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SANDRO PELILLO
(Associato di diritto amministrativo
nell'Università di Teramo)
Le nuove disposizioni in materia di giustizia amministrativa
(l. 21 luglio 2000 n. 205):
Il ricorso avverso il silenzio dell'amministrazione*
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SOMMARIO: 1- Premessa. 2- Il silenzio non significativo. 3- La tutela nella giurisdizione amministrativa. 4- La preregolazione temporale dell'azione temporale: inattualità della diffida. 5- L'oggetto del giudizio. 6.1- Le nuove disposizioni ex art. 2 l. 205/2000. 6.2- in particolare ex comma primo. 6.2.1- La decisione. 6.3- ….ec comma secondo. 6.4- ….ex comma terzo. 7- Tutela cautelare e ric. ex art. 1: cenni. 8- Conclusioni.
1- Premessa
La sentenza della Corte Costituzionale n. 292 del 17 luglio 2000 [1] (con la quale, come noto, sono stati dichiarati illegittimi i commi 1, 2 e 3 dell'art. 33 del d.lgs. 31 marzo 1998 n. 80 [2], nella parte in cui hanno devoluto alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutta la materia dei pubblici servizi nonché dell'edilizia ed urbanistica, eccedendo i limiti della delega conferita con l'art. 11, comma 4, l. 15 marzo 1997 n. 59 [3]), ha provocato la immediata reazione del legislatore che, con inusuale [4] rapidità, ha licenziato "Disposizioni in materia di giustizia amministrativa", approvate con l. 21 luglio 2000 n. 205 [5], con le quali, oltre a porre rimedio alla lacuna provocata dal Giudice delle leggi, appena ricordata, sono state introdotte, in luogo di una riforma organica, nuovi istituti processuali e nuove regole che vanno a coonestarsi con l'impianto vigente, forte dei referenti essenziali, prioritariamente identificabili nel regolamento di procedura dinanzi alle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato, approvato con r.D. 642/1907, nel T.U. 26 giugno 1924 n. 1054, delle leggi sul Consiglio di Stato e nella l. 6 dicembre 1971 n. 1034, con la quale si dispose la istituzione dei Tribunali Amministrativi Regionali.
Per la prima volta, il legislatore si preoccupa - in ambito processuale - del silenzio non significativo [6], introducendo, con l'art. 2, l'art. 21 bis l. 1034/1971, che è il risultato del coordinamento tra il disegno di legge n. 2934 approvato dal Senato il 22 aprile 1999 e la proposta d'iniziativa dell'On. Frattini, presentata il 26 giugno 1997, con emendamenti [7].
Una variante, vale subito segnalare perché di ausilio per affontare le non poche difficoltà interpretative e di risultato identificabili, si coglie tra il primo e la seconda, alla quale si tornerà in appresso.
Prevedeva il ddl. richiamato, che i ricorsi avverso il silenzio della P.A. sarebbero stati decisi in camera di consiglio con "ordinanza succintamente motivata" entro trenta giorni dalla data di deposito del ricorso, con la possibilità di nominare un commissario incaricato dell'esecuzione, nel caso di ulteriore inottemperanza dell'Amministrazione" [8].
Nulla specificava la proposta al riguardo cioè se il Giudice Amministrativo decidesse, fermo il rito camerale, con ordinanza o sentenza, ma con l'intento di individuare ed introdurre la "trasformazione del" ricorso contro il cosiddetto silenzio rifiuto della pubblica amministrazione in un procedimento di urgenza" [9].
Certamente la differenza non risulterebbe solamente nominalistica.
Decidere, invero, con ordinanza (evidentemente non solo perché pronunciata in Camera di Consiglio) dovrebbe (rectius: avrebbe dovuto) costituire una novità in assoluto, introducendosi, secondo modello del processo civile, uno specifico potere discrezionale del G.A. ed ancor prima un autonomo procedimento, da accostare alle misure d'urgenza secondo il codice di rito [10].
Sta, però, che nel testo definitivamente approvato è stabilito, tra l'altro, che detti ricorsi vengano "decisi in Camera di Consiglio con sentenza".
Si abbandona, dunque, un possibile tertium genus (rispetto ai poteri decisori tipici) e si modella il processo con la chiusura con sentenza conseguente a ricorso avverso il silenzio rifiuto [11], con la previsione, come sarà di seguito analizzato, di una articolazione complessa che non pochi interrogativi pone e senza adeguata chiarezza, non solo in rito, necessaria per la innovazione in sé ma per la esatta definizione dei poteri decisori del G.A. che, sia consentito anticipare, appaiono pur sempre formalmente ricompresi nella giurisdizione generale di legittimità e, quindi, da porre a confronto con i risultati effettivamente conseguibili con l'accoglimento del ricorso.
Non pochi, pertanto, sono gli interrogativi che la novella delle regole, rigorosamente processuali in tema di silenzio non significativo, pone e viene dato di chiedersi se, a ben vedere, spinte evolutive effettivamente si registrano o se correttivi di minore eclatanza perché modulati sugli istituti tipici del sistema avrebbero potuto fornire una risposta più pertinente e peculiare[12]: risposta che, ancor più significativamente, potrà dare la giurisprudenza pretoria, anche se è forte il rischio del condizionamento del nuovo diritto positivo de quo, potendovisi individuare limitazioni, se non preclusioni, alla capacità creativa ed al ruolo di supplenza del giudice amministrativo.
2- Il silenzio non significativo.
Costituisce premessa d'obbligo, prima che all'analisi, all'approccio alle nuove regole processuali e, quindi, ai poteri decisori accreditati al G.A., più concretamente, agli obbiettivi conseguibili, risalire al rapporto tra procedimento, cui, in qualche misura, è relazionato (anche se non in termini di espressività di risultato) e processo, che prende vita (e sostanza) ad iniziativa di chi ha interesse a farne derivare una posizione concretamente vantaggiosa e, quindi, l'individuazione dell'oggetto del giudizio [13], in tema di silenzio non significativo [14].
L'assenza di provvedimento, priva di qualificazione di equipollenza, per fictio affermata normativamente [15], porta ad evidenziare, ancor più emblematicamente, un limite del potere amministrativo, chè si sottrae di fatto all'esercizio di una funzione [16] peculiare, che concorre a qualificare, diversificare ed identificare l'esistenza stessa di un determinato centro di imputazione e, conseguentemente, una volta riconosciuta la praticabilità dell'accesso alla giurisdizione, il ruolo del potere giudiziario, il cui esercizio, come noto, nella sua primigenia impronta e caratterizzazione, è però modellato sull'atto, prototipo della capacità dell'Autorità amministrativa per modificare, ampliare o comprimere la sfera giuridico-patrimoniale degli amministrati, sotto l'egida della invariante (ma, fino a che punto?) del primato dell'interesse pubblico [17], che non può risultare affermato quando il potere amministrativo, cui deve preventivamente relazionarsi l'interesse di pretesa, si sottrae, non si attualizza, resta indifferente, confinandolo nella indeterminatezza e quindi privandolo della necessaria (perché così vuole l'ordinamento) qualificazione, per affermare il conseguimento o titolarità di quel bene della vita verso cui è sotteso.
L'inattività amministrativa, dunque, non produce risultati quando non gioca, come si è già ricordato, un ruolo di supplenza la voluntas legis in termini sia di positività (silenzio assenso; denuncia di inizio attività) che di negatività ( in quanto corrispondente ad atto negativo implicito [18], v. ad esempio, il silenzio rigetto in tema di ricorso gerarchico).
Fa difetto un comportamento concludente della P.A. [19], nel quale potervi identificare, in assenza di determinazione esplicita, la direzione assunta dall'Autorità, titolare della funzione, in grado di far conseguire al destinatario una posizione di vantaggio o di svantaggio, tale - in quest'ultimo caso - da abilitarlo a provocare il sindacato del G.A., secondo l'originario modello impugnatorio, finalizzato a pronuncia cassatoria, idonea a procurare la riemersione del potere amministrativo, ma condizionata dall'esito del giudizio e dalle statuizioni in sentenza.
Viene così a circoscriversi il fenomeno ad una incompiutezza della attività amministrativa, contraria ai generali principi di governo che si relazionano all'essenza stessa della titolarità di poteri caratterizzati dalla primazia della cura di interessi generali, nonchè ai canoni che risiedono nell'art. 97 Cost., che hanno eco nell'art. 1 della legge sul procedimento n. 241/1990, che, nel rispetto di determinate circostanze di tempo e di modo (sulle quali si tornerà), realizza significativamente la saldatura diretta procedimento/processo senza la intermediazione dell'atto amministrativo (in relazione al quale emblematicamente è stato concepito il processo).
L'analisi, dunque, delle disposizioni dettate con l'art. 2 l. 205/2000 non può prescindere dal necessario inquadramento della fattispecie, cui si relaziona il ricorso, anche per poter verificare la sussistenza di (quanto meno) quel margine di positiva flessibilità delle nuove regole in rassegna, evidentemente con adeguato sostegno giurisprudenziale, atteso che il nuovo modello legale, a prima lettura, non sembra offrire [20] ex se di poter individuare l'effettivo raggiungimento di quegli obiettivi che l'hanno ispirato ed auspicati in nome di quella effettività di risultati che l'ordinamento, in uno stato di diritto, deve poter assicurare anche nei confronti della P.A., non soltanto laddove si affermi la giurisdizione piena del G.A. [21], deputato a garantire l'attuazione concreta della giustizia nell'amministrazione.
3- La tutela nella giurisdizione.
Entra, dunque, a regime, per la prima volta, nella normazione del processo amministrativo, in un contesto più ampiamente definito di giustizia amministrativa (come è titolata la l. 205/2000), la praticabilità, già peraltro riconosciuta ed affermata dalla giurisprudenza ab initio, della tutela avverso il silenzio della P.A., con un primo punto di domanda: si è in presenza di regola processuale o di istituto in grado di realizzare effettivamente una giustizia celere nell'Amministrazione?
Ma quale silenzio? [22]
Come, quando, perché e quali poteri, su adeguata sollecitazione nei limiti proposta con ricorso, è chiamato ad esercitare il G.A.?
Agli interrogativi di sempre si aggiungono quelli procurati dalla novella del 2000, da prendere in considerazione, non soltanto con riferimento all'art. 2 ma all'art. 7 (ferma la rilevanza del disposto di cui all'art. 17, comma primo, lett.f l. 59/1997) [23], in considerazione della nuova e generalizzata risarcibilità della lesione subita dall'interesse legittimo.
Occorre andare con ordine.
Quale silenzio, dunque, è condizione dell'azione, fattore legittimante l'accesso alla giurisdizione amministrativa?
La risposta, senza alcun dubbio, già insita nella lettera della legge, conduce alla individuazione dell'inerzia, senza risultato per equivalente, del comportamento di un determinato soggetto pubblico che, sollecitato alla funzione di titolarità, se ne sottrae, impedendo all'interessato (perché il più delle volte è all'iniziativa di impulso del privato che non corrisponde l'Autorità deputata) non solo di conseguire, come si è già accennato, una posizione qualificata che solo l'Amministrazione competente può assicurargli, ma di conoscere l'esito della valutazione che alla stessa è riservata.
La strutturazione fisionomica, dunque, è molto semplice. Non altrettanto le conseguenze e la compiutezza dei (nuovi) rimedi nella giurisdizione.
Viene in emersione l'eterno squilibrio che caratterizza le posizioni giuridiche soggettive abilitate a dialogare: il titolare dell'interesse legittimo, abbisognevole di un puntuale esercizio di potere amministrativo, ed il soggetto che ne è investito e che ne gestisce anche la temporalizzazione.
Se, invero, non può non convenirsi con autorevole dottrina [24] che con l'art. 2 della l. 241/1990 è stata dettata certezza dell'agire amministrativo, con la preregolazione del tempo del procedimento, entro cui, cioè, deve concludersi, con la adozione di provvedimento di chiusura, secondo tempistica differenziata, risultante da distinti processi di delegificazione, autodisciplinati da ciascun Ente, pena la surrogazione, ex auctoritate legis, con un limite residuale (30 giorni), generalizzato, non può parimenti trascurarsi di considerare che, ciononostante, in concreto permane l'incertezza, in una con l'assenza di conseguenze, ove si pensi alla sopravvivenza della necessità di notificazione dell'atto di diffida, come si dirà in appresso (che finirebbe per essere un termine di grazia anticipatorio rispetto a quello ulteriore che assegnerà il G.A., come si registra già, ad esempio, nella seriazione dell'ottemperanza), ed alla conservazione della potestas decidendi.
In sintesi, non sembra azzardato poter ritenere che la certezza dell'agire amministrativo - che concorre a tradurre il principio cardine del buon andamento - resta nella piena disponibilità dell'Autorità competente e risulta osservata, solo se e quando lo ritenga.
Difficoltà oggettive per sovraccarico (un "overbooking" applicato all'apparato o alla sua funzionalità) non possono giustificare l'inerzia o, se si preferisce, la disfuzione, non solo nel tempo corrispondente, evidentemente virtualmente previsto e sottostimato, a pervenire ad una determinazione puntuale ma anche oltre la soglia di supplenza, procurata, con l'addizione del nuovo margine assegnato dall'interessato.
E' e resta solo un fenomeno di malcostume [25] che la legge sul procedimento ha preso affatto in considerazione, così perdendo (consapevolmente ?) una buona occasione [26].
E' vero che il legislatore, peraltro restando al limite della previsione [27], in ossequio al metodo della delegificazione, ad oggi incompiuta, successivamente ha riconosciuto la indennizzabilità del ritardo (che potrebbe costituire un deterrente, se si correlano almeno giudizi di responsabilità a carico dei funzionari dinanzi la Corte dei Conti), o omissione di provvedimento, ma è un dato di riscontro che la nuova disciplina processuale, in punto alla tutela avverso il (a causa di ) silenzio, avrebbe dovuto essere preceduta, quanto meno in parallelo, da intervento legislativo riguardante l'ambito sostanziale, con innegabile positivo riflusso sul contenzioso, soprattutto riguardo alla ampiezza e puntualità dei poteri decisori del G.A..
Sta, dunque, che, allo stato, la novella della l. 205 è sprovvista del necessario coordinamento con la disciplina del procedimento e di una più organica (ri)determinazione della giurisdizione amministrativa, se non della affermazione della giurisdizione piena [28] del G.A. -certamente più penetrante ed incisiva quando si registra l'indifferenza dell'Amministrazione, che preferisce avvalersi della unilaterale prerogativa della dilatazione indeterminata dello spatium decidendi.
A ciò si aggiunge la permanenza degli elementi e principi di diritto sostanziale in punto al silenzio de quo, che continua a convivere con lo sviluppo in progress della semplificazione dell'azione amministrativa [29]
Ciò implica che premessa necessaria allo studio del "nuovo" processo in questione continua ad essere lo stesso stato dell'arte del procedimento amministrativo [30], che ha primo ed unico referente normativo ordinario nella l. 241/1990: ma, come è noto, il legislatore ha voluto dettare regole sul procedimento (con l'enunciazione di principi, ai quali va informata l'attività amministrativa, all'art. 1), omettendo di prestare attenzione diretta al silenzio quando non identifica risultato di statuizioni per equipollente e che conserva l'idoneità ad essere utilizzato come anello di congiunzione con la giurisdizione.
Resta, invero, inalterato lo scenario nel cui contesto va a collocarsi la tutela esercitabile ad iniziativa di chi si presenta al G.A. perché in attesa di provvedimento che gli spetta ottenere(attività vincolata), o può spettargli (attività discrezionale) e che intende ottenere.
L'ordinamento, dunque, continua a restare privato di adeguate norme di azione, da prendere precipuamente in considerazione quali "potenzialmente fondanti, ad un tempo, un dovere dell'autorità ed una pretesa dei singoli"[31], dal momento che proprio laddove difetti il provvedimento, come punto di emersione e compiutezza esteriorizzata del potere amministrativo (o fictio di equipollenza, per volontà del legislatore), non può non ricercarsi, specularmente alla negazione di funzione[32], che vi si identifica, a fortiori il ruolo dei poteri esercitabili dal giudice amministrativo anche in relazione alla stessa giurisdizione generale di legittimità[33].
Ma, ai fini dell'esame del "nuovo" processo e della individuazione dei risultati conseguibili dal ricorrente, attraverso l'affermazione della illegittimità di un comportamento, non concludente, di un determinato soggetto pubblico, che non operando (in tutto od in parte), si è procurato una "riserva di potere formata al riparo dell'inazione" [34], contra jus, "simbolo mostruoso dell'arbitrio amministrativo" [35], e non possono essere trascurati i principi di governo della stessa attività amministrativa e del suo manifestarsi tipico per procedimenti, preordinati a produrre risultati mediante provvedimenti [36], nel cui contesto si collocano gli interessi primari e secondari, necessariamente in correlazione [37] quando non si realizza, in sostanza, la trasformazione completa del potere in atto.
E' di tutta evidenza che il soggetto che ecciti l'esercizio di un potere amministrativo abbia l'obiettivo di poter conseguire, per quel tramite, un determinato bene della vita, che l'ordinamento riconosce, dimostrando la titolarità di un "interesse - diritto al provvedimento" [38]: provvedimento che, come è stato ricordato, continua ad essere, pur in presenza di una innegabile spinta di trasformazione, per il favore verso modelli consensuali, di matrice privatistica, l'espressione caratterizzante l'esercizio del potere amministrativo.
Quando, però, faccia difetto, per scelta consapevole dell'Autorità deputata a decidere (nella quasi totalità dei casi), affiorano i limiti derivanti dalla non identificabilità dell'omissione, come risultato per implicito, e che ha una sua storicizzazione[39], quasi coeva alla giurisdizionalizzazione della tutela dell'interesse legittimo, a testimonianza del peso, e della rilevanza che assume, e che diventano ancor più evidenti in questo tempo di riforme [40] e di innegabili spinte acceleratorie, di snellimento e di ricerca di affermazione della trasparenza nell'azione amministrativa.
Con l'art. 2 della l. 241, in sostanza, prestando il legislatore attenzione solamente alla temporalizzazione del procedimento, non è stata superato che alcuna norma attribuisce "alla omissione di pronuncia su un'istanza un valore legale tipico" [41], facendosi da ciò derivare che "il silenzio dell'Amministrazione non ha…altro valore che quello di inadempimento all'obbligo di pronunciare sull'istanza: si tratta cioè di un mero inadempimento", come concludeva lo stesso illustre Autore.
E' ben nota, invero, la posizione non unanime sul punto [42], in quanto, come ha sottolineato autorevole dottrina [43], l'inquadramento della fattispecie in siffatti termini dovrebbe poter implicare un giudizio di valore (anche giuridico), ma così non è né risulta possibile, stante la tipicità delle categorie, e l'inadempimento è un atto giuridico, secondo la dottrina privatistica [44], mentre il silenzio in quanto tale non può che (continuare ad) essere apprezzato come mero fatto, un accadimento, idoneo a costituire presupposto processuale, ma non anche oggetto del giudizio.
Il disposto di cui all'art. 2 l. 241/1990, in realtà, ripropone il rapporto amministrato/Amministrazione, in presenza di atto di impulso da parte del primo, in termini di obbligo di provvedere a carico della seconda [45], ma non sembra potervisi cogliere i tratti dell'inadempimento [46] nella ipotesi in cui detta istanza non abbia alcun esito.
Se così non fosse, si è interrogata autorevole dottrina [47], "quale logica conseguenza (…) deve essere consentito al privato di chiedere l'adempimento di tale dovere e altresì di chiedere il risarcimento del danno per omesso (o tardivo) adempimento dello stesso".
L'interrogativo in parola conduce al confronto con la volontà successivamente espressa dal legislatore con l'art. 20, comma 5, lett.L, l. 59/'97, a proposito della previsione di indennizzo (significativamente), forfettario ed automatico, per il caso di mancata o ritardata adozione del provvedimento e di "ipotesi di ritardato o incompleto assolvimento degli obblighi e delle prestazioni da parte della p.a." [48].
Non sembra potervisi individuare elementi idonei a poter influire sulla tematica dell'inquadramento del silenzio in termini diversi rispetto a quelli cui si è fatto cenno, perché anche se detto indennizzo vada relazionato ad una (conclamata) violazione del dovere di provvedere, non può parlarsi in chiave risarcitoria ma va condivisa una finalità sanzionatoria [49], che appare resistere anche a fronte della svolta epocale della risarcibilità del danno per lesione di interessi legittimi, consacrata definitivamente con la l. 205/2000 dopo l'apertura della Corte regolatrice con la sentenza n. 500/1999 [50].
