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Articoli e note

n. 12/2004 - © copyright

VITTORIO RAELI
(Consigliere della Corte dei Conti)

La responsabilità sanitaria*

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1. La responsabilità civile dei medici pubblici dipendenti.

Tralasciando di considerare la responsabilità penale e disciplinare dei sanitari, di particolare interesse, per i profili che riguardano il danno erariale, è la responsabilità civile dei medici pubblici dipendenti del servizio sanitario nazionale.

L’art. 28, 1° comma, del D.P.R. 20 dicembre 1979 n. 761, recita: "In materia di responsabilità, ai dipendenti delle Unità sanitarie locali si applicano le norme vigenti per i dipendenti civili dello Stato di cui al D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, e successive integrazioni e modificazioni".

Secondo la normativa a cui tale articolo rinvia (artt. 22 e 23 D.P.R. n. 3/1957), l’impiegato civile dello Stato risponde direttamente verso i terzi dei danni causati per colpa grave o dolo in violazione di diritti.

Tenuto conto della esistenza di questo articolo, è possibile ritenere ancora applicabile al medico dipendente da struttura sanitaria pubblica la normativa civilistica e, in particolare, la limitazione di responsabilità di cui all’art. 2236 c.c.?

Per risolvere il problema si sono seguite, in dottrina, due vie interpretative: da un lato si è affermato (Clarich) che l’art. 28 D.P.R. n.761/1979 sia norma speciale rispetto a quanto previsto nel codice, che invece si riferisce genericamente a qualsiasi prestatore d’opera intellettuale; dall’altro si è ritenuto (Marzo) che l’art. 28 sia norma generale, poiché riguarda tutti i dipendenti della U.S.L. qualificati e non, rispetto alla disciplina codicistica che invece si riferisce esclusivamente al prestatore d’opera intellettuale.

Va da sé che, qualora si segua la prima opzione interpretativa, si deve di conseguenza affermare che, in virtù della specialità, l’art. 28 sostituisca la normativa civilistica e, pertanto, il medico dipendente della U.S.L. sarebbe sempre esonerato dalla responsabilità per colpa lieve, anche quando non si tratti della soluzione di un problema tecnico di speciale difficoltà.

Non pare però che l’apparente interpretazione letterale sia appagante, sia perché l’art. 28 Cost. non prevede tale ingiustificata limitazione, sia perché l’art. 23 del D.P.R. n. 3/1957 precisa che "restano salve le responsabilità più gravi previste dalle leggi vigenti".

Se invece si segue la seconda via, dal momento che il medico dipendente della U.S.L. continua pur sempre ad essere un prestatore d’opera intellettuale, si deve di conseguenza ritenere che, in virtù di questa qualificazione, al medico non sia applicabile la disciplina amministrativa, ma ancora quella civilistica.

La questione, comunque, appare superata dalla sentenza della Cassazione n. 2144 1° marzo 1988 che ha equiparato la posizione dei medici pubblici dipendenti a quella dei liberi professionisti, con la conseguente applicazione anche ai primi della normativa codicistica di cui agli artt. 1176 e 2236 c.c. (conforme, Cass. 11 aprile 1995 n. 4152)

Ha affermato, in particolare, la Suprema Corte che "la responsabilità del medico dipendente verso il privato danneggiato non ricade nella normativa di cui agli artt. 22 e 23 D.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3; la quale normativa riguarda, in applicazione dell’art. 28 Cost., le ipotesi di danni arrecati a terzi (privati) dagli impiegati civili dello Stato per i comportamenti – attivi o omissivi – da essi tenuti nell’ambito dell’esercizio dei poteri pubblicistici che strutturano l’amministrazione pubblica quale attività concreta svolta dallo Stato o da altro ente pubblico per la realizzazione di interessi generali " (sent. n. 2144/1988).

Tale orientamento è stato confermato successivamente (cfr. Cass. 22 gennaio 1999, n. 589).

2. La responsabilità amministrativa dei medici pubblici dipendenti. Il rapporto di servizio.

Presupposto della responsabilità amministrativa è la sussistenza di un rapporto di servizio fra i sanitari e l’Amministrazione che in ipotesi ha subìto il danno.

La giurisprudenza ha ravvisato la sussistenza del rapporto di servizio nelle seguenti ipotesi:

- Sanitario convenzionato con il S.S.N.

