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LUIGI OLIVERI
Note a margine dell'ordinanza del Tribunale di Udine 28 agosto 2000*
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L'ordinanza 28 agosto 2000 del Tribunale di Udine in merito alla revoca dei segretari comunali costituisce un ulteriore tassello alla riscrittura della riforma dello status dei segretari (ma anche della dirigenza pubblica in generale), che sta operando lentamente, ma costantemente, la magistratura, sia ordinaria che amministrativa.
La
pregevole ricostruzione normativa contenuta nell'ordinanza (pure non priva di
aspetti controversi e non del tutto condivisibili) dello status dei segretari
comunali mette in rilievo alcuni limiti al fenomeno dello spoil system, che
varranno anche per tutti gli altri dirigenti e funzionari di vertice delle
amministrazioni pubbliche.
SPOIL
SYSTEM. In sostanza, l'ordinanza conferma che in capo agli organi politici non
esiste un potere di revoca ad libitum dei funzionari. Questa affermazione,
riportata in un passo della decisione che recita "il segretario comunale
non è revocabile ad nutum e cioè per il semplice fatto di non godere più
della fiducia o di non rispondere più alle esigenze dei soggetti che rivestono
le varie cariche dell'Ente (Sindaco, Assessori, Consiglieri Comunali), come
sembra essere avvenuto nel caso di specie, ma solo quando commetta delle gravi
violazioni ai suoi doveri di collaboratore istituzionale dell'Ente" aiuta a
ricostruire il quadro dei rapporti di lavoro dei dirigenti di vertice delle
amministrazioni pubbliche nei riguardi di un potere politico che tende sempre più
ad applicare le regole dello spoil system, anche se l'ordinamento ancora oggi
non lo consente, se non entro ambiti molto ristretti.
Non
è vero, secondo l'ordinanza del tribunale (che è bene sottolineare è giudice
ordinario) che a seguito della riforma delle autonomie locali e del più stretto
legame tra sindaco e popolazione derivante dall'elezione diretta del capo
dell'amministrazione, il vertice politico abbia assunto il diritto di disporre
di una dirigenza "funzionale" al proprio disegno politico, in modo
tale che vi debba essere uno strettissimo rapporto fiduciario, che coinvolga non
solo le competenze tecniche del dirigente, ma anche l'agire ed il pensiero
politico. Non è vero che vi debba essere assoluta conformità di idee e di
azione.
Non
c'è il minimo dubbio che il segretario o il dirigente debba porre in essere il
meglio delle sue competenze professionali, al fine di ottenere quei risultati
richiesti dall'amministrazione che ha il diritto ed il potere di indicare e
chiedere loro. Il dirigente è, quindi, tenuto in un rapporto di leale
subordinazione funzionale all'organo politico, a svolgere la propria attività
per ottenere gli obiettivi previsti dal primo. Vi deve essere, allora, una
sintonia amministrativa, che porta l'organo politico al diritto di scegliere i
soggetti ritenuti, motivatamente, maggiormente competenti a svolgere un certo
programma di azione. Ma non una sintonia assoluta che vada oltre alla
rilevazione di capacità professionali.
Dunque,
la semplice mancanza di "fiducia" non è e non può essere causa di
revoca dell'incarico o di risoluzione del rapporto. I funzionari pubblici (in
particolare quelli di carriera) non sono (ancora) dei prestatori d'opera
professionale: il loro rapporto con l'ente è un rapporto di lavoro subordinato,
pur retto dalle più rigorose regole e maggiori responsabilità legate alla
copertura di posti di vertice, che sfugge alle regole dell'affidamento e della
revoca degli incarichi puramente professionali (per altro, anch'essi comunque
non privi di regole atte a garantire la posizione del professionista, si pensi
all'incremento del 25% degli onorari in favore degli architetti e degli
ingegneri per gli incarichi parziali, che scatta anche a causa della revoca
della prestazione concordata).
CAUSE
DELLA REVOCA – RAPPORTO TRA DIRIGENZA ED ORGANI DI GOVERNO. Gli organi
politici, allora, per esercitare il diritto di revocare il dirigente o
segretario che violino gravemente i doveri d'ufficio o che non si dimostrino
capaci di conseguire i risultati loro richiesti, non possono appellarsi a cause
di risoluzione del rapporto o di revoca dell'incarico non pertinenti o,
comunque, non rilevanti ai fini della dimostrazione dei risultati negativi o
delle gravi mancanze.
