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LUIGI OLIVERI
Il conferimento e la revoca degli incarichi dirigenziali come atti amministrativi
(nota a Tribunale di Genova, ordinanza 22 settembre 2000 n. 753)
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Merita attenzione e considerazione la pregevole ricostruzione della fattispecie del conferimento e della revoca degli incarichi dirigenziali, operata dal Tribunale Genova, con l'ordinanza 753/2000, che solleva la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 18 del D.lgs 387/1998, che ha modificato l'articolo 68 del D.lgs 29/1993.
Attenzione dovuta non tanto e non solo per il dato di cronaca dell'ennesimo rilievo di legittimità costituzionale ad una riforma, che per stessa ammissione della maggior parte degli interpreti, per sua natura praeter costituzione, quando non apertamente contra costituzione, in quanto pensata, redatta e varata mentre erano aperti i lavori sulla riforma costituzionale svolti dalla Commissione bicamerale, ed adeguata a quel ridisegno dell'amministrazione e della giurisdizione contenuto nello schema di riforma, mai andato, però, in porto.
L'intero sistema dell'organizzazione amministrativa, riformato sotto questo clima, è in realtà disseminato di disposizioni difficilmente conciliabili con l'ordinamento vigente, non perchè si tratti di norme prive di pregio, bensì giacchè, appunto, sono ciò che avrebbe dovuto stare a valle di un disegno riformatore che invece, a monte, non è stato prodotto.
L'operato interpretativo dei giudici, allora, in questo quadro, diviene assolutamente indispensabile, per coordinare e inserire nel loro giusto piano, nell'ambito del diritto vigente, gli istituti disciplinati dalla legge.
L'ordinanza del tribunale di Genova è esemplare per chiarezza ed obiettività, dato che proviene da un giudice ordinario, che avrebbe potuto essere portato ad impostare le riflessioni interpretative in tutt'altro modo. Il suo punto forte è l'equilibrio con il quale sottolinea che la natura degli atti di conferimento o di revoca degli incarichi dirigenziali non dipende, come è evidente, dalla giurisdizione cui la legge affida il compito di decidere in merito alle controversie sorgenti da detti istituti. Ferma rimanendo la loro natura di atti amministrativi, è semmai l'assegnazione alla giurisdizione ordinaria che non è coerente con i principi e le disposizioni poste a fondamento degli incarichi dirigenziali. Sicchè vi sono solo due soluzioni:
1) ritenere che il giudice adito abbia la giurisdizione esclusiva sulla materia degli incarichi e delle revoche, per cui, oltre che disapplicare l'atto, può anche annullarlo, visto che potrebbe giudicare immediatamente e direttamente sulle situazioni concernenti interessi legittimi [1];
2) ritenere che permanga il riparto della giurisdizione tra il giudice ordinario, che conosce dei diritti soggettivi, ed il giudice amministrativo, che conosce degli interessi legittimi.
L'ordinanza del giudice genovese propende per questa seconda soluzione e, coerentemente, ne ricava l'illegittimità del D.lgs 387/1998, in quanto ne evidenzia in più parti il contrasto con il principio del riparto della giurisdizione, in carenza di un'espressa delega parlamentare al Governo che gli consentisse di operare detta modifica.
Fermo restando che sarà La Consulta a dire la sua su una materia che può prestarsi anche all'emanazione di sentenze interpretative di rigetto, il giudice fornisce argomentazioni pertinenti e convincenti, per dimostrare che gli incarichi, così come le revoche siano provvedimenti amministrativi, adottati dall'amministrazione in posizione di supremazia nei confronti del dirigente, e non atti paritetici di diritto privato.
In primo luogo, per un aspetto soggettivo: sarebbe abnorme, scrivono i giudici, ravvisare la natura privatistica di un atto la cui formazione vede coinvolte le più alte cariche dello Stato (nel caso delle nomine dei dirigenti generali, e, analogamente, nel caso delle nomine dei dirigenti locali, operate con provvedimenti del sindaco) [2].
