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SANDRO PELILLO
(Professore associato
nell'Università di Teramo)
Attività pianificatoria e reiterazione dei vincoli urbanistici. L'intervento del Consiglio di Stato in Adunanza Plenaria.
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E' intervenuto, come noto, sul tema della reiterazione dei vincoli urbanistici il Consiglio di Stato in Adunanza Plenaria [1]. La pronuncia del Massimo Organo di Giustizia Amministrativo offre significativi spunti di riflessione, evidenziando un sostanziale ridimensionamento, se non contenimento, degli effetti desumibili dalla più recente incisione operata dal Giudice delle Leggi, con la sentenza n.179/'99[2].
L'ampiezza e la portata, invero, delle limitazioni al potere di Governo del territorio, da esercitazioni per il tramite degli strumenti urbanistici generali, secondo i ripetuti principi affermati dalla Corte Costituzionale, sembrano incontrare un agevole modello di superamento, che può risolversi in un espediente, se maliziosamente gestito, di quel bilanciamento, tra interessi generali e privatistici, riconosciuto costituzionalmente legittimo, che va apprezzato nella onerosità (adeguata, ancorché da identificare anche senza l'intermediazione del legislatore ma con (ancora una volta) il ruolo di supplenza del "Giudice competente"), che non può essere semplicemente enunciativo, come si desume dalla motivazione della citata sentenza 24/'99.
Il problema, in concreto, sembra risolversi, secondo il Supremo Giudice Amministrativo, soltanto con la "mera previsione generica di indennizzo", quale elemento idoneo e sufficiente per corrispondere a canoni normativi (costituzionalmente legittimi), dal momento che, in relazione alla fattispecie suindicata [3], è stata pronunciata la illegittimità della reiterazione per vincoli de quibus per omessa previsione del relativo indennizzo ma, nel contempo, ne è stata affermata la legittimità, anche in presenza di omessa previsione delle spese occorrenti per l'espropriazione e dei possibili mezzi di copertura [4]. In sintesi, risulterebbe sufficiente, per superare il sindacato di legittimità in parte qua della reiterazione di vincoli preordinati ad espropriazione, che negli atti di pianificazione generale si dia atto che sono indennizzabili (rectius: che saranno indennizzabili) senza relativa quantificazione, anche ai fini della individuazione delle relative risorse finanziarie.
A sostegno, è stato fatto riferimento:
a) alle "costanti acquisizioni giurisprudenziali secondo le quali il piano finanziario non deve necessariamente essere contestuale al piano regolatore o alla sua variante";
b) al rilievo, ritenuto assorbente, dei principi affermati dal Giudice delle leggi, con la più volte citata sent. 179/99, in base ai quali, come è stato ricordato, pur riconoscendosi che i criteri di liquidazione dell'indennizzo richiedono l'intermediazione del legislatore, tuttavia sussiste il rimedio dell'intervento del giudice competente, cioè del giudice amministrativo, come si è sostenuto[5].
Le affermazioni offrono spunti di riflessione.
In primo luogo, non sembra poter costituire un convincente contributo l'equiparazione della fattispecie, che attiene al corretto esercizio del potere di pianificazione relativamente alla reiterabilità in sé considerata (e quindi alla ponderazione ed affermazione intrinseca, ma non implicita, del soddisfacimento degli interessi generali mediante pedissequa rinnovazione) dei vincoli preordinati ad espropriazione, rispetto alle conseguenze della introduzione, da apprezzarsi con riferimento alla attuazione.
Si ha ragione di ritenere che siano state trascurate le peculiarità e diversità che caratterizzano il rapporto tra limite al potere di scelta e conseguenze che ne derivano, per la realizzazione delle previsioni (rectius: prescrizioni) del P.R.G..
La giurisprudenza, invero, formatasi a proposito della relazione finanziaria sul P.R.G. appare non costituire elemento di conforto per il tema in discussione, stante la diversità che risulta caratterizzare la fattispecie.