L'ordinanza,
nell'elencare partitamente gli addebiti mossi dal sindaco al segretario
revocato, fornisce una preziosa testimonianza di come ancora si sia lontani, in
molte amministrazioni pubbliche, dal modello di relazione tra parte politica e
parte gestionale prevista dalla legge. Alla base della revoca vi è con tutta
evidenza un'elencazione di addebiti che poco o nulla hanno a che fare con
rilievi pertinenti alla valutazione dell'azione. Si tratta di imputazioni di
responsabilità basate spesso sul fraintendimento delle funzioni del segretario
o del rapporto intercorrente tra questo ed il sindaco. Il giudice friulano, in
merito ad alcuni di questi addebiti, non ha potuto fare a meno di sottolineare
che "il segretario comunale svolge 'compiti di collaborazione e funzioni di
assistenza giuridico-amministrativa nei confronti degli organi dell’ente in
ordine alla conformità dell’azione amministrativa alle leggi, allo statuto ed
ai regolamenti': si tratta cioè di un’attività di consulenza legale, nella
quale non sembra rientrare il compimento di semplici attività burocratiche,
come acquisire l’elenco delle assenze di un determinato lavoratore; sul punto
è sufficiente osservare che il segretario comunale non è il 'segretario' del
Sindaco (nel senso di impiegato amministrativo addetto all’ufficio del Sindaco
con mere funzioni d’ordine)". Questa forte stigmatizzazione
dell'ordinanza è molto importante e rivela che ancora oggi gli organi politici
tendono a non comprendere la portata delle funzioni dirigenziali negli enti
pubblici, a considerare segretario e dirigenti propri dipendenti gerarchici e in
base a ciò a relazionarsi con loro con un atteggiamento a volte paternalistico
improntato alla estrema personalizzazione del rapporto, frutto proprio della
presunta fiduciarietà del medesimo.
Non
pare un caso, del resto, che con l'articolo 19 della legge 265/1999 si sia
cercato di arginare questi atteggiamenti degli organi politici, che spesso
debordano o nel condizionamento dell'attività degli organi gestionali, o
direttamente nell'ingerenza nelle loro funzioni, causando quanto mento elementi
di confusione nel fluire dell'attività amministrativa.
Per
altro, si nota dalla lettura dell'ordinanza come gli organi di governo dell'ente
si siano pesantemente intromessi in aspetti gestionali di assoluto dettaglio: e
da questo atteggiamento, già illegittimo in sé per violazione del citato
articolo 19, hanno tratto ragioni per la verità molto difficilmente sostenibili
(ed infatti non accolte dal tribunale udinese) ai fini della revoca del
segretario.
Tutto
ciò sembra conseguenza della mancata o insufficiente o a volte scorretta
attivazione degli strumenti di controllo previsti dalla legge, che presuppongono
l'assoluta estraneità degli organi di governo da una diretta valutazione delle
attività della dirigenza. La normativa prevede, invece, la nomina di organismi
quali il nucleo di valutazione, che rispondono agli organi politici, ma si
presentano come soggetti tecnici capaci di impiantare un sistema di controllo e
valutazione dell'attività operativa della dirigenza, fondato su concreti ed
oggettivi elementi di giudizio legati all'andamento della gestione. Ma perché
si arrivi a ciò occorre alla base una programmazione di stampo aziendale anche
da parte degli organi politici: se il sistema non si muove insieme lungo il
filone dell'amministrazione di stampo aziendalistico, si torna ad atteggiamenti
paternalisitici e a rapporti tra dirigenza ed organi politici basati su elementi
imponderabili, quali la fiducia o la sintonia politica. Non è possibile
pretendere dalla dirigenza azioni e responsabilità manageriali, se a monte non
v'è una programmazione delle loro attività e degli obiettivi capace di
determinare anche gli indicatori, i metri di giudizio per valutare quando si sia
in presenza di quei risultati negativi che possono portare ad una corretta
revoca dell'incarico, corretta in quanto fondata su un giudizio non più di
valore, ma di merito, in base a parametri di valutazione anche predeterminati e
concordati con la dirigenza.
