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Articoli e note

 

GUALTIERO PITTALIS
(Avvocato - Studio Roversi Monaco, Morello, Pittalis)

Regolazione pro-concorrenziale dei servizi pubblici locali:
un principio vincolante per Stato e Regioni

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SOMMARIO: 1. Premessa; 2. L’art. 117 Cost. ed il sistema comunitario della concorrenza; 3. Regolazione pro-concorrenziale delle attività economiche; 4. Concorrenza nel mercato e per il mercato; 5. I servizi di interesse economico generale; 6. La scelta competitiva del concessionario di servizio pubblico; 7. Il caso Teleaustria; 8. Applicazione restrittiva delle deroghe al principio concorrenziale; 9. I casi Lottomatica, Gemeente Arnhem, Mannesmann; 10. In house providing; 11. Conclusioni.

1. Premessa.

La materia dei servizi pubblici locali non è menzionata dal nuovo art. 117 Cost. (come risultante per effetto della legge costituzionale 18.10.2001 n. 3 di riforma del Titolo V) né quale oggetto di competenza legislativa esclusiva dello Stato né fra le materie di legislazione concorrente.

Stante il principio di cui al quarto comma dell’art. 117 Cost., secondo cui spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato, si pone il tema – tantopiù delicato in ragione dell’importanza giuridica ed economica del settore di cui trattasi – dei margini di autonomia legislativa regionale in materia di servizi pubblici locali.

Su questa come su altre questioni (è il caso, recentemente, della legge 1.8.2002 n. 166 contenente disposizioni sulle opere strategiche di preminente interesse nazionale, impugnata dalla Regione Toscana innanzi alla Corte Costituzionale) [1] è prevedibile che si eserciti la rivendicazione di autonomia normativa da parte delle Regioni, e ciò anche nei confronti dell’art. 35 della legge 23.12.2001 n. 448 che ha riformato in profondità la materia dei servizi pubblici locali (riscrivendo l’art. 113 del D. Lgs. n. 267 del 2000 sui servizi di rilevanza industriale ed inserendo il nuovo art. 113-bis sui servizi privi di detta rilevanza) [2], che risulta essere stato anch’esso sottoposto all’esame della Corte Costituzionale per asserita violazione di competenze regionali, e che è in attesa del regolamento di esecuzione e attuazione previsto dal comma sedicesimo.

Può essere quindi interessante verificare se l’autonomia normativa rivendicata dalle Regioni – una volta che fosse riconosciuta alla luce dell’art. 117 Cost. – potrebbe ritenersi libera ovvero condizionata nel suo contenuto.

2. L’art. 117 Cost. ed il sistema comunitario della concorrenza.

Il tema non è agevole, ma riterrei che debba essere affrontato alla luce quantomeno di due riferimenti essenziali: (i) la presenza nell’elenco riservato dall’art. 117 Cost., secondo comma, alla competenza legislativa esclusiva dello Stato di materie tipicamente “orizzontali”, suscettibili cioè di rilevare non solo in sé ma anche nell’ambito di altri più specifici settori, e fra queste – in particolare per quanto qui interessa – la “tutela della concorrenza” (lett. e) ed i “rapporti dello Stato con l’Unione europea” (lett. a); (ii) l’esistenza di un nutrito sistema di norme e principi di livello comunitario da applicarsi alla materia dei servizi pubblici.

Sotto il primo aspetto, non può sfuggire l’importanza dell’inserimento diretto della “concorrenza” fra i valori costituzionali, e la rilevanza di ciò nella materia di cui trattasi la quale vede – nel suo insieme “forte” (i servizi pubblici c.d. a rilevanza industriale) – il dispiegarsi di attività economiche e d’impresa.

Inoltre, e ciò rileva sul piano dei rapporti fra Stato ed Unione europea, deve considerarsi il profilo della cogenza diretta nell’ordinamento interno delle norme comunitarie (Trattato, regolamenti, direttive autoesecutive) e dei principi affermati dalla Corte di Giustizia in sede di interpretazione di dette fonti (l’indirizzo, di cui alla nota sentenza della Corte di Giustizia del 1989, Fratelli Costanzo, è pacifico). [3]

Sotto il secondo aspetto, esistono (i) numerose norme del Trattato che attengono al campo delle attività economiche e quindi anche a quelle costituenti oggetto di servizio pubblico (come è il caso degli artt. 43 e 49 sul diritto di stabilimento e sulla libera prestazione dei servizi, e dell’art. 86 sulle imprese pubbliche, sulle imprese cui si riconoscono diritti speciali o esclusivi, e sulle imprese incaricate dalla gestione di servizi di interesse economico generale), nonchè (ii) direttive (in particolare la n. 92/50 sugli appalti pubblici di servizi) [4] applicabili analogicamente al settore dei servizi pubblici, come riconosciuto (v. infra) dalla Corte di Giustizia e dalla Commissione Europea.

