locale del Segretario comunale può senza dubbio inserirsi in un filone promozionale in grado di continuare a suscitare un certo appeal verso questo lavoro da parte dei giovani laureati. Uno dei facili assunti di scienza dell’amministrazione è infatti quello che una professione tanto più è stimolante e quindi garantisce l’interesse verso essa da parte della melior pars della forza-lavoro, quanto più essa riesca ad assicurare a un giovane un’aspettativa di progressione in carriera, che vuol dire ragionevole prospettiva di miglioramenti stipendiali, ma anche di incipiente prestigio sociale: nell’attuale organizzazione del settore pubblico in Italia, esempi lampanti di carriere in grado di assicurare un’attrattiva di tal fatta sono quella nelle magistrature e nella Banca d’Italia.
Ebbene, la mantenuta possibilità, per chi entri a far parte dell’Albo dei Segretari comunali e provinciali, di passare dalla gestione di un Comune a un altro, o a quella di una Provincia, potenzialmente garantisce, anche per tale categoria di lavoratori pubblici, il sufficiente stimolo ad accostarsi a tale incarico, anche se, agli inizi, occorrerà “partire dal basso”, e cioè da minuscoli comuni anche di poche centinaia di abitanti e sparsi chissà dove. Dovrebbe essere l’indispensabile “farsi le ossa” - in attesa di giungere a contesti più a ampi, se non metropolitani, inevitabilmente più prestigiosi - che i giovani segretari sono disposti ad accollarsi, a tutto vantaggio degli Enti più piccoli. Si aggiunga il notevole scambio di conoscenze, a beneficio della corretta applicazione delle regole tecnico-giuridiche, con la conseguente maggiore uniformità e coerenza dell’azione amministrativa nel suo complesso, garantita da questa “mobilità” dei Segretari comunali tra i diversi enti, altrimenti privi, o quasi, di reciproci rapporti di interscambio, a livello tecnico- gestionale.
Nella stessa direzione di garantire un certo fascino al mestiere di Segretario comunale, può leggersi l’aver mantenuto, per poter svolgere le funzioni di vertice nell’Ente locale, un vero e proprio “ruolo”, ove, una volta iscritti e ottenuta la nomina da un primo Comune [4], si ha la garanzia della continuità di un certo trattamento economico, a prescindere dalle vicende che potranno incidere sulla carriera del singolo burocrate.
Si trattava, come noto, di un’opzione nient’affatto scontata nelle discussioni che precedettero la riforma del ’97, tutte imperniate sulla creazione di un vero e proprio manager privato al servizio dell’Ente pubblico, come potrebbe essere un avvocato consulente legale o il Direttore generale nei comuni in cui non si è preferito affidare tale incarico al Segretario comunale medesimo.
Nella decisione finale di garantire comunque uno stipendio a quest’ultimo, nei periodi in cui egli fosse rimasto – soprattutto se senza sua colpa – sprovvisto di una sede in titolarità, pesarono probabilmente, in maniera preponderante, ragioni di legittimità costituzionale e di opportunità: sarebbe stato contrario ai principi generali e politicamente sconveniente lasciare senza garanzia alcuna di continuità nella retribuzione funzionari e dirigenti che pure si erano guadagnati negli anni precedenti e tramite concorso, il posto fisso [5].
Ed invece, sebbene non valutata appieno, sussiste nella conservata “blindatura” dell’“Albo” dei Segretari una valenza efficientistica, per due buone ragioni: la prima è che, come la possibilità di cambiar sede, anche la sicurezza di un minimum di trattamento economico, invoglia molti giovani – dinamici sì, ma non al punto da preferire, a priori, un guadagno incerto e discontinuo ad uno certo e continuato - ad accostarsi al mondo dei Segretari comunali; la seconda è che, con l’incentivo della retribuzione “garantita”, si assicura alle Autonomie che l’esperienza acquisita dai giovani Segretari non si disperda altrove, una volta portato a termine il singolo mandato, ma continui sempre più ad arricchire le burocrazie comunali e provinciali.
3. La debolezza
strutturale e contingente dell’Agenzia Autonoma.
Sennonché altri elementi minano alquanto l’efficienza del sistema. Rilievi in tal senso vanno, anzitutto mossi, all’Agenzia per la gestione dei segretari comunali, con sede centrale in Roma e sedi regionali nei vari capoluoghi.
A prescindere da eventuali rilievi sulla concreta gestione delle risorse finanziarie ed umane – peraltro scarne [6] – affidate all’Agenzia Autonoma ed alle sue Sezioni regionali, esistono una serie di elementi che incidono negativamente sulla capacità di questo organismo di diritto pubblico di svolgere un ruolo autorevole. In effetti, come si è avuto modo di accennare, da un po’ di anni a questa parte, osserviamo un continuo fiorire di Public Agencies, più o meno svicolate dall’apparato ministeriale, create al fine di garantire una maggiore autonomia decisionale e gestionale in alcuni settori strategici dell’intervento pubblico [7].
L’aver compreso tra esse anche l’Agenzia per la gestione dell’Albo dei segretari avrebbe potuto dunque avere un significato di alto riconoscimento della funzione di questi ultimi, se pensiamo che tra i settori affidati alle Autorità indipendenti vi sono quelli dell’editoria e della radiodiffusione, quello della concorrenza e del mercato, quello della borsa, quello del trattamento dei dati personali, quello delle assicurazioni. Riconoscimento, del resto, legittimato dall’importante ruolo delle Autonomie locali nell’attuale scenario politico-amministrativo nazionale.
A ben guardare, però, almeno sino ad oggi, l’Agenzia per i segretari comunali e provinciali, non ha saputo sfruttare che in minima parte questa sua potenziale autorevolezza. Notevoli sono le difficoltà che l’Agenzia incontra nell’esercitare la sua doverosa funzione di controllo nei confronti dei Comuni inadempienti rispetto al diritto-dovere di nominare un Segretario titolare; ed anche laddove si addiviene a detta nomina, spesso essa giunge abbondantemente in ritardo, a volte completamente ingiustificato, a volte malcelato dietro generici annunzi di volersi convenzionare con altri comuni.
Analizzando il dettato normativo che riguarda la procedura di nomina, può notarsi come l’art. 99, comma 3 del T.U. n. 267/2000 e l’art. 15, comma 2 del regolamento n. 465/1997 prevedano un dettato compiuto ed efficace nel caso di non conferma (rectius: decadenza automatica) del Segretario uscente. In questa ipotesi, infatti, se il Capo dell’amministrazione locale non procede alla nomina del nuovo titolare entro 120 giorni dalla data del suo insediamento “il segretario” precedentemente “in servizio presso la sede” e già decaduto ex lege [8], “si intende confermato”.
Ma che succede nel caso in cui il vecchio Segretario non sia più “recuperabile”, oltre che per i motivi tradizionali (decesso, pensionamento, collocamento fuori ruolo, eccetera), anche per la nuova evenienza che egli, manifestando il proprio interesse a qualche “pubblicazione” di altra sede vacante, abbia fatto repentinamente le valige? Il dettato normativo prima citato non appare direttamente applicabile, sia perché non ci troviamo nell’evenienza dell’insediamento di un nuovo Capo dell’amministrazione e sia comunque, per quanto detto, perché un ex segretario, da rimettere in sella – e dunque incidentalmente tutelare nelle sue aspettative di mantenimento della sede – in questo caso non v’è.
E’ questa un’importantissima evenienza in cui, alla carenza normativa, avrebbe dovuto con incisività supplire l’Agenzia Autonoma, spiegando il da farsi, col necessario obiettivo di assicurare continuità alla svolgimento delle funzioni di Segretario comunale presso tutti gli enti locali territoriali: si ricordi che l’art. 97, comma 1 del T.U. n. 267/2000 è categorico nell’affermare che “Il comune e la provincia hanno un segretario titolare”, hanno e non già possono avere; un vero e proprio obbligo per le autonomie locali.
In effetti, l’Agenzia Autonoma è intervenuta al riguardo, con apposita deliberazione n. 150 del 15.7.1999, nella quale si è disegnato un complicato meccanismo fondato sull’attuale art. 136 del T.U. n. 267/2000 per cui, a seguito di inviti vari ed infruttuosi, essa invita il Co.Re.Co. (in mancanza del Difensore civico regionale) a scegliere nell’Albo un Segretario comunale o provinciale da nominare mediante un commissario ad acta di quest’ultimo organo di controllo.
Un primo rilievo sul punto è certamente quello della farraginosità del sistema delineato, che prevede l’intervento di un ulteriore soggetto, il Comitato regionale di controllo, il quale dovrebbe intervenire ab externo e senza alcuna conoscenza tecnica specifica, a selezionare il Segretario da immettere nel singolo Ente [9].
Se ciò però poteva avere un senso nel caso in cui l’Agenzia fosse stata un’emanazione gerarchica del potere centrale, perde di significato nel momento in cui si disegna – ed è constatazione indiscussa – l’Agenzia dei segretari comunali e provinciali come organismo terzo o di autogoverno dei Segretari comunali. Chi meglio di tale organismo autonomo è, allora, in grado di sostituirsi al Sindaco inadempiente per sua scelta, in una valutazione che, perso il suo carattere politico, vede riespandersi quello tecnico-meritocratico? L’Agenzia stessa, dunque, nonappena trascorso il termine quadrimestrale di cui sopra[10], sulla base dei curriculum inviati dagli interessati, dovrebbe individuare e nominare il nuovo Segretario dell’Ente, valutando i titoli dei vari candidati con criteri previamente e genericamente fissati di comune accordo con ANCI, UPI ed organizzazioni sindacali.
Un più incisivo intervento dell’Agenzia autonoma va rivendicato anche nel caso in cui le singole amministrazioni asseriscano di stare “trattando” una convenzione con altri per la gestione del servizio di segreteria [11]. A parte che a volte si è utilizzata questa giustificazione in maniera pretestuosa, anche laddove poi un convenzionamento seguirà in concreto, non v’è motivo di lasciare per l’intanto scoperto un ruolo chiave all’interno dell’Ente locale, quale l’Ufficio di Segretario: esso andrebbe comunque assegnato, semmai facendo presente, per una ragione di correttezza nei confronti di chi ha manifestato il proprio interesse alla copertura del posto, che esso potrebbe essere soppresso appunto per l’ipotizzata convenzione [12].
Quella della scelta del Segretario, in definitiva, anziché una facoltà del Capo dell’Amministrazione locale, dovrebbe essere più rettamente qualificata come un onere per quest’ultimo, in quanto legata a un doveroso – e non meramente facoltativo – esercizio di una posizione giuridica soggettiva attiva di diritto pubblico; la necessità di un continuum nella presenza del “capufficio” dell’ente è del resto dimostrata dall’esiguità – dieci giorni – dei termini previsti affinché gli interessati possano “farsi avanti”[13]. Come può conciliarsi questa estrema rapidità nel determinarsi richiesta al Segretario interessato[14], con i rallentamenti posti in essere da talune amministrazioni locali, sia per dar corso alla pubblicazione della sede vacante, sia, successivamente, per la scelta del Segretario medesimo?