L'onerosità, che è garanzia costituzionalmente affermata, rileva, e sostanzialmente limita, se non condiziona, il potere pianificatorio, che si identifica nella scelta vincolistica e che, nella specie, si connota della peculiarità della reiterazione. Non sembra poter essere valutata riguardo agli effetti, in funzione delle conseguenze proprie della fase attuativa, attraverso apposito procedimento ablatorio che, differenziandosi nel tempo, come momento necessariamente successivo, può anche consentire di riconoscere la non contestualità di un piano finanziario al P.R.G. o alla sua variante.
La previsione delle spese occorrenti per l'espropriazione appare, invero, appartenere a terreno diverso rispetto al sindacato della scelta operata dal pianificatore, secondo i principi affermati con la più volte menzionata sentenza della Corte Costituzionale.
Non si discute, in realtà, di anticipazione previsionale del ristoro del proprietario del terreno, da realizzarsi in correlazione al procedimento che sancisce coattivamente il trasferimento del bene.
L'indifferenza della previsione delle relative spese e dei possibili mezzi di copertura, attraverso apposito piano finanziario, rispetto alla adozione di un Piano Regolatore o di una sua variante generale, sì da poterne restare indenne la legittimità, ancorché carente, non può estendersi fino al punto da ricomprendere la limitazione e specificità della reintroduzione di vincoli espropriativi, a fronte dei quali, superato il quinquennio di "franchigia", è ciò solo idoneo e sufficiente per imporre un onere che, qualunque possa esserne la caratterizzazione giustificativa, non può ritenersi assolto con una "previsione generica di indennizzo", se , come argomenta la Plenaria, fondatamente era stata criticata la sentenza di primo grado[6] per aver "dichiarato illegittimo il provvedimento impugnato in primo grado per omessa previsione delle spese occorrenti per l'espropriazione".
L'illegittimità, per contro, avrebbe dovuto essere affermata sotto diverso profilo, per la causale specifica della necessaria cristallizzazione della manifestazione autoritativa della reiterazione, non surrogabile o assimilabile alle conseguenze che vanno a realizzarsi attraverso l'effettiva espropriazione.
Del resto, deve riflettersi che il proprietario di terreno, sul quale venga reiterata la imposizione di vincolo espropriativo, viene a trovarsi nella condizione di destinatario di indennizzo, quale corrispettivo di obbligazione che nasce da detta rinnovazione. Nella eventualità di realizzazione, per quello stesso terreno avrà diritto a riceversi anche l'indennità di espropriazione.
Non sembra, quindi, azzardato sottolineare la diversità di situazione che non avrebbe potuto suggerire al Tribunale territoriale di affermare la illegittimità del caso controverso per non essere state previste le spese occorrenti per l'espropriazione, non potendo ritenersi che la Corte Costituzionale, già con la sentenza 575/1989, ad esse avesse inteso riferirsi per potersi legittimare la reiterazione di vincoli che avevano perso ogni efficacia, ex art. 2 L. 1187/1968.
Parimenti, non sembra privo di interrogativo che il Giudice d'appello sia andato in contrario avviso rispetto al Tribunale laziale, con il conforto dei principi giurisprudenziali in tema di prescindibilità della relazione o piano finanziario, a corredo degli atti per la formazione del P.R.G., verificandosi la sostanziale reductio ad unitatem di situazioni e momenti decisionali (che si concretano nella volontà reimpositiva del vincolo) ed effetti, in funzione della attuazione (che va individuata come derivazione della scelta vincolistica), teleologicamente e temporalmente differenziati e che, secondo i ripetuti principi affermati dalla Corte Costituzionale, devono conservare diversità che conduce verso la tutela del diritto di proprietà, nell'immediato, per il sol fatto che si realizzi la rinnovazione della "espropriazione di valore", mediante apposito indennizzo, indipendentemente dal se, come e quando potrà pervenirsi alla dichiarazione di pubblica utilità che consentirà la definitiva acquisizione o apprensione del suolo; in relazione a ciò si realizzerà una ulteriore "occasione" indennitaria, eventuale, in quanto dipendente dalla effettività dell'intervento, se posta in essere secundum legem, o risarcitoria in alternativa.