3. Regolazione pro-concorrenziale delle attività economiche.

Quindi, per tornare all’argomento degli ambiti normativi regionali e delle loro condizioni, esistono parametri nazionali e comunitari da cui sembrerebbe non potersi comunque prescindere ed il cui denominatore comune appare essere proprio la necessaria intonazione concorrenziale della relativa disciplina a qualunque livello essa si produca.

Svariati elementi di giudizio depongono in tal senso.

L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (istituita, come noto, con legge 10.10.1990 n. 287) nel proprio atto di segnalazione in materia di regolazione delle attività economiche (AS 226 del 20.12.2001) [5] ha sottolineato la necessità di “impostare una sistematica revisione della regolazione in senso pro-concorrenziale” e di proporre “criteri di riforma coerenti con i principi concorrenziali”, e ciò proprio sulla base della riforma costituzionale del Titolo V di cui alla legge n. 3 del 2001 a proposito della quale si sottolinea “come la concorrenza e la sua tutela trovino ormai diretta esplicitazione nella Carta costituzionale”.

Non solo. Viene esplicitamente affrontato dalla stessa Autorità anche l’aspetto della vincolatività di tali principi nei confronti delle discipline regionali e locali, e pur anche nel quadro del rafforzamento di tali livelli normativi operato dal nuovo Titolo V: “Il testo novellato dell’articolo 117 della Costituzione, nell’affidare maggiori poteri regolatori alle autonomie regionali e locali, attribuisce alla competenza legislativa esclusiva dello Stato la materia della «tutela della concorrenza» e prevede che le leggi, statali e regionali, debbano comunque rispettare i vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario, tra i quali vanno certamente incluse le regole della concorrenza. In questo contesto, assume particolare rilievo l’esigenza di garantire che i processi di revisione in senso pro-concorrenziale si estendano anche alla regolazione di livello regionale e locale”; “In ogni caso, va sottolineato che le leggi e i regolamenti regionali, nonché gli atti amministrativi degli enti locali, adottati per la disciplina di vari settori economici, saranno tenuti al rispetto della concorrenza, che costituisce principio generale dell’ordinamento”.

Sempre l’Autorità indica anche i capisaldi della regolazione pro-concorrenziale dei servizi pubblici (liberalizzazione, privatizzazione, separazione verticale ed orizzontale delle attività, abolizione delle restrizioni alle condizioni di entrata nel mercato).

Né trattasi di richiami estranei al tessuto dell’ordinamento, come è anche dimostrato dalla legge 14.11.1995 n. 481 istitutiva delle Autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità, il cui art. 1 proclama in esordio la finalità di “garantire la promozione della concorrenza e dell’efficienza nel settore dei servizi di pubblica utilità”.

La tutela della concorrenza sembra così assumere il significato di valore fondante della disciplina delle attività economiche, a qualunque livello questa si esplichi, e quindi anche dei servizi pubblici di carattere imprenditoriale, da riguardarsi – alla luce del sistema comunitario di riferimento (v. infra) – nella loro oggettiva natura di attività economica, seppure suscettibile di essere eventualmente regolata anche ai fini del migliore conseguimento di risultati di interesse generale (ma con la minore deviazione possibile, in tali casi, delle regole tipiche delle attività economiche).

4. Concorrenza nel mercato e per il mercato.

In senso marcatamente concorrenziale è orientato il versante comunitario, e non solo con riferimento alle modalità di affidamento del servizio; al punto che sembra oramai individuabile un vero e proprio sistema di norme e principi da osservarsi nella disciplina interna e specificamente rilevante nel campo dei servizi pubblici.

Un primissimo criterio comunitario si presenta con carattere di pregiudizialità rispetto al tema della scelta competitiva dell’affidatario intesa – come è nel nostro attuale sistema – nel senso dell’ammissione costitutiva dell’impresa, da parte del soggetto pubblico, all’erogazione del servizio.

Ed infatti, la logica comunitaria richiederebbe di privilegiare la concorrenza “nel” mercato (libertà di azione di più operatori in concorrenza fra loro nel settore economico considerato) piuttosto che la concorrenza “per” il mercato (procedure selettive di scelta dell’affidatario del servizio).

