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n. 4/2011 - © copyright

MASSIMO PERIN
(Consigliere della Corte dei conti)

Novità sulla responsabilità civile del magistrato con l’emendamento C. 4059,
il quale prevede la responsabilità del giudice per “violazione manifesta del diritto”.

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È notizia di questi giorni [1] che in occasione del dibattito sulla legge comunitaria per il 2010 [2], con il predetto emendamento C. 4059, il criterio fondante la responsabilità civile del magistrato non sarà (o meglio non dovrebbe essere) più quanto ora stabilito dall’articolo 2 della legge 13 aprile 1988, n. 117 e, quindi, il dolo o la colpa grave [3], bensì la violazione manifesta del diritto.

Ebbene, cosa significa questa espressione non è ben chiaro. Infatti, la stessa Presidente della Commissione giustizia della Camera [4], On. le Giulia Bongiorno, ha definito la norma come «intimidatoria», perché nonostante sia necessario intervenire sulla materia della responsabilità civile dei magistrati, per come è stato redatto il testo, emerge solo un tratto punitivo e aggressivo nei confronti della magistratura [5].

Attualmente il magistrato di ogni ordine e grado, comprese le figure onorarie, risponde per i danni commessi nell'esercizio delle funzioni giudiziarie solo per dolo o colpa grave [6], questo criterio stabilito dall’art. 2 della legge n. 117 del 1988 stabilisce, al comma 3, che costituiscono colpa grave:

a) la grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabile;

b) l'affermazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza è incontrastabilmente esclusa dagli atti del procedimento;

c) la negazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza risulta incontrastabilmente dagli atti del procedimento;

d) l'emissione di provvedimento concernente la libertà della persona fuori dei casi consentiti dalla legge oppure senza motivazione.

Orbene, questa previsione legislativa comprende senza ombra di dubbio (perlomeno per le persone che fondano le proprie valutazioni sulla ragionevolezza e lo studio del diritto) una condotta che viola manifestamente il diritto, perché emettere un provvedimento restrittivo della libertà al di fuori dei casi stabiliti dalla legge ovvero in assenza di motivazione è sempre una violazione manifesta del diritto che, nel caso specifico, è anche grave.

Pertanto, quale può essere lo scopo di rivoltare il criterio, eliminando i parametri della colpa grave indicati dall’art. 2 stabilendo, invece, un vago criterio generale di violazione manifesta del diritto. La prima conclusione è la ricerca di una perenne e grave confusione del regime della responsabilità del magistrato (con probabili effetti negativi sull’efficienza), perché la norma in assenza dei parametri a suo tempo stabiliti dalla legge, consente a molti di definire come grave violazione del diritto tutto ciò che non gli aggrada, specialmente quando la decisione del giudice, in qualsiasi tipo di sentenza e/o provvedimento non è accettata.

Esaminando, invece, il significato del termine che si vuole introdurre, per violazione manifesta del diritto si dovrebbe intendere una manomissione della norma giuridica di indiscussa evidenza [7], soltanto che a differenza di quanto già stabilito dall’art. 2 della legge n. 117 del 1988 (che si vuole eliminare), si crea un criterio meno preciso e si lascia a qualunque interprete lo spazio per formulare ipotesi di violazione manifesta del diritto su ogni cosa non sia di personale gradimento.

A questo proposito, il mancato apprezzamento della decisione giudiziaria, ma anche della sottoposizione a un’indagine di polizia giudiziaria, troverà sempre qualcuno pronto a fare causa ai giudici [8], perché il provvedimento di giustizia soddisferà la parte vittoriosa e scontenterà quella soccombente e non può essere diversamente, poiché non esiste in questo mondo la sentenza che rende tutti vincitori.

Di certo, chi sarà condannato in sede penale continuerà a sostenere (come generalmente avviene) di essere innocente, salvo il caso di una confessione spontanea, dove, però, l’imputato eccepirà l’esistenza di tutte le possibili circostanze attenuanti del reato e la colpa della vittima che ha avuto la sventura di subire il reato.

In quest’ottica nazionale, non è da poco conto la preoccupazione che l’attore e/o ricorrente insoddisfatto dalla sentenza si “voglia divertire” a perseguitare il giudice (in particolare, se ha importati risorse economiche) con pretestuose cause civili che, non solo distoglieranno il magistrato dal proprio lavoro, ma lo indurranno non a un atteggiamento professionalmente alto e prudente, ma a una fuga (con i mille motivi formali che si possono trovare) dalle proprie attività che renderanno il servizio giustizia del paese del tutto impraticabile per chi non ha risorse economiche.