4- La preregolazione temporale dell'azione amministrativa: inattualità della diffida.
Quando, dunque, interviene la cristallizzazione dell'inerzia, tale da consentire al soggetto, ovviamente insoddisfatto dalla indifferenza riservatagli dalla Amministrazione, di accedere alla giurisdizione, così realizzandosi la saldatura tra procedimento (incompiuto) e processo?
Viene in evidenza il problema del tempo dell'azione amministrativa [51], con la esigenza di individuare il momento in cui [52] matura eventualmente la decorrenza del termine per la tutela a fronte della inerzia, priva di significato, della P.A., in relazione ad una richiesta inevasa ab initio, in violazione del dovere di procedere, o riguardo alla chiusura del procedimento, e quindi dell'obbligo di provvedere, ancorché con direzione contraria alla pretesa, all'aspettativa dell'amministrato [53].
Costituisce tema tipico di diritto sostanziale, che acquista rilevanza in sede processuale, sul quale né la l. 241/90 né la l. 205/2000 sono intervenute.
Ed è stata proprio la regola generalizzata, di imporre alla attività amministrativa l'assoggettamento a limite temporale, a suscitare l'attenzione del diritto vivente sulla sopravvivenza, e quindi compatibilità, dell'istituto della diffida, da notificare all'Amministrazione dopo un congruo margine di tempo dalla presentazione di richiesta di adozione di provvedimento ampliativo [54], che, come noto, ha caratterizzato la disciplina della tutela nella giurisdizione in relazione al silenzio, fino a procurare la dichiarazione di inammissibilità del ricorso che non ne fosse stato preceduto.
Nella logica argomentativa, invero, escludente ogni riferimento ai principi affermati con il più volte menzionato art. 2 l. 241/90, deve riconoscersi giusto significato alla esigenza di costruire, fittiziamente, lo spatium decidendi di ogni soggetto pubblico chiamato ad esercitare poteri autoritativi in conseguenza ad una richiesta dell'amministrato.
In realtà, deve convenirsi che la soluzione, derivata da giurisprudenza pretoria, di allineare inizialmente la fattispecie alla disciplina di cui all'art. 5 T.U. Legge comunale 1934 n. 383 e quindi estendere, a regime, il modello definito con l'art. 25 T.U. n. 3/1957, risponde ad un criterio di esigenza di certezza, garante la posizione giuridico-soggettiva dialogante con il potere amministrativo, ancorchè precipuamente ridondante sulla esperibilità del rimedio giurisdizionale.
Dalla originaria indeterminatezza, dunque, incontrollata ed incontrollabile (salvi profili penalmente rilevanti), senza la capacità reattiva dell'interessato che apre la strada al contenzioso mediante intimazione a provvedere, che si colloca in termini di consequenzialità alla domanda, al pari dell'omologo atto che precede il giudizio di ottemperanza [55], con dilatazione del margine temporale per l'esercizio di un potere amministrativo puntualmente eccitato, si perviene alla ripetuta preregolazione ex lege (anche per regolamenti) e ciò dovrebbe risultare idoneo e sufficiente ad escludere la intermediazione della diffida, per dover assumere ruolo costrittivo - pur sempre suppletivo - prodromico a giustificare la correttezza e quindi la ammissibilità del ricorso, prima ancora della affermazione del diritto al provvedimento (quando si riesca a superare il più semplice limite della risposta) [56].
Certamente, non è agevole poter escludere la pertinenza, anche in presenza della ripetuta regola generale di un criterio di temporalizzazione dell'attività amministrativa, che si traduce in affermazione di ponderazione preventiva di un margine di sufficienza per potersi applicare il diritto ad un caso concreto, dell'onere di un ulteriore atto di iniziativa a carico del soggetto che chiede la produzione di determinazione autoritativa, se si ragiona intorno ai principi peculiari al diritto amministrativo ed alla specifica circostanza della permanenza della esercitabilità del potere, almeno fino allo insediamento del Commissario ad acta, secondo la novella di cui all'art. 2 l. 205/2000.
Non sembra, però, del pari potersi trascurare di considerare che conservare attualità all'atto di diffida, in presenza della più volte menzionata "certezza del tempo dell'agire amministrativo" [57], che si afferma con il principio dettato con l'art. 2 l. 241/1990, equivale sostanzialmente a vanificarne, quanto meno a svilirne la portata, come se nulla fosse stato innovato sul punto.
E' pur vero che non può in detta disposizione cogliersi la perentorietà dei termini, anche in assenza di definizione delle conseguenze (non potendo riconoscersi adeguatezza e corrispondenza sul punto nell'art. 20, comma 5, lett.F l. 59/1997, per la intrinseca finalizzazione, ancorché l'indennizzo de quo risulti accostabile ad una sanzione) [58], che in siffatto contesto dovrebbero farsene derivare, tanto più se riferito ad un soggetto che, giova ricordare, non è portatore di interessi individuali, egoistici, ma svolge (rectius: dovrebbe; è tenuto a svolgere) una funzione, della quale è stato investito, per far osservare il primato dell'interesse pubblico anche quando deve verificarsi la compatibilità e la coesistenza del modo di realizzare, e quindi risultare soddisfatto l'interesse di un amministrato, sia uti singulus che come espressione elitaria di interessi di categoria o di una determinata componente del corpo sociale.
Né, peraltro, può convincere che, a ben vedere, siffatto adempimento tornerebbe a vantaggio dell'istante per poter acquistare la ritualità del ricorso, sotto il profilo della tempestività (evidentemente continuando a ragionarsi in termini di decadenza - da relazionare ai canoni "classici" del giudizio impugnatorio) e non restare imbrigliati nelle maglie dell'incertezza per dover conoscere e quindi relazionare la richiesta di provvedimento alla normazione, ancorchè secondaria, del relativo procedimento, con il rischio di incorrere nella comminatoria di una pregiudiziale in rito, quale la irricevibilità del ricorso per tardività.
Potrebbe risultare agevole osservare che, a tacer d'altro, dovrebbe non risultare estraneo agli incombenti, di cui all'art. 7 stessa l. 241, far conoscere il tempo di "durata" della sommatoria di tutte le fasi, a partire dalla iniziativa, istruttoria, decisoria e fors'anche della integrazione dell'efficacia ed, in assenza, riconoscere la scusabilità dell'errore, salvo pur sempre poter riflettere sulla reiterabilità della diffida [59] che, come noto, il massimo Organo di Giustizia ha mutuato dall'ordinamento degli impiegati civili dello Stato (art. 25 d.P.R. 3/57, che è assurto, quindi, al rango di norma di principio).
Autorevole dottrina, di recente [60], nel constatare che la giurisprudenza formatasi successivamente alla entrata in vigore della legge sul procedimento amministrativo, "non ha espunto la diffida notificata dal meccanismo di formazione del silenzio da <impugnare>", ha ritenuto detto indirizzo non più giustificabile a fronte dell'art. 2 più volte citato, della l. 241, sul presupposto che "se, infatti, ciascuna amministrazione ha la possibilità di valutare a priori l'adeguatezza dei termini in relazione alle diverse fattispecie procedimentali, si finirebbe per eludere la portata innovativa della previsione normativa se poi si consentisse all'amministrazione stessa di non rispettare tali termini ed anzi di prolungarli attraverso il meccanismo della diffida (ed i tempi per azionarlo)" [61].
Propone, tuttavia, e va condivisa, soluzione mediata, tra tesi conservatrici della “tradizione giuridica formatasi ante l. 241 e progressivamente confortata da detta novella, riservandola ai soli casi in cui, in assenza di preregolazione legislativa e regolamentare, debba farsi riferimento allo spatium procedendi atque decidendi, stimato in via residuale, ex art.2, in trenta giorni [62].
Il rapporto amministrato – Amministrazione, dunque, valorizzato, più che instaurato [63]attraverso impulso, da parte del primo, ad un determinato procedimento, a fronte della consumazione dello spatium decidendi, comprensivo o meno del (si propende in assenza di) termine additivo procurato dallo stesso istante, con la intermediazione di apposito atto di diffida, non realizza la primazia dell’interesse pubblico in relazione all’assetto che vi si rinviene (e che, comunque, sussiste), perpetuandosi solamente la immodificazione e l’assenza di verifica di modificabilità, nei sensi in tutto o in parte richiesti dall’istante [64].
Alla scadenza, quindi, si registra solamente un accadimento neutro che si trasforma in presupposto per poter adire il G.A., come è stato più volte accennato, e trascina nella giurisdizione l’incompiutezza del procedimento che si è registrata a motivo della inerzia, senza possibilità di qualificazione per equivalente, della Autorità, titolare di poteri decisori, non esercitati, ancorché esercitabili.
5- L'oggetto del giudizio.
L’indagine sul silenzio de quo apre, dunque, verso gli interrogativi di sempre, intorno all’oggetto del giudizio [65] al quale può seguire e, in particolare, intorno ai poteri decisori del G.A., cui si aggiungono quelli che, a prima lettura ed in attesa di adeguato riscontro giurisprudenziale, suscita la l. 205/2000, in assenza di una rimodulazione [66] dell’intero sistema di giustizia amministrativa, trascendente regole processuali, consona alle esigenze crescenti, note, di effettività di tutela nei confronti della P.A. e di allineamento ai modelli processualcivilistici, tanto più percettibili una volta abbattuto il diaframma del discrimine della irrisarcibilità della lesione dell'interesse legittimo.
Occorre andare per ordine.
La vocativo judicis, in relazione al (o in attualità di) silenzio, invero, resta immutata riguardo all’atto introduttivo, secondo usuale modello da ricorso, rinvenendosi elementi di riscontro nella novella di cui al più volte menzionato art. 2 l. 205/2000, nella attenzione riservata al processo ed alle fasi di sviluppo attraverso le quali si è relegati a rilevare se l’intento del legislatore sia tale da consentire di poter effettivamente superare il gap di una necessitata scomposizione, secondo articolazione improntata al sistema previgente (giudizio ordinario, con pronuncia nel merito, atto di diffida e messa in mora ex art. 90 r.D. 642/1907, oggi non più subordinati e condizionati dalla preesistenza di giudicato formale [67]; giudizio di ottemperanza) [68] e quindi di raggiungere, con adeguata tempestività, il superamento dell’inerzia dell’amministrazione nell’esplicazione di competenze pubblicistiche, con la mediazione del G.A. [69].
La disponibilità del solo “nuovo” rito – tiene conto anticipare – non sembra, invero, prima facie, offrire svolte significativamente vantaggiose per il ricorrente se non interviene l’opera costruttiva della giurisprudenza pretoria del G.A., ove non si ritenga a ciò impedito da limiti formalmente rinvenibili nel disposto di cui al più volte richiamato art. 2 l. 205/2000.
L’oggetto del giudizio, dunque.
E’ di indubbia rilevanza, per la correlazione ai poteri decisori del G.A., soprattutto in considerazione, come si è fatto cenno, della introduzione della nuova disciplina processuale in assenza di riordino organico dell’intero sistema di giustizia, che non contempla espressamente azioni di adempimento, secondo l’ordinamento tedesco [70], con, peraltro, perpetuazione della tripartizione della giurisdizione del G.A., in una con l’attribuzione allo stesso di poter pronunciare sentenze di condanna, in termini risarcitori, non più ristretta alle sole materie di giurisdizione esclusiva.
E’ noto, invero, il processo evolutivo dell’originario giudizio sull’atto e quello sul rapporto [71], che non viene qui riproposto, che autorevole dottrina [72] ritiene in crisi ed individua l’emersione, come elemento di individuazione dell’oggetto del giudizio, della pretesa del ricorrente, pienamente “coerente (…) nel riconoscimento della pienezza della tutela giudiziaria all’interesse legittimo”, che non può subire flessioni, soprattutto quando ne è più abbisognevole, per lo squilibrio che si coglie nel comportamento riottosamente indifferente della P.A., che non produce alcun risultato per equivalente.
Nel caso in rassegna, la pretesa non può essere circoscritta, semmai relazionata, a qualcosa che non esiste e che non ha dignità di intrinseca qualificazione giuridica, alternativa per equipollente, che, come è noto, è solo l’ordinamento positivo a consentirlo.
“Il rifiuto (…) è l’evento lesivo, non il titolo della domanda” [73].
Il silenzio è un mero fatto che storicizza il non esercizio, puro e semplice, di un potere amministrativo, richiesto da spinta estrinseca [74], che, in quanto tale, non può circoscrivere e definire esaustivamente quel che si domanda al Giudice.
L’amministrato, che ovviamente versi in posizione qualificata [75], viene a disporre di una “occasione” di tutela non fine a se stessa ma sottesa a procurare la prosecuzione del procedimento, individuabile nella iniziativa di impulso, secondo distribuzione funzionale, quantomeno per materia e specificatamente il provvedimento di chiusura, possibilmente di segno conforme alla richiesta.
Che, poi, detta iniziativa non si riscontri, ad opera del G.A., essere stata tempestivamente o pertinentemente e correttamente relazionata alla competenza di un determinato potere amministrativo (si pensi ad ipotesi di carenza di legittimazione attiva, di attribuzioni, etc…), è questione che appartiene all’esito del giudizio ma non modifica il ruolo in sé della ripetuta cristallizzazione dell’inerzia dell’Amministrazione, quale mero presupposto processuale [76], per potersi adire la giurisdizione.
Del pari, è a dirsi se il decisum affermi, indifferentemente, la fondatezza o meno della domanda.
Ma, a ben riflettere, non sembra azzardato poter riconoscere nel silenzio, una volta delineato, qualcosa in più del mero presupposto, cui si è fatto cenno, ove si consideri che non può non entrare comunque a far parte del petitum – ed è quel che più rileva - cumulativamente [77] a quel quid pluris nel quale identificare l’oggetto vero della tutela in quanto finalizzata a provocare poteri decisori forti, idonei ad andare oltre la mera dichiarazione, che non sussiste se la domanda è palesemente infondata [78], dell'obbligo di provvedere, salvo verificare come e quando, se con la usuale scomposizione in giudizio ordinario e di ottemperanza, o con giudizio unificato, se l'art. 2 l. 205/2000 si piega ad una interpretazione più avanzata rispetto a quanto emerge dal dato letterale, a scapito di quanto era in votis o nelle intenzioni emerse in fase preparatoria, come si vedrà in seguito, che possa pessimisticamente condurre verso risultati di regresso rispetto a quelli raggiunti attraverso la non inusuale giurisprudenza pretoria.
Se, dunque, l'accesso alla giurisdizione è provocato dalla identificabilità, in ambito procedimentale, del perpetuarsi dell'indifferenza dell'Amministrazione, che ritiene così di non pregiudicare gli interessi generali, dei quali ha la cura, e nel contempo di non comprimere la pretesa del soggetto che ha formulato una determinata richiesta, o farla coesistere con quelli perché compatibile, in disvalore, evidentemente, non soltanto delle regole generali dell'agire ma, in concreto, in direzione mirata e consequenziale, ci si deve soffermare sul silenzio in rassegna come presupposto processuale, in quanto, procurando o svolgendo la veicolazione diretta nel processo di un procedimento carente del relativo provvedimento di chiusura, non può non aprire ad un unico giudizio articolato in due domande connesse (alle quali l'art. 20 comma 5° lett. h l. 59/'97 consente di aggiungerne una terza): la declaratoria della illegittimità del silenzio e, in stretta subordinazione ed intima connessione, la condanna al facere specifico [79].
La prima, è pregiudiziale alla seconda, che però non può risultare eventuale o limitata alle sole ipotesi in cui si è in presenza di attività vincolata [80], come evidenziato in A.P. n. 10/1978.
E' giocoforza, a questo punto, aprire al tema delle sentenze del G.A. e, più precisamente, se, tralasciando le innovazioni riguardo ai nuovi poteri di condanna, nella giurisdizione generale di legittimità, ulteriormente alle costitutive, che si posizionano in stretta fedeltà allo impianto primigenio, siano consentite pronunzie dichiarative [81], ulteriori rispetto a quelle attinenti il rito.
Tema al quale si correla, come è d'uopo, la trascendenza del giudizio dall'atto al rapporto [82], in assenza di statuizione esplicita a contenuto provvedimentale, o implicita ex lege.
Assai rilevante, come noto, l'attenzione del diritto vivente sul punto [83]in quanto problema dominante l'intero sistema.
La permanenza del rapporto, cui l'atto inerisce, anche quando oggetto del giudizio ne è il sindacato sulla legittimità, non può non emergere ed affermarsi nel ruolo del G.A. che, con la sentenza, deve poter sapere indirizzare la futura attività amministrativa, in quanto riferita ad un precipuo contesto, quale è appunto la relazione che si instaura puntuale tra l'amministrato e l'Amministrazione, quando questa, a domanda, è chiamata a svolgere la funzione di titolarità per uno obiettivo specifico.
Trattasi, in sostanza, sempre di accertamento attraverso l'atto, sul potere esercitato.
La riemersione del potere amministrativo (per essere stati espressamente fatti salvi gli ulteriori provvedimenti amministrativi ex art. 45 r.D. 1054/1924 e per espresso riaccreditamento della posizione della Amministrazione ex art. 88 r.D. 642/1907, in quanto, da intendersi come affermazione di principio, l'esecuzione delle sentenze si fa in via amministrativa), non è estranea alla valutazione e ponderazione del Giudice che accogliendo il ricorso, deve farsi carico anche del nuovo e conseguente potere amministrativo da esercitarsi.
A fortiori, il rapporto - senza emersione e convergenza in un atto (annullabile) [84]- diventa direttamente oggetto di accertamento non in funzione del solo fatto che in relazione ad esso potere amministrativo amministrativo, in un determinato arco di tempo, non sia stato esercitato ma anche e conseguentemente perché deve essere esercitato ed in qual modo.
Deve potersi porre in relazione ai principi garantistici, costituzionalmente affermati, il comportamento inerte della P.A., per poter riflettere che la tutela non può soffrire limitazioni, quanto al risultato conseguibile, in dipendenza dell'attestarsi dell'attività amministrativa al modello legale di riferimento, nel senso di dover affermare tout court una differenziazione positiva solo in favore di quella cd. vincolata [85].
Alla unicità del rapporto che si identifica in un determinato procedimento, e che dovrebbe coagularsi nella determinazione autoritativa di chiusura, non può non corrispondere unicità di poteri di accertamento, e quindi decisori, da parte del G.A., indipendentemente dall'inquadramento della ripetuta attività amministrativa.
A ben considerare, proprio in quella che viene classificata di discrezionalità, si colgono l'ampiezza (spesso, voluta) del vuoto provocato dall'inesercizio neutro di potere amministratrivo e la speculare esigenza che vada colmata nella giurisdizione e quel che appare invalicabile, rispetto al limite esterno, in realtà non può rimanere tale per relegare il giudizio in un ambito di mera esercitazione dialettica.
Ma, deve permanere la consapevolezza che l'ordinamento deve poter assicurare concreto significato ai più volte ricordati principi di tutela nei confronti della P.A., anche in relazione a fattispecie quale quella alla quale si sta facendo riferimento, ancorché il risultato definitivo si articoli, con tutte le implicazioni di dispersione di risorse, di tempestività, in due giudizi: è, però, denso di significato che nel primo (giudizio di merito) possono esplicarsi poteri penetranti del Giudice Amministrativo [86] con la duplice direzione, immediatamente verso l'Amministrazione, che potrebbe conformarsi non solo ovviamente in via formale, e mediata verso se stesso, quale Giudice dell'ottemperanza.
6- Le nuove disposizioni ex art. 2 l. 205/2000.
Lo scenario, dunque, entro il quale vanno a collocarsi le disposizioni dettate con l'art. 2 l. 205/2000, ha punto fermo nell'ingresso del giudizio di accertamento nella giurisdizione generale di legittimità, secondo l'apertura (nel 1978) della Adunanza Plenaria - che però non si estende sino a definire in termini di concretezza il conseguente obbligo di provvedere.
Non si è formata ed affermata la consapevolezza dei connessi poteri del Giudice fino a doversi ritenere superato il discrimine tra attività vincolata e discrezionale [87].
E' stata registrata una oscillazione, nella quale autorevole dottrina ha individuato, dall'esame della giurisprudenza, tre orientamenti [88], che vanno dalla dichiarazione dell'obbligo di provvedere, da parte dell'amministrazione soccombente, senza alcuna possibilità di accertamento, nel giudizio che si instaura nella giurisdizione generale di legittimità, sulla titolarità del ricorrente vittorioso ad ottenere quanto aveva richiesto, alla ipotesi in cui (definita "tesi intermedia")ciò accada in presenza di attività vincolate o "se la fondatezza dell'istanza rimasta priva di riscontro rilevi ictu oculi", per approdare a quella ("più aperta"), secondo cui il Giudice è richiesto di pronunciarsi concretamente, in stretta relazione, una volta affermatane la fondatezza, alla pretesa sostanziale dell'istante - ricorrente.