La stessa Agenzia, nonostante la pressione delle organizzazioni sindacali, non è riuscita a prendere una netta posizione per l’obbligatorietà, per i capi delle amministrazioni locali, di scegliere il segretario dell’Ente esclusivamente tra coloro i quali hanno, nei dieci giorni di pubblicazione, manifestato il proprio interesse alla nomina e non già potendo anche prescindere da dette manifestazioni di interesse ed individuando un altro segretario ancora “sbucato dal nulla”; con ciò svilendo l’istituto della pubblicazione e le ragioni di trasparenza amministrativa ad esso sottese [15].
La mancata incisività dell’Agenzia Autonoma nei descritti meccanismi procedimentali, nonostante essa, ai sensi dell’art. 6, lettera c) del regolamento n. 465/1997, abbia competenza a definire “le modalità procedurali e organizzative per la gestione dell’Albo e dei segretari”, mostra dunque le oggettive difficoltà che tale soggetto di diritto pubblico incontra nel ricavarsi un ruolo forte nel mondo delle autonomie. In linea generale, una scusante può essere individuata nel dato di fatto di essere una neonata istituzione che si trova a dover sostituire ben più svezzati soggetti quali le ultracentenarie prefetture e a dover contrastare le immanenti ed inevitabili spinte a-regolamentari dei singoli Enti locali.
Ma un elemento strutturale di criticità può individuarsi, almeno col senno dell’oggi, nella composizione stessa dei consigli di amministrazione dell’Agenzia e delle sue sezioni regionali (art. 3, D.P.R. n. 465/1997). In detti consigli figurano tre rappresentanti degli amministratori locali (due Sindaci ed un Presidente di Provincia), tre segretari comunali o provinciali e due esperti nominati dalla Conferenza Stato-città ed autonomie locali.
La ratio ispiratrice è probabilmente corretta: si vuol fare dell’Agenzia un organismo di autogoverno della categoria, ove le parti in causa (politici locali e segretari) siano in pari forze, mentre a fungere da pacieri e a garantire equilibrio e ponderatezza sarebbero chiamati i due esperti.
Sennonché, essendo basata la nomina di questi ultimi su una non meglio individuata “particolare professionalità in materia di autonomie locali”, è giocoforza che tali esperti siano strettamente legati al potere politico dal quale sono stati nominati, che, in definitiva, ancora una volta, considerata la composizione della Conferenza Stato-città, è da individuarsi nel potere politico locale. Dunque, la composizione del Consiglio di Amministrazione dell’Agenzia Autonoma è sbilanciata (cinque a tre) a favore del potere politico locale; prova ne sia che i Presidenti dell’Agenzia nazionale e delle sezioni regionali sono in massima parte, se non esclusivamente, Amministratori locali.
Detto ciò, non si vuole auspicare un’invertita preponderanza dei Segretari nell’organismo di “autogoverno”: la creazione di corporazioni è sempre da vedere con sfavore, in quanto chi è chiamato ex se ed in toto a gestire i propri interessi – ovviamente quando essi coinvolgano la sfera pubblica – difficilmente è in grado di essere obiettivo e terzo nelle scelte, senza badare alla propria convenienza individuale. Ma è anche vero che anche l’attuale, preponderante influenza esercitata dai politici locali sulle determinazioni dell’Agenzia, non garantisce che questo soggetto si indirizzi nella maniera più asettica ed efficiente, nell’interesse di tutti.
E’ verosimile, per fare un esempio banale, che un Sindaco, presidente di una Sezione dell’Agenzia, per quanto dotato di “sani principi” sia sempre in grado di mettere tempestivamente in mora un suo collega di un altro Comune, magari limitrofo e magari dello stesso colore politico, imponendogli di procedere immediatamente a una nomina di un qualsiasi Segretario? Non sarebbe forse più semplice togliere dall’impaccio questo onesto amministratore, facendo sì che l’influenza principale nelle decisioni dell’Agenzia fosse da attribuirsi a soggetti veramente terzi rispetto alle parti in gioco e quindi maggiormente in grado di assumere con serenità decisioni difficili ma doverose?
4. Le convenzioni “selvagge”.
I dubbi sinora espressi sulla
coerenza del sistema delineato dalla riforma del ’97 investono anche
un’altra spinosa questione: le convenzioni per il servizio di segreteria
comunale, fenomeno che, originariamente contenuto entro limiti fisiologici, ha
assunto sempre più aspetti vistosi e a volte problematici.
Per inquadrare questo specifico oggetto, occorre partire dal concetto di convenzione amministrativa, il quale, a detta di un compianto Maestro della scienza amministrativa è, in definitiva “espressione non scientifica, ma della prassi: con essa si vogliono indicare degli atti bilaterali o plurilaterali, con i quali i pubblici poteri curano, d’accordo, pubblici interessi” [16]. E’ pertanto alla luce del necessario “pubblico interesse” da perseguire che va letta ogni forma di convenzione (così come, del resto ogni agire della Pubblica Amministrazione).
Ebbene, l’art. 30 del T.U. delle leggi sull’ordinamento degli Enti locali prevede al comma 1, in generale, che, “al fine di svolgere in modo coordinato funzioni e servizi determinati, gli enti locali possono stipulare tra loro apposite convenzioni”. Ecco dunque che il principio del perseguimento del pubblico interesse trova un suo più specifico indirizzo nel coordinamento. E’ proprio questo svolgere in maniera collegata, armonizzata, parallela determinate funzioni o servizi che, spesso, come confermato dalla prassi, garantisce una marcia in più, un maggiore aggiornamento, una maggiore efficienza all’azione amministrativa [17].
Quanto ai segretari comunali, le convenzioni sono estese a tali uffici dal comma 3 dell’art. 98 del T.U.E.L., a norma del quale “I comuni” (e non anche le province) [18] “possono stipulare convenzioni per l’ufficio di segretario comunale, comunicandone l’avvenuta costituzione alla Sezione regionale dell’Agenzia”. Per quanto riguarda i presupposti affinché possa addivenirsi alla convenzione di segreteria, nulla aggiunge il regolamento n. 465/1997, se non che le sedi da unificare debbano essere ricomprese “nell’ambito territoriale della stessa sezione regionale dell’Agenzia” (art. 10, comma 1), senza al contempo porre limiti quantitativi ai Comuni che vogliano sottoscrivere una medesima convenzione per tale ufficio, come è dato evincere dall’ultimo comma di detto articolo, che stabilisce che l’entità della retribuzione aggiuntiva al Segretario vada commisurata “in base al numero dei comuni convenzionati e alla complessità organizzativa degli stessi”.
La prassi avvaloratasi in questi tre anni di vigenza della nuova normativa è tendenzialmente improntata all’aderenza formale alle minime prescrizioni indicate in tale ultima fonte regolamentare: difatti, l’Agenzia Autonoma non è mai intervenuta a censurare qualche “macro-convenzionamento” di segreterie (anche tra quattro, cinque comuni) [19], attenendosi alla citata norma dell’art. 98, la quale prevede una semplice comunicazione dell’avvenuta stipulazione della convenzione all’Agenzia, lasciando questa priva di un qualche potere di controllo prima che detto accordo diventi efficace, se non quello, piuttosto formale, di assicurarsi che si tratti di comuni siti nella medesima regione [20].
Per
le stesse ragioni di coerenza con il cit. art. 98, l’Agenzia, con
deliberazione n. 135 del 29.5.2000[21],
ha dovuto fare dietro front su un suo
precedente tentativo di vietare le convenzioni dalle quali fosse risultata una
popolazione complessiva superiore ai 65.000 abitanti [22].
A tale divieto l’Agenzia tenta di sostituire un assai più blando
“indirizzo”, affinché “le convenzioni per l’ufficio di segreteria…
siano stipulate in maniera tale da consentire al segretario l’effettivo
svolgimento delle funzioni previste dalla legge, nel rispetto dei principi
generali che presiedono al buon e corretto andamento della pubblica
amministrazione, nonché dei principi di adeguatezza organizzativa degli enti
interessati alla convenzione”.
Ma, pur volendo sposare la più ampia nozione di coordinamento - che per quanto si evince dall’art. 30 del T.U. cit. è l’unica definita esigenza alla base delle convenzioni tra enti locali – spintasi sino a considerare il primo genericamente come un’attività razionalmente ordinata per la cura di certi interessi [23], rimane il fondato dubbio che, in alcuni casi limite, tramite le convenzioni per gli uffici di segreteria si riesca effettivamente a curare un qualche interesse pubblico.
Analizziamo infatti le concrete ed uniche possibili ragioni del coordinamento. Una prima è legata ad un qualche significato cogente di tale termine e si basa sulla possibilità che le convenzioni di segreteria offrono di esportare conoscenze ed esperienze da un Comune ad un altro, dal pronto adeguamento alle sopravvenute normative, all’individuazione della soluzione ottimale tra le tante possibili, rispetto ai problemi gestionali sorti di volta in volta; si viene così a formare una sorta di economia di scala efficace, anzitutto, da un punto di vista della celerizzazione dei procedimenti decisionali.
Sennonché, a tacer d’altro, non è poi così scontato che i problemi che insorgono nei singoli enti locali siano sempre eguali; eppoi, anche se tali similitudini si verificano più spesso nei comuni più piccoli – che sono quelli che più frequentemente stipulano le convenzioni -, va di contro osservato che anche nelle realtà minori le problematiche da risolvere non sono così sparute da poter esser centellinate e svolte un po’ qui un po’ là, senza rallentamento alcuno. Insomma: l’avere un Segretario a tempo parziale, che è ciò che si realizza nel singolo Comune convenzionato, non può essere da solo, anche negli enti più piccoli, un segno di efficienza della macchina burocratica; altrimenti, se così fosse, tutti gli impieghi pubblici potrebbero essere dimezzati nell’orario di lavoro…
Ma se invece si condivide l’idea che anche i pubblici dipendenti in più tempo possan fare più cose, ecco che, per rendere verosimile il discorso sulle convenzioni di segreteria, occorre aggiungere un altro decisivo elemento di (eventuale) convenienza: il risparmio, per le casse del singolo Comune, sulla retribuzione dovuta, che si attua gestendo “in società” un Segretario comunale. Il ragionamento, dunque, che ogni Consiglio comunale dovrebbe fare, nel deliberare una convenzione per l’Ufficio di Segretario comunale, dovrebbe esser basato su questi due inscindibili elementi: 1) il risparmio in termini di retribuzione dovuta; 2) il guadagno in termini di maggiore esperienza potenzialmente acquisibile dal Segretario che lavora contemporaneamente in più Enti locali, al netto del deficit di carichi di lavoro attribuibili che si ottiene dal decurtare – in maniera sostanziale – l’orario di servizio di tale burocrate nel singolo Comune convenzionato.
Tale sommatoria algebrica è volutamente asettica; non tiene cioè conto delle relazioni umane, in quanto più difficilmente quantificabili. Anche se è difficile negare che la presenza “dimezzata” che si verifica nei comuni convenzionati di un “capufficio”, qual è il Segretario comunale perlomeno laddove non c’è un diverso Direttore generale, non abbia una qualche incidenza negativa sul concreto controllo interno delle mansioni quotidianamente affidate ai dipendenti dell’Ente locale.