Questo scenario potrà ridimensionarsi soltanto quando la Cassazione stabilirà una giurisprudenza sul significato della violazione manifesta del diritto che, probabilmente, arriverà a un’interpretazione non dissimile da quella attuale sull’art. 2, comma 3, della legge n. 117 del 1988, soltanto che ci vorrà del tempo e la confusione introdotta arrecherà, di certo, gravi rallentamenti al servizio giustizia, anche perché i magistrati che del diritto hanno ancora qualche nozione, saranno estremamente prudenti ad esporsi, specialmente sulle questioni importanti e, in particolar modo, nei confronti dei grandi consorzi criminali che dispongono di rilevanti risorse economiche.

Comunque, volendo comprendere le intenzioni dell’odierno legislatore con quest’altra riforma in corso, è sufficiente andare a leggere il testo della sentenza Corte di Giustizia del 2006 la causa che riguardava la Traghetti Mediterraneo Spa, che avrebbe dato spazio a questa novità.

Il testo del comunicato stampa [9] n. 49/06 del 13 giugno 2006 sulla Sentenza della Corte di giustizia nella causa C-173/03, riguardante Traghetti del Mediterraneo Spa / Repubblica italiana, riporta che «La Corte conferma che uno Stato membro è responsabile dei danni causati ad un singolo da una violazione manifesta del diritto comunitario imputabile ad un giudice supremo», questa responsabilità per la Corte di giustizia non può essere limitata ai soli casi di dolo o colpa grave del giudice, ove una tale limitazione conducesse ad escludere la sussistenza di tale responsabilità nel caso in cui sia stata commessa una violazione manifesta del diritto comunitario. Essa può anche sorgere laddove la violazione manifesta del diritto comunitario risulti da un'interpretazione delle norme di diritto o da una valutazione dei fatti e delle prove.

Ebbene, il predetto provvedimento giudiziario non autorizza a modificare la sola responsabilità civile del magistrato (tra l’altro in un’ottica conflittuale solo interna tra le istituzioni nazionali), ma anche quella di tutti gli organismi pubblici che non applicano il diritto comunitario.

Infatti, nel testo del comunicato stampa della Corte di giustizia è riportato «… che il principio per il quale uno Stato membro è obbligato a risarcire i danni arrecati ai singoli per violazioni del diritto comunitario ad esso imputabili vale in riferimento a qualsiasi ipotesi di violazione del diritto comunitario, e qualunque sia l’organo di tale Stato la cui azione od omissione ha dato origine alla trasgressione».

Se queste sono le parole del giudice comunitario non può sussistere alcun dubbio che la grave violazione del diritto deve, per forza e necessariamente, essere un criterio di responsabilità patrimoniale per tutti gli operatori pubblici dal legislatore che attualmente nell’ordinamento non è responsabile fino all’ultima pubblica amministrazione che non applica il diritto comunitario vigente.

Pertanto, quando un cittadino subisce un danno per la violazione del diritto comunitario, ad esempio, perché esiste una norma interna contraria al diritto comunitario dovrebbe potersela prendere anche con coloro che hanno approvato quella legge [10].

Ebbene, in questa fattispecie la Corte ha sottolineato il ruolo essenziale svolto dal potere giudiziario nella tutela dei diritti dei singoli derivanti dal diritto comunitario. Il diritto del cittadino sarebbe indebolito se non si potesse, a certe condizioni [11], ottenere il risarcimento dei danni causati da una violazione del diritto comunitario imputabile ad un organo giurisdizionale di ultimo grado [12].

In tale caso, i singoli cittadini devono avere la possibilità di far sorgere la responsabilità dello Stato e, quindi dell’apparato e non dei singoli operatori, al fine di ottenere una tutela giuridica dei loro diritti [13].

Non possono sussistere dubbi sul fatto che questa sentenza non ha alcun rilievo con la responsabilità civile del magistrato (in ogni caso dovrebbe riferirsi solo al giudice che presta servizio in un tribunale di ultima istanza, con esclusione dei pubblici ministeri) che deve rientrare, in un paese civile e democratico, in uno schema completo delle responsabilità pubbliche, dove i criteri di imputazione (dolo o colpa grave), di procedura, devono essere, nell’impostazione generale [14], simili per tutti coloro che svolgono una funzione pubblica.