E' di tutta evidenza che è, quest'ultima, l'identificazione più consona, epurata di schematismi che conducono inevitabilmente a voler affermare una primazia, troppe volte fine a se stessa, dell'interesse pubblico, come se l'ostruzionismo, che si consolida nell'inerzia, dell'Autorità, deputata ad assumere una determunazione autoritativa, possa concorrere a realizzarla.
A fronte di tutto ciò, nel perpetuarsi l'assenza ordinamentale (fatta eccezione per quel che ha indirettamente riguardato il silenzio in relazione all'art.2 della l. 241/1990) ed in presenza delle sollecitazioni della dottrina [89], è, dunque, intervenuto il nuovo legislatore in punto alla disciplina processuale del silenzio, che - sia consentito ripetere - non può non essere riconosciuto in quello che tipicamente sta ad identificare il comportamento neutro dell'Amministrazione, la disfunzione amministrativa, anche se non mancano accostamenti ed estensioni al silenzio rigetto, come si è già anticipato [90].
Quali novità, dunque, registra l'ordinamento positivo con l'entrata in vigore delle disposizioni in materia di giustizia amministrativa, dettate con la più volte menzionata l. 205/2000 e, segnatamente, in tema di ricorsi avverso il silenzio dell'amministrazione?
Può riconoscersi un miglioramento o peggioramento rispetto all'assetto raggiunto dalla giurisprudenza pretoria del G.A. (nella scansione: procedimento - diffida - ricorso in giurisdizione generale di legittimità - giudicato - inesecuzione - diffida - ottemperanza - commissario ad acta), o indurre autorevole dottrina [91] a ricordare "macchine" (inutili) quali quelle di Munari (non l'omonimo campione automobilistico degli anni settanta), per finire a dubitare del miglioramento della situazione?.
La risposta non è resa agevole dal rischio di potervi cogliere difficoltà applicative, con povertà di concretezza di risultati, se il Giudice amministrativo si attesterà su posizioni interpretative aderenti il dato letterale.
Si rinviene, in realtà, in prima battuta, una spinta acceleratoria nel rito camerale [92], ancorché con termini ordinatori, con una certezza: la consacrazione delle azioni di condanna nella giurisdizione generale di legittimità.
I problemi, però, non sono pochi e di spessore non trascurabile ove si rifletta sui poteri decisori connessi e nella relativa articolazione in ambito processuale e quale identità debba attribuirsi al Commissario (che entra in normazione dopo anni dalla sua "creazione" giurisprudenziale), se o meno implicitamente mutuato dall'attuale modello del giudizio di ottemperanza, nonché in ordine ai poteri relativi ed ai controlli, ed, infine, i margini della tutela effettivamente conseguibile anche in termini di tempo.
Deve convenirsi, sotto quest'ultimo e prioritario profilo che introduce al rito, che è percettibile l'intento del legislatore, operandosi in ambito dei rimedi ad una disfunzione amministrativa, di consentire un recupero dello spazio di attesa del provvedimento richiesto, e quindi della improduttiva dilatazione della attribuzione e concretizzazione dell'esercizio della potestas decidendi, con un processo concentrato e con poteri forti del Giudice amministrativo, fino a suggerire autorevole dottrina[93], come ricordato in premessa, ad auspicare unicità di esito concreto per l'accoglimento dei ricorsi proposti per l'annullamento di atti negativi.
Riguardo ai risultati possibili, non appare altrettanto, con il rischio di dover constatare, se non interverrà un'adeguata apertura da parte del G. A., che risulta rafforzata, nel contesto, "la riserva di potere formata al riparo dell'inazione" [94], con l'allontanamento dagli obiettivi che forse il legislatore aveva in animo fossero raggiunti o riteneva raggiungibili a vantaggio delle situazioni giuridiche soggettive tutelate nella giurisdizione in occasione o in relazione ad illegittimo comportamento omissivo, neutro, della P.A..
6.2.1…ex comma primo.
Il nuovo processo si caratterizza per l'ibrido del rito: trattazione in Camera di Consiglio e statuizione del Giudice, previa eventuale istruttoria (con sentenza o ordinanza collegiale?), con sentenza succintamente motivata [95].
Riflessioni di impatto portano a constatare l'ingresso di una disciplina speciale [96], che forse risente, disarmonicamente, sotto il profilo squisitamente processuale, del passaggio tout court (rectius: sostituzione) della previsione di pronuncia del Giudice con ordinanza, cui si relaziona tipicamente la sede camerale, alla sentenza, che risulta individuata nel testo unificato e definitivamente approvato, senza però alcuna precisazione del perché contestualmente faccia difetto la previsione della pubblica udienza, che è più consona e rispondente ai principi generali [97].
In buona sostanza, l'accantonamento del modello decisorio con ordinanza, che avrebbe potuto implicare l'introduzione, a regime, di un genus diverso (procedimenti di urgenza in senso proprio) [98], al quale si era inteso fare riferimento in sede parlamentare, con il contestuale, ripetuto esame della domanda, formulata con ricorso, in Camera di Consiglio, non sembra consentire di poter riconoscere nella specie un "rito camerale" [99] in senso proprio, semmai "rito veloce" [100], riguardo alla accelerazione dei tempi e dei termini, non nuova nel sistema processuale amministrativo (si pensi all'art. 19 l. 135 / 1997, alla tutela per l'accesso ai documenti ex art. 4 comma 2 stessa l. 205), che non modifica i capisaldi del contraddittorio, dei poteri cognitori e decisori.
Procura ciò qualche difficoltà a condividere di poter riconoscere, nella fattispecie, ipotesi di "processo semplificato camerale", secondo i modelli recentemente individuati dalla dottrina [101].
In verità, sussistono due "occasioni" di tutela che si celebrano in Camera di Consiglio e si concludono con sentenza: il giudizio che si instaura per conseguire il comando del Giudice al rilascio di documenti (rifiutato dall'Amministrazione) ed il giudizio di ottemperanza, ex art. 37 l. 1034/1971.
Riguardo a quest'ultimo, però, ne è stata dubitata la necessità, in quanto residuo storico riguardante l'origine dell'istituto "sul presupposto dell'assenza di un vero e proprio rapporto processuale tra ricorrente e amministrazione", nonché in quanto "il giudizio è preordinato non a risolvere una controversia giuridica bensì ad acclarare un fatto: cioè l'avvenuto adempimento del giudicato" [102].
In relazione al giudizio ex art. 25 l. 241/1990, vale rinviare agli innumerevoli contributi della dottrina [103].
In questa sede, appare possibile tenere in evidenza, a prescindere dalle intrinseche finalità acceleratorie, a riferimento e conforto della celebrazione "a porte chiuse e non aperte" [104], la problematica della riservatezza e dei dati sensibili, che può risultare ex se non trascurabile.
In ordine alla seriazione processuale, proseguendo l'esame dell'art. 2, comma primo, è contemplata, ancorché per evidenti esigenze di puntualizzazione di nuovi termini (rispetto a quelli assegnati per la decisione da assumere) con riferimento al deposito del ricorso [105], la previsione di duplicazione dell'esame camerale per il caso di istruttoria, collegialmente disposta [106], che potrebbe risultare articolazione utile per il Giudice se predisposto all'esame ed affermazione dei "contenuti concreti" della decisione da assumere.
Per la nuova Camera di Consiglio, il nuovo termine è questa volta rimesso alla ponderazione del giudicante, per essere relazionato all'inizio degli adempimenti istruttori, cui appartiene stabilire la data, ed è insuscettibile di andare oltre l'intuitivo calcolo di un semplice raddoppio (trenta + trenta).
L'ammissione di mezzi istruttori, compresa la consulenza tecnica, è, dunque, di esclusiva pertinenza collegiale, con esclusione delle alternative contemplate nella modifica apportata all'art. 44, comma terzo, T.U. leggi sul Consiglio di Stato, approvato con r.D. 1054/1924, con l'art. 1, comma secondo, l. 205/2000[107].
Se, pertanto, i poteri cognitori vanno esercitati dal Collegio, viene dato di interrogarsi sul conferimento dell'incarico, in ipotesi di C.T.U., giuramento del Consulente ed assegnazione dei quesiti che implicano una ulteriore trattazione in Camera di Consiglio, che finiscono per diventare in totale di tre, con evidente dilatazione dei tempi, in evidente contrasto con gli obiettivi acceleratori del nuovo rito.
Del resto, non sembra casuale che la Camera di Consiglio, successiva agli incombenti istruttori, non venga collegata - per la individuazione del dies a quo - alla precedente, nella quale vengono disposti, ma al termine per l'inizio delle operazioni, che viene riservato all'apprezzamento del Giudice, del cui adempimento, con relativo deposito, non può non essere dato avviso alle parti.
Va escluso che il ritorno in Camera di Consiglio debba essere preceduto dalla presentazione di una istanza di fissazione di udienza, come si addice, secondo i principi, ad un processo di tipo dispositivo [108].
Anche per il giudizio in grado di appello, in coerenza agli obiettivi di accelerazione, il legislatore individua termini che, essendo assegnati a chi intende ricorrere, sono perentori: trenta giorni dalla notificazione della sentenza, al pari di quanto previsto sub art. 4, comma 7, tra le "disposizioni particolari sul processo in determinate materie"; in assenza, vale il limite di novanta giorni, rispetto ai centoventi previsti in detta ultima disposizione, con l'ulteriore variazione della diversità di riferimento.
Il regime speciale, secondo il menzionato art. 4, invero, si allinea ai criteri generali per il cd. termine lungo, nel senso che viene indicata, per la decorrenza, la data di pubblicazione; per quello ancor più speciale, riservato ai ricorsi avverso il silenzio, è introdotta l'inusuale relazione alla comunicazione, a cura della Segreteria, della pubblicazione (mediante deposito) della sentenza pronunciata dal Tribunale territoriale.
In chiusura di comma, infine, è aggiunto che "nel giudizio di appello si seguono le stesse regole": il che non esclude l'attenzione ai principi di governo dell'istruttoria ed ai limiti del jus novorum in secondo grado nel processo amministrativo [109]
6.2.2 - La decisione
Il ricorso in conseguenza di silenzio, dispone l'art. 2, comma 1, va deciso con sentenza succintamente motivata.
La formula, in prima battuta, rinvia al principio affermato dal nuovo legislatore con il successivo art. 9, con non pochi riflessi in ordine alla possibilità di individuare, nel modello processuale in esame, una svolta effettiva nel superare l'immanenza del disequilibrio tra interessi (generale e particolare, individuale, uti singulus et uti civis dell'amministrato), che vengono a trovarsi da una dialettica, possibilmente costruttiva nel procedimento, ad una conflittualità nel processo, ove la parte resistente, attraverso l'inerzia, continua a testimoniare la nolontà a quella cooperazione cui è chiamata in linea di principio, attraverso procedimenti appositi, come si conviene in uno Stato di diritto che, in tempi risalenti, si riconosceva a regime amministrativo [110].
Disequilibrio troppe volte protetto da limiti ai poteri decisori del G.A., in quanto identificati come esterni alla giurisdizione e quindi assertivamente ostativi a garantire, già nel giudizio di cognizione, effettività di vantaggio al ricorrente vittorioso, costretto alla vocatio judicis dalla insoddisfazione (riferimento agli interessi di pretesa [111]) procurata anche dallo inesercizio - neutro - di un determinato potere amministrativo.
Il problema può continuare a sussistere se la scelta legislativa non incontri adeguata sensibilità di interpretazione e, quindi, di attuazione, che consenta di raggiungere risultati in uno spettro di fattispecie massimamente allargato, non soltanto in ordine al tempo, per conseguire la pronuncia del Giudice, ma soprattutto al contenuto.
Un primo punto di domanda, si accennava, sta nella formula prescelta (sentenza succintamente motivata), per il modello decisionale, se posta in relazione alle indicazioni affidate all'art. 9, richiamato (che ha sostituito l'ultimo comma dell'art. 26 l. 1034/1971), per essere stata riservata ai casi in cui il Collegio giudicante (in primo e secondo grado) ravvisi "la manifesta fondatezza ovvero la manifesta irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza del ricorso".
Ora, se alcun problema si pone, qualunque possa essere la natura della controversia, per le pregiudiziali in rito con le innumerevoli variabili che le individuano e che caratterizzano il processo amministrativo sotto l'inesorabile peso della decadenza, non altrettanto può dirsi riguardo ad una pronuncia nel merito se relazionata al ricorso avverso il silenzio, per il quale è stata dettata apposita regola processuale.
Viene, in realtà, dato di interrogarsi sul rischio di poter registrare un quid minoris rispetto ai risultati auspicati ed auspicabili, con la salvaguardia, ancora una volta, del ruolo, se non di supplenza, di integrazione della giurisprudenza.
Se, invero, può salutarsi con favore che il legislatore, ancorché con sensibile ritardo, formalizzi l'ingresso nell'ordinamento della esperibilità delle azioni di adempimento, con possibilità che il ricorrente consegua pronuncia di condanna dell'Amministrazione, resta da chiedersi se produca risultati concreti ed in particolare come si concilii l'esercizio dei poteri del Giudice, che si concretino in sentenza succintamente motivata [112] ed in tempi comunque ristretti, con l'inezia dell'Amministrazione, la cui disfunzione inerisca ad attività discrezionale, in relazione al petitum, evidentemente non incentrato sul riscontro della violazione dell'art. 2 l. 241/1990, cioè dell'obbligo generalizzato che incombe sull'Amministrazione di portare a conclusione il procedimento con l'adozione di un provvedimento esplicito [113], ma esteso fino a ricomprendere l'accredito con sentenza di un risultato di sostanza (favorevole), perché non conseguito nella sede naturale, ove si compongono, forse meglio si conciliano, per verifica di compatibilità, gli interessi che ne costituiscono una invariante, cioè i procedimenti ad impulso di parte, che più emblematicamente (ma non esaustivamente) la caratterizzano.
Ora, un primo elemento di coerenza con il ripetuto modello decisorio (per manifesta fondatezza, per esempio), non può non riguardare, pertinentemente riguardo alle ipotesi nelle quali si rinvenga inerzia non a contenuto provvedimentale - che implica comunque un accertamento non solo in rito processuale, ma sulla identità del rapporto amministrato/amministrazione al quale risalire, in relazione al quale si è occasionato il silenzio, l'effettiva illegittimità del silenzio.
E sotto questo profilo non sembra poter permanere alcun distinguo con riferimento alla attività amministrativa (vincolata o discrezionale) ed all'esito del giudizio.
Ma, non può in ciò solo risiedere la diretta ed unica statuizione del Giudice di mero controllo formale, calendario alla mano, come è stato rilevato [114], "con il rischio concreto (…) di ridurre il giudizio in questione ad un mero controllo di rito sull'esistenza di uno degli elementi della violazione di diritti in presenza del quale si stigmatizza in prima battuta l'inerzia dell'amministrazione" [115].
Quel che rileva, evidentemente, è l'ulteriore, rispetto alla declaratoria di illegittimità del silenzio, componente del petitum: l'accertamento della fondatezza della pretesa con il conseguimento della immediata, relativa disponibilità di soddisfazione o realizzazione, mediante il comando del Giudice.
6.3 - ….ex comma secondo.
Stare ai passaggi dettati dal nuovo legislatore, si ha conferma della articolazione che precede perché, come è stato recentemente posto in evidenza [116], non avrebbe significato prevedere le ipotesi di totale e/o parziale accoglimento del ricorso, in quanto, se la domanda fosse ristretta alla sola identificazione della violazione del ripetuto art. 2 l. 241, non sarebbe a parlarsi di parzialità del possibile, positivo apprezzamento della fondatezza per ovvie considerazioni.
Restano, però, in evidenza, alla luce delle disposizioni dettate con il secondo comma (la vera novità), da un lato, i poteri decisori del G.A. e, dall'altro, la diretta continuità (più che riemersione) dei poteri amministrativi, che in prosecuzione appare suggerire una posizione recessiva del giudicante, valorizzata dalla introduzione del Commissario, in quanto, sia consentito anticipare, sembra discostarsi dall'omologo istituto pretorio dell'ottemperanza (ausiliare del Giudice) per acquistare l'imputazione solamente di vero e proprio sostituto dell'Amministrazione, come si delinea già anche in giurisprudenza [117].
E' pur vero che nella logica ripartitoria delle funzioni, nella giurisdizione amministrativa, in linea normale, nel decisum di annullamento è presente la salvezza degli ulteriori provvedimenti dell'Amministrazione (quale complementare conseguenza alla riprovazione di una preesistente statuizione esplicita, riconosciuta illegittima), ma nel giudizio di accertamento de quo si colloca direttamente, come condanna della Amministrazione, il comando del Giudice ad un facere, che non si è compiuto e definito spontaneamente nel procedimento, quanto meno a livello di provvedimento di chiusura, se non addirittura sin dalla fase conseguente l'atto di impulso.
L'attività amministrativa da svolgere si pone in prima battuta, in quanto, questa volta, si è in presenza di un potere non esercitato (o in parte): di qui, l'ordine di provvedere alla Amministrazione, con assegnazione di un termine massimo che non lascia intravedere la diretta surrogazione disposta dal Giudice, resa ancor più
evidente dalla possibile intermediazione commissariale, in quanto finalizzata a sostituire la Amministrazione, con tutto il carico che viene in emersione in ordine al come.
La struttura del nuovo processo, in tema di silenzio ex art. l. 205, appare evidenziarne la collocazione a livello di "incidente procedimentale".
E' pur vero che nella giurisdizione, in coerenza ai principi informatori dello intero sistema, si realizza (o dovrebbe realizzarsi) l'inserimento dei poteri del G.A. in successione ad uno già esercitato dall'Autorità amministrativa ed in prevenzione rispetto ad altro da esercitare, ed eventualmente verificarlo in secondo momento o in via ordinaria o attraverso la tutela nell'ottemperanza.
Quando il sindacato non si incentra sul come detto potere amministrativo sia stato in concreto esercitato, in un determinato rapporto, attraverso l'atto che ne è espressione o testimonianza, in quanto punto di emersione e convergenza, il ricorso avverso il silenzio dà impulso alla intermediazione giudiziale perché si pervenga al risultato rimasto carente, nella unicità di quello stesso procedimento (non concluso), attraverso il quale pervenire a quel bene della vita che l'ordinamento consente solo se preceduto da un consenso esplicito del soggetto a ciò deputato o implicito ex lege.
Il comando del G.A. viene, quindi, a riflettersi direttamente all'interno di un procedimento ancora in itinere e vi si inserisce perché si realizzi, non più spontaneamente, quella riserva di potere amministrativo che preesisteva e permane, tanto che l'ordine è rivolto direttamente alla Amministrazione resistente.
Prima ancora dell'ampiezza dei poteri del G.A., riguardo al se, al come ed in quali contesti si concentrino (o possono concentrarsi) attraverso la sentenza, tiene soffermarsi sulla previsione, immotivatamente introdotta, della nomina di un commissario.
Se si prende in considerazione la ripetuta unicità del procedimento, nel cui ambito si inserisce il processo, instaurato attraverso la preventiva constatazione della sussistenza di elementi, oggettivamente qualificanti l'inerzia dell'Amministrazione, perché si affermi la incompletezza di una determinata (relazionata ad una specifica richiesta) attività amministrativa, si ha motivo di non escludere che il legislatore abbia inteso discostarsi dal modello del giudizio di ottemperanza e privilegiare un genere surrogatorio, diverso, ancorchè apparentemente assimilabili, nell'istituto commissariale [118] de quo, che finisce per allontanarne l'identificazione come ausiliare del Giudice, che caratterizza il prototipo dell'omologo in relazione al giudizio ax art. 27 n. 4 T.U. 1054/1924 e art. 37 l. 1034/1971, ancorché quale Organo dimidiato, come era stato affermato in dottrina [119] a quel riguardo.
In realtà, appare prevalente il continuum del rapporto, nel cui contesto deve conservare il suo ruolo naturale l'Amministrazione che deve ancora poter esprimere, ancorché a ciò costretta per comando del Giudice.
In relazione al giudizio di ottemperanza, come noto, l'attività del commissario è formalmente amministrativa, sostanzialmente giudiziaria, in quanto è del Giudice, a ciò espressamente abilitato ex lege, secondo i poteri riservatigli nella giurisdizione di merito.