La Corte di Cassazione ha riconosciuto la giurisdizione della Corte dei conti nei confronti del medico convenzionato in quanto nell’attività da questo svolta sono rilevabili elementi da cui scaturisce l’esistenza del rapporto di servizio con l’Amministrazione sanitaria:

"Tra il medico di base e l’amministrazione pubblica si costituisce convenzionalmente un rapporto di servizio con riguardo alle attività che si inseriscono nell’organizzazione strutturale, operativa e procedimentale dell’unità sanitaria locale, tra le quali rientrano quelle attività di natura non professionali, perché consistenti in certificazioni (compilazione di prescrizioni farmaceutiche e cartelle cliniche), nell’identificazione di assistiti e nell’accertamento del loro diritto alle prestazioni sanitarie ecc."

(Cass., Sez. Un., 13.11.1996 n. 9957)

E’ stato, in particolare, ritenuto responsabile il medico convenzionato con il S.S.N. per il danno provocato all’erario con la prescrizione di medicine non per finalità terapeutiche (Sez. II centrale, 2 giugno 1998 n. 158/A; Sez. II, 30 maggio 1991 n. 209).

In applicazione degli stessi principi si è affermato in giurisprudenza sussistere il rapporto di servizio del farmacista convenzionato con il SSN, sulla base dei seguenti adempimenti: controllo delle ricette presentate dagli assistiti; "tariffazione" della ricetta; esazione del "ticket" dall’assistito per conto della ASL; resa del conto alla ASL (Sez. Reg. Liguria, 28 gennaio 2002 n.82)

- Componenti delle Commissioni sanitarie per gli invalidi civili

Il problema si è posto in giurisprudenza con riferimento ai componenti delle Commissioni sanitarie per gli invalidi civili, medici dipendenti o convenzionati delle ex UU.SS.LL. territorialmente competenti, per quanto concerne l’indebita corresponsione da parte dell’Amministrazione dell’interno, in data anteriore alla entrata in vigore della L. 14 gennaio 1994 n. 20 delle provvidenze economiche previste dalla normativa per gli invalidi civili, essendosi sostenuto dai difensori dei medici chiamati in giudizio dalle varie Procure Regionali che si verte intorno a ipotesi di danno ad amministrazione (statale) diversa da quella di appartenenza (regionale) dei medesimi (art. 1 4° comma L. 20/1994).

L’orientamento assolutamente pacifico nel senso di riconoscere sussistente la giurisdizione del giudice contabile per i fatti verificatisi prima dell’entrata in vigore della L. 20/1994 può essere sintetizzato dalla seguente massima:

"Sussiste la giurisdizione della Corte dei conti nei riguardi dei medici dipendenti o convenzionati con le UU.SS.LL., pure per I fatti avvenuti prima della L. 14 gennaio 1994 n.20, atteso il loro rapporto di servizio con l’Amministrazione statale, che, prescindendo da quello intrattenuto con le stesse UU.SS.LL., si è instaurato mediante l’atto di rispettiva designazione o nomina a componente delle Commissioni sanitarie di prima istanza per l’invalidità civile, trattandosi peraltro di due funzioni diverse, perchè svolte su piani assolutamente distinti e per finalità del tutto differenti"

(Sez. Reg. Puglia, 4 marzo 1999 n. 11; conforme, Sez. III centr., 29 ottobre 1998 n.269/A).

Esso ha trovato autorevole avallo in una recente sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione:

" Per I fatti verificatisi prima dell’entrata in vigore dell’art. 1, quarto comma, della legge n.20/1994, così come novellato dalla legge n.639/1996….la giurisdizione del giudice contabile sussiste tutte le volte in cui sia ravvisabile un rapporto, non solo di impiego in senso proprio o ristretto, ma anche di servizio, per quest’ultimo intendendosi la sussistenza di una relazione funzionale caratterizzata dall’inserimento del soggetto nell’" iter " procedimentale o nell’apparato organico dell’ente, tale da rendere il primo compartecipe dell’attività amministrativa del secondo "

(Cass., Sez. Un., 4 luglio 2002 n.9693)

- Medico putativo

Infine, sebbene non ricorra di frequente nella prassi giudiziaria, deve farsi menzione della fattispecie dell’esercizio della professione di medico senza il possesso del relativo titolo di studio.

La giurisprudenza contabile ha affermato sussistere il rapporto di servizio del c.d. medico putativo, affermando che il presupposto per il radicarsi della giurisdizione della Corte dei conti è sufficiente il concreto esercizio di un’attività o di una funzione che inserisca l’estraneo nella organizzazione sanitaria pubblica (Sez. I, 14 ottobre 1991 n. 311).