Coloro che ritengono insufficiente la vigente normativa sulla responsabilità civile dei magistrati, perché non è prevista la responsabilità diretta del cattivo magistrato [15], ma solo quella indiretta e mediata dello Stato [16], deve riflettere sulla circostanza che quasi tutto il pubblico impiego si avvale di tale beneficio.

Infatti, è sufficiente citare l’art. 61, n. 3 della legge n. 312 del 1980, dove si afferma che nel giudizio di risarcimento contro gli insegnanti lo Stato si surroga al responsabile. Ebbene, nell’ipotesi in cui si dovesse prevedere una norma per cui è possibile intraprendere una causa di risarcimento contro un magistrato, perché la sentenza emessa non è gradita [17], allo stesso modo si dovrebbe chiedere direttamente il risarcimento del danno all’insegnante che non ha svolto bene la funzione educativa.

La scelta del legislatore del 1980 si fondava sul ragionevole criterio di lasciare l’insegnante nella serenità dello svolgimento del proprio lavoro, proprio per la delicatezza della funzione educativa, soltanto quando l’amministrazione fosse stata condannata a risarcire il danno si può avviare l’azione di rivalsa, attraverso la Corte dei conti, e quando dal comportamento dell’insegnante dovesse emergere un profilo di dolo o colpa grave.

Per questi semplici motivi la questione così com’è posta sulla responsabilità civile del magistrato creerà solo grande confusione e alla fine sarà modificata dall’intervento della Corte costituzionale, poiché in base al principio di eguaglianza, il risarcimento diretto o vale per tutti i dipendenti pubblici o non vale per nessuno.

In ogni caso, quest’iniziativa legislativa ritiene (così come chi chiede la responsabilità diretta del magistrato per un noto caso di cattiva giustizia [18]) indispensabile pervenire alla responsabilità diretta del magistrato su tutto e non soltanto sulle questioni più gravi, alterando incomprensibilmente l’attuale sistema delle responsabilità pubbliche, dove la citazione in un giudizio per il danno arrecato dal funzionario pubblico è riservata a fattispecie gravissime e non ad errori lievemente colposi nello svolgimento della funzione.

Allo stato attuale, ai sensi dell’art. 28 della Costituzione, nulla vieta al cittadino danneggiato di citare personalmente il giudice che nell’esercizio delle sue funzioni ha agito con dolo, frode o concussione (art. 55 c.p.c.) [19]. Non esiste nell’ordinamento un «trattamento legislativo di favore» per i giudici corrotti, come qualcuno vorrebbe far credere [20].

Qualora una persona ritenesse di essere stata danneggiata intenzionalmente da un giudice deve provare, come normalmente avviene nei processi, il dolo del magistrato, e la nozione di dolo va intesa nel senso non della semplice volontarietà dell'azione che si assume dannosa, bensì nel senso della diretta consapevolezza di compiere un atto giudiziario formalmente e sostanzialmente illegittimo, con il deliberato proposito di nuocere ingiustamente ad altri e, segnatamente, di ledere i diritti della parte soccombente. Di certo, è necessario che il danneggiato fornisca la prova di una simile consapevolezza, in altre parole del fatto che l'emissione del provvedimento sia stata determinata da fini estranei alle esigenze dell'amministrazione della giustizia [21].

Se si vuole, con tale riforma, aprire una nuova stagione litigiosa [22], dove si faranno processi sulle parole delle sentenze non gradite, per chiedere supposti danni, non solo non si migliorerà l’efficienza e l’economicità del servizio giustizia, ma forse esso sarà paralizzato per sempre [23].

Il problema della modifica del sistema della responsabilità civile del magistrato dovrebbe essere affrontato con discorsi diversi da quello portato avanti con questo emendamento e già affrontati nel precedente commento [24], dove la responsabilità del giudice dovrebbe essere modulata con criteri simili a quelli degli altri agenti pubblici e non estranei, favorendo, invece, con formule vaghe la possibilità della citazione in giudizio diretta del giudice per qualsiasi preteso danno da attività giudiziaria.

Tale impostazione al di là della vicenda dei medici del servizio pubblico (spesso richiamata da qualche politico commentatore) che andrebbe diversamente regolata [25], contrasta con ciò che avviene ora per il pubblico impiego, perché, ad esempio, il danneggiato di un esproprio illegittimo (fattispecie rilevantissima in questi decenni) non ha mai citato per il risarcimento il Sindaco o il dirigente, ma solo l’amministrazione.