Il
segretario e la dirigenza, come spiega l'ordinanza, non possono essere chiamati
a rispondere e ad esercitare funzioni d'ordine o esecutive a vantaggio degli
organi politici. Il rapporto funzionale intercorrente tra loro vuole che gli
organi di governo stabiliscano un programma e che i responsabili della gestione,
pur compartecipando dal punto di vista solamente tecnico alla definizione degli
obiettivi, pongano in essere progetti (cioè una serie di azioni concrete
finalizzate a realizzare tutto o parte del programma) utilizzando le risorse
messe loro a disposizione. Gli organi politici, allora, non possono basare il
loro giudizio sull'azione della dirigenza in base a singoli atti o chiedendo
specifici minuti risultati di dettaglio, che invece debbono essere conseguiti
dalle strutture poste sotto la direzione della dirigenza.
La
violazione dei doveri d'ufficio o i risultati negativi debbono, quindi,
riguardare le funzioni e le responsabilità proprie della dirigenza, ed essere
riconosciute e valutate alla luce di queste.
DEMANSIONAMENTO.
All'ordinanza udinese ha fatto eco dopo pochi giorni l'altra ordinanza del
Tribunale di Vallo della Lucania, in data 13.9.2000, che in molte sue parti,
soprattutto quella riferita alla motivazione, si rimette agli stessi principi
enunciati dall'ordinanza di Udine.
Ma
la decisione del giudice di Vallo mette bene in chiaro che:
1)
il segretario comunale vanta un vero e proprio diritto soggettivo al
mantenimento della carica sino al termine del mandato del sindaco. La revoca è
fatto eccezionale, come del resto rivela la procedura particolare prevista dalla
legge (che coinvolge oltre al sindaco anche la giunta) e l'obbligo della
motivazione in relazione a gravi violazioni di legge.
2)
la revoca non determina nei confronti del segretario comunale l'interruzione del
rapporto di lavoro, che intercorre con l'Agenzia, ma un demansionamento. In tale
senso anche ai segretari comunali (come del resto ai dirigenti) spetta la tutela
prevista dall'articolo 56 del D.lgs 29/1993, che appunto garantisce al
dipendente pubblico il diritto ad essere adibiti alle mansioni corrispondenti al
proprio profilo, che si accompagna, quindi, al diritto di non essere distolto da
tali mansioni se ciò può pregiudicare lo sviluppo professionale e di carriera
connesso strettamente appunto all'esercizio delle mansioni medesime. Pertanto,
quando si verifichi un demansionamento, il danno è in re ipsa e non va
dimostrato dal dipendente, essendo a carico del datore l'onere di provare
l'effettiva sussitenza dei fatti che hanno portato alla revoca.
MOTIVAZIONE.
Il postulato dell'inesistenza di un potere di revoca ad nutum del segretario (e
dei dirigenti) presuppone un necessario corollario: se la revoca non può essere
unilaterale da parte dell'organo di governo per cessazione del rapporto di
fiducia, allora è necessario che il provvedimento di revoca sia supportato da
un'adeguata motivazione. Ed il processo logico-giuridico che porta ad
individuare le ragioni specifiche alla base della revoca dell'incarico deve
evidenziare, allora, le oggettive carenze o le effettive violazioni dei doveri
d'ufficio riscontrate secondo i processi valutativi descritti sopra.
L'ordinanza
udinese mette in luce che l'obbligo della motivazione della revoca non si ricava
dalla legge 241/1990, applicabile del resto al procedimento ed agli atti
amministrativi (mentre per la materia del rapporto di lavoro dei segretari
comunali e dei dirigenti si opera nel campo del diritto privato), bensì dalla
stessa disciplina della legge 127/1997. Dal canto suo, l'ordinanza del tribunale
di Vallo della Lucania riconnette la necessità di una motivazione che metta in
evidenza gli specifici e precisi addebiti alla possibilità di garantire,
secondo buona fede, al segretario la possibilità di un contraddittorio
effettivo, conoscendo dunque i presupposti in base ai quali gli sono mosse le
contestazioni per elaborare le proprie controdeduzioni.
Questo
principio deve valere, quindi, per tutti gli atti che influiscano negativamente
sul rapporto di lavoro, sicchè a prescindere dall'obbligo di motivazione
previsto dalla legge 241/1990 o da altre norme speciali, nessun provvedimento
"datoriale" può essere assunto, per principio giuslavoristico, senza
darne preventiva comunicazione e motivazione al destinatario. Se ciò vale, del
resto, per le sanzioni disciplinari, a maggior ragione vale per provvedimenti più
gravi, quali appunto la revoca degli incarichi.
SEGRETARIO
– DIRETTORE. L'ordinanza si pone sostanzialmente in linea con le valutazioni
espresse da chi scrive (1) rispetto all'attribuzione delle funzioni di direttore
generale ai segretari ed ai rischi professionali che vi si riconnetterebbero, in
conseguenza anche dei quali sarebbe necessariamente da prevedere una
retribuzione specifica per i segretari-direttori.
In
alcuni passaggi determinanti dell'ordinanza, nei quali il giudice verifica
puntualmente l'inidoneità delle contestazioni mosse al segretario interessato a
poter essere considerate gravi violazioni dei doveri d'ufficio, si legge che
"la contestazione in esame appare estranea alla presente causa, considerato
che le due funzioni (quella di segretario comunale e quella di Direttore
Generale), pur potendosi cumulare, rimangono ontologicamente distinte e non si
fondono tra di loro, con la conseguenza che gli illeciti relativi all'una non
valgono come motivi di revoca dell'altra". E, ancora, "La revoca del
dott. Crispo sembra poi conseguenza di una certa confusione tra la figura del
segretario comunale e quella del Direttore Generale: come si è già detto, le
due cariche comportano doveri nettamente separati e distinti, anche quando
vengano attribuite alla stessa persona, e quindi ciò che costituisce
inadempimento rispetto all'una (ad esempio quella di Direttore Generale) non è
automaticamente qualificabile come violazione dei doveri connessi
all'altra".
Ora,
le conclusioni del tribunale friulano meritano una più attenta riflessione. Non
vi è il minimo dubbio che il cumulo delle funzioni di direttore e di segretario
comunale, come appunto spiega l'ordinanza, comporti una "copertura"
alle fattispecie di responsabilità in capo al segretario comunale. La nomina
quale direttore, infatti, impone la conseguenza che eventuali risultati
negativi, violazioni o mancanze rilevabili nei confronti del
segretario-direttore, determinino una valutazione negativa esclusivamente e
limitatamente al ruolo di direttore. In altre parole, la constatazione di
carenti risultati nelle attività facenti capo alla figura del direttore, non
possono, secondo la condivisibile conclusione del giudice friulano, determinare
un giudizio negativo sull'attività del segretario e, tanto meno, la sua revoca.
La
nomina del direttore generale (tanto se assegnata ad un soggetto diverso dal
segretario, tanto se attribuita al segretario stesso) comporta lo scorporo di
una serie di funzioni che spettano, a titolo originario, alla figura del
segretario, il quale ai sensi dell'articolo 17, comma 68, della legge 127/1997,
oltre a svolgere un nucleo di funzioni che spettano soltanto e solo alla sua
competenza (la consulenza giuridico-amministrativa, la verbalizzazione e la
funzione referente nelle sedute degli organi collegiali, il rogito dei
contratti), "sovrintende allo svolgimento delle funzioni dei dirigenti e ne
coordina l'attività", ad eccezione dell'ipotesi in cui sia nominato un
direttore generale, nella medesima persona del segretario, o di un altro
soggetto.
Appare
abbastanza inevitabile che l'esercizio della funzione di sovrintendenza
dell'attività dei dirigenti appartenga, dunque, in origine al segretario, come
ultimo retaggio della sua funzione di primus inter pares, se non di dirigente di
vertice, che emergeva dall'articolo 52 della legge 142/1990 e, soprattutto, dal
precedente ordinamento locale. La conseguenza di questa funzione è,
inevitabilmente, che in mancanza del direttore generale il segretario debba
svolgere le funzioni minime richieste al direttore medesimo, ovvero formulare la
proposta del piano degli obiettivi, documento necessario ed indispensabile per
esercitate qualsivoglia funzione di coordinamento della dirigenza.
Pertanto,
quando vi sia la nomina del direttore, avviene, come rilevato sopra, lo scorporo
di queste funzioni che debbono essere esercitate dal direttore.
Per
assurdo, allora, la nomina a direttore generale in capo al segretario finisce
per costituire in suo favore una sorta di "ombrello di sicurezza"
contro eventuali addebiti che se mossigli in quanto segretario potrebbero
effettivamente far scattare il procedimento di revoca previsto dalla legge. Ma
se detti addebiti sono mossi al segretario-direttore, possono solo far scattare,
eventualmente, sanzioni in quanto direttore e, dunque, al limite la revoca
dall'incarico di direttore, ma mai da segretario comunale.
In
mancanza, quindi, di un coacervo di funzioni e responsabilità ulteriori e
diverse da quelle della semplice attività di coordinamento della dirigenza e di
stesura della proposta del piano dettagliato degli obiettivi e del Peg,
l'attribuzione al segretario-direttore di un'indennità aggiuntiva non è,
allora, giustificata da un presunto maggiore rischio professionale, perché, al
contrario, il rischio professionale, come conferma l'ordinanza che si commenta,
addirittura diminuisce.
Queste
valutazioni sono del tutto sfuggite al Ministero degli interni nei suoi per la
verità intempestivi interventi dello scorso anno a proposito della
retribuibilità delle ulteriori funzioni del segretario comunale. Ma
l'importante ordinanza del tribunale di Udine fornisce adesso ai sindaci
importanti elementi di valutazione sull'opportunità di attribuire indennità
maggiori per responsabilità minori, beninteso sempre che al
segretario-direttore non siano assegnate ulteriori responsabilità da quelle
previste dalla legislazione (come ad esempio la funzione di datore di lavoro ai
sensi del D,lgs 626/1994 o funzioni di regia di operazioni di esternalizzazione
di servizi).
L'ordinanza,
allora, appare imprecisa nel momento in cui afferma che " le due cariche
[di segretario e di direttore] comportano doveri nettamente separati e
distinti", in quanto non analizza la circostanza, pur prevista dalla legge,
come rilevato sopra, dell'assegnazione al segretario comunale di funzioni che
sono da direttore generale.
ATTI
DI GESTIONE DEL RAPPORTO DI LAVORO. Entrambe le ordinanze sottolineano che i
provvedimenti di revoca hanno natura di atti di diritto privato, e ricavano
questa conclusione dell'articolo 68, comma 1, del D.lgs 29/1993, a mente del
quale "sono devolute al giudice
ordinario, in funzione di giudice del lavoro, tutte le controversie relative ai
rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni di cui
all'articolo 1, comma 2, ad eccezione di quelle relative ai rapporti di lavoro
di cui al comma 4, incluse le controversie concernenti l'assunzione al lavoro,
il conferimento e la revoca degli incarichi dirigenziali e la responsabilità
dirigenziale […]". L'ente locale, pertanto, assume le sue decisioni
quali atti di diritto privato, esercitati con la veste ed i poteri del privato
datore di lavoro. Per tale ragione, detti atti non possono essere disapplicati,
non avendo la natura di atti presupposti, né il giudice ordinario può
rilevarne l'esistenza di vizi di legittimità secondo i canoni
amministrativistici.
Si
sta consolidando, quindi, l'indirizzo giurisprudenziale che tende a riconoscere
la giurisdizione del giudice ordinario nella materia di cui qui si tratta.
Tuttavia,
è il caso di sottolineare che questo indirizzo, seppure molto solido, per
divenire definitivamente inattaccabile, dovrebbe superare alcuni rilievi che
possono esservi mossi.
In
primo luogo, l'articolo 4, comma 2, del D.lgs 29/1993 non dispone che tutti gli
atti contenenti misure per la gestione dei rapporti di lavoro dell'ente siano di
natura privatistica, bensì solo quelli di competenza dirigenziale. La lettura
testuale lo conferma: "nell'ambito
delle leggi e degli atti organizzativi di cui all'articolo 2, comma 1, le
determinazioni per l'organizzazione degli uffici e le misure inerenti alla
gestione dei rapporti di lavoro sono assunte dagli organi preposti alla
gestione con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro".
Il tenore letterale della norma, autorizzerebbe a ritenere che, al contrario, la
gestione dei rapporti di lavoro effettuata dagli organi di governo non sia
effettuata, allora, come privato datore di lavoro, bensì come autorità
pubblica nell'esercizio di un potere di alta amministrazione.
Ma,
allora, gli organi di governo possono adottare atti di gestione del personale? Sì,
ed è un'eccezione al principio generale di cui al citato articolo 4, comma 2,
limitata alla sola gestione del rapporto di lavoro dei funzionari di vertice, di
quei dipendenti che hanno un diretto contatto con gli organi di governo, non
esistendo al di sopra nessun altro filtro organizzativo dell'apparato
burocratico.
Del
resto, ai sensi dell'articolo 19, commi 3 e 4, gli incarichi di segretario
generale dei ministeri e di direzione degli uffici di livello dirigenziale
generale sono conferiti rispettivamente con decreto del Presidente della
Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del
Ministro competente, e con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su
proposta del Ministro competente. Appare in realtà difficile configurare i
detti provvedimenti come atti di diritto privato esercitati con la veste di
privato datore di lavoro.
Più
probabilmente, la ricostruzione dei rapporti di lavoro intercorrenti tra alti
dirigenti e organi di governo è l'esito di una procedura complessa, nella quale
confluiscono più atti di diversa natura.
Sia
per il conferimento che per la revoca degli incarichi dirigenziali, v'è un
momento decisionale interamente amministrativistico. Nella procedura di nomina
c'è la fase di individuazione del soggetto interessato, che deve rispondere ai
criteri previsti dal D.lgs 29/1993 (integrati dai contratti): pur non essendo
propriamente una procedura concorsuale, è tuttavia una fase antecedente alla
stipulazione del contratto: come tale potrebbe, pertanto, rimanere nella sfera
pubblicistica. E' successivamente all'individuazione che il dirigente può
contrattare il contenuto della prestazione ed il compenso, ma è chiaro che non
può contrattare la nomina.
La
revoca, invece, certamente attiene alla gestione del rapporto di lavoro. Ma le
garanzie previste dalla legge e la disciplina legislativa della revoca medesima,
oltre che la carenza di qualificazione dell'organo di governo quale soggetto che
agisce in qualità di privato datore di lavoro, potrebbero permettere di non
considerare la revoca come atto di diritto privato.
Ciò
non dovrebbe portare a mettere in dubbio la giurisdizione del giudice ordinario,
ma semmai a considerare che l'estensione dei poteri del giudice ordinario
medesimo è più ampia. L'articolo 68, comma 1, del D.lgs 29/1993 potrebbe
anche, semplicemente, aver assoggettato anche atti amministrativi alla
giurisdizione ordinaria, sicchè su questa strada il giudice del lavoro potrebbe
anche non fermarsi di fronte alla considerazione che l'atto amministrativo non
sia "presupposto" e della sua carenza del potere di considerarlo alla
stregua dei canoni amministrativistici. Si potrebbe ritenere che per questa
limitata casistica, si sia già in presenza dell'unificazione in un solo giudice
del potere di sindacare gli atti amministrativi alla stregua dei canoni
processuali amministrativi. Il giudice ordinario, allora, poiché per espressa
disposizione dell'articolo 68, comma 2, del D.lgs 29/1993 può adottare nei
confronti delle pubbliche amministrazioni tutti i provvedimenti costitutivi,
potrebbe anche conoscere degli effetti lesivi dell'atto amministrativo lesivo
dei diritti del dirigente o del segretario, annullandolo, giacchè
l'annullamento è certamente provvedimento costitutivo (2).
La
fattispecie della revoca degli incarichi ai dipendenti di vertice può meritare
ancora, dunque, degli approfondimenti giurisprudenziali volti a garantire
maggiormente la posizione di soggetti come i segretari ed i dirigenti rispetto
agli organi di governo a vantaggio di una loro maggiore indipendenza, finchè
almeno sarà vigente il principio costituzionale che impone fedeltà alla
Nazione.
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(1) L. Oliveri, “Della retribuibilità dell'incarico di direttore generale affidato ai segretari comunali”, in lexitalia.it: “il doppio ruolo di segretario-direttore, può porre al riparo il segretario da valutazioni negative relative alle sue funzioni di segretario, spostando l'attenzione verso le funzioni di direttore e mettendolo – indirettamente – al riparo da pericoli di revoche dalla nomina a segretario”.
(2) In tal senso, vedasi O. Forlenza, "La riforma del pubblico impiego", ed. Il Sole24ore, Milano, 1998, pagg. 132-136.