Né, poi, i criteri di liquidazione dell'indennizzo, individuati dal Giudice delle leggi, sembrano poter offrire un contributo, a sostegno dell'annullamento della sentenza del Tribunale territoriale che "aveva accolto la censura sotto il profilo della garanzia di effettività della reiterazione dei vincoli urbanistici"[7], come si legge in motivazione.
I rimedi finirebbero per risultare strumento idoneo a superare in parte qua la patologia dell'atto di pianificazione; il che non può non porre più di un punto di domanda.
Viene, invero, dato di interrogarsi sulla possibilità di attribuire ai poteri decisori del giudice amministrativo, secondo i criteri individuati nella più recente pronuncia della Corte Costituzionale, che li indica come possibile risultato conseguibile nella giurisdizione (da riconoscersi, come si è ritenuto con le riflessioni svolte, nel G.A. quale Giudice esclusivo), un rilievo assorbente, sì da poter superare il negativo giudizio del Tribunale territoriale.
Non sembra azzardato poter sostenere che l'apprezzamento del possibile esito della tutela non supera l'affermazione della illegittimità dell'atto, permanendo, a ben vedere evidenziandosi maggiormente, il non corretto esercizio del potere amministrativo in tema di reiterazione di vincoli urbanistici, una volta superata la prima soglia quinquennale, definita di "franchigia".
I rimedi esperibili nella giurisdizione, in sostanza, a fronte della compressione dei diritti dominicali per indisponibilità urbanistica, provocata dalla riattualizzazione di vincoli caducati e, quindi, per il disvalore dei beni colpiti (da bilanciarsi con il diritto all'indennizzo), finirebbero per surrogare la patologia dell'atto di pianificazione, attraverso il quale si realizza l'assenza di soluzione di continuità in scelte (?), quale quella de qua, in quanto l'accertamento giudiziale della inosservanza dei canoni guida, per un corretto (allineato) esercizio del potere pianificatorio nella specie, risulterebbe con esito positivo per la P.A., avuto riguardo ai mezzi di restaurazione della sfera giuridico - patrimoniale del ricorrente, di cui il "Giudice competente" dispone e può utilizzare, caso per caso, ancorché facciano difetto criteri ex lege per la determinazione e liquidazione dell'indennizzo.
Ulteriori spunti di riflessione suggerisce la Adunanza Plenaria, con la sentenza in esame, sul tema dell'istruttoria e della motivazione degli atti di pianificazione (variante generale al P.R.G.) impugnati, assunti nello specifico dal Comune di Roma, con il dichiarato obbiettivo di neutralizzare - in contestualità - il recupero di edificabilità, pari a 2.500.000 mq circa, delle aree gravate da vincoli caducati, in quanto inutilizzati, mediante reiterazione e, quindi, pedissequa conferma di essi.
Il Giudice di Appello è andato in contrario avviso, rispetto al Tribunale Territoriale, accogliendo le critiche dell'appellante, alla sentenza di primo grado, che aveva "segnalato la necessità che la variante di reiterazione dei vincoli urbanistici rechi una motivazione specifica" e ne ha indicato come estensione:
a) attualità delle ragioni giustificative del vincolo;
b) mancanza di possibili soluzioni alternative o di perequazione tra più proprietari espropriabili;
c) serietà ed affidabilità della realizzabilità nel quinquennio della prescrizione".
Ha ritenuto, quindi, di ricondurre la decisione gravata nell'alveo dell'indirizzo giurisprudenziale formatosi in relazione ai presupposti costituzionali dell'espropriazione per p.u., "postulando, con l'estensione della motivazione della variante all'elemento sub b, la sua polverizzazione tra le destinazioni di zona delle singole aree"[8].
La motivazione[9] riguardo alla reiterazione (pedissequa) di precedenti vincoli è indubbiamente tema non di secondo momento ed acquista ancor più significato se relazionata alla natura e funzione del provvedimento attraverso il quale si realizza la reiterazione stessa.