Ed anche se, nelle amministrazioni statali, gli incarichi ai dirigenti di prima fascia sono conferiti con provvedimenti dei dirigenti generali, la dottrina, pur esprimendo qualche perplessità, conclude concordemente nel ritenere che anche detti ultimi conferimenti siano da ritenere atti amministrativi, data la loro indiscussa natura di atti di "alta" amministrazione. Non si vede come, sostiene il Tar di Genova, atti di sicura natura politica e/o di alta amministrazione (come i decreti del Presidente della repubblica., i decreti ministeriali, i decreti del sindaco e gli stessi decreti dirigenziali), possano essere considerati attratti alla sfera del dritto privato.
Del resto, rispetto al conferimento dell'incarico, appare ben difficile sostenere che ciascun dirigente vanti un diritto soggettivo perfetto al conferimento di un certo determinato incarico, vantando, piuttosto, l'interesse legittimo al corretto esercizio del potere di incaricarlo, nel rispetto dei presupposti e della procedura, di cui all'articolo 19 del D.lgs 29/1993.
Lo stesso, ed a maggior ragione, vale per la revoca. Anch'essa ha, secondo il giudice ligure, la medesima natura di provvedimento amministrativo spettante all'incarico. Non solo per la simmetria che deve pur caratterizzare di due provvedimenti che stanno a monte ed a valle dell'esercizio delle funzioni dirigenziali, ma, osserva l'ordinanza, perché la revoca consegue ad un iter procedimentale, in tutto analogo a quello necessario per il conferimento, così come prevede il combinato disposto degli articoli 21 e 19 del D.lgs 29/1993.
Così stando le cose, la revoca appare addirittura maggiormente dotata della natura di tipico atto amministrativo. Appare in tutta la sua evidenza, secondo l'ordinanza, l'attitudine della revoca ad incidere unilateralmente in maniera diretta su una posizione giuridica soggettiva del dirigente interessato, comprimendone immediatamente alcuni aspetti inerenti al suo rapporto di lavoro.
La revoca, a differenza del conferimento dell’incarico, non si sviluppa lungo le due linee parallele e connesse del provvedimento amministrativo e di quello paritetico, che appunto caratterizzano l’assegnazione dell’incarico dirigenziale. La dottrina maggioritaria è concorde nel ricostruire l’incarico come una fattispecie complessa, nella quale un provvedimento amministrativo che individua il soggetto cui destinare un certo incarico, cui accede un contratto di diritto privato, con il quale si determinano l’oggetto e le modalità di espletamento dell’incarico, gli obiettivi da raggiungere , la durata ed il trattamento economico, ovvero, appunto, quegli elementi sui quali può svilupparsi una negoziazione ed un consenso tra le parti, che certo non può proporsi nella fase del conferimento dell’incarico, che attiene al manifestarsi della volontà (unilaterale) dell’ente pubblico.
Ebbene, nella revoca non si è di fronte ad un provvedimento “anfibio”, come la dottrina ha definito quello di nomina. Le conseguenze della revoca [3] sono quasi tutte connesse, conseguenza immediata al provvedimento di revoca, mancando del tutto, tranne ipotesi marginali, un accessorio atto negoziale paritetico che completi la fattispecie.
Di fronte al provvedimento di revoca, così come correttamente ricostruito dal giudice ligure, appare evidente il degradamento delle posizioni dei dirigenti da diritto soggettivo (al mantenimento dell'incarico), ad interesse legittimo al corretto esercizio del potere di revoca. Se si negasse questo, e si ritenesse che il giudice ordinario non possa annullare il provvedimento di revoca, ma solo disapplicare il provvedimento amministrativo presupposto, si giungerebbe a conseguenze aberranti.
Una prima conseguenza, infatti, potrebbe consistere nell'assoluta mancanza di tutela per il dirigente. La revoca non può essere configurata come presupposto per un successivo atto paritetico di gestione del rapporto di lavoro: se essa è simmetricamente speculare alla nomina è un provvedimento amministrativo, che, a differenza della nomina, incide direttamente sulla posizione lavorativa del dirigente. Allora, il giudice ordinario non si troverebbe di fronte ad un provvedimento da disapplicare, ma, per assicurare tutela al dirigente, dovrebbe poter annullare la revoca, secondo i canoni ed i principi del diritto amministrativo. Tale potere, secondo il Tribunale di Genova, tuttavia, manca al giudice ordinario e, quand'anche si ammettesse il suo potere di intervenire, esso sarebbe incostituzionale.