Il servizio pubblico viene infatti riguardato quale espressione di attività essenzialmente economica, come tale soggetto allo statuto comunitario della concorrenza ed ai principi di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi (artt. 43 e 49 del Trattato), con l’obbligo di contenere quanto più possibile (in applicazione dei principi di proporzionalità e dell’effetto distorsivo minimo) le eventuali deroghe al principio di concorrenza che siano richieste per consentire alle imprese incaricate della gestione di servizi d’interesse economico generale l’adempimento della specifica missione loro affidata (art. 86, comma 2, del Trattato). [6]

L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, in un proprio atto di segnalazione sulla disciplina dei servizi pubblici locali (AS 222 del 9.11.2001) [7], precedente all’art. 35 della legge n. 448 del 2001, ha ben scolpito tale profilo: “L’affidamento mediante gara – cioè la concorrenza per il mercato -, come più volte ribadito da questa Autorità, costituisce un valido strumento di individuazione dei gestori del servizio e di apertura alla concorrenza solo nei settori in cui specifiche caratteristiche oggettive dell’attività, tecniche ed economiche, impongono e giustificano una limitazione del numero dei soggetti ammessi ad operare. Viceversa, nei casi in cui tali limitazioni non siano giustificate, i servizi dovrebbero essere svolti in regime di concorrenza nel mercato tra tutti gli operatori. D’altra parte, secondo l’impostazione dell’art. 86.2 del Trattato CE, la concorrenza tra tutti i possibili operatori (cosiddetta concorrenza nel mercato) costituisce la regola e i regimi che prevedono diritti speciali ed esclusivi in capo ad un numero ristretto di operatori o ad un’unica impresa rappresentano l’eccezione”.

In altre parole, la logica comunitaria richiederebbe di prevedere la libertà di iniziativa economica nelle attività imprenditoriali di servizio pubblico (eventualmente previo accertamento di particolari requisiti di idoneità dell’operatore, e con la possibilità di imporre determinati obblighi di servizio per garantire, nell’ambito dell’attività economica, obiettivi di interesse generale) piuttosto che la concessione del servizio (da limitarsi ai casi eccezionali di inidoneità del mercato a consentire il perseguimento di fini di interesse generale all’interno di una logica economica), a riprova ulteriore di come il valore della concorrenza (nella sua accezione più piena, di concorrenza “nel” mercato) permei l’ordinamento comunitario e di quali dovrebbero essere gli esiti naturali di tale premessa anche sul piano interno e tantopiù ove al novellato art. 117 Cost. si riconosca il significato di recepimento della concorrenza fra i parametri conformativi dell’ordinamento giuridico delle attività economiche. [8]

Il citato atto dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato AS 226 del 20.12.2001 sulla regolazione delle attività economiche conferma l’assunto, laddove in materia di restrizioni alle condizioni di entrata nel mercato rileva che “il ricorso alle concessioni dovrebbe essere limitato alle sole ipotesi in cui le attività di impresa o i beni su cui queste si svolgono sono riservati ai pubblici poteri ai fini di interesse generale”, e che “In linea di principio, l’Autorità condivide l’eliminazione delle concessioni non conformi al diritto comunitario e la limitazione delle autorizzazioni ai soli casi in cui vi sia una giustificazione consistente nel perseguimento di esigenze di primario interesse pubblico”.

Peraltro, sia la tradizione giuridica (in gran parte maturata, negli ordinamenti di diritto amministrativo, proprio intorno al concetto di servizio pubblico nell’accezione non strettamente economica, e di cui costituisce riflesso il nostro art. 43 Cost.), sia la speciale considerazione degli aspetti riconducibili ad interessi generali e sociali cui presiede il soggetto pubblico (quali l’universalità, l’abbordabilità, la qualità del servizio) fanno sì che il nostro ordinamento riservi tuttora (come emerge anche dall’art. 35 della legge n. 448 del 2001) ruolo centrale all’affidamento del servizio da parte dell’ente pubblico, sulla base di un titolo eminentemente concessorio (anche se non si è mancato di osservare che “la dottrina più recente ha rilevato, in senso critico, che nell’evoluzione concreta della disciplina dei servizi pubblici, il modulo concessorio è frequentemente sostituito da altri titoli, anche convenzionali, di affidamento del servizio”: Cons. Stato, Sez. V, 30.4.2002 n. 2294), e che quindi rilevi piuttosto il profilo della concorrenza “per” il mercato, vale a dire le norme e le procedure preposte alla scelta dell’operatore cui affidare l’erogazione del servizio.

5. I servizi di interesse economico generale.

Sul punto, la differente impostazione di principio dell’ordinamento comunitario risulta piuttosto marcata.

Si consideri, al riguardo, la recente direttiva 2002/22/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 7.3.2002 (direttiva servizio universale) [9] specificamente dedicata al servizio universale e ai diritti degli utenti in materia di reti e di servizi di comunicazione elettronica ma espressiva di principi propri, più in generale, del servizio universale tout court (definito nel 4° considerando come “la fornitura di un insieme minimo definito di servizi a tutti gli utenti finali a prezzo abbordabile”).