In conseguenza di ciò l’azione di rivalsa è rimessa ad altro organo dello Stato – comunità (la Corte dei conti) che tutelerà l’interesse pubblico, chiedendo il risarcimento a coloro che male hanno agito nelle proprie funzioni pubbliche, purché la condotta oltre che dannosa sia caratterizzata dal dolo o dalla colpa grave [26].

 

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[1] Cfr. Pag. http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2011-03-25/stretta-responsabilita-toghe-063941.shtml?uuid=AaR70JJD; nell’articolo è segnalata anche l’altra “perla” di questi giorni che prevede, appunto, che non costituirà più danno erariale sanzionabile dalla Corte dei conti il pagamento di ammende o sanzioni da parte delle società partecipate dallo Stato per oltre il 50%, quando il pagamento va a favore di un'altra pubblica amministrazione per danni causati da dipendenti. Questa norma – se approvata – andrà a vantaggio (es. i consiglieri di amministrazione della Rai, anche se già condannati) di persone che hanno arrecato, comunque, pregiudizi erariali che, in ogni caso, saranno trasferiti alla fiscalità generale, mentre gli unici a non subire effetti di queste norme saranno, come al solito, gli evasori fiscali. Questa nuova forma di immunità, però, al momento pare essere stata ritirata, perché estranea alla materia esaminata nella legge comunitaria.

[2] Cosa c’entra la legge comunitaria, necessaria per recepire le direttive nel nostro ordinamento, con la responsabilità civile del magistrato è un rebus tutto politico.

[3] È inutile ricordare ai frequentatori di questa Rivista che il criterio di responsabilità fondato sul dolo o sulla colpa grave è un criterio generale valido per tutto il pubblico impiego, compreso il personale onorario (ministri, assessori, sindaci ecc…), ma qualora il sito fosse visitato da qualche rappresentante del legislatore attuale, potrebbe essere sensibilizzato ad informarsi e ad approfondire meglio l’argomento! Per il curriculum del proponente cfr. pag. web http://www.camera.it/29?shadow_deputato=302160.

[4] La vicenda di questo emendamento comporta anche un conflitto tra commissioni parlamentari, dal momento che quella competente è la commissione Giustizia e non la 14^ Commissione competente sulla legge comunitaria, cfr.  http://www.lapoliticaitaliana.it/Articolo/?d=20110324&id=31521 in quest’ultima commissione l’On.le Gianluca Pini, attraverso l’emendamento vuole dare attuazione ai rilievi mossi dalla Commissione UE all'Italia relativa alla sentenza della Corte di Giustizia del 2006 per una causa che riguardava la Traghetti Mediterraneo Spa.

[6] Cfr.  http://www.lexitalia.it/p/11/perin_rifgiustizia.htm. La responsabilità civile dei magistrati è disciplinata dalla legge 13 aprile 1988, n. 117, regolante il risarcimento dei danni cagionati nell'esercizio delle funzioni giudiziarie (G.U. 15 aprile 1988, n. 88), pag. web http://www.governo.it/Presidenza/USRI/magistrature/norme/L117_1988.pdf.

[7] Cfr. il significato dei termini riportato nel vocabolario italiano G. Devoto – G. Oli, 1967 – 1987.

[8] In un ordinamento “serio” la mancata condivisione della decisione del giudice è affrontata con i mezzi di impugnazione, una volta esaurita questa fase la sentenza, proprio per la certezza dei rapporti giuridici, deve essere osservata. Scardinare questo sistema in modo subdolo, consentendo di fare causa al giudice su tutto quel che non si condivide della decisione, vulnera gravemente l’equilibrio dell’ordinamento. Tra l’altro l’emendamento in parola modifica in pejus il lavoro del giudice rispetto anche alla categoria dei consulenti fiscali, i quali ai sensi del decreto correttivo n. 203/1998, per le violazioni commesse nell’esercizio dell’attività di consulenza tributaria, e comportanti la soluzione di problemi di speciale difficoltà sono punibili solo in caso di dolo o colpa grave.

[10] Di certo anche se questo dovrebbe essere il senso della sentenza della Corte di giustizia, tale rimedio è sicuramente impraticabile, anche per una questione di economia processuale della parte danneggiata, la quale chiederà i danni solo all’apparato della p.a. e, quindi, alla fiscalità generale. Purtroppo, non è possibile e praticabile chiedere i danni per le violazioni del diritto comunitario ai singoli componenti delle assemblee regionali e nazionali che sfornano provvedimenti di legge contrari al diritto comunitario.