Una seconda conseguenza, allora, potrebbe essere quella paventata da parte della dottrina[4] secondo la quale occorre ritenere sussistente la necessità di una doppia impugnazione del provvedimento di revoca, sia davanti al giudice amministrativo, sia davanti al giudice del lavoro.
Con la prima impugnazione, si potrebbe chiedere l'annullamento del provvedimento amministrativo di revoca, deducendone i vizi di legittimità. Con la seconda, si dovrebbe chiedere tutela sul rapporto di lavoro, in base al contratto.
Questa tesi (che lo stesso autore ammette sconti il problema della coesistenza di due giurisdizioni), non sembra appagante in quanto, in primo luogo, rende oltre misura difficile al dirigente ottenere tutela. Appare impensabile ritenere che un soggetto, per ottenere giustizia, sia costretto a rivolgersi a due giudici, con tutti i problemi connessi ai costi ed ai tempi della procedura: è bene ricordare che tutta la disciplina del riparto della giurisdizione ha sempre tenuto presente l'obiettivo di verificare i limiti della giurisdizione ordinaria rispetto a quella amministrativa, al fine proprio di evitare ai cittadini l'onere di procedere a duplici impugnazioni.
Inoltre, con la doppia impugnazione, se il dirigente ottenga l'annullamento del provvedimento di revoca, non si vede di quale utilità possa essere l'impugnazione davanti al giudice ordinario, giacchè nessun atto gestionale privatistico del rapporto di lavoro entrerebbe in gioco.
Quanto sopra, però, va puntualizzato in alcuni suoi aspetti. In presenza di gravi violazioni, ai sensi dell'articolo 21 del D.lgs 29/1993, il dirigente può essere licenziato. L'ipotesi del licenziamento è connessa alle specifiche responsabilità dirigenziali, accessorie alla capacità di rendere nel modo corretto le prestazioni cui il dirigente si obbliga nei confronti dell'amministrazione-datore di lavoro. La revoca derivante da inadempimento contrattuale incide, quindi, sul contratto di lavoro, poiché può determinare la risoluzione del rapporto di lavoro. E' questo uno dei casi nei quali, allora, al provvedimento di revoca, si accompagna un provvedimento gestionale paritetico (la risoluzione del contratto di lavoro), sicchè la giurisdizione può ritenersi del giudice ordinario, che conosce della risoluzione in via diretta, ed in via incidentale del provvedimento di revoca quale atto presupposto, disapplicabile.
Negli altri casi, la revoca non da luogo a questa bipartizione e si rende, proprio per questo motivo, particolarmente funzionale ad una disinvolta applicazione dello spoil system. Se, infatti, si ritiene che la giurisdizione sia del g.o., si nega, indirettamente, qualsiasi potere di indagine sulla legittimità ed in particolare, sulla correttezza dell'esercizio del potere esercitato, tipico elemento del vizio di eccesso di potere, latente, con ogni evidenza, in via potenziale dietro ogni provvedimento di revoca dirigenziale.
Solo l'analisi del provvedimento sotto questo angolo di visuale – vista l'unilateralità della revoca – può consentire un'effettiva tutela della dirigenza, dall'applicazione non tanto dello spoil system, quanto dalla ricerca dello yes-man più disponibile in ogni momento.
Nell'ambito della dirigenza locale, alle fattispecie di revoca disciplinate dall'articolo 21 del D.lgs 29/1993, se ne accompagna un'ulteriore particolarmente idonea a prestare il fianco ad utilizzazioni distorte. L'articolo 13, comma 2, del CCNL in data 23.12.1999 prevede che "la revoca anticipata dell'incarico rispetto alla scadenza può avvenire solo per motivate ragioni organizzative e produttive […]". In sostanza, in presenza di una riorganizzazione dell'ente pare possibile revocare ad libitum ogni incarico dirigenziale.
E' assolutamente necessario, di fronte ad una simile previsione, che vi sia un effettivo e penetrante riscontro delle ragioni alla base della riorganizzazione e della revoca dell'incarico, tenendo presente che dette ragioni riorganizzative, come presuppongono alcune revoche, evidentemente comportino altrettanti conferimenti di nuovi incarichi.
Si ponga l'ipotesi di un comune, nel quale siano presenti 5 aree dirigenziali, che intenda, per ragioni organizzative (che non è utile ipotizzare per semplicità espositiva) ridurle a 3, eliminandone 2.