Ebbene, anche in tale quadro (quello più vicino alla sfera dell’interesse generale e sociale afferente il servizio pubblico, che nel lessico comunitario sostanzia il “servizio di interesse economico generale”, artt. 16 e 86, comma 2, del Trattato), la direttiva 2002/22/CE, pur riconoscendo ad ogni Stato membro il “diritto di definire il tipo di obblighi di servizio universale che desidera mantenere”, i quali “non vanno di per sé considerati anticoncorrenziali” (3° considerando), precisa che ciò vale a condizione che detti obblighi “siano gestiti in modo trasparente e non discriminatorio, che risultino neutrali in termini di concorrenza e non siano più gravosi del necessario per il tipo di servizio universale definito dallo Stato membro in questione”(3° considerando), e che l’attuazione del servizio universale deve avvenire “nel rispetto dei principi di obiettività, trasparenza, non discriminazione e proporzionalità”, limitando le distorsioni del mercato e tutelando nel contempo l’interesse pubblico (art. 1, comma 2).

Lo stesso concetto di “proporzionalità” e “minima distorsione del mercato” viene stabilito per i meccanismi di finanziamento del costo netto derivante dagli obblighi di servizio universale (18° e 23° considerando).

Risulta chiara, in conclusione, la preoccupazione dell’ordinamento comunitario di garantire – anche nell’ambito dell’accezione socialmente più accentuata del servizio pubblico (che lo stesso Trattato peraltro riconosce all’art. 16, laddove parla dell'importanza dei servizi di interesse economico generale e del loro ruolo nella promozione della coesione sociale e territoriale) – il rispetto dei parametri della concorrenza (“nel” mercato) tipici dell’attività economica, limitando le deroghe al minimo indispensabile a consentire il raggiungimento degli obiettivi extra-economici che siano connessi al servizio di cui trattasi.

6. La scelta competitiva del concessionario di servizio pubblico.

L’ordinamento interno prevede l’affidamento in concessione in via pressoché generalizzata per i servizi a rilevanza imprenditoriale (cfr. art. 35 della legge n. 448 del 2001 laddove al comma 1 riformula in tal senso l’art. 113, comma 5, del D. Lgs. n. 267 del 2000 recante il testo unico dell’ordinamento degli enti locali) e stabilisce la necessaria competitività delle procedure di scelta dell’affidatario del servizio.

Per la verità, l’art. 113, comma 5, del D. Lgs. n. 267 del 2000 come novellato dall’art. 35 della legge n. 448 del 2001 parla di “conferimento della titolarità del servizio” a società di capitali, espressione che non contempla testualmente la concessione e che inoltre introduce il concetto di trasferimento “della titolarità” del servizio e non semplicemente della sua erogazione.

Tuttavia, fermo restando quanto è stato autorevolmente osservato (Cons. Stato, Sez. V, n. 2294/02, cit.) circa l’affermarsi di titoli anche convenzionali di affidamento del servizio diversi da quello concessorio, non sembrano sussistere – allo stato – sicuri elementi di giudizio nel senso che l’art. 35 abbia inteso abbandonare lo schema tradizionale dell’affidamento sostanzialmente concessorio (comunque, il punto merita di essere tenuto presente, e seguito in tutte le sue potenzialità evolutive).

Inoltre, la prima parte del riformulato comma 5 dell’art. 113 del D. Lgs. n. 267 del 2000 afferma che l’erogazione del servizio è “da svolgere in regime di concorrenza”, espressione che riafferma anch’essa la centralità del principio concorrenziale (di cui si è detto) ma che, collocata nel quadro dell’affidamento in concessone, fa sì che il baricentro dispositivo sia costituito dall’obbligo di individuare il gestore (erogatore) “attraverso l’espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica”.

In definitiva, l’accento risulta pur sempre posto sulla necessaria competitività delle procedure di accesso al mercato, e quindi (secondo la terminologia che si è adottata) sulla concorrenza “per” il mercato.

Trattasi, peraltro, di un aspetto assolutamente fondamentale anche per l’ordinamento comunitario. La Commissione Europea, nella propria Comunicazione del 2000 sulle concessioni nel diritto comunitario [10], ha chiarito che è vero che “le concessioni non vengono definite nel trattato Ce”, ma che “Ciò non significa, comunque, che le concessioni sfuggano alle norme e ai principi del trattato. Infatti, nella misura in cui si configurano come atti dello Stato aventi per oggetto prestazioni di attività economiche o forniture di beni, le concessioni sono soggette alle norme conferenti del trattato Ce e ai principi sanciti in materia della giurisprudenza della Corte”.