Se, dunque, motivazione "polverizzata" sta a significare esigenza di "ponderazione comparativa in ordine alla destinazione di zona delle singole aree" [10], non sembra poter acquistare decisiva rilevanza, per potersi affermare se il potere pianificatorio possa essere o meno sottratto, con riferimento alla episodicità, e quindi puntualità, o generalità, in quanto riguardante l'intero territorio, della ripetuta rinnovazione di previsioni vincolistiche , preordinate ad espropriazione per p.u..
Si ha ragione di ritenere che la peculiarità, che si rinviene nello specifico ambito dell'urbanistica, non possa essere relazionato a risultato conseguibile attraverso la reintroduzione dei ripetuti vincoli, come, ad esempio, si coglie nell'iter argomentativo seguito dal Supremo Giudice Amministrativo, essendo stata rilevata la primazia dell'obbiettivo che quell'Amministrazione Comunale intendeva perseguire ("reperimento aree da destinare agli standards") [11], rispetto alle modalità di attuazione, per pervenirsi alla constatazione della non necessarietà di puntuale motivazione, in quanto l'adeguamento degli standards , peraltro intervenuti con variante generale, é atto dovuto.
Si afferma in sentenza, al riguardo, che non potrebbero essere invocati i criteri guida del jus variandi in tema di pianificazione generale, ex art. 30 legge 765/67, che, come noto, implicano che venga dato sostegno giustificativo riguardo alle ragioni (sopravvenute) che determinano la totale o parziale inattuabilità del piano o la convenienza di migliorarlo [12].
E' pur vero che l'introduzione e, quindi, la previsione, in limiti quantitativi, almeno pari ai parametri ministeriali, riposano nella esigenza garantistica di assicurare al territorio pianificato un ottimale equilibrio tra insediamenti a scopo abitativo, produttivo, terziario ed altro, ed infrastrutture urbanizzative e di servizi. Deve parimenti convenirsi che non può non risultare sufficiente a superare, in favore di coefficienti di quantità e di risultato, la peculiarità del tema riguardante non i vincoli urbanistici in sé considerati (l'obbiettivo perseguibile) ma la concentrazione e localizzazione su quelle stesse aree che li avevano già sopportati (inutilmente), con la conseguenza, da una parte, della constatazione della inattuazione, e, dall'altra, dell'assenza di indennizzo a favore del proprietario, per essere stati già introdotti una prima volta.
Non sembra, in sostanza, doversi porre in discussione il fabbisogno di aree in sé considerato, da acquisire, previa dichiarazione di p.u., mediante espropriazione, ma il dove risulti affermato, come individuazione spaziale. La scelta, invero, non discende da un normale processo di valutazione in sede di formazione di uno strumento urbanistico generale o di variante, parimenti generale, da apprezzarsi in termini assoluti, secondo i canoni della discrezionalità di cui, in materia, è permeato il potere pianificatorio[13], ma si connota della peculiarità del caso, quale la riproposizione pedissequa, che non sembra poter risultare tout court indifferente e recessiva a fronte dei canoni della pianificazione, relativi alle dotazioni urbanizzative ed infrastrutturali ed alle relative, intrinseche ragioni giustificative.
L'onere della motivazione finirebbe, in sintesi, per essere relazionato alla cura dell'interesse pubblico, che intrinsecamente qualifica l'attività del pianificatore, attraverso la previsione di utilizzazioni dei suoli, vincolistiche non perché sottratte alla iniziativa privata, ma finalizzate a garantire un equilibrio, stimato ottimale ex lege, tra insediamenti ed infrastrutture, quindi prescindibile.
Così posto, il problema muove da una premessa, diversa rispetto al tema, per pervenire ad un risultato che parimenti se ne discosta.
L'istituto della variante al P.R.G. e le ragioni giustificative, invero, non sembrano poter essere cosi riduttivamente apprezzati, esaustivamente, in quanto non si ritiene che, nello specifico, possano essere sottratti ad adeguato supporto motivazionale, indirizzato non tanto in funzione della perpetuazione del vincolo da identificarsi nella relativa esigenza propositiva, quanto in ordine alla ubicazione[14], che non può risultare assorbito dal risultato che si intende perseguire, sotto un profilo quantitativo e finalistico, ancorché riferito, in contestualità, ad una pluralità di aree.