Ad ogni buon conto, le convenzioni tra comuni per l’ufficio di segreteria possono avere un senso per gli enti “polvere”, come prima tappa di una più ampia integrazione intercomunale che porti ad un’unione e poi ancora, possibilmente, ad una fusione: la politica legislativa italiana, a partire dalla riforma del 1990, è del resto tutta improntata a favorire l’accorpamento degli enti locali più piccoli, per palesi ragioni di efficienza [24].
Così, le convenzioni per il servizio di segreteria comunale, in tanto potranno dirsi indirizzate verso la cura dell’interesse pubblico, in quanto esse: a) riguardino comuni di minime dimensioni, per cui l’aspetto del risparmio sulla retribuzione di un funzionario/dirigente pubblico possa considerarsi effettivamente significativo in ordine alla sua incidenza sul bilancio dell’Ente; b) siano inserite in un contesto di più ampio e progressivo coordinamento tra i servizi di tali piccoli comuni e possano, per questa via, essere giustificate dal punto di vista dell’efficienza.
L’esperienza, tuttavia, insegna che non sempre queste semplici motivazioni hanno sotteso alla scelta del convenzionarsi. Ne sono esempio talune spinte al convenzionamento tra enti di dimensioni non più piccole, tra cui anche enti sedi di Segreterie generali di classe I/B (cioè con popolazione superiore ai 65.000 abitanti) [25]: parlare per essi di esigenze di risparmiare, finendo col preferire un “capufficio part-time” – com’è in definitiva un Segretario per il singolo Comune convenzionato -, appare quantomeno dubbio [26].
Ne sono ancora esempio le convenzioni tra enti piccoli sì, ma in numero di tre, quattro, cinque [27]: è umanamente pensabile che un Segretario comunale – per limitarci al nucleo incancellabile delle sue funzioni - possa contemporaneamente svolgere le funzioni di verbalizzazione delle sedute di giunta e consiglio, di notaio dell’Ente e, soprattutto, di sovrintendenza e coordinamento dei responsabili dei servizi di ciascuno degli enti presso i quali opera?
A volte, invero, dietro le convenzioni delle sedi di segreteria stanno altre motivazioni: la persistente sensazione di fastidio verso un funzionario pur sempre tenuto a rispettare e a far rispettare il principio di legalità, anche in termini di efficienza ex art. 1 l. n. 241/1990, dell’azione amministrativa[28], contro le pressioni clientelari o, più comunemente, il semplicismo e la smania di realizzare tutto e subito, fastidio che porta a parcellizzare il più possibile l’opera di questo dipendente pubblico, in modo da depotenziarne il ruolo; la spinta ad eludere il garantista istituto della (motivata) revoca ex art. 100 T.U. n. 267/2000 del Segretario nel corso del mandato del Sindaco, attraverso la soppressione della singola sede e la stipulazione di una convenzione con un altro Ente, espediente che consente di nominare un nuovo Segretario come se si trattasse di una fine mandato del Sindaco e, di conseguenza, senza dover motivare la non conferma del precedente dirigente, ai sensi dell’art. 99, comma 2 del T.U. cit. [29].
Si è però dell’avviso che, laddove il pubblico interesse, necessariamente alla base di ogni forma di coordinamento e, dunque, per quanto detto, di convenzione tra sedi di segreteria di due o più comuni, dovesse essere palesemente inesistente o travisato, si possa immediatamente ricorrere all’Autorità giurisdizionale amministrativa contro le delibere dei Consigli comunali[30] interessati, con le quali si approvano dette convenzioni.
Del resto, è noto e definitivamente chiarito che ogni atto deliberativo di tali Organi, in grado di ledere la posizione giuridica soggettiva di taluno, può essere sottoposto al controllo giurisdizionale, poiché i provvedimenti consiliari non possono annoverarsi tra i c.d. atti politici, legati alle scelte strategiche del governo nazionale, essi solo in grado di sfuggire, ed entro certi limiti, ad una puntuale valutazione di giustizia.
Legittimato a ricorrere nei confronti di una deliberazione consiliare che risultasse palesemente carente (o fallace) nel motivare il pubblico interesse alla base della scelta di gestire in forma associata l’Ufficio di segreteria, sarebbe, anzitutto, il Segretario comunale considerato decaduto automaticamente per la soppressione della singola sede di segreteria. Il suo interesse ad agire ex art. 100 c.p.c. sarebbe fondato sulla lesione dell’aspettativa giuridicamente tutelata al mantenimento della sede di servizio sino allo scadere del mandato del Sindaco che lo ha scelto (arg. a contrariis ex art. 99, comma 2, T.U. n. 267/2000); aspettativa discendente dai principi generali che informano lo status dei pubblici dipendenti e suscettibile di affievolirsi solo in presenza di superiori interessi pubblicistici che impongano al funzionario l’oggettivo sacrificio del trasferimento, il quale, nel nostro caso, avviene senza neanche una destinazione ben precisa (il Segretario va infatti in disponibilità ed eventualmente, trascorsi quattro anni senza che abbia trovato un’altra sede di servizio, in mobilità presso altre pubbliche amministrazioni: art. 101 T.U. cit) [31].
Ma – si ipotizza – legittimata ad agire potrebbe essere anche la stessa Agenzia Autonoma per la gestione dell’Albo dei segretari comunali e provinciali. Vero è che tale Ente risulta tagliato fuori da un controllo preventivo circa la scelta dei singoli enti di convenzionare le sedi di segreteria, poiché come si è già avuto modo di osservare, l’art. 98, comma 3 del T.U. n. 267/2000 prevede che i gli Enti locali comunichino all’Agenzia l’avvenuta costituzione delle convenzioni per detto ufficio [32]. Epperò non pare di vedere ostacoli insormontabili acché la stessa Agenzia intervenga a posteriori in sede giudiziale, facendo valere la propria personalità giuridica di diritto pubblico riconosciutagli dall’art. 102, comma 1 del T.U. cit. e vantando il proprio interesse a porsi come garante contro le patenti violazioni dei principi supremi di imparzialità e buon andamento (art. 97 cost.) nella gestione dei segretari comunali.
Ben si sa che né la legge – e per essa oggi gli artt. 102 e 103 del T.U. n. 267/2000 - né l’apposito regolamento n. 465/1997, enucleano, in via generale (a differenza di quanto avviene, ad esempio, per comuni e province in base all’art. 3 dello stesso Testo unico citato), quali siano le funzioni dell’Agenzia Autonoma; ma dall’art. 6, comma 1 del regolamento ora citato si evince, al di là dei compiti particolari, che il consiglio nazionale di detta Agenzia “provvede… alla gestione dei segretari comunali e provinciali”.
Ebbene, a rigore, gestire una categoria di lavoratori pubblici, deve significare anche garantire un mimimum di confacenza al pubblico interesse di detta gestione e cioè che essa sia legittima ed efficiente, e, di converso, censurare - nei limiti e con gli strumenti forniti dall’ordinamento giuridico - i casi di palese assenza di tali requisiti minimi nelle scelte operate dagli Enti locali, autonomi ma pur sempre sottoposti al principio di legittimità della loro azione [33].
Gli eccessi in grado di far scaturire l’azione giudiziale dell’Agenzia e/o del Segretario danneggiato potrebbero essere riscontrati, tra l’altro, nella patente violazione dei riportati indirizzi dettati dall’Agenzia medesima con la delibera n. 135/2000: buono e corretto andamento della P.A., adeguatezza organizzativa degli enti convenzionati.
5. Fiduciarietà
dell’incarico e funzioni notarili.
Lo spoil system, o sistema della fiduciarietà dell’incarico, è stato esteso - per la dottrina quasi totalitaria[34]- al Segretario comunale per le cennate ragioni di avvicinare gli organi burocratici di vertice alla collettività, tramite la loro nomina fiduciaria da parte del Sindaco o del Presidente della Provincia, eletti direttamente dai cittadini. Il che, inevitabilmente, ha significato, nel sentire collettivo, considerare il Segretario, come il segretario di questo o di quel Sindaco, come sua emanazione diretta e dunque, un notevole vulnus - voluto o non voluto - alla sua posizione di autonomia nei confronti della componente politica della singola Amministrazione comunale o provinciale. Ciò può essere un bene o un male, o più probabilmente può avere aspetti positivi e negativi assieme: ben maggiori studiosi si sono occupati di questa impostazione generale della riforma amministrativa della fine anni ‘90, sicché indugiare sull’argomento avrebbe poca utilità.
Ad ogni modo, restringendo il campo d’azione allo jus positum e ricercando le sole funzioni standard di tutti i segretari comunali e provinciali - così come forgiate dalla legge c.d. Bassanini bis e tramandate oggi dall’art. 97, comma 4 del D.lgs. n. 267/2000 -, individueremo le seguenti: 1) funzioni consultive, referenti e di assistenza alle riunioni del consiglio e della giunta e relativa verbalizzazione; 2) funzioni roganti per i contratti dell’ente e di autentica delle scritture private e degli atti unilaterali che interessino l’ente stesso. Queste e solo queste sono le funzioni indefettibili di un Segretario, presso qualunque ente presti servizio; tra esse, se si escludono, forse, le funzioni di assistenza tecnica alla Giunta, non è dato di scorgerne altre che non siano notarili, terze, le quali, al contrario della fiduciarietà, richiederebbero la massima imparzialità ed equidistanza del pubblico ufficiale dalle parti in causa. Si pensi all’operazione del verbalizzare le sedute del Consiglio: deve scaturire da essa l’oggettiva, imparziale verità, o, al contrario, una verità di parte, nell’interesse della maggioranza, o, peggio, del solo Sindaco?
A onor del vero, a fianco delle succitate funzioni, molto spesso se ne aggiungono delle altre, facoltativamente previste dalla legge. A parte l’ipotesi, dai confini poco chiari, nella quale al Segretario vengano conferite le funzioni di direttore generale ed a parte il caso in cui il Segretario sia chiamato ad esprimere dei pareri di regolarità tecnica sulle deliberazioni [35], rimangono poi altre due ipotesi, una residuale, una generale. La prima, che consiste nello svolgere “ogni altra funzione attribuitagli dallo statuto o dai regolamenti, o conferitagli dal sindaco o dal presidente della provincia” (art. 97, comma 4, lett. d), ha un’estensione assai elastica, ma indubbiamente può coinvolgere anche aspetti gestionali e manageriali, di amministrazione attiva, come, ad esempio, la responsabilità di un dato servizio. La seconda, generale, consiste nel sovrintendere “allo svolgimento delle funzioni dei dirigenti” (o dei responsabili dei servizi, nei comuni che siano sprovvisti dei primi) e nel coordinarne l’attività, qualora non sia stato nominato un Direttore generale diverso dal Segretario [36] (comma cit., primo alinea).