E’ interessante notare come la Commissione, nell’atto del 2000 appena richiamato, ritenga di individuare un corpus di norme e principi (tutti di impronta concorrenziale) applicabili alle concessioni sulla base del presupposto che oggetto di queste siano – come nel caso dei servizi pubblici a rilevanza imprenditoriale sono – attività economiche: “le concessioni, come del resto ogni atto dello Stato che stabilisca le condizioni cui è soggetta una prestazione di attività economiche, ricadono nel campo di applicazione delle disposizioni degli articoli da 28 a 30 (ex articoli da 30 a 36) e da 43 a 55 (ex articoli da 52 a 66) del trattato Ce o dei principi sanciti dalla giurisprudenza della Corte. Si tratta in particolare dei principi di non discriminazione, di parità di trattamento, trasparenza, mutuo riconoscimento e proporzionalità”.

Sempre la Commissione Europea, nella nota interlocutoria n. 1999/2184 – C(2002)2329 del 26.6.2002 indirizzata ai sensi dell’art. 226 del Trattato [11] al Governo italiano sull’art. 35 della legge n. 448 del 2001, dopo avere sottolineato le caratteristiche giuridiche della concessione di servizio pubblico individuandole essenzialmente nel diritto di gestione e sfruttamento economico accordato al concessionario e nel rischio di gestione sopportato da questi (“in un contratto di concessione la controprestazione dell’attività svolta consiste nell’ottenimento, da parte del concessionario, del diritto di svolgere tale attività, ovvero in detto diritto accompagnato da un prezzo. In tale prospettiva il rischio della gestione del servizio viene sopportato dal concessionario e non dall’amministrazione concedente”: par. 15), ha ribadito che “il diritto comunitario impone alle amministrazioni che aggiudicano un contratto di appalto pubblico di servizi o di concessione di servizi di rispettare comunque il principio della pubblicità e della messa in concorrenza di tali contratti”.

Il tema della concorrenza investe quindi inderogabilmente la scelta del concessionario, nella prospettiva – di cui si è detto – della concorrenza “per” il mercato: “Il trattato Ce non limita la facoltà degli Stati membri di ricorrere a delle concessioni, purchè le modalità della scelta siano compatibili con il diritto comunitario” (Commissione Europea, Comunicazione del 2000, cit.).

Il Consiglio di Stato ha recepito integralmente tale indirizzo, affermando che “in tema di affidamento, mediante concessione, di servizi pubblici di rilevanza comunitaria, il rispetto dei principi fondamentali dell’ordinamento comunitario (ritraibili principalmente dagli artt. 43 e 49 del Trattato C.E.), nonché dei principi generali che governano la materia dei contratti pubblici (enucleabili dalle direttive in materia di appalti di lavori, servizi, forniture e settori esclusi), impone all’amministrazione procedente di operare con modalità che preservino la pubblicità degli affidamenti e la non discriminazione delle imprese, mercè l’utilizzo di procedure competitive selettive” (sentenza Sez. IV, 17.1.2002, n. 253).

La Commissione Europea, a conferma dal carattere fondamentale del principio enunciato, si preoccupa di sottolinearne la doverosa applicazione al settore dei servizi pubblici anche negando rilevanza a pretesi profili fiduciari del rapporto concessorio: "Alcuni Stati membri talvolta hanno ritenuto che l’attribuzione di una concessione non fosse soggetta alle disposizioni del trattato, consistendo questa nella delega di un servizio al pubblico che poteva essere attribuita soltanto sulla base di una fiducia reciproca (intuitu personae). Discende dal trattato e da una giurisprudenza costante della Corte che le sole giustificazioni in base alle quali atti dello Stato, adottati in violazione degli articoli 43 e 49 (ex articoli 52 e 59) del trattato Ce, sfuggono al divieto previsto da detti articoli, sono quelle contemplate dagli articoli 45 e 55 (ex articoli 55 e 66), le cui condizioni d’applicazione, precisate dalla Corte e peraltro molto restrittive, sono esplicitate qui appresso. Nulla nel trattato o nella giurisprudenza della Corte permette di prospettare una situazione diversa per le concessioni” (Comunicazione del 2000, cit.).

Le norme concernenti l’affidamento competitivo degli appalti di servizi (essenzialmente la direttiva n. 92/50 ed il D. Lgs. n. 157 del 1995 e successive modificazioni) vengono quindi assunte, unitamente al Trattato ed agli altri principi che sono stati indicati, quale parametro di riferimento per la scelta doverosamente concorrenziale del concessionario di servizio pubblico, nonostante la diversa natura giuridica dei due istituti (v. Cons. Stato, Sez. V, n. 2294/02, cit.: “L’appalto di servizi concerne prestazioni rese in favore dell’amministrazione, mentre la concessione di servizi riguarda sempre un articolato rapporto trilaterale, che interessa l’amministrazione, il concessionario e gli utenti del servizio.