Per quanto attiene il nuovo processo, a prescindere dalla difficoltà di poter presumere un implicito ampliamento dei poteri che quegli può esercitare, secondo la indicazione del legislatore che ha voluto riservare a sé i casi per i quali la pronuncia è estesa al merito (permanendo in linea generale la articolazione, purtroppo, delle competenze funzionali del G.A.) [120] , deve potersi non rifiutare di considerare che il commissario è mero sostituto dell'Amministrazione (come testimonia il terzo comma), che subentra il linea direttamente correlata al comando impartito alla parte resistente, soccombente, che è e resta unica destinataria, come unico è il giudizio [121].
Non si intravede l'accostamento ad ipotesi di giudicati (oggi, peraltro, non più necessario per essere stata estesa l'esperibilità del rimedio dell'ottemperanza alle sentenze che non abbiano acquistato l'autorità di cosa giudicata, ex art. 10 l. 205) a formazione progressiva [122], ancorché nella concentrazione in un unico giudizio, con la esplicazione di poteri decisori che annoverano l'azione di accertamento ed, in contestualità, quella di condanna, ma la perpetuazione se non il consolidamento della separazione tra giurisdizione e amministrazione, secondo modulo originario.
Indubbiamente, la previsione di poter affidare ad un soggetto estraneo l'esecuzione dell'ordine impartito dal Giudice, senza la necessità di duplicare processi [123], in tempi [124]ragionevolmente brevi rispetto a quelli che si registrano usualmente, è già un dato positivo.
Deve, per contro, manifestarsi perplessità, se non interviene un adeguato correttivo dal magistero della giurisprudenza, ove si rifletta sul fatto che il commissario è chiamato a svolgere attività formalmente e sostanzialmente amministrativa, con il rischio di dover registrare (non potendo riconoscervisi l'ampiezza dei poteri dell'omologo dell'ottemperanza) ancora la prudenza (o autolimite?) del Giudice nei giudizi di cognizione, attraverso i quali, come noto, non si realizza tutela effettiva ed immediata degli interessi di pretesa [125].
Deve, tuttavia, considerarsi che la proiezione verso l'adozione di un provvedimento da parte dell'amministrazione, direttamente o previo commissariamento ad hoc, non può essere apprezzato, tout court, senza congiunzione ad una più adeguata visione dell'azione di condanna, entrata a regime nel nostro sistema processuale amministrativo, attraverso la quale, come si è più volte cenno, si riconosce la conservazione della potestas decidendi per l'amministrazione [126], legittimandosene le riserve di potere [127].
Verrà, conseguentemente, a risultare una costante, in caso di accoglimento del ricorso, il comando rivolto all'amministrazione, mentre varierà, stante la impossibilità di poter individuare la diretta surrogazione con il G.A. nel nuovo modello, l'intensità della forza del potere decisorio di quest'ultimo e fino a che misura condizionare quello amministrativo, che ne è il destinatario.
Ed allora, non solo per gli interessi strumentali, potrà realizzarsi ipotesi di ricorso manifestamente fondato (in relazione all'art. 10 l. 205/2000), o in presenza di attività cd. vincolata o per quei casi in cui, pur in relazione ad attività discrezionale, è carente il mero perfezionamento del procedimento, sul piano formale (si pensi agli accordi endoprocedimentali).
La sentenza di accoglimento del ricorso deve poter contenere, anche laddove si manifesti più percettibile lo scudo protettivo (dell'amministrazione), quale l'attività in area di discrezionalità cd. pura, adeguati elementi di valutazione del Giudice (l'istruttoria non appare ristretta), che non possono non rifluire sulle scelte finali, che erano state carenti e che continuano ad appartenere direttamente all'autorità amministrativa [128].
Si ha difficoltà a ritenere, sol perché è stato inserito l'inciso che la nomina del commissario debba scaturire da richiesta di parte, che si realizzi una articolazione in due distinte fasi [129], che dovrebbero implicare altrettanti, autonomi ricorsi, il che integrerebbe, a tacer d'altro, una dispersione sensibile, in netta antitesi con la spinta acceleratoria che sta alla base del nuovo processo in rassegna.
A prescindere che non può essere rifiutato di considerare che il Collegio giudicante possa, anche in assenza di esplicita istanza al riguardo, disporre la nomina commissariale (non sembri azzardato accostare che anche per le domande cautelari si continua a formulare che vengono sentiti i difensori che ne facciano richiesta, quando la prassi lo smentisce), deve potersi ragionevolmente collocare l'onere in parola, se espressamente a carico di chi vi abbia interesse, direttamente nell'ambito del petitum nell'atto introduttivo dell'unico giudizio che si instaura per il tramite e "avverso" il silenzio[130].
6.4 - …ex comma terzo.
Con la sentenza di accoglimento del ricorso, il Giudice assegna un termine (non superiore a trenta giorni) alla amministrazione e contestualmente nomina un commissario, deputato a subingredire - in diretta perpetuazione - in caso di inosservanza, da parte della soccombente dell'ordine impartito [131].
Solamente alla scadenza di detto termine, si realizza l'insediamento che, secondo l'esperienza del giudizio di ottemperanza, non segue automaticamente, ove si consideri che la individuazione del soggetto chiamato ad espletare l'incarico è sovente demandata dal Giudice ad un terzo (persona giuridica pubblica), pertinente, in relazione alla fattispecie.
L'insediamento, che attualizza e rende concreta l'investitura, procura il preliminare adempimento della verifica del comportamento dell'amministrazione, per la quale, sull'evidente scia del principio consacrato in A.P. 4 dicembre 1989 n. 17 [132] a proposito della permanenza del potere amministrativo e della ritualità della decisione tardiva (indipendentemente dal risultato che rileva in quel precedente sull'esito dell'eventuale giudizio conseguente la formazione di silenzio rigetto su ricorso gerarchico), il legislatore legittima il superamento del termine assegnato in sentenza.
Il commissario, quindi, svolge attività di controllo. Viene dato di chiedersi: si traduce in un mero resoconto da fornire al Giudice (ma questi non si è spogliato della controversia, depositando la sentenza, con la quale afferma il diritto nel caso concreto?), riguardo al dato rilevato, da valere esaustivamente su base storico - fattuale o procede a valutazione con atto a contenuto provvedimentale, impugnabile in via ordinaria o reclamabile?
Il riscontro, si ritiene, implica pur sempre un processo di ponderazione ed assume il ruolo di comparazione dell'atto assunto, magari maliziosamente, dall'amministrazione, con le statuizioni del Giudice se è vero che non possono essere contenute sull'an; può risultare ad esse non rispondente (in tutto od in parte), con la conseguenza che non può essere rifiutato, in assenza di poteri, dai quali proviene la nomina, propri del Giudice dell'ottemperanza, la impugnabilità con ricorso che avrà sì petitum cassatorio, ma soprattutto l'accertamento dell'inadempimento (che si perpetua).
Del pari, riguardo al provvedimento, sopravvenuto rispetto alla nomina del Commissario, non potrà non darsi impulso ad un autonomo giudizio ordinario, con vanificazione della accelerazione riservata al ricorso avverso il silenzio perché, intervenendo prima dell'esautoramento dei poteri dell'amministrazione ma successivamente al deposito della sentenza (con la quale è stata prevista la sostituzione), non potrà evidentemente farsi applicazione, come si duole autorevole dottrina[133], della tutela mediante presentazione di motivi aggiunti.
E' superfluo aggiungere che se la statuizione esplicita dell'amministrazione venisse prodotta nel giudizio camerale (è da ritenere fino al giorno fissato per la Camera di Consiglio o direttamente in quella circostanza, come accade per la costituzione[134] delle parti necessarie o di terzi interventori in occasione dell'esame di domanda incidentale di sospensione, non risultando opportunamente stabilito alcun termine a carico delle parti, resistente ed eventualmente controinteressato, tendenzialmente in senso sostanziale, con evidente difficoltà per il Giudicante a poter conoscere, nell'insieme, della questione controversa), qualunque il risultato, si realizzerebbe una ipotesi di improcedibilità in parte qua, con la sola variazione tra sopravvenuto difetto di interesse e cessazione della materia del contendere.
Dovrebbe residuare, ove risultasse concretamente applicabile, come si è già accennato, la condanna con indennizzo forfettario ed automatico, previsto, per il ritardo in sé, che andrebbe pur sempre messo a confronto - indipendentemente dalla intrinseca povertà di risultato che identifica - con la perpetuazione della potestas decidendi, da parte dell'amministrazione, fino allo insediamento del commissario.
7 - Tutela cautelare e ricorso ex art. 2 l. 205/2000: cenni.
Il nuovo legislatore ha prestato particolare attenzione al processo cautelare, che risulta aperto verso l'adozione di "misure", certamente trascendenti la rigidità di pronuncia inibitoria, in evidente consapevolezza dei risultati della giurisprudenza pretoria del G.A. [135]
Un pregiudizio (e non più e solo danno) meno restrittivo, grave e irreparabile, a fondamento della domanda incidentale, si riconosce esplicitamente poter derivare anche da "comportamento inerte dell'amministrazione, con sbocco verso l'assunzione di ordinanze cd. propulsive.
Rileva la conciliabilità con il rito speciale, riservato al silenzio, atteso che la domanda ex art. 3 l. 205, che ha sostituito il settimo comma dell'art. 21 l. 1034/1071, è, di necessità, contestuale (non è ipotizzabile che possa accadere separatamente e successivamente) al ricorso finalizzato alla condanna dell'Amministrazione al facere, attesa altresì la riduzione dei tempi di fissazione della Camera di Consiglio.
Non possono essere escluse la fruibilità dei poteri monocratici, presidenziali, collegabili alla istanza di tutela interinale e la conseguibilità di elementi utili per la decisione definitiva sul ricorso avverso il silenzio che rendano i due istituti processuali compatibili e compresenti nello stesso giudizio.
8.- Conclusioni.
Il problema serio, vero, soprattutto in presenza di un processo virtualmente accelerato, nelle intenzioni, dovrebbe rispondere alla esigenza di superare concretamente, nella giurisdizione, l'empasse di una linea di tendenza, diffusa, quali i comportamenti inerti (senza significato) della P.A., è quello dei poteri decisori esercitabili dal Giudice Amministrativo e quali risultati effettivamente può raggiungere il ricorrente in un giudizio unitario.
E' il tema dominante perché se si condivide che "scopo primario del legislatore resta quello di indurre l'Amministrazione ad esprimersi positivamente sull'istanza del privato" [136] e che trattasi di "un processo che si rivela comunque strumento sussidiario, giacché il potere-dovere" dell'Amministrazione di "pronunciarsi positivamente (…) è rimarcato" [137] dagli accertamenti che è chiamato a svolgere il commissario, viene dato di interrogarsi in che misura possa il Giudice operare, e fino a che punto e in quale contesto di attività amministrativa, tenuto conto di un rito, definito speciale, che in sé considerato può, riguardo alla risposta, indurre al pessimismo [138].
Indubbiamente, la questione si pone soprattutto a riflessione dei risultati raggiunti in precedenza, in tema di silenzio non significativo, ancorché attraverso una lenta evoluzione giurisprudenziale, non sempre con effettività di risultati ed altrettanta piena sintonia con le sollecitazioni della dottrina, cui si è fatto cenno: questione che si incentra sul (che si potrebbe definire permanente) travaglio delle idee (o dei principi), in relazione al confronto tra poteri: amministrativo, giudiziario ed amministrativo ancora (nell'ordine… fisiologico tipico, in successione), nel contesto di perpetuazione della distinzione tra attività vincolata e discrezionale, con la immanenza pur sempre dei canoni costituzionali che incoraggiano che l'ordinamento assicuri tutela piena ed effettiva, fermo l'allineamento tra diritti soggettivi ed interessi legittimi (che, con affermazione crescente della giurisdizione esclusiva per materia, tendono a confondersi o comunque a risultare irrilevanti).
La dottrina [139] più recente ha manifestato perplessità nel riconoscere nella novella di cui all'art. 2 l. 205/2000, una svolta che possa consentire non solo risultati rapidi ma anche concreti, come reazione alla inerzia, spesso strumentale, della Pubblica Amministrazione.
Ma ha aggiunto dubbi se la celerità, attraverso giudizio unificato, che in gradata misura si delinea, prevalga anche a scapito del livello al quale è pervenuta la giurisprudenza pretoria, cui si è fatto cenno.
Perché il problema vero, oltre al quando ed al come, è che il G.A. possa esercitare poteri, soprattutto a fronte di comportamenti indifferenti della P.A., pieni ed indistinti a superamento di quell'alveo protettivo che si identifica come attività discrezionale [140].
La risposta, ancora una volta, è nella sensibilità del Giudice Amministrativo, perché si rafforzi e generalizzi quell'orientamento che già è presente in giurisprudenza in quanto risulti affermata la fondatezza sostanziale della pretesa del ricorrente.
E' significativo che la Sezione VI del Consiglio di Stato, con Ordinanza n. 3803 del 10 luglio 2001 [141], abbia rimesso alla Adunanza Plenaria, pur in assenza di contrasti giurisprudenziali ed al fine di evitarli, le questioni relative all'art. 21 bis l. 6 dicembre 1971 n. 1034, sopra evidenziate, quali le modalità di applicazione, la materia, l'oggetto del giudizio speciale de quo e i limiti dei poteri decisori del G.A..
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* Questo scritto prende spunto dalla relazione svolta in occasione della Tavola rotonda organizzata l'11 maggio 2001 nella Università di Teramo, Facoltà di Giurisprudenza, sul tema: "Primi orientamenti giurisprudenziali sulle nuove norme in materia di giustizia amministrativa (l. 21 luglio 2000 n. 205)".
[1] In Cons. Stato 2000, II, 1211.
[2] "Nuove disposizioni in materia di organizzazione e di rapporti di lavoro nella amministrazioni pubbliche, di giurisdizione nelle controversie di lavoro e di giurisdizione amministrativa, emanate in attuazione dell'articolo 11, comma 4, della legge 15 marzo 1997 n, 59" (G.U. 4 aprile 1998 n. 82 suppl. ord. n. 65/L).
[3] "Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa", in G.U. n. 63 del 17 marzo 1997 sup. ord. n. 56/L.
[4] Un precedente (… con l'intervallo, però, di qualche mese che, all'epoca, sembrò irrisorio) si rinviene nella l. 11 novembre 1968 n. 1187, come risposta alla sentenza Corte Cost. 55/'68 con la quale era stata dichiarata la illegittimità costituzionale dell'art. 7 l. 1150/'42 in tema di durata illimitata dei vincoli urbanistici preordinati ad espropriazione per p.u.
[5] In G.U. 26 luglio 2000 n. 173. Scaturisce dal disegno di legge c. 5956 ("disposizioni in materia di giustizia amministrativa"), approvato dal Senato il 22 aprile 1999 (n. 2934) e dalle proposte c. 2228 presentata dall'On.Bergamo il 17 settembre 1996 ("modifiche all'art. 31 r.D. 17 agosto 1907 n. 642 e all'art. 44 r.D. 26 giugno 1924 n. 1054, concernenti il sistema probatorio nei giudizi dinanzi il Consiglio di Stato in s.g.); n. 3920, d'iniziativa dell'On. Frattini del 16 giugno 1997 ("norme per l'accelerazione del processo amministrativo"); n. 5827, On. Simeone ed altri, del 17 marzo 1999 ("abrogazione degli artt. 33, 34 e 35 d.lgs. 80/1998 in materia di attribuzione al giudice amministrativo della giurisdizione esclusiva sulle controversie riguardanti i pubblici servizi").
[6] B. SASSANI "Il regime del silenzio e l'esecuzione della sentenza", in (a cura di) B. SASSANI e R. VILLATA "Il processo davanti al giudice amministrativo", commento sistematico alla l. 205/2000, Torino, 2001, 304 e segg, prende in considerazione l'ipotesi di riconoscere accostamenti nel silenzio rigetto e nella relativa tutela nella giurisdizione.
[7] L'art. 2 del disegno di legge risultava così formulato:"Dopo l'art 21 della legge 6 dicembre 1971 n. 1034, è inserito il seguente: - Art 21 bis - 1. I ricorsi avverso il silenzio dell'amministrazione sono decisi in camera di consiglio, con ordinanza succintamente motivata, entro trenta giorni dalla scadenza del termine per il deposito del ricorso, uditi i difensori delle parti che ne facciano richiesta. Nel caso che il collegio abbia disposto un'istruttoria, il ricorso è deciso in camera di consiglio entro trenta giorni dalla data fissata per gli adempimenti istruttori. La decisione è appellabile entro trenta giorni dalla notificazione o, in mancanza, entro novanta giorni dalla comunicazione della pubblicazione. Nel giudizio di appello si seguono le stesse regole. 2- In caso di totale o parziale accoglimento del ricorso di primo grado, il giudice amministrativo ordina all'amministrazione di provvedere di norma entro un termine non superiore a trenta giorni e contestualmente nomina un commissario che provveda in luogo dell'amministrazione qualora quest'ultima resti inadempiente oltre il detto termine". L'art. 2 della proposta Frattini disponeva:"1. I ricorsi avverso il silenzio dell'amministrazione sono decisi in camera di consiglio entra trenta giorni dalla scadenza del termine per il deposito del ricorso, uditi i difensori delle parti che ne abbiano fatto richiesta. La decisione del tribunale sul silenzio è appellabile, entro trenta giorni dalla notifica o, in mancanza, entro novanta giorni dalla pubblicazione. Nel giudizio di appello si seguono lo stesse regole. 2. In caso di totale o parziale accoglimento del ricorso di primo grado, il giudice ordina all'amministrazione di provvedere entro un dato termine. In tal caso, decorso il termine per l'appello, ovvero dopo la pronunzia del Consiglio di Stato, il giudizio prosegue dinanzi al tribunale amministrativo regionale, il quale nomina un commissario che provveda in luogo dell'amministrazione qualora quest'ultima resti ancora inadempiente. 3. In caso di ottemperanza da parte dell'amministrazione all'ordine impartito ai sensi del comma 2, il ricorrente può proporre motivi aggiunti dinanzi al giudice di primo grado. Il giudizio prosegue successivamente a norma degli articoli 21 e seguenti della legge 6 dicembre 1971 n. 1034, nonché delle disposizioni della presente legge.". Un significativo rilievo si coglie in quest'ultima nella previsione di tutela per il tramite di due distinti giudizi in prosecuzione.
[8] Da "Elementi di sintesi del disegno di legge", secondo la scheda parlamentare predisposta per l'istruttoria legislativa (dossier del Servizio Studi della Camera dei deputati - maggio 1999).
[9] Presentazione della proposta di legge di iniziativa del deputato Frattini. Si afferma che "allo scopo di una più celere conclusione sostanziale della controversia (e quindi, dello stato di incertezza sia per il privato che per la pubblica amministrazione), appare particolarmente utile evitare che la dichiarazione dell'obbligo di provvedere da parte della pubblica amministrazione (che di per sé non soddisfa l'interesse sostanziale del ricorrente), sopraggiunga dopo i lunghi tempi del processo ordinario e richieda ulteriori complesse procedure per il suo adempimento. Si propone, pertanto, di trasformare il ricorso contro il cosiddetto silenzio - rifiuto della pubblica amministrazione in un procedimento di urgenza, definibile dunque in tempi brevi, prevedendo, altresì, un passaggio immediato alla fase dell'ottemperanza, eventualmente anche con l'esercizio di poteri sostitutivi. A tale scopo è finalizzato l'articolo". Ricorda M. SICA, in "Effettività della tutela giurisdizionale e provvedimenti d'urgenza nei confronti della Pubblica Amministrazione",, Milano, 1991, 313, che era stata avvertita in dottrina l'esigenza della "introduzione di una tutela differenziata di tipo sommario" come "tutela d'urgenza nei confronti del silenzio della p.a.". Aggiunge sub nota 56: "Così A.M. SANDULLI, Considerazioni conclusive….In una prospettiva de iure condendo (AA.VV. La riforma della giustizia…) si profila la possibile introduzione di un vero e proprio procedimento monitorio, ma si ritiene de iure condito (G. CORSO, La tutela cautelare…), che "basterebbe adeguare il contenuto delle pronunce di merito per assicurare tutela provvisoria anche contro i comportamenti delle amministrazioni"". Il processo, in sintesi, anche in relazione al ricorso avverso il silenzio, "deve dare alla parti tutto ciò che è possibile conseguire", purchè si affermi "corrispondenza del giudizio di risultato sostanziale alle nuova Amministrazione (efficace, economica, trasparente, finalistica e concreta)". In termini, in linea generale, L. IANNOTTA "La considerazione del risultato nel giudizio amministrativo", in "Evoluzione della giustizia amministrativa", cit. 172.