3 (Segue). Il danno.

Nell’ambito dell’elemento oggettivo della responsabilità amministrativa viene fatto rientrare il danno, che si configura come diretto o indiretto a seconda che sia stato cagionato alla Pubblica Amministrazione fino dall’origine ovvero sia stato procurato a terzi, nei cui confronti l’Amministrazione, per accordo transattivi o sentenza di condanna, sia tenuta al risarcimento (Staderini).

Nel primo tipo di responsabilità (per danno diretto) possono incorrere: i medici dipendenti o convenzionati che siano componenti delle Commissioni sanitarie per gli invalidi civili - il danno consiste nella indebita corresponsione di provvidenze economiche a tale titolo (Sez. Reg. Basilicata, 6 maggio 1999 n. 119) ; il c.d. medico putativo – il danno è determinato dalla erogazione degli emolumenti percepiti quale compenso per l’attività lavorativa (Sez. I, 10 dicembre 1993 n. 152); il sanitario convenzionato con il SSN – il danno è stato individuato nella ingiusta sottrazione di risorse in danno della U.S.L. in relazione alla prescrizione di farmaci al di fuori dei presupposti di legge (Sez. II, 30 maggio 1991 n. 209 cit.) e determinato in via equitativa , operando il raffronto con il costo medio pro capite della assistenza farmaceutica di una data U.S.L. (Sez. Reg. Liguria, 28 gennaio 2002 n. 82 cit.; in termini, Sez. II centr., 2 giugno 1998 n. 158/A cit.).

Nel secondo tipo di responsabilità (per danno indiretto) possono incorrere i sanitari per i danni recati ad un terzo che l’Amministrazione sia stata tenuta a risarcire in forza di sentenza del giudice ordinario o di atto transattivo

Anche nella ipotesi in cui il medico vada esente in sede civile da responsabilità nei confronti del terzo per difetto di colpa lieve ovvero – "se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà" – di colpa grave la responsabilità dell’ente pubblico gestore del servizio sanitario è diretta, essendo riferibile all’ente, per il principio della immedesimazione organica, l’operato del medico suo dipendente, inserito nell’organizzazione del servizio, che con il suo operato, nell’esecuzione non diligente della prestazione sanitaria, ha causato danno al privato.

Essa non esclude, tuttavia, che del danno risarcito al terzo non venga chiamato a rispondere in sede contabile il medico che con la sua condotta antigiuridica abbia creato le condizioni perché si verificasse, sebbene in questa sede occorra (almeno) la colpa grave e non la semplice colpa lieve, salvo che l’intervento medico non integri gli estremi della "soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà" .

In ciò si è visto un sistema non coerente di responsabilità:

"giacchè i medici appartenenti al servizio pubblico potrebbero, a differenza di tutti gli altri dipendenti pubblici,essere esposti su due lati visto che sono convenibili in un giudizio civile, dove per aversi responsabilità è sufficiente, ai fini di una condanna, la colpa lieve, e possono, infine, essere sottoposti, sul lato interno, al giudizio di responsabilità amministrativa per danno erariale (come tutti i dipendenti pubblici, ma con il trattamento più favorevole riconosciuto dal legislatore, specialmente sotto l’aspetto dell’elemento psicologico richiesto) da parte della Corte dei conti" (Tinello)

4 (Segue). Il rapporto di causalità.

Il giudizio di responsabilità amministrativa è finalizzato ad accertare in primo luogo se e quali condotte abbiano assunto efficienza causale nel determinismo dell’evento dannoso.

L’esistenza del nesso causale deve essere provato dal P.M. contabile (Sez. Reg. Umbria, 17 luglio 2001 n. 316).

In giurisprudenza, e’ stato escluso il nesso causale tra la grave cerebropatia che ha colpito il nascituro e la condotta dei sanitari quando, nel corso dell’assistenza operata nella fase conclusiva del parto, gli stessi non siano ricorsi al monitoraggio elettronico del battito cardiaco con la metodica del tracciato cardiotografico, pur in presenza di una sofferenza fetale del nascituro che doveva, piuttosto, essere rilevata a monte dell’ultimo intervento assistenziale (Sez. III centr., 30 marzo 2000 cit.).

5 (Segue). La colpa professionale.

Criterio (ordinario) di imputazione della responsabilità amministrativa è quello della colpa grave, ai sensi dell’art. 1, comma 1, della L. 14 gennaio 1994 n. 20.