Ciò comporta, di regola, ulteriori conseguenze sull’individuazione dei soggetti tenuti a pagare il corrispettivo dell’attività svolta. Normalmente, nella concessione di pubblici servizi il costo del servizio grava sugli utenti, mentre nell’appalto di servizi spetta all’amministrazione l’onere di compensare l’attività svolta dal privato”).

7. Il caso Teleaustria.

La Corte di Giustizia (sentenza Sez. VI, 7.12.2000, causa C-324/98, Teleaustria) [12] ha offerto una sistematica ricostruzione della necessità di applicare criteri competitivi e concorrenziali nella scelta del concessionario, osservando che:

(i) né la direttiva n. 92/50 (appalti pubblici di servizi) né la direttiva n. 93/38 (appalti degli enti erogatori di acqua e di energia, degli enti che forniscono servizi di trasporto nonché degli enti che operano nel settore delle telecomunicazioni) hanno ad oggetto anche le concessioni di servizio pubblico (il cui tratto distintivo viene individuato nel fatto che il corrispettivo consiste nel diritto di sfruttamento economico della gestione), nonostante che la Commissione avesse avanzato due formali proposte in tal senso;

(ii) ciò nondimeno, gli enti aggiudicatori di concessioni di servizio pubblico sono “tenuti a rispettare i principi fondamentali del Trattato, in generale, e il principio di non discriminazione in base alla nazionalità in particolare”;

(iii) tale principio implica un obbligo di trasparenza, un adeguato livello di pubblicità, l’apertura alla concorrenza, l’imparzialità delle procedure di aggiudicazione.

E’ significativo rilevare che i principi espressi dalla Corte di Giustizia e della Commissione sono stati recepiti dal Governo italiano con circolare dal Ministro per le Politiche Comunitarie 1.3.2002 n. 3944 [13], dedicata alle procedure di affidamento delle concessioni di servizi e di lavori, la quale ha posto in evidenza la necessità di procedure pubbliche e competitive per la scelta del concessionario di servizio pubblico e l’obbligo di osservanza dei principi di parità di trattamento, non discriminazione (in particolare in base alla nazionalità), trasparenza, proporzionalità, mutuo riconoscimento.

8. Applicazione restrittiva delle deroghe al principio concorrenziale.

Ancora la Commissione, nella citata Comunicazione del 2000, e richiamando la posizione della Corte di Giustizia, ha raccomandato un’interpretazione restrittiva del combinato disposto degli artt. 45 e 55 del Trattato, i quali in materia di diritto di stabilimento e di libera prestazione dei servizi consentono di escludere dall’applicazione dei relativi principi generali concorrenziali “le attività che nello Stato membro partecipino, sia pure occasionalmente, all’esercizio dei pubblici poteri”. Si richiede un’interpretazione del combinato disposto degli artt. 45 e 55 del Trattato “che limiti la sua portata a quanto è strettamente necessario per tutelare gli interessi che la stessa norma permette agli Stati membri di proteggere”, con la conseguenza che la deroga ai principi concorsuali “deve essere limitata ai casi in cui il concessionario partecipi direttamente e specificamente all’esercizio dei pubblici poteri” (si richiama la sentenza della Corte di Giustizia 21.6.1974, causa 2/74, Reyners).

Viene così fissato un principio fondamentale nella materia dei servizi pubblici, nel senso della negazione dell’automatico parallelismo fra concessione di servizio pubblico e partecipazione del concessionario all’esercizio di pubblici poteri: “E’ vero che ogni attività delegata dai pubblici poteri ha, in linea di principio, una connotazione di pubblica utilità, ma ciò non significa che questa attività partecipi necessariamente all’esercizio dei pubblici poteri” (Commissione Europea, Comunicazione del 2000, cit.), e che ad essa possa pertanto comunque applicarsi la deroga (ai principi concorrenziali e di mercato) di cui agli artt. 45 e 55 del Trattato.

Inoltre, ove detta deroga possa applicarsi, ciò dovrà comunque avvenire nel rispetto del principio di proporzionalità, il quale implica che “nella scelta delle misure destinate a garantire la realizzazione dell’obiettivo perseguito, lo Stato membro deve privilegiare quelle che comportano i minori ostacoli per l’esercizio di tali libertà” (quelle di stabilimento e di prestazione dei servizi che – come detto – rilevano nel settore dei servizi pubblici).

9. I casi Lottomatica, Gemeente Arnhem, Mannesmann.

E’ importante considerare che, sempre sul tema delle possibili eccezioni al principio concorrenziale, fra le regole comunitarie vi è quella espressa dalla Corte di Giustizia (cfr. sentenza 26.4.1994, causa C-272/92 Lottomatica) [14], secondo cui quando l’attività dell’imprenditore ha ad oggetto prestazioni tecnico-economiche e non l’esercizio di poteri pubblici sono comunque da applicarsi i criteri concorsuali per la scelta dell’operatore.