[10] Appare significativo che in sede di esame della proposta c. 2228 ed abbinati, da parte della Commissione della Camera, nella seduta del 22 giugno 1999, il relatore On. Borromati aveva precisato che "sempre per ragioni di accelerazione e snellimento del processo amministrativo, è previsto all'articolo 2, uno specifico procedimento camerale per i ricorsi contro il silenzio della pubblica amministrazione. La disposizione in esame è diretta ad evitare, come invece avviene oggi, che la dichiarazione dell'obbligo di provvedere, da parte della pubblica amministrazione, sopraggiunga dopo i tempi lunghi del processo ordinario, quando l'interesse del ricorrente è di fatto venuto meno. Il ricorso contro il silenzio rifiuto diventa un vero e proprio procedimento d'urgenza al termine del quale è previsto il passaggio alla fase dell'ottemperanza".
[11] La Prima Commissione affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e Interni, nella seduta del 4 maggio 2000, nell'esprimere parere favorevole sul testo unificato dei progetti di legge c. 2228 e abbinati, aveva formulato, tra l'altro, osservazione sull'art.2 secondo la seguente proposta del relatore On. Prof. Cerulli Irelli (formulata nella precedente seduta del 4 aprile): "all'art. 2 viene disciplinato il rimedio giurisdizionale avverso il silenzio dell'amministrazione; in tempi rapidi, il giudice amministrativo adotta in Camera di consiglio la propria decisione, la quale, in caso di accoglimento del ricorso, contiene la nomina del commissario ad acta, chiamato ad eseguire la sentenza in luogo dell'amministrazione in caso di suo inadempimento. Sarebbe opportuno che questo rimedio venisse esteso anche a provvedimenti espressi a contenuto negativo, prevedendo che il giudice amministrativo debba procedere positivamente".
[12] S. GIACCHETTI "Il ricorso avverso il silenzio dell'Amministrazione e le macchine di Munari" (Cons. Stato 2001, II, 640), nell'affermare che "il silenzio costituisce una delle manifestazioni più scandalose del (mal)costume amministrativo", sostiene che "la cosiddetta sentenza di accoglimento del ricorso avverso il silenzio è una sentenza con cui il giudice amministrativo ordina all'Amministrazione di provvedere, senza prendere definitiva posizione sulla fondatezza della situazione sostanziale sottostante; è, quindi, in realtà, in altri termini, un'ordinanza travestita da sentenza; sicché, visto che si parla tanto di semplificazione e di accelerazione, non vedo il motivo per il quale ai ricorsi in questione debba applicarsi il regime complesso e lungo delle sentenze, anziché il regime agile e rapido delle ordinanze".
[13] Cfr. G. ABBAMONTE - R. LASCHENA "Giustizia Amministrativa" in Trattato di Diritto Amministrativo diretto da G.SANTANIELLO, XX, Padova, II Ed., 2001, 220 et segg.; F.G. SCOCA "La tutela processuale del silenzio dell'amministrazione", in (a cura di) G. MORBIDELLI "Funzione ed oggetto della giurisdizione amministrativa" Torino, 2000, 96; Id. "Il silenzio della Pubblica Amministrazione" Milano, 1971, 294; dello stesso A. e M. D'ORSOGNA "Silenzio, clamori di novità", in Dir. Proc. Amm. 1995, 415.
[14] Assai rilevante è stata ed è l'attenzione della dottrina sul silenzio in esame. Per una approfondita indagine, anche ricostruttiva storicamente, ad. es. F.G. SCOCA "Il silenzio della Pubblica Amministrazione", cit; F. LEDDA "Il rifiuto di provvedimento", Milano, 1964; G.B. GARRONE "Il silenzio della Pubblica Amministrazione" (voce) Digesto (Discipline Pubblicistiche) XIV, Torino, 1999, 156 e segg.; A.M. SANDULLI "Il silenzio", in Dir. Soc., 1982, V, 715; Id. "Sul regime attuale del silenzio-inadempimento della P.A.", in Scritti Giuridici, Milano, III, 1990, 389; G. VACIRCA "Note sull'evoluzione della giurisprudenza in materia di silenzio della Pubblica Amministrazione", in Foro. Amm. 1989, 431 e segg.; B.G. MATTARELLA "Il provvedimento", in Trattato di Diritto Amministrativo (a cura di) S. CASSESE, Milano, I, 2000, 808 e segg.; P.B. LIGNANI "Silenzio" (voce) in Enc. Dir. XL, 1990, 559 e agg.to 1999; Id. "I tempi del procedimento", Padova, 1990; V. CERULLI IRELLI "Corso di Diritto Amministrativo", Torino, 2000, 495 e segg.; F. BRIGNOLA "Silenzio" (voce) Enc. Giur. XXVIII, 1992, 1-16; V. PARISIO "I silenzi della P.A.", Milano, 1996; L. MAZZAROLLI "Il diverso valore del silenzio dell'autorità gerarchica sui ricorsi per motivi di legittimità e per motivi di merito" in Dir. Proc. Amm. 1992, 1 e segg.; V. CAIANIELLO "Manuale di Diritto Processuale Amministrativo", Torino, 1994, 442; G. ABBAMONTE "Silenzio rifiuto e P.A.", in Dir. Proc . Amm. 1985, 20; A. DE ROBERTO "Il silenzio della Pubblica Amministrazione" in Foro Amm. 1983, I, 536; G. LOMBARDI "Il silenzio", Dir. e Soc. 1983, 527. Inoltre cfr. "Il silenzio della P.A.: aspetti sostanziali e processuali", Milano 1985 (Atti del XXVIII Convegno Studi Scienza dell'Amministrazione, Varenna, 1982); I. FRANCO "Il silenzio della P.A., esplicitazione del diniego in sede processuale ed economia del giudizio", in Foro Amm. 1989, I, 1462; C. BARBATI "Inerzia e pluralismo amministrativo: caratteri, sanzioni e rimedi", Milano, 1992; V. ITALIA - G. LANDI - G. POTENZA "Manuale di Diritto Amministrativo", Milano, 2000, 188 e segg.; M.S. GIANNINI "Istituzioni di Diritto Amministrativo" (seconda ed. a cura di A. MIRABELLI CENTURIONE), Milano, 2000, 482 e segg.; P. VOCI "Il silenzio", in "Il Diritto Amministrativo nella giurisprudenza" (a cura di) P. FALCONE e A. POZZI, Milano, 1994, Vol I, 101 e segg.
[15] V. CERULI IRELLI "Modelli procedimentali alternativi in tema di autorizzazioni", in Dir. Amm., 1993, 55.
[16] G. ABBAMONTE - R. LASCHENA, op. cit., 221.
[17] A. ROMANO "La giurisdizione amministrativa tra presente e futuro", in Dir. Proc. Amm. 2000, 121 e segg.
[18] Cfr. M.A. TUCCI "L'atto amministrativo implicito", Milano, 1990.
[19] M. ANNUNZIATA "I comportamenti della P.A.", in Nuovo Dir., 1986……..
[20] Cfr. S. GIACCHETTI "Il ricorso avverso il silenzio dell'Amministrazione" e "Le macchine di Munari", in Il Cons. Stato 2001, II, 470.
[21] Una approfondita analisi svolge A.POLICE in "Il ricorso di piena giurisdizione davanti al Giudice Amministrativo", Padova, 2001.
[22] N. SAITTA "Ricorsi contro il silenzio della p.a.: quale silenzio?", in Giust. It., Giustizia amministrativa, n. 7/8 2001.
[23] Così ricollocato ex art. 7 comma primo lett.m) l. 127/1997 (G.U. 113/97 Sup. Ord. 98/L), in sostituzione dell'art. 20, comma 5, lett. h); prevista una forma automatica e forfettaria di risarcimento anche per il solo ritardo nella emissione di provvedimenti amministrativi: previsione, pur se carente, della attuazione della riserva di regolamentazione, sintomaticamente può refluire sulla qualificazione dell'inerzia in sé considerata, come sarà rilevato in prosieguo dell'analisi.
[24] M. CLARICH "Termine del procedimento e potere amministrativo", Torino, 1995, 123 e segg., ritiene che il danno risarcibile derivi dal perdurare delle situazioni di incertezza circa il rilascio o meno del provvedimento di tipo autorizzatorio e non anche dal mancato o ritardato godimento del bene della vita o dell'utilità finale.
[25] S. GIACCHETTI, op.cit., 471.
[26] Secondo R. MARONE "L'impugnativa del silenzio rifiuto. Ipotesi per colmare una lacuna legislativa", in Foro Amm. 1993, 316, "…il problema (…) del silenzio della p.a. è molto mutato negli ultimi anni perché se originariamente costituiva solo una riserva di potere, un modo di gestire della cosa pubblica, negli ultimi anni la sua funzione si è molto trasformata e deteriorata, costituendo una premessa indispensabile ed un anello necessario della catena corruttiva. Tutto ciò poteva ben essere risolto dalla nuova legge sul procedimento amministrativo, caratterizzata invece dalla mancanza di una disciplina sull'impugnativa del silenzio rifiuto. Non si comprende, davvero, perché il legislatore non abbia ritenuto di colmare la lacuna normativa, affidandosi invece ancora una volta al Consiglio di Stato, che già precedentemente - e di fronte ad analoga lacuna - era intervenuto con sofferti interventi pretori, dapprima facendo ricorso all'art. 5 T.U. com.prov. (r.D. 3 marzo 1934 n. 383), e, poi, al T.U. imp. Civ. St.". V. PARISIO in "Inerzia della Pubblica Amministrazione e riforma della costituzione: primi brevissimi spunti di riflessione", in Foro Amm. 1993, 2604, ricorda che nel progetto finalizzato "sull'organizzazione e sul funzionamento della p.a. per la riforma della Costituzione", presentato alla Commissione bicamerale il 2 marzo 1993 ("progetto Cassese"), era stata prestata attenzione al problema dell'inerzia dell'amministrazione in chiave sostanziale (art. 2 obbligo di concludere il procedimento con un provvedimento espresso), attribuendosi "status di norma costituzionale al principio contenuto nell'art. 2 l. n. 241 del 1990, ossia all'obbligo di concludere il procedimento con un atto espresso. Questa costituzionalizzazione di principi generali dell'azione amministrativa si spiega con l'esigenza di applicare tali norme fondamentali a tutte le amministrazioni, aumentandone così la capacità di penetrazione nel sistema e di limitare l'apporto, alle volte troppo creativo, dei giudici in sede di applicazione delle stesse". Parimenti, relativamente alla tutela, nel contesto delle disposizioni riservate alla giustizia, riguardanti la "ricorribilità in via giurisdizionale nei confronti delle azioni ed omissioni poste in essere dalla pubblica amministrazione per motivi di legittmità", venendosi così a disciplinare positivamente, nel sistema di giustizia amministrativa, il giudizio di accertamento, anche al di fuori della giurisdizione esclusiva.
[27] Art. 20 lett. h) l. 59/'97, cui si è fatto cenno, ora art. 17 comma primo lett.f) stessa legge
[28] Cfr. A. POLICE, op. cit., sub nota 21 che precede.
[29] Cfr. V. CERULLI IRELLI - F. LUCIANI "La semplificazione dell'azione amministrativa", in Dir. Amm. 2000, 617 e segg.
[30] Tra gli innumerevoli contributi della dottrina, I. FRANCO "Il nuovo procedimento amministrativo commentato", Padova 2001; V. CERULLI IRELLI "Corso di Diritto Amministrativo", Torino, 2000, pag. 495 e segg.; E. CASETTA "Manuale di Diritto Amministrativo", Milano, 2001, 347 e segg.; R. VILLATA - G. SALA "Procedimento amministrativo" (voce), Digesto Discipline Pubblicistiche, Torino 1999, Vol. XI, 574 e segg.; M.S. GIANNINI "Istituzioni di Diritto Amministrativo", 2^ Ed., (a cura A. MIRABELLI CENTURIONE), Milano, 2000, pag. 271 e segg.; G. MORBIDELLI "Il procedimento amministrativo", in AA.VV. "Diritto Amministrativo", Tomo II, Bologna, 2001, 126 e segg.. In giurisprudenza, ad es., A.P. 24 giugno 1999 n. 16, in Cons. Stato 1999, I, 784; Cons. Stato, Sez. IV, 14 gennaio 1999 n. 32; Sez. VI, 16 dicembre 1998 n. 1683, in Foro Amm. 1999, 48; Giur. It. 1999, 849
[31] G. FALCON "il Giudice amministrativo tra giurisdizione di legittimità e giurisdizione di spettanza", in Dir. Proc. Amm. 2001, 301.
[32] G.B. GARRONE, nella voce "Silenzio delle Pubblica Amministrazione", cit., 158, ricordando il pensiero di F.G. SCOCA (espresso nella fondamentale analisi su "Il silenzio della Pubblica Amministrazione"., Milano, 1971), afferma che "l'inerzia non è semplicemente un comportamento illegittimo ma è un non esercizio del potere amministrativo, negazione della funzione. L'inerzia, quindi, non ha soltanto un significato lesivo dell'interesse privato all'esercizio della funzione amministrativa, ma costituisce una lesione altrettanto grave dell'interesse pubblico". Cfr. i richiami di dottrina alla nota 12. Come già ricordato, ABBAMONTE e LASCHENA (op.cit.), parlano di "disfunzione".
[33] G. FALCON, op. ult. cit., 323, sostiene che "…ove si ammetta che nell'ambito della giurisdizione esclusiva il giudice possa pervenire ad un giudizio di spettanza del provvedimento, anziché ad un solo giudizio di (il)legalità dello specifico atto con cui essi è stato negato, non è agevole trovare una ragione per la quale allo stesso giudizio non possa pervenirsi nell'ambito della giurisdizione generale, ove non se ne possa più trovare la causa in una supposta impossibilità giuridica di farlo".
[34] L'espressione è di G. ABBAMONTE e R. LASCHENA, op. cit., 220, per i quali "il problema del silenzio della P.A. si è manifestato nella realtà storica".
[35] F.G. SCOCA "la tutela processuale del silenzio dell'Amministrazione", in (a cura di) G. MORBIDELLI "Funzione ed oggetto della giurisdizione amministrativa, Nuove e vecchie questioni", Torino, 2000, 85.
[36] Sostiene L. TARANTINO in "Il nuovo processo amministrativo dopo la legge 21 luglio 2000 n. 205" (a cura) di F. CARINGELLA e M. PROTTO, Milano, 2001, 101, che "il provvedimento amministrativo (…) è nient'altro che il risultato dell'incontro tra la posizione di potere dell' amministrazione e l'interesse del cittadino toccato da quel potere".
[37] Sostiene G. ROMEO, op. cit., 128-129, che "di fronte alla forza espansiva dell'interesse generale, che si manifesta sin dai primi anni dell'unità nazionale, l'espressione interesse legittimo subisce un processo di trasformazione concettuale assai significativa: che ciò che importa evitare per mantenere l'integrità della propria sfera privata, si passa al significato di ciò che importa, di vantaggio che si consegue in danno della sfera pubblica per l'ampliamento della propria sfera privata. "Beni della vita", utilità, bisogni di persone concrete fisiche o giuridiche, seppure formalmente considerati in correlazione con l'interesse pubblico, in realtà vengono garantiti secondo il paradigma della separazione tra interesse pubblico e interesse privato. La correlazione tra i due interessi (…) non sembra aver influito sulle modalità di tutela dell'interesse legittimo". Cfr. F.G. SCOCA "Contributo sulla figura dell'interesse legittimo", Milano, 1990, 2 e segg.
[38] G. FALCON, op. cit., 303, in particolare nota 31.
[39] Cfr nota n. 14 che precede (controllare NUMERAZIONE)
[40] S. CASSESE "L'età delle riforme amministrative", in RTDP 2001, 79 e segg.
[41] A.M. SANDULLI "Sul regime attuale del silenzio - inadempimento della pubblica amministrazione", cit., 169 e segg.
[42] Sostiene G.B. GARRONE, op. cit., 158, che "non sembra che la specificità del significato giuridico dell'inerzia sia risolvibile nel concetto di inadempimento. L'inadempimento si riferisce generalmente agli obblighi di dare e di fare, mentre il dovere di provvedere si riferisce all'esercizio di una situazione potestativa. Per situazione potestativa si intende in questo contesto la possibilità di produrre direttamente effetti giuridici con una propria dichiarazione. La differenza tra inadempimento di un obbligo e violazione del dovere di esercitare una situazione potestativa non è ben percepibile dal punto di vista del diritto sostanziale, dal momento che in entrambi i casi si tratta di situazioni in senso lato doverose, correlate ad una pretesa altrui".
[43] F.G. SCOCA "il silenzio della P.A.", cit., 48, in particolare sub nota 55, ritiene, a sostegno del non riconoscere nel silenzio de quo la qualificazione dell'inadempimento, che "non significa che il silenzio sia sempre illegittimo (per usare la vecchia formula del Consiglio di Stato). In realtà, il silenzio non è né legittimo né illegittimo, appunto perché non è un provvedimento, e non è, sotto nessun aspetto, (atto) di svolgimento della funzione amministrativa. E' forse preferibile precisare i termini della figura: l'inadempimento dell'obbligo di pronunciarsi è da individuare nell'inerzia dell'Amministrazione e non nel silenzio. La prima può essere lesiva dell'interesse (strumentale) del privato ad ottenere che l'Amministrazione provveda sulla sua domanda (…). Il secondo resta, invece, un meccanismo che consente al privato di rivolgersi al giudice in mancanza di un provvedimento formale; come meccanismo, il silenzio non è di per sé né legittimo né illegittimo; né sotto questo profilo può essere valutato in sede processuale, ove semmai l'indagine va diretta sulla legittimità dell'inerzia". Detti principi vengono ripresi dallo stesso A. (F.G. SCOCA - M. D'ORSOGNA "Silenzio. Clamori di novità", cit., 403, nota 13): "Già in passato cautele sono state espresse sull'opportunità di utilizzare la formula "silenzio-inadempimento", che evoca un giudizio di valore, in termini di legittimità/illegittimità, ovvero, più esattamente, di liceità/illiceità; giudizio senz'altro riferibile all'inerzia quale omissione di provvedimento che regoli (in modo soddisfacente) l'interesse del privato, ma non anche al silenzio amministrativo in senso tecnico, che rappresenta soltanto un meccanismo procedurale per adire il giudice e, in quanto tale, è insuscettibile di una indagine di tal genere".
[44] F.G. SCOCA "La tutela processuale del silenzio dell'amministrazione", cit., 91.
[45] F. MELE, in "La semplificazione del procedimento amministrativo nelle leggi 15 marzo 1997 n. 59 e 15 maggio 1997 n. 127 (Cd. "riforma Bassanini")", in Dir. Proc. Amm. 1997, 795, rileva che l'art. 2 della legge 241 individua il comportamento dell'Amministrazione in termini di vero e proprio obbligo, evidenziando il dato testuale offerto dai primi due commi: "ha il dovere di concludersi (…)", "… il termine entro cui deve concludersi".
[46] Di tale avviso e M. CLARICH "Termine del procedimento e potere amministrativo", cit., 2 e segg.
[47] F.G. SCOCA "La tutela processuale…", cit., 91.
[48] F.MELE, op. ult. cit., 795.
[49] F. MELE, op. ult. cit., 800, vi riconosce "…in un'ottica di prevenzione generale, una efficacia dissuasiva verso l'inosservanza, da parte dell'Amministrazione, dei termini stabiliti per la conclusione del procedimento". Aggiunge l'A. "la rilevata natura sanzionatoria e dimostrata del carattere automatico e forfettario dell'indennizzo, che non richiede la dimostrazione di un danno effettivo e, pertanto, ne evidenzia la correlazione al solo mero fatto oggettivo della violazione di un obbligo, senza necessità della contemporanea esistenza di una lesione patrimoniale"
[50] SS.UU. 22 luglio 1999 n. 500, in Il Cons. Stato 2000, II, 44 e segg.
[51] A. ZITO "Tendenze della giustizia amministrativa negli anni novanta e prospettive di riforma" in Jus 1997, 242; I. FRANCO "Il nuovo procedimento amministrativo" cit., 81 e segg.; V. CERULLI IRELLI "Corso di Diritto Amministrativo", cit.; N. CENTOFANTI "Il silenzio della Pubblica Amministrazione e i procedimenti sositutivi", Padova, 1999, 11 e segg.; M. CLARICH op. cit.