[11] Le quali, ora, sono quelle stabilite dalla legge n. 117 del 1988.

[12] A quanto pare non i gradi intermedi di giustizia.

[13] Cfr. http://www.libertiamo.it/2011/03/25/ma-che-riforma-il-magistrato-rimane-irresponsabile-come-il-legislatore/, dove emerge il fumo della retorica furba e maligna che intossica la discussione sulla giustizia ha reso, ovviamente, incomprensibile la “mossa” della maggioranza, che nella legge comunitaria 2010 avrebbe anticipato la riforma costituzionale in materia di responsabilità civile dei magistrati”, dando – come recita la rubrica dell’emendamento presentato dal relatore all’articolo 12 – attuazione alla sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee del 13 giugno 2006, Traghetti del Mediterraneo SpA (causa C-173/03) e adeguamento alla procedura di infrazione 2009–2230.

[14] Potranno essere disposte norme specifiche a secondo del tipo di carriera pubblica svolta, fermo restando il principio che si risponde solo per dolo o colpa grave, così come adesso è previsto per tutti gli agenti pubblici, Ministri compresi.

[15] Ma non è prevista nemmeno la responsabilità diretta del cattivo politico per fatti dannosi prodotti con la propria attività legislativa, come quando si approvano leggi contrarie al diritto comunitario, nella migliore delle ipotesi solo per conclamata ignoranza.

[16] Cfr. sito citato alla nota precedente.

[17] È stato osservato dall’On.le Bongiorno che l'emendamento Pini «non disciplina nulla, si limita genericamente a dilatare a dismisura la responsabilità dei magistrati» e costituisce così una norma «inaccettabile» tanto che «anche il più equilibrato dei magistrati può temere rappresaglie». «E' innegabile - ha poi osservato la Bongiorno - il tentativo di trasferire alla classe politica alcune funzioni della magistratura», cfr. pag. web  http://www.lapoliticaitaliana.it/Articolo/?d=20110326&id=31652.

>[18] Il riferimento è al caso del presentatore televisivo Tortora, ingiustamente accusato di gravi reati.

[19] Cfr. Cassazione Sezione III, sentenza n. 254 del 12.01.1999.

[20] Cfr. Corte di Cassazione, sezioni unite civili, sentenza del 23 agosto 2007 n. 17915, alla pag. web http://www.lexitalia.it/p/72/cassciv_2007-08-23-3.htm dove era stato sanzionato con la perdita dell’anzianità e il trasferimento d’ufficio un magistrato che aveva ottenuto agevolazioni nel pagamento per diversi viaggi turistici, che in parte non erano stati nemmeno pagati.

[21] Cfr. Cassazione sezione I, Sentenza n. 540 del 16.01.2004 e sezione III, sentenza n. 21618 del 16.10.2007.

[22] Di cui il Paese vero (quello onesto, operoso e composto da persone per bene) ne farebbe volentieri a meno, perché invece di sperperare inutilmente risorse per cause di inutile litigiosità, investirebbe sulla modernizzazione dei processi, sulla formazione professionale dei giudici e degli avvocati, sulla riduzione delle inutili formalità processuali, sulla chiusura degli uffici con poco lavoro, depenalizzando i reati minori, ecc

[23] Per comprendere quello che, probabilmente, diventerà una nuova attività giudiziaria è sufficiente sfogliare l’attuale e contenuta giurisprudenza (anche se in materia di giudizi per diffamazione), dove si sono contestate le parole utilizzate nelle sentenze. Infatti, in Cassazione, Sezione III, sentenza n. 17180 del 2007, si doveva accertare se era diffamatorio avere criticato con espressione forte (perché la sentenza supportava e giustificava gli stupratori) il principio di una sentenza in tema di violenza sessuale, secondo cui l'avere abusato delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa, al momento del fatto, non costituisce circostanza aggravante del reato, bensì elemento costitutivo dello stesso. Ebbene, le sentenze sono fatte di parole e l’espressione violazione manifesta del diritto, come scoordinatamente proposto, consentirà tutto e il contrario di tutto su qualsiasi termine usato in sentenza (n.d.r.).

[25] Similmente a quello che avviene per gli insegnanti, con la surroga dell’amministrazione nel giudizio civile di risarcimento.

[26] Cfr. per l’approfondimento delle responsabilità pubbliche e il profilo della colpa grave, ex multis Corte costituzionale, sentenza 24 ottobre 2001 n. 340, pag. web http://www.lexitalia.it/corte/ccost_2001-340.htm.


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