Viene così ribadita la rigorosa delimitazione delle facoltà di deroga, come risulta ulteriormente confermato dalla stessa Corte.

Con riferimento all’art. 6 della direttiva n. 92/50 (la quale è indicata dalle istituzioni comunitarie tra le fonti applicabili per analogia alla scelta del concessionario di servizio pubblico), per esempio, che autorizza la non applicazione di detta direttiva (e quindi della procedure concorsuali di scelta dell’affidatario ivi previste) nei casi di aggiudicazione “ad un ente che sia esso stesso un’amministrazione aggiudicatrice ai sensi dell’art. 1, lettera b), in base ad un diritto esclusivo di cui beneficia in virtù delle disposizioni legislative, regolamentari od amministrative” (ipotesi che potrebbe volersi applicare al concessionario di servizio pubblico inteso quale titolare di diritti speciali), la Corte di Giustizia si è preoccupata di ricordare che “l’applicazione dell’art. 6 della direttiva 92/50 è subordinata alla condizione che le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative sulle quali si fonda il diritto esclusivo di cui gode l’organismo siano compatibili con il Trattato” (sentenza 10.11.1998, causa C-360/96, Gemeente Arnhem). [15]

Il principio rinvia al criterio di individuazione dell’”organismo di diritto pubblico” (quello contemplato dall’art. 1, lett. b, della direttiva n. 92/50 cui si riferisce il successivo art. 6), che secondo la stessa Corte di Giustizia (formalmente espressasi sull’art. 1, comma b, della direttiva n. 93/37 identico all’art. 1, comma b, della direttiva n. 92/50) “è un organismo istituito per soddisfare specificatamente bisogni di interesse generale aventi carattere non industriale o commerciale dotato di personalità giuridica e dipendente strettamente dallo Stato, da enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico" (sentenza Corte plenaria, 15.1.1998, causa 44/96, Mannesmann). [16]

E’ interessante notare che secondo la Corte le tre indicate condizioni di individuazione dell’organismo di diritto pubblico “hanno carattere cumulativo”, e che “non è quindi sufficiente che un’impresa sia stata istituita da un’amministrazione aggiudicatrice o che le sue attività siano finanziate con mezzi finanziari derivanti dalle attività esercitate da un’amministrazione aggiudicatrice perché essa stessa venga considerata un’amministrazione aggiudicatrice. Occorre inoltre che essa soddisfi la condizione di cui all’art. 1, punto b), primo trattino, della Direttiva 93/37, secondo cui deve trattarsi di un organismo istituito per soddisfare specificatamente bisogni di interesse generale aventi carattere non industriale o commerciale” (cfr. parr. 19 e 37 della sentenza Mannesmann).

10. In house providing

Alla luce di tali univoci criteri deve essere considerato con logica restrittiva e rigorosa anche il fenomeno del c.d. “in house providing”, vale a dire l’affidamento diretto di appalti e concessioni da un’amministrazione aggiudicatrice ad organismi aventi legami con essa.

Il caso è stato esaminato dalla Corte di Giustizia (sentenza Sez. V, 18.11.1999, causa C-107/98, Teckal [17]; sentenza Sez. VI, 7.12.2000, causa C-94/99, ARGE Gewässerschutz [18]), la quale ha escluso l’applicazione delle norme sull’individuazione concorrenziale del concessionario nel (solo) caso in cui “l’ente locale eserciti sulla persona di cui trattasi un controllo analogo a quello da esso esercitato sui propri servizi e questa persona realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente o con gli enti locali che la controllano” (sentenza Teckal, cit.).

Ben difficilmente potrebbero riscontrarsi tali presupposti nei confronti di società per azioni che gestiscano servizi pubblici locali (non si dimentichi che la società di capitali è la forma normale di gestione del servizio, come fatto palese dall’art. 35, comma 8, della legge n. 448 del 2001 che impone la trasformazione delle aziende e dei consorzi), e ciò soprattutto per quanto riguarda il controllo dell’ente locale.

Come ricordato anche dalla circolare del Ministro dell’Ambiente 17.10.2001 n. GAB/2001/11559/B01 [19] riguardante il servizio idrico integrato “l’eventuale controllo può avvenire solo secondo modalità previste dal diritto societario e non certo secondo rapporti gerarchici o strumentali di carattere pubblicistico”.