Il contratto impone che le ragioni organizzative debbano essere motivate. Ciò conferma, indirettamente, che esiste a monte dell'operazione un provvedimento amministrativo, che, nonostante sia di natura organizzativa e quindi di valenza generale e natura di atti presupposto, deve essere motivato. Non basta, ad esempio, la mera ridefinizione della dotazione organica, ma occorre una precisa esposizione dei motivi che portano alla necessità di comprimere le aree dirigenziali, ragioni di natura, si badi, organizzativa e non economica.
Ma, oltre a detto provvedimento di riorganizzazione, se ne accompagnano almeno due di revoca di due incarichi dirigenziali. Entrambe le revoche non derivano certamente da inadempimenti dei dirigenti, essendo solo il frutto, oggettivo, di necessità organizzative e produttive.
E' assolutamente evidente che questo tipo di revoca è del tutto unilaterale, con una manifesta natura di provvedimento amministrativo.
Ma, in realtà, detto ente di fronte ad una sua riorganizzazione di tale genere, può revocare gli incarichi non a monte, ma a valle del processo. Infatti, con la riduzione delle aree dirigenziali, le nuove aree risultanti debbono evidentemente accorpare alcune attribuzioni di quelle che si estinguono. Cambia, pertanto, il contenuto professionale della prestazione resa da parte di tutti i dirigenti fino a quel momento impiegati. In sostanza, si è in presenza di un fenomeno organizzativo che rimette in discussione gli incarichi di tutti i dirigenti, e non solo di quelli interessati direttamente all'eliminazione dell'area alla quale erano stati preposti. Infatti, l'accorpamento delle competenze varia l'incarico anche degli altri.
L'amministrazione, quindi, nell'esercizio di quanto prevede l'articolo 19, comma 1, del D.lgs 29/1993, deve valutare la natura dei programmi da realizzare e le attitudini e capacità professionali di ogni singolo dirigente, al fine di preporre alle nuove aree risultanti, colui che possieda le caratteristiche necessarie, le quali, evidentemente, non derivano dalla rendita di posizione scaturente dal rivestimento dell'incarico di direzione di un'area non "eliminata".
Conseguono, quindi, alla riorganizzazione: tre nuovi incarichi di direzione, e due derivanti revoche. Si tratta, in tutti i casi, di provvedimenti che non possono non essere conosciuti dal giudice amministrativo, giacchè è essenziale la verifica del corretto esercizio dei poteri di nomina e revoca, onde evitare che la riorganizzazione sia la facciata ad un provvedimento di vera e propria "giubilazione" di soggetti ritenuti scomodi o non allineati, utilizzando quindi le esigenze organizzative e produttive per scopi diversi da quelli consentiti.
Solo un giudice che abbia piena cognizione dei vizi dei provvedimenti amministrativi può intervenire a dare concreta tutela ai dirigenti, in casi simili a questo. E' abbastanza chiaro, infatti, che la disapplicazione del provvedimento di organizzazione che sta a monte, per quanto debba essere motivato, appare ipotesi piuttosto astratta, visto che si tratta comunque di un atto di alta amministrazione, difficilmente sindacabile se non per illogicità delle motivazioni dedotte a suo fondamento.
Se, allora, le posizioni giuridiche dei dirigenti sono immediatamente lese da un atto unilaterale dell'amministrazione, non si può non condividere l'interpretazione del giudice ligure, e chiedersi se la tutela giurisdizionale offerta dall'articolo 68 del D.lgs 29/1993 sia congrua, completa ed efficace.
Sembra, infine, opportuno sottolineare come l'ordinanza in argomento offra, un'interpretazione diametralmente opposta a quella proposta da una non trascurabile parte della giurisprudenza ordinaria.
Detta giurisprudenza, partendo evidentemente dalla sua peculiare visione del rapporto di lavoro, spinge per l'esercizio della propria giurisdizione in merito alle vertenze concernenti l'affidamento e la revoca degli incarichi dirigenziali, ritenendo entrambi gli istituti di natura negoziale, dunque atti paritetici di diritto privato.