Esso coincide con la regola della colpa grave di cui all’art. 2236 c.c., la cui sfera di applicazione è stata ristretta alla colpa per imperizia nei casi di "problemi tecnici di speciale difficoltà".

Di recente, la Corte di Cassazione ha ritenuto che la speciale difficoltà di un intervento, deducibile dalla premessa " soluzione di problemi tecnici " contemplata dall’art. 2236 c.c., ricorre esclusivamente "laddove il caso non sia stato in precedenza adeguatamente studiato o sperimentato o quando nella scienza medica siano stati discussi sistemi diagnostici, terapeutici e di tecnica chirurgica diversi ed incompatibili tra loro" ((sent. 10297/2004)

Nella definizione di colpa grave con riferimento alla colpa professionale costituisce affermazione di principio la seguente:

"Al fine di configurare la sussistenza della colpa grave nel comportamento del medico chiamato a risolvere un problema diagnostico di particolare difficoltà, non basta un comportamento non perfettamente rispondente alle regole della scienza e dell’esperienza, ma è necessario che il sanitario, usando la dovuta diligenza, abbia potuto prevedere e prevenire l’evento verificatosi come conseguenza del proprio comportamento che il giudice dovrà valutare con riferimento al livello di diligenza impiegato nello scegliere discrezionalmente mezzi e modi suggeriti dalla scienza medica"

(App. Sicilia, 17 settembre 2001 n. 196/A).

Si è anche affermato:

"La colpa grave in campo sanitario comprende gli errori inescusabili per la loro grossolanità, l’assenza delle cognizioni fondamentali attinenti alla professione nonché il difetto di quel minimo di perizia tecnica, esperienza e capacità professionale, con la conseguenza che il metro esatto per valutare il comportamento del medico deve incentrarsi sul livello di diligenza da lui impiegato nell’usare il metodo operativo più adatto al caso concreto ed alle circostanze contingenti"

(App. Sicilia, 15 dicembre 2003 n. 259/A)

Sicchè:

"Nessuna colpa grave può essere addebitata al professionista medico chirurgo il cui comportamento, ancorchè riprovevole in quanto non perfettamente rispondente alle regole della scienza e dell’esperienza, non è stato improntato a grave imperizia, negligenza o imprudenza e non si è in presenza di trascuratezza ed inadeguatezza di condotta professionale, essendosi l’evento lesivo verificato per fattori imponderabili connessi al gravoso impegno tecnico dell’intervento operatorio"

(Sez. Reg. Veneto, 17 marzo 1998 n. 236)

La colpa grave è stata esclusa:

- nel comportamento di un ginecologo , il quale nell’optare per il parto vaginale di una paziente, in luogo del parto cesareo, non avendo con sufficiente anticipo diagnosticato la presenza nel feto di una distocia di spalle che si evidenzia solo nella fase terminale del parto abbia provocato, nella fase concitata dell’espulsione danni cerebrali irreversibili al feto a causa di una manovra che, pur non informata alla perizia propria di un operatore specializzato, non può ritenersi configurare gli estremi della grave imperizia (Sez. III centr., 11 ottobre 1999 n. 241/A);

- nel comportamento dei sanitari che hanno assistito alla fase finale di un parto, anche in presenza di un rischio di sofferenza fetale e di una microsomia fetale che doveva essere rilevata fin dal momento del ricovero nella struttura ospedaliera (Sez. III centr. 30.3.2000 n.124 cit.) ;

- nei riguardi dei componenti di una Commissione sanitaria per gli invalidi civili, allorquando la percentuale di invalidità civile da costoro stabilita, sia risultata inferiore in sede di verifica soprattutto per effetto del diverso criterio di classificabilità stabilito dal D.M. Sanità 5.2.1992 (rispetto al precedente D.M. del 25.7.1980) (Sez. Reg. Puglia 4 marzo 1999 n. 11 cit.) e per avere ritenuto sufficienti le certificazioni allegate alla domanda, rilasciate dalla stessa struttura pubblica che avrebbe dovuto effettuare il prescritto accertamento diagnostico (Sez. reg. Sicilia 6 ottobre 1997 n. 262)

E’ stata ravvisata, viceversa, la colpa grave:

- nel comportamento del medico anestesista che, nel corso di un intervento di appendicectomia, utilizzava sul paziente la maschera facciale in luogo dell’intubazione e non constatava tempestivamente l’arresto cardiocircolatorio e, pertanto, non provvedendo ad attuare repentinamente le manovre rianimatorie, provocava danni gravi e irreversibili al cervello dello stesso (Sez. Reg. Lazio, 28 febbraio 2001 n. 986);