D’altra parte, la società di capitali si distingue dall’azienda speciale e dal consorzio (si tenga presente che la sentenza Teckal ha riguardato un’azienda consorziale fra Comuni) proprio per l’estraneità rispetto all’apparato amministrativo dell’ente locale, di cui non è soggetto od organismo strumentale (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 3.9.2001 n. 4586). [20]

Non potrebbero quindi ritenersi sussistenti, sulla base della fattispecie del “in house providing”, gli estremi per la diffusa legittimazione di affidamenti diretti e non concorrenziali di concessioni di servizio pubblico. [21]

11. Conclusioni.

Per concludere, il quadro che emerge dai riferimenti comunitari e nazionali che si sono riassuntivamente considerati costituisce un “sistema” destinato a conformare l’ordinamento giuridico interno dei servizi pubblici locali condizionando il contenuto della relativa disciplina a qualunque livello essa si produca.

Il che non potrà essere privo di conseguenze sostanziali anche sul piano della protestà normativa regionale, a prescindere dalla distribuzione delle competenze desumibile dall’art. 117 Cost. nelle sue possibili letture.

 

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[1] In G.U. 13.11.2002 n. 45 – 1° Serie Speciale.

[2] Per un commento analitico della disposizione, v. M. ALESIO, I servizi pubblici locali: peso della tradizione e nuovo assetto delineato dalla Finanziaria 2002, in questa Rivista.

[3] Corte Giustizia CE, 22.6.1989, causa 103/88, Fratelli Costanzo, in Riv. it. dir. pubbl. comunitario, 1990, 423 ss.

[4] La direttiva n. 92/50 è stata recepita nell’ordinamento interno con D. Lgs. 17.3.1995 n. 157, modificato con D. Lgs. 25.2.2000 n. 65.

[5] In Bollettino dell’Autorità n. 1-2/2002.

[6] Per un’approfondita disamina dei servizi pubblici nel quadro dell’ordinamento comunitario, cfr. A. PERICU, Impresa e obblighi di servizio pubblico – L’impresa di gestione di servizi pubblici locali, Milano, 2001, 271 e ss. con ampi richiami. Sul tema, cfr. AA.VV., Servizi essenziali e diritto comunitario, a cura di L. G. RADICATI DI BROZOLO, Torino, 2001, pagg. 7-60.

[7] In Bollettino dell’Autorità n. 43/2001.

[8] Cfr. F. TRIMARCHI BANFI, Considerazioni sui <<nuovi>> servizi pubblici, in Riv. it. dir. pubbl. comunitario, 2002, 945, la quale così efficacemente riassume il fenomeno: “Le trasformazioni che sono intervenute nell’ordinamento dei servizi pubblici di rilevanza comunitaria vengono solitamente rappresentate come il passaggio da un sistema basato sull’art. 43 della Costituzione – e quindi sulla riserva pubblica di attività – ad una disciplina fondata sull’art. 41 Cost., realizzatrice del principio di libertà di iniziativa economica.

[9] In G.U. 17.6.2002 n. 46 – 2a Serie speciale.

[10] In G.U. Comunità Europea, serie C/121 del 29.4.2000.

[11] L’art. 226 del Trattato recita: “La Commissione, quando reputi che uno Stato membro abbia mancato a uno degli obblighi a lui incombenti in virtù del presente trattato, emette un parere motivato al riguardo, dopo aver posto lo Stato in condizioni di presentare le sue osservazioni. // Qualora lo Stato in causa non si conformi a tale parere nel termine fissato dalla Commissione, questa può adire la Corte di giustizia”.

[12] In Racc. 2000, I-10745.

[13] In G.U. 3.5.2002 n. 102 – Serie Generale.

[14] In Foro amm., 1995, 1.

[15] In Racc. 1998, I-06821.

[16] In Foro amm., 1998, 2291.

[17] In Racc. 1999, I-08121.

[18] In Racc. 2000, I-11037.

[19] In G.U. 1.12.2001 n. 280 – Serie generale.

[20] In Foro amm., 2001, 2352 e ss. Il Consiglio di Stato sottolinea che “l’azienda speciale è comunque soggetto istituzionalmente dipendente dall’Ente locale ed è con esso legata da stretti vincoli (sul piano della formazione degli organi, degli indirizzi, dei controlli e della vigilanza), al punto da farla ritenere elemento del sistema amministrativo facente capo allo stesso Ente territoriale, ovvero, pur con l’accentuata autonomia derivatale dall’attribuzione della personalità giuridica, finanche parte dell’apparato amministrativo del Comune”.

[21] La fattispecie dell’affidamento “in house” è richiamata, quale eccezione alla regola, anche nelle circolari del Ministro per le Politiche Comunitarie 1.3.2002 n. 3944 (in G.U. n. 102/02 – Serie generale) e 19.10.2001 n. 12727 (in G.U. n. 264/01 – Serie generale).


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