Qualche giudice [5] ha proposto questa visuale per considerare come diritto pieno il diritto del dirigente al mantenimento del proprio incarico dirigenziale, sicchè il dirigente può agire davanti al giudice ordinario ogni qual volta il suo incarico venga modificato per vicende diverse dall'affioramento di responsabilità per cattiva gestione. Il dirigente, fuori da queste ipotesi, potrebbe agire, secondo detta giurisprudenza, in applicazione dell'articolo 1372 del codice civile, che postula la modifica di ogni contratto (compreso quello di lavoro) solo attraverso il mutuo consenso. Quindi, secondo detta giurisprudenza la revoca deve essere necessariamente consensuale, e per questa strada si tenta di apprestare una tutela forte alla dirigenza.
Altra giurisprudenza ordinaria [6] parte dal medesimo assunto della natura privatistica degli atti di assegnazione e revoca dell'incarico, per giungere a concludere, tuttavia, nel senso opposto: ovvero, la revoca, in particolare, non può essere disapplicata, giacchè non può essere considerata atto amministrativo presupposto; né può essere annullata, visto che il giudice ordinario non può rilevare l'esistenza di vizi di legittimità, secondo i canoni amministrativistici.
In questo secondo caso, l'interpretazione giurisprudenziale prende atto della sostanziale carenza di tutela nei confronti della dirigenza, per il caso di revoca. Il che sarebbe peggiorativo anche nei confronti della dirigenza privata, visto che l'indubbio carattere negoziale privatistico del rapporto dei dirigenti d'azienda, consentirebbe loro una tutela dei loro diritti nascenti dal contratto di lavoro, ferma restando la carenza di tutela nel caso di recesso per incapacità di raggiungere gli obiettivi (che comunque è prevista anche per la dirigenza pubblica).
Così
stando le cose, la sottoposizione dell'articolo 68 del D.lgs 29/1993 al vaglio
della Consulta appare necessaria ed opportuna, in quanto sembra necessario
comporre conflitti interpretativi tra auorità giurisdizionali diverse e tra
organi giudicanti diversi, nell'ambito delle medesime autorità, al fine,
soprattutto, di eliminare interpretazioni in parte aberranti, che possano
lasciare nella sostanza senza tutela alcuna determinate posizioni lavorative.
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Note:
[1] In tal senso, chi scrive ha ritenuto si possa considerare possibile per il giudice ordinario di procedere anche all'annullamento del provvedimento del provvedimento amministrativo che incida direttamente sulla posizione giuridica soggettiva del dirigente, in applicazione dei poteri costitutivi che l'articolo 68, comma 2, conferisce al giudice (vedi L.Oliveri, Note a margine dell'ordinanza del Tribunale di Udine 28 agosto 2000), in www.lexitalia.it
[2] Anche buona parte degli interpreti riconosce la natura pubblicistica dell'atto di conferimento dell'incarico. In tal senso si veda: C. D'Orta, Il potere organizzativo delle pubbliche amministrazioni tra diritto pubblico e diritto privato, in Il lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, Giuffrè, Milano, 2000, pagg. 101-109; G. D'Alessio, gli incarichi di funzioni dirigenziali, in Il lavoro alle dipendenze… cit., pag. 668-773; G. Pelella, Revoca di incarichi dirigenziali: requisiti di legittimità del provvedimento e risarcimento del danno all'immagine del dirigente, in Il lavoro nelle pubbliche amministrazioni, Giuffrè, n. 5/2000, pagg. 935-938; L. Oliveri, Note a margine … cit
[3] Le conseguenze sono le seguenti:
revoca dall'incarico e conseguente assegnazione ad altro incarico, implicitamente considerato di minor importanza e valore economico;
eventuale destinazione presso altra amministrazione interessata (ovviamente ciò vale solo per le amministrazioni statali, nelle quali opera il ruolo unico dirigenziale);
revoca accompagnata all'esclusione dal conferimento di ulteriori incarichi di livello corrispondente a quello revocato, per almeno due anni;
recesso dal rapporto di lavoro.
[4] G. Pelella, op. cit., pagg. 941-942.
[5] Ordinanza del Tribunale di Venezia 8 giugno 2000, in http://www.lexitalia.it
[6] Ordinanza del Tribunale di Vallo della Lucania 13.9.2000, in http://www.lexitalia.it
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V. in argomento in questa rivista:
L. OLIVERI, Il sistema degli incarichi dirigenziali e delle revoche alla luce delle interpretazioni del giudice del lavoro.