- per il danno derivante dalle lesioni gravissime subite da un neonato ascrivibile ai medici addetti al parto che, al momento del ricovero della gestante non effettuarono alcuna anamnesi ostetrica relativa al precedente parto della paziente – per il quale si erano presentate condizioni assolutamente peculiari (incapacità della partoriente di provvedere all’espulsione del feto) - e non attuarono nessun intervento nel momento in cui constatarono che il liquido amniotico era fortemente tinto di meconio (Sez. Reg. Lazio, 27 febbraio 2001 n. 983);

- dei medici ginecologi che, in presenza di dati clinici ed anamnestici a disposizione che consigliavano di ricorrere al taglio cesareo, hanno proceduto al parto per via vaginale, a seguito del quale si sono verificate lesioni traumatiche a carico del neonato, e dell’ostetrica che, pur non competendole le scelte di stretta competenza medica, quale quella di eseguire o meno l’intervento cesareo, si ingerisce nella effettuazione di una prestazione sanitaria per la quale è espressamente previsto l’obbligo di richiedere l’intervento del medico (Sez. Reg. Toscana, 27 settembre 2002 n. 676)

- per omessa diagnosi e tempestiva terapia da parte degli assistenti di reparto di pediatria di una " meningite purulenta ", malattia che non era stata rilevata nonostante ben due ricoveri e la presenza di una sintomatologia precisa ed allarmante del neonato affidato alle loro cure, con conseguente decesso del medesimo (Sez. Reg. Sicilia, 5 gennaio 1999 n.4);

- per il decesso di ricoverato d’urgenza a causa dell’assenza del medico di guardia presso l’unità di pronto soccorso di un ospedale (Sez. III centr., 2 luglio 2001 n.174/A);

- nella ipotesi di esecuzione di prestazioni sanitarie con mezzi strumentali inadeguati, i quali costituiscono condizione di pericolo nella loro concreta utilizzazione (Sez. Reg. Sicilia, 11 marzo 2004n. 709)

- dei componenti di una Commissione sanitaria per gli invalidi civili che hanno certificato ingiustificabilmente l’esistenza di un grado di invalidità significativamente inferiore a quella realmente esistente secondo una corretta valutazione medico-legale (Sez. Reg. Basilicata, 6 maggio 1999 n. 119) e formulato una diagnosi di epilessia in carenza di qualsiasi documentazione clinica (Sez. Reg. Sicilia 23 febbraio 1999 n. 64)

- Il problema della responsabilità del primario, in relazione alla posizione apicale rivestita e alla ripartizione dei ruoli tra i medici operanti in una struttura sanitaria pubblica, è stato affrontato dalla giurisprudenza contabile, che lo ha risolto in diverso modo.

Così, da una parte si è affermato che deve aversi riguardo " non già alla posizione di primario della divisione medica competente, bensì a quella dei sanitari concretamente e primariamente coinvolti nelle scelte terapeutiche " (Sez. Reg. Piemonte 10 novembre 1999 n.1757) e, dall’altra, che " nella struttura gerarchizzata di una divisione ospedaliera, la responsabilità sia complessiva, che individuale sulle situazioni dei pazienti ricade, necessariamente, sul Primario preposto alla medesima (D.P.R. 716 del 20.12.1979 art. 63) giacchè costui svolge giornalmente attività di visita nel reparto dove sono ospitati i pazienti " (Sez. III centr. 6 novembre 2000 n.306).

Si è, inoltre, affermato che il primario è responsabile " sia per il proprio ruolo, di prioritario rilevo nell’ambito degli apporti personali nello svolgimento dell’atto medico, sia poiché un intervento che si svolga sotto la direzione e sorveglianza del primario ha come correlato necessario, sul piano della responsabilità – salvola prova contraria – la personale e immediata imputabilità al medesimo dei danni prodotti al paziente quando l’intervento sia stato effettuato dall’equipe operatoria con grave imperizia, senza l’osservanza delle norme tecniche e deontologiche che sono poste a garanzia e tutela dell’incolumità psico-fisica del paziente operato " (Se. Reg. Emilia Romagna, 27 ottobre 2003 n. 2210)

Il problema si pone perché ai sensi dell’art. 7 D.P.R. 27 marzo 1969 n. 128 il primario ospedaliero è normalmente responsabile del comportamento della sua equipe, in relazione al dovere di vigilanza posto a suo carico, per cui lo stesso è responsabile sia del mancato intervento, sia dell’operato dei medici sottoposti alla sua vigilanza (cfr. Trib. Firenze, 25 maggio 1981).