Se la reiterabilità dei vincoli è affermazione del diritto vivente, come peraltro riconosciuta del Giudice Costituzionale[15], deve potersi convenire che l'applicazione concreta non possa essere apprezzata esclusivamente con riferimento ai normali criteri di governo del potere di pianificazione, con il primato, in linea di principio, dell'ampiezza delle scelte che appartengono a chi ne è titolare.
Se, in sostanza, l'attualità dell'interesse pubblico spinge verso la (re)introduzione di destinazioni che, come più volte ricordato, sono preordinate
ad espropriazione p.u., cionondimeno, quando la localizzazione cade sulle stesse aree che inutilmente l'aveva già sopportata, non può trascurarsi la pertinenza di rinvenire e di soddisfare l'esigenza della giustificazione circa la coincidenza in sé dell'ubicazione.
Non può non disconoscersi essersi in presenza di operazione non agevole , non tanto in relazione alla identificazione dell'interesse, se qualificato o meno, del soggetto, titolare di diritti dominicali in (nuova) compressione, riguardo all'attribuzione di una diversa (e positiva) destinazione, nel momento in cui viene a realizzarsi il rimedio alla perdita dell'identità urbanistica, attraverso apposita variante allo strumento urbanistico per caducazione dei vincoli, permanendone la temporalizzazione ab initio, quanto alla specificità della cristalizzazione, verso cui si indirizza il potere pianificatorio, in sede di riaffermazione di identità urbanistica, perduta per effetto e conseguenza della ripetuta scadenza del termine legittimante il vincolo, ancorché in pluralità e coincidenza (anche di risultato) di situazioni.
Si ha ragione di riflettere che non risulta inappropriato relazionare l'obbligo di motivazione specifica non tanto all'affidamento qualificato del privato, quando venga in discussione il dimensionamento degli standards - il che lo contiene e riduce significativamente -, quanto alla individuazione in sé di aree già vincolate, da imputarsi oggettivamente come risultato di gestione dei poteri di pianificazione a fini urbanistici.
In sostanza, si ritiene che l'interesse del proprietario non debba necessariamente costituire, in via diretta ed immediata, metro e misura della correttezza dell'agire amministrativo in parte qua, correlato ad una pretesa (di nuova) destinazione di area già gravata negativamente, in quanto implicante indisponibilità urbanistica e di mercato, ma in via mediata con riferimento alla ponderazione, con l'ausilio dei canoni di perequazione e di c.d. giustizia distributiva [16]- pur sempre nel rispetto della regola aurea della indifferenza dominicale che continua ad essere oggettivamente osservata, risultando la perpetuazione del vincolo un dato a sé stante da apprezzarsi nella logica ubicazionale - in ordine alla individuazione, per ciascuna zona di territorio pianificato, di ambiti da sottoporre a riserva di utilizzazione per interventi istituzionalmente avocati alla mano pubblica, in quanto preordinati (ancorché in via di mera teorizzazione previsionale) a soddisfare esigenze di pubblica utilità o di pubblico interesse.
Non sembra, pertanto, doversi interrogare sul grado di intensità della aspettativa del privato, se generica o specifica, modulandola sui parametri di proiezione verso la reformatio in melius [17], "analoga a quella di ogni altro proprietario di aree, che aspira ad una utilizzazione più proficua dell'immobile", nel momento in cui si dispone dei poteri pianificatori per eliminare la perdita di identità urbanistica di una determinata area a motivo della cessazione degli effetti di una precedente previsione urbanistica vincolistica ed inattuata.
Né, del resto, può suggerire un percorso alternativo, per ovviare ad una motivazione polverizzata, prendere in considerazione il rimedio dell'incisione della sfera giuridico patrimoniale del proprietario, costituito dalla previsione dell'indennizzo, secondo i principi affermati dalla Corte Costituzionale con la più volte ricordata sentenza n. 179/99[18], in quanto la restaurazione, mediante intermediazione del Giudice Amministrativo con sentenza di condanna, non può supplire il risultato in sé considerato della verifica del potere discrezionale dell'autorità di pianificazione, fino a poterlo considerare correttamente esercitato.
Un ulteriore spunto di riflessione, infine, offre la Adunanza Plenaria nella parte in cui, muovendo dal percorso argomentativo della Corte Costituzionale nelle sentenze 179/99 e 575/89, ritiene distinta e sostanzialmente recessiva la motivazione delle scelte delle singole aree, rispetto all'attualità e persistenza delle esigenze urbanistiche appositamente valutate.
Viene in proposito dato di chiedersi: è azzardato riconoscere che anche nella comparazione degli interessi pubblici e privati, non risulti estraneo, con il carico di conseguenza che procura, rispetto agli equilibri stimati ottimali sul piano qualitativo, cui detta comparazione è correlata, estendere l'apprezzamento all'ubicazione, nell'ambito di ciascuna zona di pertinenza ?
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[1] 22 dicembre 1999 n. 24, in questa rivista ed in in Cons. Stato, I, 1999, 2029.
[2] In questa rivista ed in Corte Cost, 1999, 1750.
[3] La questione era stata rimessa all'Adunanza Plenaria della Quarta Sezione (con ord. 05/06/95 n. 411, in Cons. Stato 1995, I, 648), chiamata a pronunciarsi sull'appello proposto dal Comune di Roma avverso la sentenza n. 600, pronunciata dal T.A.R. Lazio, sezione I, il 14/03/93 - in T.A.R. 1993, I, 1590 - con la quale erano stati annullati gli atti deliberativi di variante al P.R.G. per la rinnovazione di vincoli urbanistici, caducati, preordinati ad espropriazione per p.u.
[4] Cfr. art 30 L. 17 agosto 1942 n. 1150, sostituita dall'art 9 L. 765/'67. Secondo G.C. Mengoli "Manuale di Diritto Urbanistico", Milano 1997,98 "la funzione della previsione di massima delle spese (così modificato dalla L. n. 765/1967 il precedente termine "piano finanziario" previsto dalla L.u. del 1942), è quello di tradurre in realtà economica e di dimostrare concretamente la possibilità di realizzazione del piano regolatore, senza peraltro che - in virtù della più generica espressione - essa costituisca oggi un elemento per mezzo del quale deve essere dimostrata la possibilità economica del Comune di realizzare il piano in ogni sua parte". Tra gli innumerevoli contributi della dottrina, sul punto, cfr. M. Alemanno "La copertura finanziaria nella legislazione urbanistica", in Foro Amm., 1979, II, 159. In giurisprudenza si è verificato un mutamento di indirizzo, essendosi affermata l'indisponibilità soltanto per le espropriazioni per p.u. ed al momento della attuazione e non quindi della adozione del P.R.G.. Cfr. T.A.R. Marche, 11 giugno 1998 n. 794; T.A.R. Campania, Salerno, 9 marzo 1992 n. 50, in "I Tribunali Amministrativi Regionali, 1998, I, 3265; 1992, I, 2231; Cons. Stato, Sez. IV, 11 maggio 1979 n.312; 28 ottobre 1975 n. 932, in Cons. Stato, 1979, I, 687; 1975, I, 1095. Con la sentenza n. 270/1980, la Quarta Sezione aveva precisato che è priva di rilevanza nel giudizio ad oggetto la legittimità di un P.R.G., la questione di illegittimità costituzionale dell'art 2 L. 1187/1968, nella parte in cui non prevede la indennizzabilità dei proprietari incisi da vincolo di inedificabilità disposti con i P.R.G., qualora detta questione venga sollevata esclusivamente in relazione ai suoi riflessi sull'adeguatezza del piano finanziario (in Riv. Giur. Ed. 1980, I, 604).
[5] Mi permetto rinviare a Sandro Pelillo "Reiterazione dei vincoli urbanistici preordinati ad espropriazione per pubblica utilità e tutela giurisdizionale: notazioni a margine della sentenza della Corte Costituzionale 20/05/99 n. 179", in Giust.it 1999.
[6] Pag. 3.3 dec. 24/'99, loc. cit., 2031.
[7] Dec. cit., p. 3.3, 2031.
[8] Dec. cit., p.11, 2031.
[9] Cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 3 maggio 1990 n.330, in Cons. Stato, I, 781.
[10] Come afferma A.P., dec. cit., p. 4, 2032.
[11] Cfr. D.M. 7 aprile 1968 n.1444. Rientrano tra i limiti normativi del potere di pianificazione da osservarsi in sede di adozione di nuovi strumenti urbanistici o di revisione di quelli esistenti: indicano la dotazione minima
[12] Amplissimo il contributo della dottrina: cfr., ad es., L. Mazzarolli "Piano Regolatore Generale", in Digesto IV ed. (discipline pubblicistiche), Torino, 1996, 211. Sulla variante al P.R.G., G.C. Mengoli "Manuale di Diritto Urbanistico", Milano, 1997, 184 e richiami bibliografici (sub nota 122) e giurisprudenziali (sub nota 123).
[13] La pianificazione del territorio, con l'impiego di strumenti urbanistici generali, emblematicamente costituisce testimonianza privilegiata della discrezionalità che, come noto, identifica il più alto livello di espressione del potere amministrativo. A titolo meramente indicativo, in dottrina, con riferimento ai profili generali, cfr. S. Cassese (a cura di), "Trattato di Diritto Amministrativo", Milano, 2000, 668 e segg.; U. Di Benedetto, "Diritto Amministrativo", Rimini, 1999, 379 e segg.; E. Casetta "Manuale di Diritto Amministrativo", Milano, 1999, 334 e segg.; V. Cerulli Irelli "Corso di Diritto Amministrativo", Torino, 1999, 415 e segg.; "Note in tema di discrezionalità amministrativa e sindacati di legittimità", in Dir. Proc. Amm. 1984, 463; A.M. Sandulli "Manuale di Diritto Amministrativo", Napoli, 1989, 591 e segg.; M.S. Giannini "Diritto Amministrativo", in Enc. Dir. XII, Milano, 1964, 855 e segg.; C. Mortati "Discrezionalità", in Novissimo Digesto, IV, Torino, 1960; M.S. Giannini "Il potere discrezionale della Pubblica Amministrazione ", Milano, 1939. In relazione alla specificità del tema della pianificazione, cfr. L. Mazzarolli "Proprietà Immobiliare Pianificazione Territoriale Attività Edilizia", Padova, 1999, 389 e segg.; G.C. Mengoli "Manuale di Diritto Urbanistico", Milano, 1997, 87 e segg.; L. Mazzarolli "Piano Regolatore Generale", in Digesto delle Discipline Pubblicistiche, Torino, 1996, 211 e segg.; A. Cariola "Discrezionalità tecnica ed imparzialità", in Dir. Amm. 1007, 469; F.G. Scoca "Sul trattamento giurisprudenziale della discrezionalità", in "Potere discrezionale e controllo giudiziario", Milano, 1998; C. Marzuoli " Discrezionalità amministrativa e sindacato giudiziario: una ricognizione di alcune problematiche ", relazione generale al convegno sul tema: "Potere discrezionale e controllo giudiziario". Brescia 24-25 ottobre 1997; V. Zuballi "Il controllo della discrezionalità in Italia", ibidem
[14] Cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 14 aprile 1998 n. 605; 24 settembre 1997 n. 1013; in Cons. Stato, 1998, I, 256; 1997, I, 513.
[15] Come noto., la Corte è intervenuta dal 1966 sul punto non poche volte
[16] E. Roherssen, Gli strumenti urbanistici italiani, cit., pag. 28
[17] Cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 22 maggio 2000 n. 2934, in Sett. Giur., I, 435, che disconosce la configurabilità di aspettative qualificate rispetto ad una possibile destinazione edificatoria dell'area con riferimento ad una precedente determinazione dell'Amministrazione. Cfr. P. Stella Richter "L'aspettativa di provvedimento", in RTDP 1091,3
[18] Loc. cit.