[52] Sembra meno appropriato parlare di "formazione" del silenzio, in relazione ad un quid riferito a qualcosa che non si è realizzato.
[53] P. STELLA RICHTER "L'aspettativa del provvedimento", in RTdP 1981, 26 e segg.; G. FALCON "Giurisdizione di spettanza", in Dir. Proc. Amm. 2001, 287 e segg.
[54] F.G. SCOCA "la tutela processuale…", cit., 88 e segg., con ampi richiami di dottrina e giurisprudenza in nota 10.
[55] Anche per detto giudizio, però, è stata sostenuta la prescindibilità. Ci si permette rinviare a S. PELILLO "Il giudizio di ottemperanza alle sentenza del Giudice Amministrativo", Milano, 1990, 171 e segg.. Cfr. M CLARICH "Giudicato e potere amministrativo", Padova, 1989.
[56] Sostiene A. ZITO, op. ult. cit., che "se la pretesa al termine non è costruita come un diritto del cittadino ma come una facoltà ricompresa nell'interesse legittimo, l'obbligo della P.A. si stempera in un mero dovere senza sanzione sicchè i termini prefissati nelle norme finiscono per confluire - tranne in quei pochi casi in cui dalla legge o dalla combinazione sistematica delle norme si evinca in modo chiaro la perentorietà del medesimo - nella categoria "debole" del termine meramente ordinatorio, categoria che rappresenta a ben guardare la consacrazione di una posizione forte dell'amministrazione e del suo potere e per converso la riaffermazione di una posizione di giuridicità tenue del cittadino, dei suoi interessi, dei suoi diritti. Se adesso si va a guardare qual è stata la reazione della giurisprudenza, non si può fare a meno di notare come, pur in presenza di quell'encomiabile sforzo, cui si è accennato in apertura, volto a sostanzializzare il processo amministrativo e dunque ad accrescere la qualità della tutela del cittadino, la nuova disciplina del termine non abbia sortito alcun effetto particolare se non nell'ambito dei rapporti tra la P.A. ed i propri funzionari con riferimento ai giudizi di rivalsa. Naturalmente non si vuole certo negare la positività di questo fatto. Però è certo che, nei rapporti tra P.A. e privati, non è dato riscontrare un analogo orientamento innovativo. Per quel che risulta da una indagine svolta sulla giurisprudenza a partire dal 1990, soltanto in un caso si parla espressamente di diritto ad ottenere dalla P.A. l'emanazione degli atti di propria competenza in tempi ragionevoli attraverso peraltro una argomentazione che fa leva molto più sul diritto comunitario che non sulla normativa interna, segno questo inequivocabile di una non particolare valutazione della portata di quest'ultima". E' richiamata in nota T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. I, 2 aprile 1998 n. 261
[57] Secondo M. CLARICH, op. cit., 123 e segg., è una delle più significative novità della l. 241/'90, tra l'altro, di porre in relazione la risarcibilità del danno che deriva dal perdurare della situazione di incertezza circa il rilascio o meno del provvedimento di tipo autorizzatorio e non anche il mancato o ritardato godimento del bene della vita o dell'utilità finale.
[58] E' stata riconosciuta una più adeguata pertinenza nei rapporti interni all'apparato, ai fini della affermazione di responsabilità dei funzionari.
[59] A.P. 10 marzo 1978 n. 10, in Cons. Stato 1978, I, 335, che, come è noto, è pietra angolare, dopo la precedente A.P.n. 8/1960 (Foro Amm. 1960, I, 701). Ricorda G. B. GARRONE, op. cit., 164, che secondo il Massimo Organo di Giustizia amministrativa, in detta più recente Adunanza, "sarebbe ingiustificato e certamente dannoso la fase stragiudiziale della diffida e far scattare subito il termine di decadenza". Spiega "perché, in particolare, il privato sarebbe esposto al pericolo di una decadenza automatica del diritto al ricorso giurisdizionale". Indirettamente, riconosce la pertinenza della diffida G. ABBAMONTE, quando afferma ("Silenzio rifiuto e processo amministrativo", in Dir. Proc. Amm. 1985, 43): "che la diffida renda certa l'omissione non significa che essa informi circa il contenuto della regolamentazione del rapporto che avrebbe dovuto formare oggetto del provvedimento". G. GRECO "Silenzio della pubblica amministrazione e problemi di effettività della tutela degli interessi legittimi", in RTdP 1979, 395; Contrario alla attualità della diffida è anche V. CERULLI IRELLI ("Corso di Diritto Amministrativo", cit., pag.501, riconoscendo che l'utilità per la fissazione di un termine, con la l. 241, è superata dal legislatore. Anche E. SCHINAIA in "Notazioni sulla nuova legge sul procedimento amministrativo", in Dir. Proc. amm. 1991, 196, ritiene che "decorso il termine di legge o di regolamento, avverso il silenzio, potrà ricorrersi al giudice". Deve registrarsi, giusta massima redazionale, che per recente giurisprudenza, la diffida vada posta in relazione ad ipotesi in cui il silenzio rifiuto abbia valore di provvedimento, che non si realizza nel caso di silenzio, integrante accadimento, un mero fatto, per il quale deve convenirsi sulla ultroneità della iniziativa costrittiva del privato per l'attribuzione alla Amministrazione del termine per provvedere, mediante formale intimazione stragiudiziale, stante la previsione normativa e/o regolamentare. Secondo Cons.Stato, Sez. IV, 7 dicembre 2000 n. 6494, in Il Cons. Stato 2000, I, 2609, "nel ricorso proposto contro il silenzio rifiuto dell'Amministrazione, nell'ipotesi in cui il comportamento omissivo abbia valore provvedimentale, il soggetto che intende reagire contro l'inerzia ha l'onere di seguire l'iter ordinario, caratterizzato dalla presentazione di una istanza e dall'inerzia stessa protrattasi per almeno sesssanta giorni dalla successiva diffida a provvedere entro un congruo termine, comunque non inferiore a trenta giorni; pertanto, è inammissibile il ricorso contro il silenzio quando la diffida non abbia assegnato un termine espresso per provvedere". Di diverso avviso, perché espressamente riferito alla ipotesi di inerzia, da valere quale silenzio non significativo, è stato il T.A.R. Campania, Napoli, Sez. I, 20 ottobre 2000 n. 3879, in Rass. T.A.R. 2000, 5268, in quanto "il soggetto che intende reagire contro l'inerzia della Pubblica Amministrazione ha l'onere di seguire il rigoroso iter ordinario (…); solo quando il procedimento è concluso e si è formato il silenzio-inadempimento, l'interessato ha facoltà di proporre ricorso giurisdizionale, entro sessanta giorni decorrenti dalla scadenza del termine assegnato con l'atto di diffida, non essendo consentita la immediata impugnazione del silenzio conseguente alla mancata risposta all'istanza formulata dal privato, ma non seguita dalla formale diffida dell'Amministrazione". Per l'inammissibilità del ricorso perché non preceduto da diffida: CSI, 23 dicembre 1999 n. 665, in Cons.Stato 1999, I, 2192. Di diverso avviso è T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. II, 10 febbraio 2001 n. 293, in i T.A.R. 2001, 1502, che ritiene che "la dinamica processuale espressa dall'art. 2 comma 1 l.21 luglio 2000 n. 205 (…) comporta che non vi è più la necessità di un preliminare atto di diffida". Significativo è il principio affermato in Cons. Stato, Sez. VI, 5 giugno 2001 n. 3024. Si legge in massima redazionale (Sett. Giur. 2001, 454), che "la definizione del giudizio nel merito di un ricorso contro il silenzio rifiuto non è preclusa dal fatto che il silenzio stesso, pur se non perfezionatosi all'epoca della notifica dell'atto introduttivo, si sia avverato nel momento della decisione, così radicando in termini di attualità l'interesse alla decisione".
[60] F.G. SCOCA "La tutela processuale del silenzio della pubblica amministrazione", cit., 89.
[61] Cfr. F.G. SCOCA, op. ult. cit. 90. L'illustre A. richiama, nella nota 12, P.M. VIPIANA "Osservazioni sull'attuale disciplina del silenzio inadempimento della Pubblica Amministrazione", in Studi in onore di F. Benvenuti, Modena, IV, 1996, 1722, che critica l'indirizzo espresso dal Ministero della Funzione Pubblica n. 60397-7-463 dell'8 marzo 1991 di conservazione "della normale procedura per la determinazione del silenzio rifiuto imputabile all'amministrazione" (quindi, diffida ex art. 25 T.U. n. 3/1957), perché rappresenterebbe "un pesante aggravio procedurale per il privato e quindi costituirebbe una inammissibile remora all'esercizio del suo diritto, costituzionalmente tutelato, di adire il giudice amministrativo: una remora le cui conseguenze si potrebbero ritenere assimilabili, per certi versi, a quelle che derivano dalla applicazione del principio solve et repete". Cfr. altresì, riferimenti SUB (………) che precede. Spunti di riflessione, come sempre del resto, provengono da M.S.GIANNINI "Istituzioni di Diritto Amministrativo", 2^ Ed., a cura di A. MIRABELLI CENTURIONE, Milano, 2000, 484, riguardo alla "… misura, introdotta dalla giurisprudenza, ed oggi resa attuale e legificata (l. 1990 n. 241 e d.P.R. 27 giugno 1992 n. 352 sul diritto di accesso), che va sotto il nome pratico di diffida volta a provocare il silenzio rifiuto e su di esso l'obbligo di provvedere. Essa si dirige verso il decidente, che resta al presente individuato nel responsabile del procedimento, quale che sia l'ufficio che in concreto inadempia l'obbligo di procedere: si reputa per implicito che, almeno ai fini dell'adozione del provvedimento, l'obbligo di procedere vale a puntualizzarsi sempre sul decidente. Si notifica una diffida, ma a provvedere, secondo la nuova normativa proponibile dopo 30 giorni dall'iniziativa procedimentale; il termine da comminare è di 60 giorni. Se esso matura infruttuosamente, il silenzio si qualifica come rifiuto di provvedere, e si rende possibile adire il giudica amministrativo, il quale deciderà intimando alla p.a. di adottare il provvedimento. Sicché la diffida attiva una fattispecie di silenzio significativo ad esito negativo, da far valere quando la norma non abbia già essa qualificato in tal modo il comportamento di silenzio; quindi essa ha valore generale, tanto più al presente se si tiene conto della portata dell'art. 2 l. 1990 n. 241 secondo il quale la pronunzia del giudica amministrativo ha natura vincolata nel contenuto.
[62] Viene precisato che “in questa ipotesi, infatti, attraverso il meccanismo della diffida, si porrebbe l’amministrazione nelle condizioni di rappresentare le proprie esigenze di tempo; sicché si otterrebbe una maggiore flessibilità dell’istituto ed una maggiore adattabilità del silenzio alle caratteristiche del procedimento in itinere”.
[63] Ove si apprezzino prioritariamente e staticamente le rispettive posizioni giuridiche soggettive, e quindi dinamicamente la concretizzazione del confronto nel binomio libertà / autorità che, avuto riguardo alla inespressività di quest’ultimo in situazioni nelle quali si possa registrare solo il fatto silenzio, continua a conservare attualità.
[64] Sostiene G. GRECO ("L'accertamento autonomo del rapporto nel giudizio amministrativo", Milano, 1980, 169) che "il silenzio - inadempimento, così come l'atto esplicito di rifiuto, può ben ledere l'interesse legittimo dinamico, ma, trattandosi di mera inerzia, non produce alcun nuovo assetto di rapporti, che si imponga autoritativamente in capo al titolare dell'interesse legittimo; né, pertanto, produce l'estinzione della relativa posizione sostanziale".
[65] Cfr. L.MAZZAROLLI "Il processo amministrativo come processo di parte e l'oggetto del giudizio", in Dir. Proc. Amm. 1997, 463 segg.; S. GIACCHETTI "L'oggetto del giudizio amministrativo", in Studi per il centocinquantenario del Consiglio di Stato, III, Roma, 1981, 1483 e segg.; G. ABBAMONTE "Sentenze di accertamento ed oggetto del giudizio amministrativo di legittimità e di ottemperanza", in "Scritti in onore di M.S. Giannini", Milano, 1988, vol. I, 7; A. TRAVI "Lezioni di giustizia amministrativa"Torino 1999, 154; G. SALA "Oggetto del giudizio e silenzio dell'amministrazione", in Dir. Proc. Amm. 1984, 147 e segg.; G. ABBAMONTE "Silenzio rifiuto e processo amministrativo", in Dir. Proc. Amm. 1985, 20 e segg.
[66] S. CASSARINO “Il sistema di giustizia amministrativa in Italia e i suoi attuali problemi”, Dir. Proc. Amm. 1997, 45 e segg.; M.E. SCHINAIA “Evoluzione del processo amministrativo nella esperienza giurisprudenziale tra garanzia ed effettività”, in Cons. Stato 1997, II, 317 e segg.; M. NIGRO “Giustizia Amministrativa”, Bologna, 1983; G. PALEOLOGO “Il giudizio amministrativo oggi”, in RTdP 2000, 621 e segg.; G. VERDE “Ma che cos’è questa giustizia amministrativa”, in Dir. Proc. Amm. 1983, 587 e segg.
[67] Per essere stato finalmente riconosciuto – ex art. 10 l. 205/2000 – il rimedio di cui all’art.37, comma 2, l. 1034/1971, alle sentenze esecutive, non sospese dal Consiglio di Stato in sede di appello.
[68] R. POLITI “Formazione del silenzio rifiuto e disciplina del procedimento amministrativo”, in Rass. I T.A.R. 1995, II, 361, sub nota 13, ricorda il pensiero espresso sul punto da M. NIGRO (in “Linee di una riforma necessaria e possibile del processo amministrativo”, Riv. Dir. Proc. 1978, 254), circa “il triplice giro di attività giurisdizionale” che l’interessato è costretto a percorrere a fronte del silenzio della P.A., al fine di conseguire il soddisfacimento della pretesa (dichiarazione di illegittimità del rifiuto; ordine all’Amministrazione di provvedere a fronte dell’ulteriore inerzia; attivazione dei poteri sostitutivi in sede di giudizio esecutivo), con riveniente considerazione circa la scarsa efficacia dei meccanismi giurisdizionali di garanzia. Aggiunge lo stesso A. che “va tuttavia sottolineato come tale consapevolezza – trasversale alla più illuminata dottrina – abbia anche stimolato la delineazione di ipotesi evolutive volte ad ovviare gli inconvenienti manifestati dalla tortuosità dell’iter sopra accennato”
[69] In tali termini, A. DE ROBERTO “Il silenzio della Pubblica Amministrazione, in Foro Amm. 1983, 537 e segg..
[70] M. CLARICH “ L’azione di adempimento nel sistema di giustizia amministrativa in Germania: linee ricostruttive e orientamenti giurisdpurdenziali”, in Dir. Proc., Amm.1985, 66 e segg.; E. FOLLIERI “Risarcimento dei danni per lesione di interessi legittimi”, Chieti, 1984, 141; L. TARANTINO, op. cit., 42 e segg.; G. GRECO “Per un giudizio di accertamento compatibile con la mentalità del Giudice Amministrativo”, in Dir. Proc. Amm. 1992, 486.; Id. "L'accertamento autonomo del rapporto nel giudizio amministrativo", cit., 58 e segg.
[71] Secondo A. SANDULLI “La semplificazione amministrativa tra riforma e restaurazione”, in Giorn. Dir. Amm. 1997, 989, “nell’ultimo decennio, lo spostamento del “baricentro” dell’azione amministrativa (dall’atto al rapporto, dai profili formali a quelli sostanziali, dalla verifica di conformità a quella sui risultati) da un lato, e la presa di coscienza dei costi di un apparato amministrativo inefficiente, dall’altro, hanno fatto assumere posizione di primo piano all’esigenza di buon andamento e, in particolare, a quella di razionalizzazione dell’attività amministrativa”.
[72] G. ABBAMONTE – R. LASCHENA “Giustizia amministrativa”, cit., 247.
[73] E. CANNADA BARTOLI “Ricorso avverso silenzio rifiuto e mutamento della domanda”, in Foro Amm. 1993, 311; G. SALA “Oggetto del giudizio e silenzio dell’Amministrazione”, in Dir. Proc. Amm. 1984, 147; G. GRECO “Silenzio della P.A. e oggetto del giudizio”, in Giur. It. 1983, III, 137.
[74] G. ABBAMONTE “Silenzio rifiuto e processo amministrativo”, in “Il silenzio della Pubblica Amministrazione”, Atti del XXVIII Convegno di Studi di Scienze dell’Amministrazione, Milano, 1985, 141/142.
[75] Si afferma in Cons. Stato, Sez. VI, 19 settembre 2000 n. 4872, in Giorn. Dir. Amm. 2000, 1137, che “secondo le regole generali, l’inerzia nell’esercizio di un pubblico potere, per assumere un disvalore nei confronti dell’ordinamento, deve essere fatta constatare attraverso la procedura del silenzio inadempimento, ad opera (non di chiunque, bensì) di soggetti titolari di una posizione di interesse qualificata e differenziata all’esercizio del potere”.
[76] F.G. SCOCA “La tutela processuale del silenzio …”, cit., 92.
[77] Cfr. V. CAIANIELLO, op. cit., 578 e segg; D.M. TRAINA “Lo svolgimento del processo”, in “Il processo amministrativo”, Tomo IV, in “Trattato di Diritto Amministrativo” (a cura) di S. CASSESE, Milano, 2001, 3308.
[78] Secondo Cons. Stato, Sez. V, 8 marzo 2001 n. 1354, in Sett. Giur. 2001, 211 “La Pubblica Amministrazione non ha l’obbligo di provvedere su una domanda manifestamente infondata ed il ricorso giurisdizionale proposto a seguito del silenzio serbato dall’Amministrazione è inammissibile per difetto d’interesse, in quanto il ricorrente non ha alcuna possibilità di conseguire un risultato utile dall’eventuale accoglimento del suo gravame”. Valutazione che non può non implicare la necessaria verifica in termini di vantaggio conseguibile, se la vocatio judicis è posta in relazione all'interesse a ricorrere: il che porta verso i temi della sostanzialità dell'azione, che va oltre il limite che si rinviene in T.A.R. Friuli V. Giulia, 3 agosto 2000, n. 650, in i TT.AA.RR. 2000, 4432, se si afferma che "la configurazione normativa dell'obbligo di conclusione di ogni procedimento amministrativo mediante l'adozione di un provvedimento espresso e del connesso obbligo di motivazione per ogni atto emanato dalla Pubblica Amministrazione (con esclusione dei soli atti normativi a contenuto generale), ha definitivamente sancito l'intrinseca illegittimità del silenzio rifiuto, riconnettendolo ad una situazione di lesione sintomatica dell'interesse legittimo di colui che sarebbe comunque dovuto essere destinatario di una pronuncia - non importa se positiva o negativa o interlocutoria - da parte dell'Autorità adita".
[79] In Cons. Stato, Sez. V, 13 aprile 2000 n. 2211, in Foro Amm. 2000, 1304-1305, si afferma che "il processo introdotto mediante l'impugnazione del silenzio - rifiuto, perfezionatosi secondo la procedura di cui all'art. 25 del d.P.R. n. 3 del 1957, non assume ad oggetto unicamente la legittimità in senso puramente formale del silenzio, ma si estende fino ad accertare la fondatezza sostanziale della pretesa posta a base dell'istanza e dedotta in giudizio. Il profilo relativo alla legittimità del silenzio, dunque, è assorbito dalle valutazioni direttamente pertinenti il merito della controversia, da cui dipende, in conclusione, l'accoglimento ovvero il rigetto della domanda".
[80] Il tema della discrezionalità, che si contrappone alla attività vincolata, è elemento fondante degli studi di diritto amministrativo (sostanziale e processuale). Tra gli innumerevoli contributi della dottrina più autorevole, per esigenze di sintesi,
[81] Cfr. C. MIGNONE "il giudizio di primo grado", in "Giustizia amministrativa" (a cura di) L. MAZZAROLLI, in AA.VV. "Diritto Amministrativo", 3^ Ed., Bologna, 2001, 2050 e segg.; V. CAIANIELLO, op. cit., 718 e segg.
[82] Per i riferimenti in dottrina, vedi infra, sub nota che segue.