Il quadro normativo relativo alla responsabilità del primario è da integrarsi con la norma di cui all’art. 63 del D.P.R. 20 dicembre 1979 n. 761, il quale specifica che al primario competono " funzioni di indirizzo e di verifica sulle prestazioni di diagnosi e cura ", nonché il potere-dovere di impartire istruzioni e direttive ed esercitare la verifica inerente alla loro attuazione.

La Corte di Cassazione ha affermato, di recente, il seguente principio di diritto:

"Il primario ospedaliero ha un obbligo di vigilanza, diretta ed indiretta, esteso a tutte le fasi in cui si articola la prestazione sanitaria, ivi compresa quella postoperatoria"

(Cass., 11 marzo 2002, n.3492)

- Di particolare interesse, poi, la affermazione giurisprudenziale sulla responsabilità del primario per mancata utilizzazione di apparecchi diagnostici:

"Il primario ospedaliero che, anche se costrettovi da oggettivi ostacoli, lasci inutilizzata per lungo tempo una costosa apparecchiatura diagnostica senza darne avviso agli amministratori, viene meno – con colpa grave – ad elementari doveri di servizio, cagionando altresì danni all’amministrazione, dei quali non può non rispondere"

(Sez. III centr., 7 giugno 2001 n. 138/A)

6. (Segue). Rapporti tra giudizio civile e giudizio di responsabilità amministrativa.

Indubbiamente nella valutazione del grado di colpa che il giudice contabile dovrà affrontare non possono non assumere la loro rilevanza le acquisizioni probatorie del processo civile o penale, essendo innegabile una loro influenza sul convincimento di fatto, anche se va ribadita in subjecta materia l’assoluta autonomia del giudizio di responsabilità amministrativa:

"Il giudizio di responsabilità civile innanzi all’a.g.o. e quello di responsabilità amministrativa innanzi al giudice contabile si muovono su piani diversi, sia perché sono finalizzati a regolare rapporti giuridici soggettivamente ed oggettivamente distinti, sia perché diversi sono i parametri normativi cui essi fanno riferimento"

(Sez. III centr., 30 marzo 2000 n. 124)

"Le sentenze del giudice civile di condanna della P.A. al risarcimento del danno non hanno alcuna efficacia vincolante nel giudizio di responsabilità amministrativa, ma ciò non esclude che il giudice contabile possa trarre dalle prove testimoniali e dalla documentazione acquisita, ivi incluse le consulenze tecniche, quegli elementi utili a formare il libero e autonomo convincimento dello stesso giudice contabile ai sensi dell’art. 116 c.p.c."

(Sez. Giur. Emilia Romagna, 6 luglio 1995 n. 104).

Al di là delle affermazioni di principio, tuttavia, è innegabile che ben difficilmente il giudice contabile andrà di contrario avviso rispetto alla valutazione già effettuata dal giudice civile, essendo influenzato dalle prove raccolte nel processo civile.

Eppure, una autonoma valutazione delle risultanze processuali, nel giudizio innanzi alla Corte dei conti, è resa necessaria dal fatto che mentre innanzi al giudice civile il medico risponderà secondo la regola della colpa lieve, sia pure temperata dalla speciale difficoltà della prestazione (Cattaneo), differente è il criterio normale di imputazione della responsabilità amministrativa è quello della colpa grave.

Una cosa è comunque certa: rimane inspiegabile perché ci si debba contentare di un minor grado di diligenza quando ci siano da affrontare problemi tecnici di particolare difficoltà, giacchè in questo si traduce la regola della colpa grave, quando il medico sia citato in giudizio dalla Procura Regionale della Corte dei conti e si esige una diligenza maggiore, ossia un più alto livello di prudenza, di attenzione e quindi di intensità proporzionale alla gravità del caso, quando il medico è citato in giudizio davanti al giudice civile, a titolo di colpa lieve, pur essendo lo stesso comportamento ad essere preso in considerazione in sede giudiziaria..

Il che, indubbiamente, pone dei seri dubbi di costituzionalità della norma di cui all’art. 1 comma 1° della L. 14 gennaio 1994 n. 20, per violazione del principio di uguaglianza.

 

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(*) Relazione alla Giornata di studi su "Profili di attualità nelle attribuzioni della Corte dei conti" - Palermo 11 dicembre 2004.


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