Indubbiamente, se nei singoli enti queste funzioni eventuali risultano tutte o in parte aggiunte a quelle obbligatorie, ecco che lo status di “notaio” dell’Ente, comunemente attribuito al Segretario, viene in parte mitigato da queste altre funzioni gestionali-manageriali. Senza però cancellare le prime: ecco allora giustificarsi la proposta, da taluno abbozzata [37], di affidare la nomina del Segretario non più al solo Capo dell’amministrazione, bensì all’intero Consiglio, così come avviene per il Collegio dei Revisori dei conti.
Per questa via si sposterebbe la comune accezione dello status del Segretario da quello di fiduciario del Sindaco a quello di fiduciario di tutti i consiglieri comunali, con maggiore imparzialità, autorevolezza e garanzia del primo. E a chi lamentasse un’eccessiva procedimentalizzazione della nomina, potrebbe obiettarsi che con l’auspicata modifica normativa si perverrebbe ad una scelta più oculata in quanto sottoposta alla valutazione di più persone e dunque, probabilmente, maggiormente ancorata alle reali capacità tecniche dei singoli segretari in lizza.
Ma torniamo per un attimo all’ipotesi iniziale e cioè che al Segretario non venga affidata alcuna funzione gestionale. Non si tratta di in un’ipotesi di scuola, bensì del normale, concreto status dei segretari comunali generali nei comuni sopra i 15.000 abitanti ove i rispettivi sindaci si siano avvalsi della facoltà di nominare un Direttore generale, il c.d. city manager, nonché dei segretari provinciali nelle Province ove i Presidenti si siano avvalsi della medesima facoltà. Qui i ruoli sono ben separati, non si può parlare di commistione tra aspetti gestionali e notarili, in special modo perché il coordinamento e la sovrintendenza nei confronti dei dirigenti è svolta non da Segretario ma dal Direttore generale. Anzi, è proprio questo il compito essenziale di un Direttore generale: questo sì, coerentemente di nomina fiduciaria e nonostante ciò nominato, in maniera più garantista, previa delibera della Giunta e non solo per decreto del Sindaco (arg. ex art. 108, comma 1, T.U. n. 267/2000).
Ed allora, l’interrogativo, poco fa proposto in linea generale, risulta ancor più imbarazzante nel caso ora affrontato: come può armonizzarsi lo spoil system delineato per le funzioni di Segretario, quando questi, essendo stato nominato un Direttore generale, svolge unicamente funzioni notarili, di terzo, di imparziale verbalizzante delle discussioni e delle decisioni dell’intera Giunta, dell’intero Consiglio e delle parti private che stipulino contratti con l’Amministrazione? Che senso ha lasciare la scelta su un siffatto, imparziale notaio, alla valutazione puramente soggettiva di un decreto del Sindaco, che, come ci si appresta ad osservare, contiene tutt’al più una motivazione pleonastica perché di facciata?
6. Aleatorietà
della progressione in carriera.
Già si è avuto modo di osservare come l’aver mantenuto l’Albo dei Segretari comunali e provinciali come un Ruolo chiuso al quale si accede tramite concorso nazionale, sia valso a conservare una certa appetibilità al concorso stesso, soprattutto alla luce degli aumenti stipendiali previsti dal nuovo contratto collettivo nazionale della categoria, del quale, dopo tormenti vari [38], è stata siglata la preintesa l’8 febbraio 2001 [39].
Ma una serie di ostacoli ed incongruenze incombono sulla scena. Anzitutto, in sede di prima nomina: è vero, infatti, che ai sensi dell’art. 98, comma 4 del T.U. n. 267/2000, l’abilitazione conseguita presso la Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione locale dà diritto all’iscrizione all’Albo nazionale dei Segretari comunali e provinciali, ma è altrettanto pacifico che il rapporto di lavoro del neo-abilitato, con la relativa retribuzione, sorgerà solo al successivo momento della sua nomina presso una prima sede di segreteria e cioè se e quando un Sindaco della regione alla quale è stato assegnato il Segretario vorrà scegliere il segretario “in pectore” per il proprio Comune; ciò è confermato dal nuovo CCNL, all’art. 15, comma 1.
Né, successivamente, può oramai parlarsi di una seria aspettativa, giuridicamente tutelata, di progressione in carriera del Segretario da Enti locali più piccoli a più grandi, con il relativo miglior trattamento retributivo. Infatti, vigente il vecchio regime giuridico antecedente alla legge n. 127/1997, lo spostamento e la progressione tra le sedi di segreteria era regolato dai periodici concorsi per titoli ai quali potevano partecipare i segretari iscritti all’adeguata fascia professionale.
Il sistema era certo formale - in quanto non sempre i titoli corrispondono da soli all’effettiva maggior capacità del singolo funzionario o dirigente - ma garantiva una certa trasparenza ed il Segretario era in grado di conoscere a priori quali fossero le vie per passare a sedi più grandi e prestigiose (ad es., conseguendo un diploma di specializzazione post-lauream, ovvero permanendo un certo numero di anni in una sede più piccola e disagiata). Il sistema transitorio rispetto a quello disciplinato dagli accordi collettivi, ha mantenuto il passaggio tra fasce professionali legato all’acquisizione di vari livelli di anzianità di servizio, unito – per le fasce sopra i 10.000 abitanti - al superamento di un esame di abilitazione. Tuttavia è venuto a cadere, nella prassi, ogni aspetto di valutazione comparativa legata al bagaglio culturale e di esperienza (ossia: titoli ed anzianità di servizio), poiché, all’interno di una determinata fascia, il Capo dell’Amministrazione può scegliere il Segretario senza vincolo e criterio alcuno: fiduciariamente, per come si è avuto modo di osservare.
Il contratto collettivo disciplina per alcuni versi in maniera più adeguata la materia, ad esempio prevedendo che il passaggio ad ogni fascia successiva sia subordinato, oltre che a una certa anzianità di servizio, al superamento di un esame (arg. ex art. 31, comma 1 del nuovo CCNL). Ma poi, nel voler ulteriormente garantire la qualità dei segretari chiamati a svolgere le loro funzioni presso enti di maggiori dimensioni, finisce per porre un ulteriore elemento di defatigante aleatorietà nella carriera di questi dirigenti pubblici. Il comma 3 del citato art. 31 prevede infatti che, nell’ambito della fascia intermedia B - che di per sé darebbe diritto ad essere nominati nei comuni da 3.000 a 65.000 abitanti -, onde avere l’idoneità ad accedere alle sedi dai 10.000 abitanti in poi, occorre avere maturato “un’anzianità di servizio… di almeno due anni in comuni inferiori della medesima fascia” (cioè con popolazione da 3.000 a 10.000 abitanti).
Analogo requisito è previsto dal successivo comma 4, il quale prevede che, nell’ambito della più alta categoria A - alla quale sono iscritti i segretari che potrebbero avere accesso alle sedi dai 65.000 abitanti in poi ed alle segreterie provinciali - per poter effettivamente essere nominati presso le Province e nei comuni da 250.000 abitanti in su [40], occorre aver maturato un’anzianità di servizio di almeno due anni in comuni compresi tra i 10.000 ed i 250.000 abitanti.
Prima facie, le ora descritte cautele asseconderebbero un’ottica efficientistica, in base alla quale il Segretario, per andare a reggere uffici di più vaste dimensioni, deve prima “farsi le ossa", almeno un paio d’anni, in Enti più piccoli. Il che, oltre a giovare al sistema delle autonomie locali, gioverebbe senz’altro anche al prestigio della stessa categoria dei segretari comunali, i quali, giunti agli Enti maggiori con un sufficiente bagaglio di esperienza, farebbero bella mostra delle proprie maturate capacità. Ecco probabilmente perché anche le parti sindacali hanno accettato, in sede di trattative, di porre questi “paletti” alle possibilità di nomina del Segretario [41]: se non si aggiungesse altro al discorso, si potrebbe anzi sostenere che due anni sono pochi, soprattutto per passare ai comuni metropolitani ed alle province.
Sappiamo però che il Segretario non ha, al di fuori dell’iscrizione in una prima fascia professionale, aspettativa giuridica alcuna alla nomina nel singolo Ente locale, perché è con un criterio puramente politico-fiduciario che avviene la sua scelta da parte dei capi delle amministrazioni locali. Ebbene, allo stesso modo, egli non potrà avere alcuna successiva aspettativa legittima ad una qualche progressione in carriera legata al merito, in special modo per salire i due descritti gradini interni alle fasce B e C; col sistema delineato nel contratto collettivo per il quadriennio 1998-2001, il Segretario, per essere nominato in un Comune tra i 10.000 e i 65.000 abitanti, prima, e dai 250.000 abitanti in su, successivamente, dovrà affrontare, in entrambi i casi, una doppia alea: dapprima cercare e sperare che un Sindaco, a proprio insindacabile piacimento, lo nomini nelle sottofasce immediatamente inferiori, ed, attesi due anni [42], cercare e sperare di trovare un Sindaco della sottofascia superiore che lo nomini a sua volta, sempre ad libitum.
Difficile a dirsi se quelli descritti siano meccanismi in grado di assicurare l’efficienza della pubblica Amministrazione. Di certo non incentiveranno l’accesso e la permanenza in servizio della melior pars della forza-lavoro intellettuale, giustamente attenta a parare laddove vengano apprezzati e premiati gli effettivi meriti e le capacità sue proprie e non il collegamento politico, l’amicizia, la parentela, che una nomina fiduciaria intesa in senso estremo finisce spesso e quasi inevitabilmente per privilegiare[43].
7. La motivazione
del decreto di nomina.
L’aleatorietà della prima nomina, della permanenza in una specifica sede e soprattutto della progressione in carriera; di conseguenza comportano dunque una mancanza di efficaci meccanismi premiali nei confronti dei più bravi e diligenti. E’ questa la parte preponderante del deficit strutturale dell’attuale status dei Segretari comunali e provinciali, al di là dei pure presenti difetti organizzativi e delle carenze di personale in seno all’Agenzia Autonoma che si occupa della gestione di tale categoria di lavoratori.
Buona parte di tali elementi di criticità, invero, hanno stretta attinenza con la difficile questione circa l’an e il quantum della motivazione dei vari decreti di nomina emessi dai Sindaci e dai Presidenti delle Province nei confronti dei Segretari.
All’indomani dell’entrata in vigore della legge n. 127/1997, acceso era il dibattito circa l’esigenza di un’adeguata motivazione ai provvedimenti di non conferma dei segretari, alla cui emanazione furono facultizzati i capi delle Amministrazioni locali in sede di prima attuazione, prescindendo, per quell’occasione, dalla scadenza del mandato dei singoli eletti. La riforma andava infatti ad impattare su di una sedimentata realtà, irrobustita dal sopravvenuto art. 3 della legge n. 241/1990, che considerava scontato che ogni provvedimento amministrativo, a carattere non generale, fosse fornito di una motivazione atta a spiegare al quisque de populo - ed a fortiori ai soggetti direttamente interessati - il perché di quel provvedimento; nel nostro caso, il perché del sostituire il vecchio segretario con uno nuovo.
Questa pretesa di motivazione sembrò ai fautori della riforma un nuovo stratagemma per mettere i bastoni tra le ruote alla libera scelta degli amministratori locali, sostituendo al vituperato controllo ministeriale, svolto dalle Prefetture, un nuovo e forse più penetrante controllo affidato alla magistratura, ancor più difficilmente influenzabile dalla volontà politica locale. Dovette allora intervenire una norma di interpretazione autentica della legge Bassanini bis, contenuta nel D.L. n. 8/1999 e poi nella legge n. 75/1999, a chiarire che la non conferma del segretario uscente non abbisognasse di alcuna motivazione: fosse automatica - come oggi riporta l’art. 99, comma 2 - con la cessazione del mandato del Sindaco [44], anche se quest’ultimo dovesse vedersi conferito un secondo mandato elettorale dai cittadini [45].
La decadenza automatica, espressamente prevista per legge, del Segretario comunale al termine del singolo mandato del Sindaco è stata dunque necessaria per evitare l’applicazione del principio generale, segno di civiltà e progresso giuridico, di cui all’art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, che val la pena di richiamare: “1. Ogni provvedimento amministrativo, compresi quelli concernenti l’organizzazione amministrativa… ed il personale, deve essere motivato, salvo che nelle ipotesi di atti normativi e per quelli a contenuto generale [46]. La motivazione deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione, in relazione alle risultanze dell’istruttoria” [47].
Questa legge, per espressa sua indicazione all’art. 1, comma 1, ha portata generale ed non è suscettibile di essere derogata, e con essa il principio dell’obbligo di motivazione – evidentemente sostanziale – dei provvedimenti amministrativi, se non da una norma di pari forza che si ponga in rapporto di specialità rispetto ad essa. Ebbene, mentre la non conferma del Segretario a fine mandato, più che essere un provvedimento che non necessita di motivazione per una qualche deroga al principio generale, semplicemente non è un atto amministrativo (è infatti automatica), per quanto riguarda la diversa e strategica fase della nomina del nuovo Segretario, si pongono due questioni, l’una preliminare all’altra, rese quantomai pungenti dalla c.d. privatizzazione del pubblico impiego, definitivamente attuata con il cit. D.lgs. n. 80/1998. Per risolverle non è d’aiuto il nuovo CCNL, il quale, nel confermare all’art. 17 il ruolo dell’Agenzia Autonoma nella procedura di nomina, nulla dice circa la natura giuridica di tale atto, né sulla necessità di motivare lo stesso.
Non resta allora che guardare a dottrina e giurisprudenza, dove però vi sono divergenze, anzitutto circa la configurabilità dell’atto di nomina di un dirigente e, per estensione, del Segretario comunale o provinciale, come provvedimento amministrativo [48]. In considerazione della circostanza che il rapporto d’impiego è stato privatizzato, non sarebbe infatti più dato di parlare di atti autoritativi pubblici, ma soltanto di atti negoziali che regolano i rispettivi diritti e doveri tra datore di lavoro e pubblico dipendente [49].
In argomento, può osservarsi, in linea generale, come sia ben difficile negare una qualche specialità di almeno una parte degli atti che regolano il rapporto d’impiego pubblico rispetto alle norme di ogni altro rapporto d’impiego: almeno per tali atti la natura provvedimentale non dovrebbe essere negata[50]. Ma, tenendo presente il nostro specifico interesse speculativo, è la legge stessa, all’art. 68, comma 1 del D.lgs. n. 29/1993, nel teso attualmente vigente, a richiamare un potere del giudice ordinario di disapplicare gli atti amministrativi presupposti ritenuti illegittimi, dei quali, evidentemente, non se ne è negata l’esistenza anche con l’avvento della nuova disciplina privatistica.
Su quali siano tali atti presupposti, anche qui c’è acceso dibattito, ma anche chi tende a limitarne il più possibile la portata, include tra essi “gli atti amministrativi a contenuto puntuale assunti da un’Amministrazione diversa da quella con la quale intercorra il rapporto d’impiego” [51]: è facile sussumere sotto tale fattispecie l’atto di nomina del Segretario, il quale, pur svolgendo le proprie funzioni ordinariamente presso un Ente locale, dipende, come rapporto d’impiego, da un diverso soggetto, che è l’Agenzia Autonoma per la gestione dell’Albo [52]. Stesso discorso si potrebbe fare facendo rientrare negli atti presupposti quelli che non incidono direttamente sul rapporto d’impiego, poiché la nomina del Segretario non riguarda, appunto, tale rapporto, bensì il rapporto funzionale che viene a instaurarsi con il singolo Comune o Provincia.
In conclusione, appare difficile negare la natura di atto amministrativo alla nomina del Segretario comunale, sia che se ne voglia sottolineare la sua natura di atto tipicamente discrezionale e disciplinato dalla normativa pubblicistica[53], sia anche, sposando una concezione maggiormente estensiva della privatizzazione del p.i., negando che vi possano essere atti direttamente incidenti su tale rapporto che abbiano conservato la natura pubblicistica, ma riservando, come prevede la legge, tale qualifica ai soli atti presupposti.
La questione circa la natura provvedimentale della nomina del Segretario comunale è rilevante soprattutto perché dalla sua affermazione dovrebbe discendere l’obbligo di cui al cit. art. 3 della legge n. 241/1990 di motivare la stessa[54], anche se parte della giurisprudenza ritiene tale obbligo sussistente pure nel caso di una ritenuta diversa natura degli atti con cui l’Amministrazione pubblica sceglie i propri vertici[55]. Ed ecco allora il secondo, annunciato problema: quale motivazione può essere considerata congrua, nel caso di specie?
Nella pratica, gli atti di nomina dei Segretari vengono denominati come decreti, tipico atto amministrativo del Sindaco, e del provvedimento hanno anche la struttura: motivazioni di fatto e norme giuridiche applicate + dispositivo [56]. Solo che la succinta motivazione ha quasi sempre una valenza meramente stilistica, priva di qualsiasi sostanza.
Chi scrive non crede che questa prassi abbia una solida legittimazione. Se, come risulta dal silenzio della specifica normativa di legge, l’obbligo di motivazione si estende anche al poc’anzi qualificato “provvedimento” di nomina del nuovo Segretario comunale o provinciale, allora questa motivazione deve essere vera, in grado di spiegare realisticamente le ragioni di una scelta. Deve spiegare come mai si preferisce Tizio a Caio e Sempronio [57], perlomeno giustificando detta scelta se non con le maggiori capacità, perlomeno con le eguali capacità, desunte dall’esperienza maturata e dai titoli; così come occorre spiegare bene perché, come a volte accade, il Capo di quella Amministrazione, non ritenendo nominabili i o il segretario che abbia manifestato interesse alla nomina, decida di reiterare la “pubblicazione” da parte dell’Agenzia della sede vacante[58]. Se le scelte amministrative devono essere ancorate all’interesse pubblico – ed a sindacare ciò serve la motivazione – giocoforza potrà rientrare in gioco persino lo stesso Segretario automaticamente decaduto che presenti una nuova manifestazione di interesse alla nomina nello stesso posto, il quale dovrà essere trattato alla pari degli altri interessati alla nuova nomina, spiegando il perché gli si preferisce un altro collega-antagonista.
Non si tratta di ingessare le scelte dei Sindaci verso asettici e rigidi criteri burocratici. La discrezionalità amministrativa, come noto, consente di muoversi con una certa elasticità nell’ambito dei confini posti dalla legge. Nel caso di specie la ratio della riforma Bassanini consente di ampliare notevolmente l’ambito della discrezionalità di questa scelta, proprio perché legata ad elementi tra i più vari; in questo senso potrebbe anche ammettersi la definizione di motivazione “necessaria ma fortemente alleggerita” data al provvedimento de quo da un importante Autore [59]. Ma consentire una forma tenue di motivazione non dovrebbe significare legittimare una finta motivazione e il conseguente totale arbitrio, quale potrebbe essere il preferire un Segretario privo di anzianità di servizio ed al contempo di titoli culturali ed attestati di merito gestionale, a chi viceversa possieda tutti assieme tali requisiti: è in questi casi che la giurisprudenza dovrebbe essere chiamata ad intervenire, per riportare la discrezionalità amministrativa nel suo ampio ma pur sempre delimitato alveo[60].
Con una legittimazione a ricorrere facilmente individuabile in seno ai segretari che hanno manifestato interesse alla nomina ma non sono stati prescelti, compreso, per quanto detto, il Segretario precedentemente decaduto che si sia a sua volta “riproposto”.
Rivendicare in sede giudiziale il diritto a comprendere, alla trasparenza amministrativa, ad un minimum di valutazione dei propri meriti, applicando nient’altro che la legge generale sul procedimento amministrativo, non può essere un’operazione da affidare a nuove leggi, o a leggi di modifica da approvare in un incerto futuro. Invero, è l’interpretazione dei nostri principi generali dell’ordinamento, in primis costituzionali, che ha spesso saputo anticipare il legislatore, spesso recalcitrante perché legato ai contingenti interessi politici.
Né forse potrebbe essere diversamente, poiché tali principi obiettivizzano, col passare degli anni, le singole e ondivaghe risposte che il Parlamento dà alle istanze sociali. Ed ecco allora scaturire – per fare un esempio di ben più ampia e rivoluzionaria portata – una sentenza come la n. 500 del 1999 della Corte di Cassazione, dove con un colpo di spugna rispetto alle secolari diatribe, si ammette la risarcibilità degli interessi legittimi dei cittadini nei confronti della Pubblica Amministrazione che sbaglia, principio al quale la legge si è limitata, successivamente, a conformarsi.
Rivendicare il diritto a sapere, dunque, per uscir fuori dalle pastoie di oggi, ove, specie nei comuni ambiti sol perché vicini alle città, giovani e vecchi Segretari comunali si vedono girare per questo o quel Municipio a cercare di ingraziarsi, senza riuscir bene a capire come, questo o quel Sindaco; sembrando, a volte, servitori solo di questi ultimi, anziché, come ha da essere, servitori di tutti i cittadini [61].
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[1] La forte pressione per cancellare ogni parvenza di una qualche funzione “ispettiva” del Segretario comunale, può riscontrarsi anche nella stessa terminologia dell’art. 17, comma 76 della legge n. 127/1997, ripresa dall’art. 1, comma 2, del regolamento di attuazione n. 465 del 4.12.1997, ove si legge che l’Agenzia autonoma per la gestione dell’Albo dei Segretari comunali e provinciali è “sottoposta alla vigilanza del Ministro dell’Interno”, ma soltanto “fino al… riordino, accorpamento e soppressione dei Ministeri in attuazione della legge 15 marzo 1997, n. 59”.
In ossequio al principio della reductio ad unitatem della Pubblica Amministrazione non prettamente locale, che postula che anche le Autorità amministrative indipendenti - tranne quelle per le quali la totale autonomia risulti indispensabile garanzia della propria terzietà (come ad esempio il Garante della privacy) – debbano comunque esser poste sotto la vigilanza di un capo di dicastero (si pensi all’ISVAP, posto sotto la vigilanza del Ministro dell’Industria ai sensi dell’art. 2 della legge n. 576/1992), anche l’Agenzia Autonoma per la gestione dell’Albo dei segretari comunali e provinciali veniva posta sotto la vigilanza del Ministero tradizionalmente affine alle problematiche delle comunità locali, e cioè quello dell’Interno. Ma la preoccupazione di evitare il più possibile qualsivoglia commistione col “Ministero di polizia” aveva spinto il legislatore del 1997 ad usare la formula cautelativa della riserva di affidare tale vigilanza ad un’altra struttura ministeriale meno “etichettata”, alludendo all’eventualità di inserire tale competenza nell’ambito di quelle affidate al Presidente del Consiglio dei Ministri, visto come primus inter pares e in questa veste in grado di ispirare una maggiore “neutralità” nella sovrintendenza sull’Agenzia Autonoma dei Segretari e, tramite essa, sebbene in via assai sfumata, sulle Autonomie Locali. La scemata veemenza del dibattito sul difficile rapporto tra potere centrale e potere locale ha però fatto comprendere – a distanza di tre anni da quella riforma – come non sia il caso di soffermarsi su tali “etichette” e che l’affidare un compito di generica vigilanza su di un’Agenzia Autonoma a questo anziché a quell’altro Ministero debba essere dettato esclusivamente da ragioni di omogeneità con le competenze ai singoli dicasteri attribuite. Sicché, nell’attuale testo dell’art. 102, comma 1 del T.U. 18.8.2000, n. 267, che ha ereditato gran parte della normativa di rango primario in materia di Enti Locali, quella riserva di un futuro aggiustamento a favore di un altro dicastero non v’è più e la vigilanza del Ministro dell’Interno sull’Agenzia Autonoma per la gestione dell’Albo dei Segretari non è più sub condicione.
[2] L’obbligatorietà di questi pareri è oggi prevista dall’art. 49 del T.U. n. 267/2000, cit.
[3] Vgs. art. 102, commi 2 e 3 del T.U. ult. cit.
[4] Ma sulle anomalie del sistema per ottenere tale nomine ci si soffermerà in seguito.
[5] “Relitto” della prima intenzione di fare dei Segretari comunali e provinciali un vero e proprio albo professionale, aperto a chiunque ne avesse i requisiti e privo, come necessario rovescio della medaglia, di qualsiasi meccanismo di continuità nelle erogazioni stipendiali, una volta cessato il mandato del Sindaco o del Presidente della Provincia di riferimento, è l’attuale denominazione di “Albo dei Segretari comunali e provinciali”. In realtà, come hanno avuto modo di osservare attenti studiosi, trattasi piuttosto di un “ruolo” di dipendenti pubblici, non lontano dalla disciplina del “Ruolo unico della dirigenza”, previsto dal D.lgs. n. 80 del 1998, che ha modificato sul punto la legge quadro in materia di pubblico impiego, D.lgs. n. 29 del 1993.
[6] A tal proposito, l’art. 102, comma 4 del T.U. 18.8.2000, n. 267, per come integrato dall’art. 2 del D.L. 27.12.2000, n. 392, convertito con legge n. 26/2001, consente all’Agenzia Autonoma di adeguare la propria dotazione organica, rapportandola alle proprie esigenze di funzionamento, nel rispetto delle modalità previste dasll'’rt. 36 del D.lgs. n. 29/1993.
[7] Sulle amministrazioni indipendenti come “convergenza progressiva” dei vari modelli occidentali del diritto pubblico, vgs., D’ALBERTI, Diritto amministrativo comparato, Bologna, 1992.
[8] L’art. 99 del Testo Unico delle leggi sull’ordinamento degli Enti Locali, approvato con D.lgs. 18.8.2000, n. 267, “erede” dell’art. 17, comma 70 della legge n. 127/1997, dispone infatti, al comma 2, che: “Il segretario cessa automaticamente dall’incarico con la cessazione del mandato del sindaco e del presidente della provincia…”.
[9] Il meccanismo è il seguente: 1) dopo che siano trascorsi infruttuosamente 60 giorni, il Presidente dell’Agenzia provvede (immediatamente?) a invitare con racc. a.r. il Capo dell’Amministrazione locale inadempiente a provvedere, entro 15 giorni dal ricevimento della missiva, all’avvio delle procedure di pubblicazione della sede vacante; 2) se nulla succede, successivamente l’Agenzia si rivolge al Co.Re.Co. (Difensore civico), il quale dovrà nominare (e passerà anche qui del tempo) il commissario ad acta; quest’ultimo avrà, a sua volta, altri due mesi di tempo per provvedere. A che cosa? Alla semplice richiesta di pubblicazione, cioè ad avviare il procedimento che nei successivi sessanta giorni dovrà portare all’individuazione del Segretario. E se anche in questa fase si riscontrasse l’inerzia del Capo dell’amministrazione locale? La delibera in esame ripropone per tale evenienza il medesimo meccanismo elefantiaco di coinvolgimento del Co.Re.Co.
[10] L’art. 15, comma 3 del D.P.R. n. 465/1997 parla chiaro: “In caso di vacanza della sede di segreteria… la procedura di nomina del segretario titolare deve concludersi entro centoventi giorni” dal suo avvio.
[11] In tal caso, la sospensione dei temini per procedere alla nomina del Segretario è prevista, in maniera alquanto generica, al comma 3 dell’art. 15, D.P.R. n. 465/1997. Sul punto, cfr., BARUSSO, Il Segretario comunale e provinciale, Milano, 1998, 49-50.
[12] Il richiedente potrebbe così fare le sue valutazioni circa l’opportunità di continuare a richiedere la nuova assegnazione, pur se sottoposta alla spada di Damocle della convenzione, ovvero riparare in più tranquilli lidi, rinunciando a lasciare la sede in attuale titolarità.
[13] Vgs. la deliberazione del Consiglio di amministrazione dell’Agenzia Autonoma nazionale 4 marzo 1998, in Guida agli Enti locali n. 11, 1998, 50-52, con commento di IUDICELLO, Massima pubblicità alla selezione. Mobilità oltre i confini regionali, alle pagg. 53-54 e successivamente la cit. del. 15.7.1999, n. 150.
[14] Termine che può essere addirittura dimezzato a cinque giorni: cfr. lett. h) della delibera Cons. Amm. Agenzia Autonoma n. 150/1999.
[15] La più volte richiamata delibera n. 150/1999, dopo aver dettato una serie di minuziose disposizioni sulla “pubblicazione”, quando poi si tratta di passare alla fase della nomina, si limita, infatti, a dire, alla lett. c), che “il responsabile dell’Amministrazione… individua il soggetto da nominare anche sulla base delle manifestazioni di volontà presentate dai segretari interessati”.
Ecco poi un’altra prassi difficilmente spiegabile per i virtuosi della trasparenza: nel caso in cui un Sindaco o un Presidente della Provincia ritengano, con proprio insindacabile (e immotivato) giudizio di non aver rinvenuto tra gli “interessati” alcun segretario conforme ai loro “gusti”, i primi potranno richiedere all’Agenzia Autonoma una nuova pubblicazione, e poi un’altra ancora e così via, sino a quanto il “virtuoso” non salti fuori. Resta da dire che nel frattempo l’Ente avrà operato senza un Segretario titolare di sede, per mesi e mesi, avvalorando forse la tesi, ancora minoritaria, che tale figura serve a ben poco...
[16] Cfr., GIANNINI, Diritto amministrativo, I, Milano, 1993, 367.
[17] Lo SCOCA, Modelli organizzativi, in Diritto amministrativo, a cura di Mazzarolli, Pericu, A. Romano, Roversi Monaco e Scoca, I, Bologna, 1993, 507, individua lo scopo del coordinamento nell’armonizzazione di attività che l’ordinamento affida a diversi soggetti pubblici.
[18] In uno dei suoi pochi interventi negatori, l’Agenzia Autonoma ha rigettato, con deliberazione n. 253 del 31.10.2000, la proposta di convenzione tra la Provincia di Lecce ed i Comuni di Alliste, Mellisano, Racole e Teviano, sul presupposto che l’art. 10, comma 1 del D.P.R. n. 465/1997 (ma, in primis, la norma di rango primario citata nel testo), parla, con riferimento alle convenzioni di segreteria, solo di “comuni”.
[19] Ad esempio, una convenzione tra quattro comuni è quella esistente, in provincia di Bergamo, tra Taleggio, Camerata C., Valnegra e Vedeseta. Fonte: pubblicazione n. 3 del 9.1.2001 delle Amministrazioni che hanno avviato la procedura di nomina del Segretario, sul sito internet: www.agenziasegretari.it.
[20] Cfr., BARUSSO, Il Segretario comunale e provinciale, 170-171.
[21] Successivamente integrata con del. n. 164 del 27.7.2000, ma in maniera ininfluente sul punto in discussione.
[22] Tale limite era previsto nelle deliberazioni n. 21/3 del 26.11.1999 e n. 241 del 9.12.1999, revocate in via di autotutela e su invito del Ministero degli Interni.
[23] Contra: GIANNINI, Diritto amministrativo, I, 321, per il quale si considererebbe in questo modo attività di coordinamento quella svolta da “ogni centro di riferimento di interessi di una certa dimensione”. Ma nella prevalente dottrina straniera il concetto ampio di coordinamento è il più accettato: cfr., ad es., DELION, Rapporto al XIV Congresso nazionale dell’I.I.S.A., Les problémes administratifs de la coordination en matière économique et sociale, Bruxelles, 1969.
[24]Di ciò ne sono prova, da ultimo, i recenti finanziamenti previsti dal governo, con Decreto del Ministro degli Interni 1 settembre 2000, a favore dei comuni che decidano di stare assieme per gestire uno o più servizi di pertinenza, formando una Unione (art. 2) ovvero che decidano di fondersi tra loro (art. 6). In tale Decreto, non a caso i vantaggi maggiori sono riservati ai comuni di minori dimensioni (che raggruppati arrivino sino a 15.000 abitanti) e/o a quelli che decidano di svolgere in forma associata un numero più cospicuo di servizi. Per una breve nota di commento, vgs., MASSARO, Premiati anche i pionieri dell’associazionismo, ne Il Sole-24 ore, 3 settembre 2000, pag. 8.
[25] Nell’anno 2000, l’Agenzia nazionale ha preso atto delle seguenti convenzioni di segreteria di classe I/B: Guastalla e Correggio (RE); Montecchio Maggiore e Thiene (VI); Portomaggiore e Voghiera (FE); S. Donà di Piave e Fossalta di Piave (VE); S. Giovanni in Persiceto e Castel Maggiore (BO); Vimercate e Brugherio (MI).
[26] La normativa precedente alla legge c.d. Bassanini bis prevedeva un limite di popolazione per i comuni che intendessero stipulare convenzioni per l’ufficio di segreteria. L’art. 18 del D.P.R. n. 749/1972, stabiliva infatti che all’uopo potessero formarsi dei consorzi (e, dopo l’entrata in vigore della legge n. 142/1990, delle convenzioni: Cons. Stato, Sez. I, parere 6 febbraio 1991; Min. Interno, circolare 23 febbraio 1991), ma a condizione che i comuni interessati appartenessero alle classi terza e quarta e, quindi, non avessero popolazione superiore ai diecimila abitanti. A tale limite se ne aggiungeva un altro e cioè che i comuni convenzionati dovessero appartenere al territorio di una stessa provincia; limite, quest’ultimo, giustamente criticato, perché privo di una qualsiasi aderenza a canoni di efficienza amministrativa: come si è avuto modo di accennare nel testo, un’analoga incongruenza si riscontra oggi, seppure con portata meno incisiva, nel limite dell’ambito regionale alle convenzioni per gli uffici di segreteria. Sulle convenzioni ante riforma, cfr., BARUSSO, Il segretario comunale e provinciale, 169-170.
[27] Un esempio è stato fatto alla nota 18.
[28] Arg. in part. ex art. 97, comma 2 del T.U. 18.8.2000, n. 267, a norma del quale: “Il segretario comunale… svolge compiti di collaborazione e funzioni di assistenza giuridico-amministrativa nei confronti degli organi dell’ente in ordine alla conformità dell’azione amministrativa alle leggi, allo statuto ed ai regolamenti”. A meno che non si voglia leggere in chiave riduttiva questa norma, interpretando la funzione collaborativa e di assistenza del segretario come svolgentesi sempre e solamente su impulso degli altri organi del Comune e mai, più autorevolmente, ex motu proprio. Sul Segretario comunale come “garante della legalità”, vgs., in breve, CAMMELLI, Le funzioni del Segretario: gli elementi fondanti della nuova disciplina. Introduzione, in Progetto Merlino e dintorni, a cura dell’area didattica della S.S.P.A.L., Roma, 2000, 351.
[29] L’obbligo di scegliere uno dei segretari già in carica scatta solo quando tutte le sedi poi oggetto di convenzione siano ricoperte da un titolare e, nonostante l’avvenuta convenzione, non si debba procedere, per l’aumento della popolazione risultante dalla sommatoria dei singoli comuni, alla nomina di un Segretario di fascia superiore. Cfr. deliberazione Ag. Aut. n. 150 del 15.7.1999.
[30] Organi competenti ai sensi dell’art. 42, comma 2, lett. c) del T.U. n. 267/2000 e dell’art. 10, comma 1 del D.P.R. n. 465/1997.
[31] Osserva il Tribunale di Udine, nell’ordinanza 28.8.2000, in Giust. Amm., 2000, 0, 70-81, come il privare il Segretario delle funzioni sue proprie, produca, nella sostanza “un demansionamento” rispetto alle funzioni per le quali egli era stato assunto. Dalla posizione di disponibilità deriva una “perdita di professionalità conseguente alla forzata inattività… E’ sufficiente ricordare che la vita istituzionale di un Comune è in continuo cambiamento: il fatto di rimanervi lontano per dei mesi (e in ipotesi anni) significa perdere l’esperienza acquisita (destinata a diventare in breve tempo inutile), la possibilità di farne di nuova (rimanendo al passo con le novità legislative ed amministrative), i contatti con la struttura dell’Ente e le persone che la compongono”.
[32] L’assunto normativo non sembrerebbe lasciar spazio a dubbi interpretativi. Sicché, pare di difficile comprensione anche lo stesso meccanismo attraverso il quale, con la citata deliberazione n. 253 del 31.10.2000, l’Agenzia Autonoma ha rigettato una proposta di convenzione per il servizio di segreteria tra Enti locali.
[33] Arg. ex art. 1 del D.lgs 18.8.2000 n. 267.
[34] Cfr., ad es., CAMMELLI, Le funzioni del Segretario, 352.
[35] Ipotesi che, in una corretta organizzazione delle risorse umane dei singoli enti locali, dovrebbe trovare una sempre minore applicazione, come di fatto sta avvenendo: è infatti preferibile stimolare in tal senso il personale interno, affidandogli la responsabilità dei singoli servizi, e di conseguenza, il compito di esprimere i pareri di competenza.
[36] Nomina che può avvenire solo nelle province e nei comuni con popolazione superiore ai 15.000 abitanti: art. 108, comma 1, T.U. n. 267/2000.
[37] Cfr., CAMMELLI, Le funzioni del Segretario, 354.
[38] Eppure si prevedeva una soluzione ben più agevole delle trattative, se l’autorevole Sole-24 ore, in un articolo a firma di GALULLO, Il contratto riparte da stipendio e status, del 2 agosto 1999 (pag. 23), sosteneva: “Il ghiaccio si è rotto e le trattative sono partite: il nuovo contratto dei segretari esce dalle sabbie mobili in cui si era impantanato e, nel giro di pochi mesi, dovrebbe vedere la luce”. Tenendo a mente che si tratta del contratto per il quadriennio 1998-2001, anche da questi notevoli ritardi si può percepire la perdita di forza negoziale della categoria dei segretari comunali e provinciali, ridimensionata, vieppiù, dalla prospettiva di porre in essere nuove convenzioni tra i Comuni per ridurre le spese scaturenti dalla loro retribuzione; ipotesi ancor più realistica nel momento in cui si rivendicano aumenti stipendiali per detta categoria di lavoratori.
[39] Esso infatti prevede una retribuzione base di livello dirigenziale per tutti i segretari comunali, in virtù delle loro funzioni di sovrintendenza nei confronti del personale del singolo Ente locale, o comunque di non subordinazione, nel caso in cui sia stato nominato un Direttore generale. Ciò varrà, a regime, per i segretari che abbiano compiuto almeno due anni di servizio, mentre per il primo biennio si applica una percentualizzazione di riduzione rispetto a detto stipendio base.
[40] Nonché presso i Comuni capoluoghi di provincia, anche se di dimensioni minori.
[41] Lo stesso E. Paolini, attuale Segretario generale del sindacato maggiormente rappresentativo di categoria, l’Unione Nazionale dei Segretari Comunali e Provinciali, ha spronato, in un dibattito tenutosi a Cosenza l’11 dicembre 2000, presso la Camera di Commercio, Industria, Artigianato ed Agricoltura, i Segretari comunali e provinciali ad accettare le descritte clausole contrattuali, come garanzia per dotare il Segretario comunale dei necessari mezzi per affrontare le più grandi ed impegnative sedi di servizio.
[42] Sempreché nel frattempo, non sia cessato il mandato del sindaco che lo ha chiamato, con conseguente decadenza automatica anche del segretario ex art. 99, comma 2 del T.u. n. 267/2000.
[43] Con riferimento al più ampio ambito della riforma della dirigenza pubblica, osserva il CASSESE, Dirigenti pubblici guidati da sindacati antimeritocratici, ne Il Sole-24 ore, 16.3.2001, 1 e 7, come “dal 1998… si sono indeboliti i dirigenti sia rispetto alla politica, sia rispetto ai sindacati, con la loro precarizzazione da un lato, con la loro contrattualizzazione dall’altro. Il loro silenzio (ma non di tutti) è stato conquistato con il solito piatto di lenticchie”. Non è un caso, allora, se, almeno per quanto risulta da un’indagine sommaria, nei concorsi 1999 e 2000 a uditore giudiziario, aperti ai soli laureati in giurisprudenza, si sia registrato un numero di domande di partecipazione nettamente superiore rispetto a quelle relative ai corsi-concorso a segretario comunale banditi dal 1998 in poi, nonostante a quest’ultima carriera abbiano accesso, ai sensi dell’art. 98, comma 5 del T.U. n. 267/2000, non solo i laureati in legge, ma anche – e sono un cospicuo numero – i dottori in scienze politiche ed economia.
[44] Prima di dette norme di interpretazione autentica, sosteneva, tra gli altri, la necessità di una motivazione al provvedimento di non conferma, BASTIONI, La mancata conferma del segretario comunale non merita motivazione?, in Giornale di dir. amm., 1999, 1, 23 e ss. Lo stesso Autore mantiene qualche perplessità anche dopo i chiarimenti legislativi ne, Il procedimento di nomina del segretario comunale e provinciale, ibidem, 2000, 2, 156 e ss.
[45] Ipotesi, questa, ancor più significativa dell’impossibilità, per il Segretario comunale o provinciale, di conquistarsi con il merito una qualche aspettativa al mantenimento della sede; anche infatti, allorquando egli abbia profuso il massimo impegno, in termini di risultati gestionali, per favorire una riconferma di Sindaco e Giunta per il secondo mandato, egli potrebbe essere mandato a casa ad nutum, all’inizio del secondo quinquennio.
[46] Per ragioni di stringatezza, si riporta in corsivo il contenuto del comma 2 dell’art. 3, richiamato il tale punto dal comma 1 del medesimo articolo della legge n. 241/1990.
[47] Sull’obbligo di motivazione, vera e propria pietra miliare dell’attuale sistema del diritto amministrativo, la letteratura è ovviamente sterminata. Per fermarsi a qualche esempio, vgs.: GIANNINI, Motivazione dell’atto amministrativo, in Enc. Dir. , XXVII, Milano, 1977, 266-267; ROMANO TASSONE, Motivazione dei provvedimenti amministrativi e sindacato di legittimità, Milano, 1987; PERELMAN e OLBRECHTS-TYTECA, Trattato dell’argomentazione, Torino, 1989; CORSO e TERESI, Procedimento amministrativo e accesso ai documenti, Rimini, 1991, 57-66; LUHMANN, Procedimenti giuridici e legittimazione sociale, Milano, 1991
[48] Così lo qualifica l’Agenzia Autonoma dei segretari comunali e provinciali nella delibera n. 150 del 15.7.1999.
[49] In tal senso, cfr., PANARIELLO, GIUGLIANO e AMIRANTE, Commento all’art. 68 D.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, in Le nuove leggi civili, 1999, 1444 e ss.; nonché, TRAVI, La giurisdizione civile nelle controversie di lavoro dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, in Dir .proc. amm., XVIII (2000), n. 2, 305.
[50] Il FORLENZA, La giurisdizione sulle controversie di lavoro, in FORLENZA, TERRACCIANO e VOLPE, La riforma del pubblico impiego, (2° ed.), Milano, 1999, 149, in nota, fa l’esempio dell’atto di adibizione a mansioni superiori e dell’atto con il quale si autorizza l’accettazione di un incarico esterno da parte del dipendente.
[51] Così, TRAVI, La giurisdizione civile nelle controversie di lavoro, 310.
[52] Ciò è definitivamente chiarito dall’art. 15 del nuovo CCNL dei segretari comunali e provinciali.
[53] In tal senso, Pret. Roma, 27.9.1994, in Giur. it., 1995, 1, 2, 253 e, in dottrina, FORLENZA, La riforma del pubblico impiego, 150, in nota; contra, Cass. 10.8.1987, n. 6864, in Foro it. Rep., 1997, voce Lavoro (rapporto), 907 e, in dottrina, TRAVI, La giurisdizione civile nelle controversie di lavoro, 308.
[54] Cfr., in tal senso, FERRARA e PANASSIDI, Segretari, il burocrate cambia pelle, in Guida agli Enti locali, 2000, n. 39, 47.
[55] Per il Consiglio di Stato, Ad. Plen. 22.4.1999, n. 4, “le esigenze di buon andamento e di imparzialità dell’amministrazione (come disciplinate dall’art. 97 cost.) riguardano allo stesso modo l’attività volta all’emanazione dei provvedimenti e quella con cui sorgono o sono gestiti i rapporti giuridici disciplinati dal diritto privato. L’attività amministrativa è quindi configurabile non solo quando l’amministrazione eserciti pubbliche funzioni e poteri autoritativi, ma anche quando essa persegua le proprie finalità istituzionali mediante una attività sottoposta in tutto o in parte, alla disciplina prevista per i rapporti tra i soggetti privati, compresi quelli di gestione del proprio personale”; in senso conforme: TAR Puglia, sez. I, Bari, 17.7.1997, n. 512; Cons. Stato, sez. V, 1.10.1999, n. 1238. L’applicabilità delle norme procedimentali dettate dalla legge n. 241/1990 ai rapporti con i dipendenti è stata affermata in ordine a varie fattispecie; con riferimento ai provvedimenti relativi alla posizione del Segretario comunale: TAR Campania, sez. IV, 1.3.1999, n. 568; TAR Friuli-Venezia Giulia 18.1.1999, n. 9; TAR Puglia, sez. II, Bari, 29.12.1998, n. 866; TAR Lombardia, sez. Brescia, 13.1.1995, n. 12; con riferimento al conferimento di funzioni al personale dirigenziale non generale: Cons. Stato, sez. III, 28.10.1997, n. 1411.
Non mancano però pronunce della giurisprudenza amministrativa di segno opposto, in considerazione della circostanza che, una volta privatizzato il rapporto di lavoro, la gestione di questo non si realizza attraverso atti amministrativi, ma negoziali, e che, di conseguenza, il sindacato del giudice ordinario non attiene alla validità dell’atto in sé, ma all’esistenza del diritto che si assume violato dal datore di lavoro: TAR Toscana, sez. I, 26.3.1998, n. 103; TAR Lombardia, Brescia, 2.2.1998, n. 43; TAR Lazio, Latina, 11.11.1997, n. 1031; TAR Lazio, sez. III, 5.5.1997, n. 985; TAR Lazio, sez. Latina 15.10.1997, n. 977; TAR Sicilia, Catania, 7.6.1997, n. 1288. In tal senso si trovano varie sentenze dei giudici ordinari: per il Tribunale di La Spezia, 26.4.1999, Cantrigliani c. Comune di Levanto, “tutti gli atti gestionali attinenti al rapporto di lavoro emessi dall’amministrazione sono sottoposti al regime del diritto privato, poiché è la stessa legge ad attribuire agli organi amministrativi preposti all’organizzazione del lavoro dei pubblici dipendenti le capacità ed i poteri dl privato datore di lavoro (art. 4, comma 2, D.lgs. 3.2.1993, n. 29), secondo determinazioni che devono rispettare le leggi e gli atti organizzativi (a carattere generale) di cui all’art. 2, comma 1, D.lgs. n. 29 del 1993. Ne deriva l’inapplicabilità ad essi dei vizi di legittimità secondo le categorie proprie dell’atto amministrativo, tra cui quelli attinenti presunte violazioni della legge 7.8.1990, n. 241”; conformi: Tribuna di Grosseto, 23.2.1999, Tassone c. Min. P.I., Pretore di Napoli, 11.12.1998, La Macchina c. Com. Napoli; Pretore di Venezia, 21.4.1999, Bottan c. Com. Jesolo.
[56] Si osservi ulteriormente che il Sindaco non può porre in essere direttamente atti di natura gestionale, riservati dalla legge (art. 107, T.U. n. 267/2000) ai dirigenti o responsabili dei servizi e cioè alla burocrazia: ecco un ulteriore sintomo della natura pubblicistica e provvedimentale del decreto del Sindaco o del Presidente della Provincia col quale si nomina il Segretario. Anche nell’unica deroga, resa oggi possibile dall’art. 53, comma 23 della legge 23.12.2000, n. 388 (legge finanziaria per il 2001), in base al quale, nei comuni con popolazione inferiore ai 3.000 abitanti, talune competenze “di natura tecnico-gestionale” potrebbero essere direttamente assunte dal Sindaco, è evidente il rapporto di eccezione alla regola, non riconducibile alla potestà generale, riconosciuta ai Sindaci di tutti i comuni, di nominare il Segretario dell’Ente. Alla luce di quanto ora osservato va valutata la sentenza della Cassazione civ., sez. lav., 7.4.1999, n. 3373 che individua la natura negoziale negli atti di gestione del rapporto di pubblico impiego privatizzato.
[57] La rivendicata valutazione comparativa, l’unica in grado di dare un senso concreto all’obbligo di spiegare le ragioni del singolo atto di nomina, va comunque limitata ai nuovi “candidati” alla sede di segreteria, prescindendo dal raffronto col vecchio Segretario, oramai decaduto automaticamente, in base al disposto dell’art. 99, comma 2 del T.U.E.L. Ciò però non giustifica, come vorrebbe il CAMMELLI, Le funzioni del Segretario, 354, la prassi della mancanza di valutazioni comparative con riferimento al diverso caso del paragone tra i nuovi segretari che hanno manifestato il loro interesse alla nomina. Richiedono una comparazione tra i dirigenti candidati ai vari incarichi pubblici: TAR Sicilia, sez. I, Palermo, 2.3.1999, n. 522; Cons. Giust. Amm. Sicilia, sez. giurisdiz., 13.10.1998, n. 623; Cons. Stato, sez. IV, 1.9.1998, n. 1139; TAR Piemonte, sez. II, 27.11.1997, n. 570.
[58] E’ questo il caso in cui le argomentazioni a difesa della prassi attualmente instauratasi risultano più deboli. Se infatti, a detta del CAMMELLI, Le funzioni del Segretario, 354, la motivazione del provvedimento di nomina sarebbe completamente “esentata… dalla necessità di dare conto dei requisiti professionali”, in quanto “garantiti dall’Albo”, com’è possibile che un Sindaco consideri tamquam non essent - e senza argomentazioni di sostanza - le manifestazioni di interesse di alcuni segretari dai requisiti “garantiti” e richieda una nuova pubblicazione?
[59] Ci si riferisce ancora al CAMMELLI, Le funzioni del Segretario, 354.
[60] Una motivazione della nomina dei dirigenti pubblici dotata di una qualche sostanza è rivendicata dal TAR Friuli-Venezia Giulia, sentenza 10.5.1999, n. 601, “non potendosi l’amministrazione orientare in qualsiasi modo, in base a criteri propri, purché non illogici o contraddittori, ma dovendo invece seguire criteri prefissati, in linea con i principi di imparzialità e di buon andamento costituzionalmente garantiti (art. 97 cost.)” e, precedentemente, dal TAR Umbria, sent. 1.4.1998, n. 239; dal TAR Campania, sez. V., Napoli, 15.2.1999, n. 377 dal TAR Lombardia, sez. II, Milano, 3.9.1998, n. 2095, “non essendo consentito dal sistema far discendere la nomina da una scelta essenzialmente e solo fiduciaria”. Tra i giudici ordinari, il Tribunale di Campobasso, nell’ordinanza 25.9.2000, D. c. Ministero per i Beni e le attività culturali, a proposito dell’obbligo di motivazione del provvedimento di nomina di un Sovrintendente, nota come tale obbligo “ha attualmente, nel nostro ordinamento, a seguito dell’entrata in vigore della legge n. 241/1990, carattere generale e riguarda tutti gli atti amministrativi”.
Sminuiscono, invece, la portata della motivazione del provvedimento di nomina: Cons. Stato, sez. IV, 1.9.1998, n. 1139; TAR Lombardia, sez. II, Milano, 28.11.1998, n. 2690, nonché, con specifico riferimento alla scelta del Segretario comunale, TAR Veneto, sez. I, 10.3.1999, n. 326, “risultando attribuita ai sindaci una facoltà di scelta… libera, fiduciaria ed assolutamente discrezionale”, la quale “pertanto… non necessita di motivazione, in deroga alla previsione generale sull’obbligo di motivare i provvedimenti amministrativi concernenti il personale, contenuta nell’art. 3 l. 7 agosto 1990, n. 241”. Tuttavia, detta sentenza sbaglia nell’individuare il fondamento della fiduciarietà e della non motivabilità dell’incarico dei Segretari nel presunto venir meno della posizione di questi ultimi “al vertice degli apparati burocratici degli enti locali”, che li avrebbe portati a diventare nient’altro che “i più stretti collaboratori e consulenti del sindaco”. Ciò è in evidente contrasto col dettato legislativo, laddove esso prevede che, perlomeno nei comuni sino a 15.000 abitanti (che sono la grande maggioranza di tali enti), al Segretario comunale spetti un’indefettibile funzione di sovrintendenza rispetto ai responsabili dei servizi dell’ente stesso (artt. 97, comma 4, 1° alinea e 108, comma 1, T.U. n. 267/2000).
Sta di fatto che i provvedimenti di nomina concretamente emanati sono privi di una qualche traccia realmente esplicativa circa la bontà della scelta effettuata; ragion per cui risulta evanescente quanto asserito in uno studio comparato europeo curato dall’UNION DES DIRIGEANTS TERRITORIAUX DE L’EUROPE, Il Segretario comunale: un ruolo in cambiamento, ne I Quaderni di San Servolo, edizione a cura della Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione Locale, Roma, settembre 2000, 128, la quale Unione, a proposito della situazione italiana, sostiene senza tentennamenti: “Il Sindaco nomina il segretario fra coloro che hanno indicato la propria disponibilità, in base al criterio della qualificazione professionale”. Circa poi l’ulteriore libertà del Capo dell’Amministrazione locale di prescindere nella scelta anche dalle espresse manifestazioni di interesse dei singoli segretari, si è già avuto modo di soffermarsi al precedente paragrafo 3.
[61] Ammoniva la Corte costituzionale, con sentenza 28.3.1969, n. 52, in Riv. Amm. R. I., 1969, 815, acché la selezione dei segretari comunali e provinciali avvenisse garantendo “una stabilità che li ponga al riparo da possibili arbitri”; nota BARUSSO, Il segretario comunale e provinciale, 44, come tale giurisprudenza appaia “difficilmente garantita dalla vigente legislazione… alla luce dei poteri di nomina e di revoca attribuiti al capo dell’amministrazione”. Nel senso del testo, vgs., CHIAROLLA, Il segretario comunale “al servizio” del sindaco, ne Il giornale del Revisore, XXV (2001), n. 1, 39-40, per il quale dalla riforma dell’ordinamento dei segretari comunali e provinciali è derivata “una figura sbiadita, annacquata di funzionario pubblico, non più al servizio esclusivo della Nazione ma al servizio del sindaco o del presidente della Provincia, non più preordinata ad assicurare il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione, come da dettato costituzionale, ma semplice esecutore di direttive del sindaco o del presidente della Provincia…”.