[83] Cfr., tra gli altri, B. SASSANI "Impugnativa dell'atto e disciplina del rapporto", Padova, 1989; Id. "Dal controllo del potere all'attivazione del rapporto", Milano, 1997; G. ABBAMONTE "Sentenze di accertamento ed oggetto del giudizio amministrativo di legittimità e di ottemperanza", in Scritti in onore di M.S. GIANNINI, Milano, 1988, I, 1 e segg.; E. FERRARI "La decisione giurisdizionale amministrativa: sentenza di accertamento o sentenze costitutive?", Dir. Proc, Amm. 1988, 567; P. STELLA RICHTER "Per l'introduzione dell'azione di mero accertamento nel giudizio amministrativo", in Scritti in onore di M.S. GIANNINI, Milano, 1988, III, 863 e segg.; G. GRECO "L'accertamento autonomo del rapporto nel giudizio amministrativo", Milano, 1980; Id. "Per un giudizio di accertamento compatibile con la mentalità del G.A.", in Dir. Proc. Amm.. 1992, 481; S. MURGIA "Crisi del processo amministrativo e azione di accertamento", in Dir. Proc. Amm. 1996, 264 e segg.
[84] Secondo l'orientamento del Consiglio di Stato (A.P. 10/1978 e VI 92/1982, ricordano F.G. SCOCA e M. D'ORSOGNA in "Silenzio, clamori di novità" cit. 420-421), "si è giunti a riconoscere che il sindacato del giudice non deve essere limitato al mero riconoscimento del dovere di provvedere in astratto, ma deve essere rivolto, nei limiti dell'attività amministrativa vincolata, a stabilire la fondatezza della pretesa del ricorrente e a definire, quindi, il contenuto del provvedimento che (avrebbe dovuto e) deve essere adottato. Secondo il nuovo orientamento, pertanto, l'accertamento giudiziale è inteso, sotto il profilo procedurale e formale, a verificare il rispetto della procedura per la formazione del silenzio impugnabile; e, sotto il profilo sostanziale, a ricercare quelle norme poste a tutela degli interessi che si assumono danneggiati dal comportamento inerte dell'Amministrazione, in cui sono individuabili tutti i presupposti necessari per il doveroso (non solo nell'an, ma anche nel quid e ne quando, ove ciò risulti dalla disciplina del procedimento) esercizio della funzione amministrativa nel caso specifico". Per la dec. 82/'92, gli stessi AA., alla nota 44, hanno estrapolato dalla motivazione, in relazione al bisogno del ricorrente di ottenere un provvedimento che possa soddisfare l'interesse che ha inteso far valere: "tutto ciò vale, giova sottolinearlo, nei limiti di un giudizio di legittimità. L'obbligo può essere soltanto nel <se>; come può non esserci affatto, se anche sotto questo profilo l'atto è discrezionale. Ciò che va affermato in via generale è che il giudizio sull'impugnazione del silenzio - rifiuto tende a stabilire (…) la fondatezza della pretesa, perché non sarebbe utile, se questa è infondata, imporre all'Amministrazione l'obbligo di una pronuncia espressa; sia nel caso di una pronuncia positiva, che in quello di una pronuncia negativa, si porrebbero le premesse di una ulteriore controversia, che è proprio il contrario di ciò che si chiede alla giurisdizione". Detta sentenza era stata salutata con favore. Tra gli altri, G. GRECO in "Silenzio della Pubblica Amministrazione e oggetto del giudizio amministrativo", in Giur. It. 1983, III, cit. 137, rileva che "è la prima sentenza che riconosce la necessità che in detta materia debba procedersi all'accertamento autonomo dell'intero rapporto amministrativo, risultando inutile ogni altro accertamento limitato a profili meramente formali dell'agire amministrativo (accertamento del semplice obbligo di procedere o dell'obbligo di emettere una pronuncia espressa); ed è la prima sentenza, altresì, che riconosce ammissibile un accertamento di tal fatta nell'ambito del giudizio amministrativo di legittimità, superando così il costante, contrario avviso della giurisprudenza". Spiega (pag. 40) lo stesso A., che "la circostanza che la Pubblica Amministrazione abbia il potere di disporre del bene della vita oggetto della pretesa non esclude che il Giudice amministrativo possa accertare - indipendentemente da una verifica a posteriori, in sede di annullamento - le componenti doverose non discrezionali della potestà amministrativa non esplicatasi, per poi sostituirsi eventualmente alla Pubblica Amministrazione stessa in sede di ottemperanza: giova ricordare che nel nostro ordinamento il Giudice amministrativo ha <giurisdizione per la tutela nei confronti della Pubblica Amministrazione degli interessi legittimi> (art. 103 Cost), il che significa che non può non disporre di un generale potere di accertamento che rappresenta il contenuto minimo costante della giurisdizione in ordine a posizioni giuridiche sostanziali e il presupposto del giudizio di ottemperanza". In senso contrario R. VILLATA "Nuove riflessioni sull'oggetto del processo amministrativo", in Studi in onore di Antonio Amorth, I, Milano, 1982. Sui limiti dei poteri del G.A. in presenza di attività discrezionale, V. AZZONI "Il silenzio - rifiuto. Alcuni nodi irrisolti", Nuova Rass. 1999, 1714.
[85] Secondo G. GRECO "L'accertamento autonomo del rapporto", cit., 169, a fronte del fenomeno del silenzio - inadempimento è preclusa l'azione di impugnazione, "non è concepibile altra azione se non quella dell'accertamento del rapporto", con la precisazione che deve farsi "riferimento soltanto alla relazione (rapporto in senso tecnico….) che intercorre tra la pretesa sostanziale del singolo consociato ed il correlativo obbligo che si desume dalle norme sostanziali che disciplinano la componente doverosa della potestà".
[86] Sostiene F.G. SCOCA "La tutela processuale …" cit. 98, che "la sentenza del Giudice amministrativo potrebbe essere estremamente utile, in quanto, pur non assicurando, comunque, una tutela piena, presenta un contenuto maggiormente ricco, che troverebbe piena valorizzazione in un eventuale successivo processo di ottemperanza; che, per tale via, può portare facilmente alla definizione in via definitiva della controversia".
[87] Si è chiesto F.G. SCOCA , op. ult. cit., 98, che "la asserita distinzione del contenuto possibile delle pronunce giurisdizionali per tipi di procedimenti, se vincolati o discrezionali, non appare, invero, né soddisfacente né giustificabile. Una volta ammesso, infatti, che il giudizio sul (presupposto del) silenzio comporta un'attività di accertamento, non si comprende perché le limitazioni a tale attività debbano essere costruite in astratto (per categorie di procedimenti) e non, invece, in relazione alle situazioni concretamente poste all'attenzione del Giudice: non si ravvedono ostacoli, infati, ad un autonomo accertamento da parte del Giudice amministrativo sugli aspetti indisponibili da parte dell'Amministrazione anche nei procedimenti discrezionali, ovvero su quegli aspetti che, pur essendo caratterizzati da note di discrezionalità, sono già stati valutati dall'amministrazione e non vengono contestati dal privato che si rivolge al giudice". Il Giudice amministrativo, però, che è chiamato ad affermare il diritto nel caso concreto, è prudente in presenza di silenzio non significativo relativo ad attività non vincolata dell'Amministrazione. Si legge, ad esempio, in massima redazionale (Cons. Stato 1999, 1618), di sentenza pronunziata dalla Sez. V, 12 ottobre 1999 n. 1446, che "in caso di ricorso proposto contro il silenzio - rifiuto della Pubblica Amministrazione, il Giudice deve sempre verificare la fondatezza della pretesa sostanziale vantata dall'interessato e, quindi, in caso di accoglimento del ricorso, deve indicare puntualmente tutti i contenuti vincolati della successiva azione amministrativa, fermo restando che la profondità del sindacato giurisdizionale sul rifiuto incontra comunque alcuni importanti limiti, correlati, di volta in volta, all'esistenza di marcati profili di discrezionalità amministrativa, il cui esercizio non è immediatamente surrogabile dal giudice nella fase cognitoria del giudice, ovvero alla necessità di compiere particolari accertamenti o verifiche di ordine tecnico, riservate, almeno, in prima battuta, agli organi dell'Amministrazione".
[88] F.G. SCOCA "La tutela processuale…", cit.: "Un primo orientamento, partendo dal presupposto che l'attuale legislazione non consente la proposizione di un'azione di accertamento del (possibile) contenuto di un provvedimento che deve essere ancora emanato dall'amministrazione, conclude nel senso che il giudice amministrativo deve limitarsi a dichiarare l'obbligo dell'amministrazione di provvedere, senza poter accertare in sede di legittimità, se l'istanza abbia titolo ad ottenere quanto richiesto. E' stata anche sostenuta una tesi intermedia, secondo cui il rivolgersi al giudice amministrativo sulla base del silenzio non implica (necessariamente) che il giudice medesimo si pronunci sulla (manifesta) infondatezza o meno della pretesa sostanziale del privato al fine di dichiarare la sussistenza (o meno) dell'obbligo della amministrazione di emanare un provvedimento di un certo contenuto. Secondo tale orientamento una simile pronuncia non sarebbe di per sé ed in via generale da escludersi, ma essa potrebbe essere resa solo nei casi in cui l'azione amministrativa (che avrebbe dovuto essere espletata e non lo è stata) abbia natura vincolata; e, ancora, se la fondatezza dell'istanza rimasta priva di riscontro rilevi ictu oculi, perché "in caso contrario, non è possibile per il giudice, in sede di ordinario giudizio di legittimità, pronunciarsi positivamente sulla pretesa sostanziale azionata". C'è, infine, una tesi più aperta, con la quale si afferma a chiare lettere che il giudizio, che apparentemente verte sulla legittimità del silenzio (rifiuto), tende in realtà a stabilire la fondatezza della pretesa sostanziale; per cui il dovere dell'amministrazione di provvedere sulla istanza del privato non va accertato in astratto, perché al giudice viene richiesta non una pronuncia sulla sussistenza di un generico dovere di provvedere, ma una pronuncia di contenuto determinato, che accerti, ma una pronuncia di contenuto determinato, che accerti il dovere di provvedere specificamente in relazione al provvedimento concretamente rilevato, che sia satisfattorio dell'interesse fatto valere".
[89] Auspicava, ad es., R. MARONE, op. cit., 318, nel 1993, che "de iure condendo non si può non sperare in un intervento del legislatore che preveda sistemi di tutela particolarmente accelerati, al fine di eliminare, alla radice, la potente arma del silenzio della P.A.. Ed, a tal fine, non si può non pensare a procedimenti giurisdizionali particolarmente accelerati, già previsti, ad esempio, in una legislazione coeva, come la l. 12 giugno 1990 n. 146, contenente norme sull'esercizio del diritto di sciopero nei servizi essenziali e sulla salvaguardia dei diritti della persona costituzionalmente garantiti".
[90] B. SASSANI, cit., sub nota 6 che precede.
[91] S. GIACCHETTI, "Il ricorso avverso il silenzio dell'amministrazione e le macchine di Munari", cit., 472, in Cons. Stato 2001, II, 470, teme che "la nuova disciplina abbia creato ulteriori problemi sotto i profili della chiarezza, dell'effettività e della congruità della tutela giurisdizionale; problemi certo comprensibili per la fretta con cui è stato necessario approvare la legge n. 205, per colmare il vuoto aperto dalla sentenza della Corte Cost. 11 - 17 luglio 2000 n. 292, ma che sempre problemi restano".
[92] Giova ricordare anche che il giudizio di ottemperanza, in assenza di apposita richiesta delle parti, è celebrato in Camera di Consiglio.
[93] Cfr. nota 11 che precede.
[94] G. ABBAMONTE - R. LASCHENA "Giustizia amministrativa", cit., 220
[95] Indubbiamente riecheggia il modulo della tutela per l'accesso ai documenti ex art. 25 l. 241/1990.
[96] Secondo S. FANTINI "Il rito speciale in materia di silenzio della pubblica amministrazione", in Giust. Civ. 2001, II, 184, "la ratio di questo rito speciale riposa, ancora una volta, secondo quello che è ormai un trend ben riconoscibile nel diritto processuale amministrativo, ove si diffondono riti speciali, segno di sofferenza del giudizio ordinario, nell'enucleazione di un meccanismo di definizione accelerata del contenzioso, la cui esigenza è particolarmente avvertita allorché si reagisca all'inerzia amministrativa e cioè ad una condizione ove più significativa è la carenza di tutela del cittadino".
[97] Critico è A. LAMBERTI ("Il ricorso avverso il silenzio", in "Verso il nuovo processo amministrativo" (a cura di) V. CERULLI IRELLI, Torino, 2000, 245; secondo l'A. "quanto poi al procedimento, ci si può intanto chiedere perché mai si sia seguita la formula della sentenza in camera di consiglio che nel nostro ordinamento è pressoché sconosciuta, ed opportunamente, dal momento che se non ci sono ragioni del tutto particolari (quali quelle che consigliano il rito camerale in materia di volontaria giurisdizione), non v'è ragione di disgiungere la sentenza dal rito pubblico, trattandosi di manifestazioni di potere di particolare spessore che regole elementari, e perciò fondamentali, di democrazia vogliono soggette, anche nelle forme, al controllo diretto del popolo che della sovranità è l'unico originario depositario e finale destinatario. Ciò tanto più perché neppure potrebbe essere invocata alcuna economia di mezzi e di persone essendoci, come è noto, equivalenza tra le due udienze, pubblica e camerale (di data, di luogo, di oneri connessi) con la sola differenza delle porte aperte o chiuse".
[98] Cfr. nota 10 che precede.
[99] S. FANTINI, op. ult. cit., sub nota 96 che precede, pag. 184.
[100] A. LAMBERTI, op.ult. cit. sub nota 97 che precede, pag. 244.
[101] B. SASSANI ("Il regime del silenzio e l'esecuzione della sentenza", in "Il processo davanti al giudice amministrativo - Commento sistematico alla legge 205/2000" (a cura) di B. SASSANI e R. VILLATA, Torino, 2001, 294 sub nota 4), richiama l'approfondita analisi di S. MENCHINI in "Processo amministrativo e tutela giurisdizionale differenziata,
[102] Sia consentito ancora una volta rinviare a S. PELILLO, op. cit.. Nello specifico, pag. 143 (sub nota 156 viene richiamato il pensiero di F.G. SCOCA in "Sentenze di ottemperanza") e pag. 244 ove è menzionata, sub nota 158, la dec. CSI n. 92/1982, dalla quale era stata espunta l'affermazione da ultimo virgolettata.
[103] Tra gli altri cfr. I. FRANCO "Il nuovo procedimento amministrativo", Padova, 2001, 401 e segg.; V. CERULLI IRELLI, op. cit.485 e segg.; E. CASETTA "Manuale Diritto Amministrativo", Padova, 2001, 403 e 720; B. MAMELI in "Il nuovo processo amministrativo", (a cura) di F. CARINGELLA - M. PROTTO, Milano, 2001, 9 e segg.; F. CARINGELLA "Il diritto amministrativo", Napoli, 2001, 632 e segg.; G. MORBIDELLI "Il processo amministrativo" e V. DOMENICHELLI "Il processo amministrativo", in AA. VV. "Diritto Amministrativo", Bologna, T.II, 1312 e segg. e 1947; E. MELE "La trasparenza e l'accesso ai documenti", in (a cura) di P. FALCONE A. POZZO "Diritto amministrativo nella giurisprudenza", cit., tomo I, 18; M. CHITI "le procedura giurisdizionali speciali", in "Processo Amministrativo" (trattato di Diritto Amministrativo, a cura di S. CASSESE), Milano 2000, Tomo IV, 3669 e segg.; V. ITALIA "L'accesso ai documenti amministrativi", Milano, 1994. In giurisprudenza, ad es.: Cons. Stato, A.P. 24 giugno 1999 n. 16; Sez. IV, 14 gennaio 1999 n. 32; Sez. VI, 16 dicembre 1998 n. 1683, in Il Cons. Stato 1999, I, 784; Foro Amm. 1999, 48; Giur. It. 1999, 849.
[104] A. LAMBERTI, op. cit., 246.
[105] Che è di trenta giorni, come noto, in via ordinaria o ridotto alla metà se riguardante una delle materie di cui all'art. 4 stessa l. 205. E' indubbiamente termine ordinatorio; nulla, comunque, si dice a proposito del tempo per il deposito della sentenza, come si registra per i giudizi di cui al comma primo del citato art. 4, per i quali è previsto che almeno il dispositivo (comma 6^) venga pubblicato entro sette giorni dalla data dell'udienza.
[106] La circostanza che, a regime, il legislatore relazioni la fissazione dell'esame, eventualmente unico, al ricordato deposito del ricorso, stabilendo il limite massimo di giorni trenta, sembra portare ad escludere l'esercizio di poteri presidenziali a fini istruttori, con ordinanza.
[107] Che così dispone: "La decisione sui mezzi istruttori, compresa la consulenza tecnica, è adottata dal Presidente della sezione o da un magistrato da lui delegato ovvero dal collegio mediante ordinanza con la quale è contestualmente fissata la data della successiva udienza di trattazione del ricorso". Cfr. F. CARINGELLA - G. DE MARZO - F. DELLA VALLE - R. GAROFOLI "La nuova giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo dopo la legge 21 luglio 2000 n. 205", Milano, 2000, 595 e segg.
[108] V. CAIANIELLO "Manuale…" cit., 312.
[109] V. CAIANIELLO "Manuale…", cit., 725 e segg.; G. PALEOLOGO "L'appello al Consiglio di Stato", Milano, 1989, 749. A. TRAVI "Lezioni di giustizia amministrativa", Torino, 2000; A. MAGGIO "l'appello al Consiglio di Stato", in (a cura) di P. FALCONE e A. POZZI "Il diritto amministrativo nella giurisprudenza", cit., 899 e segg..
[110] A. NIGRO "Giustizia amministrativa", Bologna, 1983, 27.
[111] E. FOLLIERI "Silenzio della P.A. e tutela degli interessi diretti all'acquisizione di un vantaggio" (cd. "interessi pretensivi"), in Foro Amm. 1981, I, 1165.
[112] In generale, cfr. A. ANDREANI "La motivazione della sentenza amministrativa", in Dir. Proc. Amm. 1986, 5.
[113] Ricorda B. SASSANI, op. ult. cit., 296, che "generalmente il ricorso contro il silenzio cumula in sé due momenti: da un lato esso esprime il "diritto a conoscere, il diritto cioè ad una risposta negativa controllabile" (sub nota 11 al riguardo è richiamata la dec. T.A.R. Lazio, Sez. I, 18 aprile 1996 n. 629, in i TT.AA.RR. 1996, I, 1702), "(petitum cd. immediato, per parlare l'idioma dei processualcivilisti) vi si associa inoltre l'interesse (prevalentemente, ma non necessariamente, di tipo pretensivo), al bene della vita (strumentale o finale che esso sia) non conseguibili se non in vista di positiva determinazione del titolare del potere pubblico (petitum cd. mediato, nel medesimo idioma)".
[114] E. CANNADA BARTOLI "Ricorso avverso silenzio rifiuto e mutamento della domanda", Foro Amm. 1993, cit 310
[115] L. TARANTINO, op. cit., 178.
[116] Cfr. B. SASSANI "Il regime del silenzio…, cit. 299.
[117] Secondo T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. II, 10 febbraio 2001 n. 293, cit. "nel sistema introdotto dall'art. 2, comma 1, l. 21 luglio 2000 n. 205, il commissario ad acta, che è possibile nominare a fronte dell'ulteriore inadempimento della P.A., è figura che sotto il profilo sostanziale deve essere intesa non già coma collaboratore del giudice, ma come organo amministrativo sostitutivo dell'Amministrazione inadempiente e, pertanto, dotato di piena autonomia decisoria".
[118] Sia ancora consentito rinviare a S. PELILLO, op. cit., 291.
[119] CSI 21 dicembre 1982 n. 92, in Rass. Cons. Stato 1982, I, 1952. In dottrina, S. GIACCHETTI "Il commissario ad acta nel giudizio di ottemperanza: si apre un dibattito", in Foro Amm. 1986, I, 1967.
[120] Il compianto F. PUGLIESE, in "Le nuove disposizioni in materia di giustizia rimodellano gli istituti processuali e l'attività amministrativa", in Dir. Proc. Amm. 1999, 621 (relazione tenuta in un convegno celebrato a Napoli il 28 novembre 1998, giorno della sua scomparsa), nell'esaminare il d.Lgs. 80, rileva, tra l'altro, che "si fa irreversibile l'idea centrale che il sindacato riguardi la funzione amministrativa complessivamente considerata, anche al di là del giudizio sul rapporto". Ed ancora: "il sindacato di legittimità, non escluso, progredisce e si confonde con il sindacato di merito, fino alla sostituzione del giudice all'amministrazione".
[121] Cfr. parere Commissione Speciale 17 gennaio 2001, cit., 6. Per i contributi della dottrina più recente, cfr. nota 123
[122] Cfr. A.P. 3 dicembre 1982 n. 18 in Rass. Cons. Stato, 1982, I, 1503. G. GRECO, in "Argomenti di diritto amministrativo", Milano, 2000, 241, individua, nella disciplina di cui all'art. 2 l. 205/2000, la introduzione di un "giudizio accelerato e articolato in due fasi, al termine delle quali si dovrebbe giungere" - in caso di persistente inerzia dell'Amministrazione - "all'emanazione del provvedimento da adottare in via sostitutiva, ad opera del commissario ad acta".
[123] Secondo L. COSSU "Osservazioni a prima lettura sulla l. 21 luglio 2000 n. 205 (disposizioni in materia di giustizia amministrativa)", in Rass. Cons. Stato, 2000, II, 1512, riguardo alla disciplina del ricorso avverso il silenzio, "si stabilisce che la sentenza che accolga in tutto od in parte il ricorso ordini all'Amministrazione di provvedere, con successiva nomina di Commissario su richiesta di parte, da proporsi non più in separato giudizio, ma come fase eventuale interna al processo camerale"; S. FANTINI "Rito speciale in materia di silenzio della P.A.", cit. 190, dopo aver rilevato che i commi 2 e 3 dell'art.2 "enucleano un'inedita unificazione dell'azione di cognizione con quella di esecuzione", propende per riconoscere un unico giudizio con riferimento alla nomina del Commissario, ritenendo "preferibile, per semplicità, la soluzione, già ampiamente sperimentata in sede di giudizio di ottemperanza ordinario, che consente, in prevenzione, la nomina del commissario ad acta fin dalla sentenza, per la ipotesi di perdurante inerzia, in violazione del contenuto ordinatorio della sentenza stessa". Si realizza solo il differimento della operatività della "misura sostitutiva della nomina" in parola. Ancorché in forma perplessa, A. LAMBERTI, in "Il ricorso avverso il silenzio", cit., 247, si interroga sul perché "in un giudizio ispirato al massimo dell'accelerazione, il ricorrente debba operare una ulteriore richiesta al giudice per ottenere la nomina del commissario quando l'Amministrazione resti inadempiente" quasi a voler rilevare che il nuovo legislatore abbia previsto una autonoma attività del ricorrente (e quindi un nuovo giudizio?) successiva all'accoglimento del ricorso avverso il silenzio e all'inerzia dell'Amministrazione soccombente. Anche L. TARANTINO "Giudizio amministrativo e silenzio della Pubblica Amministrazione", cit., 145, sembra cogliervi la propensione alla distinzione, previo impulso di parte, e successione rispetto al deposito della sentenza, per conseguire la nomina del commissario se, in relazione al termine che va assegnato all'Amministrazione ed agli adempimenti partecipativi dell'interessato e conoscitivi della parte tenuta a provvedere, rileva che "il termine utile per richiedere la nomina del commissario ad acta decorre dalla scadenza di un termine inferiore a 30 giorni (o del termine superiore concesso dal giudice) utile per adempiere la statuizione giurisdizionale". Prosegue l'A., "il termine ultimo, invece, nel silenzio della norma, deve essere individuato in quello prescrizionale di dieci anni ai sensi dell'art. 2953 c.c.".
[124] Cfr. F. O ZUCCARO "Il tempo ed il processo", in (quaderni) Riv. Proc. Amm., 1999.
[125] Tra i contributi più recenti della dottrina cfr. E. PICOZZA- V. PALMA - E. FOLLIERI "Le situazioni giuridiche soggettive nel diritto amministrativo", in (diretto da) SANTANIELLO "Trattato di Diritto Amministrativo", II, Padova, 1999.
[126] B. G. MATTARELLA "Il provvedimento", in "Trattato di Diritto Amministrativo" (a cura di) S. CASSESE, Tomo I, Milano, 2000, 815.
[127] G. ABBAMONTE - R. LASCHENA "Giustizia Amministrativa", cit……
[128] Cfr. CSI, 25 maggio 2000 n. 264 in Massim. Cons. Stato 2000, I, 495.
[129] Cfr. riferimento sub note
[130] E' pur vero che il legislatore non sempre è coerente ai canoni della proprietà di linguaggio e pertinenza delle espressioni che usa, specie se per effetto di emendamenti. Si pensi, ad esempio, alla previgente disposizione, ex ultimo comma art. 31 l. 1034/1971. A proposito del regolamento di competenza, l'atto di riassunzione, che può seguire all'accoglimento del ricorso da parte del Consiglio di Stato, viene indicato come "rinnovazione dell'istanza".
[131] G. LEONE, in "A che serve il processo amministrativo?", Dir. Proc. Amm. 1999, 687, nell'esame di prospettive di riforma del processo amministrativo, evidenziava, unitamente ad altri, che una significativa innovazione potrebbe consistere "nella fissazione nel dispositivo della sentenza di accoglimento dei ricorsi aventi ad oggetto un interesse pretensivo, di un termine affinché l'amministrazione provveda, scaduto il quale il potere di dare esecuzione alla sentenza sia direttamente attribuito ad un commissario ad acta designato nel dispositivo della medesima decisione. E' evidente, poi, che tale designazione unitamente all'esecutività della sentenza, possa essere sospesa solo dal giudice d'appello".
[132] In Rass. Cons. Stato 1989, I, 1497.
[133] A. GIACCHETTI, op. ult. cit., 475.
[134] Rileva E. CASETTA in "Manuale di Diritto Amministrativo", Milano, 3 ^ Ed., 2001, 721, che "la legge non prevede un termine di costituzione per l'amministrazione, la quale potrebbe dunque costituirsi anche all'udienza camerale".
[135] Cfr. G. VIRGA "Verso un nuovo processo amministrativo", in www.lexitalia.it; M.A. SANDULLI "La giustizia cautelare sugli interessi legittimi "apre" all'art. 700 c.p.c.?", in Giust. Civ. 1998, II, 235.; A. TRAVI "Sospensione del provvedimento impugnato (ricorso giurisdizionale amministrativo e ricorso amministrativo)", in Digesto (Discipline Pubblicistiche), Torino 1999, Vol. XIV, 372 e segg.; F. SATTA "Giustizia cautelare", in Enc. Dir. (aggiornamento), Milano, 1997, I, 595 e segg.; G. BARBIERI "Sulla sospensione dei dinieghi e dei silenzi della Pubblica Amministrazione", in Foro Amm., 1996, 3527; P. BERTONAZZI "Brevi riflessioni sulla tutela cautelare nei confronti dei provvedimenti negativi e dei comportamenti omissivi della Pubblica Amministrazione", in Dir. Proc. Amm., 1999, 1208; A. FRANCO "Strumenti di tutela del privato nei confronti della Pubblica Amministrazione (dall'annullamento dell'atto lesivo al risarcimento)", Padova, 1999, 322; F.O. ZUCCARO "Il tempo ed il processo amministrativo", Quaderni di diritto processuale amministrativo, Milano, 1999; BARBIERI "Riflessi della tutela risarcitoria sulla tutela cautelare nel processo amministrativo", in Dir. Proc. Amm., 1999, 581 e segg.; KADELBACH "Diritto comunitario e giustizia cautelare amministrativa", in Riv. Trim. dir. Pubbl. 2000, 343.; SACCHINI "Il giudizio cautelare", in Trattato di diritto amministrativo (a cura di S. CASSESE), Vol. IX, Milano 2000, 3449; GIOVANNINI "Note di commento alla legge 21 luglio 2000 n. 205", in www. Giustizia - amministrativa.it; MORBIDUCCI "Fumus boni iuris e misure cautelari nel processo comunitario", in Riv. It. Dir. Pubb.Comunit., 1999, 705; E. FOLLIERI "Codice delle fonti giurisprudenziali. Il giudizio cautelare amministrativo", Rimini, 1992, 39-40; BARBIERI "Sulla esecuzione delle misure di tutela cautelare nel processo amministrativo", in Dir. Proc. Amm., 1996, 747.
[136] Parere della Commissione Speciale, cit., 5, nel quale insistesi, si evidenzia che "la norma di cui si discute (…) per un verso assume come immediato punto di riferimento quel fenomeno descritto come silenzio - inadempimento o silenzio - rifiuto e, per altro verso, opera esclusivamente sul piano processuale, senza diretta incidenza sul piano sostanziale o procedimentale".
[137] Id. nota che precede.
[138] Come ad esempio per S. GIACCHETTI "Il ricorso avverso il silenzio dell'Amministrazione e le macchine di Munari", cit.
[139] Consultata e richiamata in questo scritto. L. TARANTINO, con ampio ed articolato approfondimento, ha percorso itinerari restrittivi e di "apertura progressista". Cfr. altresì, N. SAITTA "Ricorsi contro il silenzio della p.a.: quale silenzio?", in Giust. It., Giustizia Amministrativa, 2001 / 7-8.
[140] Del resto, non mancano aperture in giurisprudenza che non risultino incompatibili con la celerità del nuovo processo, come, ad es., Cons. Stato, Sez. VI, 19 febbraio 1993 n. 170; Sez. V, 3 agosto 1993 n. 838 (in Cons. Stato 1993, I, 233 e 939), in quanto è riconosciuto che "oggetto del giudizio è la fondatezza della pretesa non ad ottenere un provvedimento quale che sia ma un provvedimento favorevole". Cfr. A. CAVALLARI "Evoluzione dei rapporti fra amministrazioni pubbliche e soggetti amministrati e prospettive di tutela" in "Evoluzione della giustizia amministrativa" (a cura di) E. STICCHI DAMIANI, Milano, 1998, 51.
[141] Come segnala Giust. It. N. 7/8 2001. Il Giudice remittente, in relazione a giudizio di appello su sentenza T.A.R. Lazio, Sez. I bis, 30 novembre 2000 n. 10704 (che in Rass. i TT.AA.RR. 2000, 5112, risulta così massimata: "Il ricorso contro il silenzio dell'Amministrazione, ai sensi dell'art. 21 bis l. 6 dicembre 1971 n. 1034, introdotto dall'art. 2 l. 21 luglio 2000 n. 205, è caratterizzato non solo dalla previsione di un rito accelerato, ma anche da una sentenza con dispositivo predeterminato e succintamente motivata, ed è inteso ad ottenere non solo una pronuncia conclusiva dell'Amministrazione sulla richiesta del privato ma anche a definire solo questioni che siano manifestamente fondate o infondate"), ha, tra l'altro, così motivato:"il giudice di primo grado ha accolto la tesi, secondo cui con il rito speciale previsto dal citato art. 21 bis è possibile non solo dichiarare il mero obbligo di provvedere dell'amministrazione (a prescindere dal suo contenuto favorevole o meno), ma anche definire questioni che siano manifestamente fondate o infondate, argomentando anche ex art. 9 della legge n. 205/2000. Applicando tale orientamento, il T.A.R., rilevando che era ormai scaduto il termine previsto dal D.lgs. n. 386/'98 per lo svolgimento delle descritte prove attitudinali e, quindi, ritenendo la menifesta fondatezza della domanda, ha accertato l'obbligo dell'amministrazione di fissare data e luogo delle prove (attività vincolata dalle previsioni del d.Lgs. n. 386/98), assegnando un termine di trenta giorni dalla notificazione della sentenza per adempiere. Le amministrazioni appellanti, sostengono la tesi più restrittiva, che individua l'oggetto del giudizio nel rito speciale, introdotto per i ricorsi avverso il silenzio della P.A., nella mera declaratoria dell'obbligo di provvedere, impregiudicato l'accertamento della fondatezza della pretesa, che sarebbe incompatibile con la procedura speciale di cui all'art. 21 bis della legge n. 1034/1971. Ove fosse fondata tale tesi, la qualificazione della domanda proposta in primo grado e il contenuto della pronuncia impugnata esorbiterebbero dai limiti del giudizio previsto dal citato art. 21 bis e non sarebbe di conseguenza applicabile il termine abbreviato di impugnazione previsto dalla citata disposizione, assumendo rilievo il vizio di procedura dedotto con il ricorso in appello. La questione sottoposta all'esame della sezione attiene alla natura del nuovo rito speciale, previsto per i ricorsi proposti avverso il silenzio dell'amministrazione. La Sezione, pur in assenza di contrasti giurisprudenziali sulla norma recentamente introdotta nel processo amministrativo, ritiene opportuna la rimessione della questione all'Adunanza Plenaria, onde evitare possibili contrasti giurisprudenziali e in relazione all'importanza della questione di carattere generale. In seguito all'entrata in vigore dell'art. 21 bis della legge n. 1034/1971, introdotto dall'art. 2 della legge n. 205/2000, si sono profilate due possbili interpretazioni circa la natura del giudizio speciale nei ricorsi avverso il silenzio dell'amministrazione. Secondo un'interpretazione più restrittiva, sostenuta dalle amministrazioni appellanti, deve escludersi che il giudice possa accertare il fondamento della pretesa del ricorrente e indicare il contenuto del provvedimento da adottare. Tale oggetto del giudizio sarebbe incompatibile con la semplificazione dell'iter processuale, prevista dal citato art. 21 bis: trattazione dei ricorsi in camera di consiglio, imposizione di un termine breve per la pronuncia (trenta giorni dalla scadenza del termine per il deposito del ricorso, ovvero dalla data fissata per gli adempimenti istruttori), sentenza resa in forma succintamente motivata, termini abbreviati per l'appello. Tale interpretazione non condurrebbe ad una sorta di "passo indietro" rispetto all'evoluzione giurisprudenziale in materia di silenzio - rifiuto, come consolidatasi prima dell'entrata in vigore del citato art. 21 bis.
E' noto che il tradizionale orientamento, secondo cui il giudice amministrativo doveva limitarsi ad accertare, o meno, la sussistenza dell'obbigo di provvedere, è stato progressivamente abandonato a partire dalla pronuncia dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 10/1978. Con tale decisione è stata per la prima volta riconosciuta la possibilità per il giudice, in caso di ricorso avverso il silenzio - rifiuto della P.A., di superare la mera declaratoria dell'obbligo di provvedere e di pronunciarsi sulla fondatezza della domanda, sia pure con riferimento ad attività vincolata dell'amministrazione. In seguito, a fronte di decisioni ancorate all'orientamento tradizionale (Cfr. Cons. Stato, IV, n. 390/'96; n. 658/'99), si è ampliato l'orientamento favorevole all'estensione dell'oggetto del giudizio all'accertamento della pretesa sostanziale dedotta (Cfr, fra tutte, Cons. Stato, VI, n. 92/'82; IV, n. 507/'87; V, n. 250/'91; n. 251/'96; n. 1446/'99; n. 2211/2000), limitato in alcune pronunce al presupposto, oltre che della natura vincolata del provvedimento, della palese fondatezza della richiesta ( Cfr., Cons. Stato, V, n. 169/'97). Tale orientamento è stato giustificato dall'esigenza di garantire l'effettività della tutela giurisdizionale ed evitare che un ricorso avverso il silenzio-rifiuto della P.A., trattato con la procedura (e i tempi) di un giudizio ordinario, potesse essere definito a distanza di anni con una mera pronuncia declaratoria dell'obbligo di provvedere, senza alcuna utilità sostanziale per il ricorrente, comunque costretto ad attendere l'emanazione di un provvedimento esplicito che valutasse la fondatezza delle sue pretese ed aprisse eventualmente la strada ad un nuovo (e finalmente utile) accesso alla tutela giurisdizionale. Secondo l'interpretazione restrittiva dell'art. 21 bis della legge n. 1024/1971, tale esigeza sarebbe ora venuta meno in presenza del nuovo ed accelerato strumento di tutela offerto dal procedimento speciale introdotto per i ricorsi avverso il silenzio, attraverso il quale con tempi tipici di una misura cautelar si giunge alla declaratoria dell'obbligo di provvedere. A tale tesi, si contrappone un orientamento, secondo cui in ipotesi di attività vincolata, il giudice, adito ai sensi della procedura speciale di ci al citato art. 21 bis, può anche determinare il contenuto dell'atto che l'amministrazione deve adottare a soddisfazione dell'interesse del ricorrente. I sostenitori di tale interpretazione ravvisano il timore che il nuovo rito, previsto per i ricorsi avverso il silenzio, possa ridimensionare l'ambito di tutela, riconosciuto al privato sulla base della precedente evidenziata elaborazione giurisprudenziale, costringendolo comunque a due gradi di giudizio, seppur con procedura accelerata, per la mera declaratoria dell'obbligo di provvedere, anche nei casi di manifesta fondatezza della sua domanda proposta in relazionme ad attività priva di contenuto discrezionale dell'amministrazione. Inoltre, imporre all'amministrazione l'obbligo di una dichiarazione espressa, con eventuale intervento di un commissario, anche nelle ipotesi di pretesa manifestamente infondata sarebbe irragionevole e contrastante con le finalità acceleratorie e di economia processuale, poste alla base dell'intervento del legislatore di riforma del processo amministrativo (con inutile aggravio di lavoro per la stessa amministrazione). Anche il riferimento alla possibile istruttoria disposta dal collegio, contenuto nel citato art. 21 bis, sarebbe un ulteriore indice della assenza in assoluto di un limite ad una cognizione estesa all'accertamento della pretesa, cui l'espletamento dell'istruttoria appare funzionale. All'obiezione dell'incompatibilità del rito speciale, introdotto dall'art. 2 della legge n. 205/2000, con un giudizio esteso all'accertamento della pretesa, viene risposto che la riforma del processo amministrativo ha previsto altre ipotesi di definizone nel merito del ricorso, con il rito della camera di consiglio, con sentenza succintamente motivata e termini ridotti (v. art. 3, comma 1 e art. 9, comma 1, della legge n. 205/2000) e che comunque il giudice è garante della salvaguardia dei diritti di difesa, dell'integrità del contraddittorio e della completezza dell'istruttoria secondo i principi affermati dalla Corte Costituzionale in relazione al rito, previsto dall'art. 19 della legge n. 135/'97 (Corte Cost. n. 427/'99). Il rischio che con una procedura speciale, che impone al giudice ed alle parti ristretti tempi processuali, debbano essere necessariamente trattate anche questioni particolarmente complesse o relative ad attività amministrativa caratterizzta da rilevanti profili di discrezionalità è scongiurato limitando l'estensione dell'oggetto del giudizio nei ricorsi avverso il silenzio della P.A. all'accertamento della fondatezza, o meno, della pretesa a quelle fattispecie in cui l'attività amministrativa è vincolata o comunque priva di apprezzabili margini di discrezionalità e sia manifesta la fondatezza, o infondatezza, della pretesa. La valutazione della sussistenza di tali presupposti per estendere l'accertamento alla fondatezza della pretesa azionata non può che essere rimessa al giudice, che comunque, non potrà, quanto meno nella prima fase della cognizione, pregiudicare le valutazioni discrezionali spettanti all'amministrazione. Potrebbe essere ulteriormente obiettato che tale intrepretazione indurrebbe l'amministrazione a fornire comunque una risposta per evitare di esporsi ad un rito accelerato esteso anche all'accertamento della pretesa sostanziale oggetto della richiesta. Ma è proprio questo, cui la nuova normativa tende: confermare il dovere generalizzato di pronuncia sulle istanze dei privati in capo all'amministrazione e rafforzare la tutela giurisdizionale in presenza di un'illegittima inerzia della P.A.. I fautori dell'interpretazione estensiva del citato art. 21 bis, evidenziano che limitare l'oggetto di tale giudizio, benché con rito speciale accelerato, alla sola declaratoria, in astratto,dell'obbligo della P.A. di provvedere significherebbe aderire ad una concezione del processo amministrativo tuttora ancorata alla natura impugnatoria - demolitoria dell'atto, senza alcuna reale incidenza sull'assetto del rapporto intercorrente con l'amministrazione ed in contrasto con quel processo evolutivo che sempre più tende a spostare dall'atto al rapporto l'oggetto del giudizio. Il dovere di provvedere deve quindi essere verificato in concreto in relazione non ad una pronuncia qualsiasi, ma ad una pronuncia di contenuto positivo relativa al richiesto provvedimento satisfattorio per il privato, tenuto anche conto che, come già detto, non sarebbe utile imporre all'amministrazione l'obbligo di una decisione espressa in presenza di una pretesa manifestamente infondata. Il conclusione, attesa la rilevanza della questione e la possibilità di contrasti giurisprudenziali, l'intera controversia va deferita all'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato".