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LUIGI OLIVERI
Il problema della necessaria mediazione statutaria per l’attribuzione ai dirigenti delle funzioni gestionali negli enti locali
(note a margine di Cons. Stato, Sez. V, sentenza 23 giugno 2003, n. 3717)
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La disposizione che attribuisce ai dirigenti le competenze gestionali (oggi l’articolo 107 del D.lgs 267/2000) deve ritenersi immediatamente precettiva per le amministrazioni locali, essendo fondata sulla concezione del riparto tra compiti di governo di indirizzo e coordinamento (spettanti agli organi elettivi o a quelli che, ancorché non elettivi, ripetono dai primi la legittimazione a operare, quali gli assessori di giunta comunale e provinciale) e quelli di gestione (affidati in via esclusiva alla dirigenza dello stesso ente) che costituisce struttura fondante dell’intera riforma delle autonomie locali e, poi, del sistema di lavoro nelle pubbliche amministrazioni, come testimonia il decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, articolato anch’esso sulla stretta ripartizione tra attività di indirizzo e controllo di natura politica e di gestione.
L’immediata precettività della norma in esame si deduce altresì dalla coerenza delle mansioni conferite ai dirigenti con la loro responsabilità per l’andamento degli uffici, quest’ultima certo non incidibile da prescrizioni statutarie, (C.d.S.,V, 5 maggio 1999, n. 505) nonché dalla inidoneità dello statuto dell’ente di ripartire i compiti di gestione tra le diverse figure professionali presenti nell’ente al di fuori degli ambiti già precisati dalla legge n. 142 del 1990.
Inoltre, l’articolo 51, comma 3, della citata legge n. 142 del 1990 devolve ai dirigenti degli enti locali tutti i compiti che impegnano l’ente verso l’esterno, che la legge o lo statuto non riservino agli organi di governo dell’ente stesso. Tale norma costituisce disposizione immediatamente applicabile senza necessità dell’interposizione di apposite fonti secondarie.
Chi ha scritto i passaggi in corsivo è il Consiglio di Stato, con le sentenze della Quinta Sezione 15 novembre 2001 n. 5833, in http://www.lexitalia.it n. 11-2001 e 12 aprile 2001, n. 2293, in Giur. it. 2001, 1721 ed in Foro amm. 2001, 871.
Stessa sezione della sentenza 23 giugno 2003, n. 3717, in questa Rivista. Decisioni diametralmente opposte.
Il Consiglio di Stato con la sentenza da ultimo citata smentisce se stesso ed in modo clamoroso.
E’ lecito e logico che l’evoluzione giurisprudenziale permetta ai giudici di modificare il proprio orientamento.
Tuttavia, nel caso di specie, la virata di 180 gradi della Sezione V, sembra portare la nave dell’interpretazione ad incagliarsi pericolosamente.
Le argomentazioni, infatti, così bene fornite due anni prima rispetto all’immediata applicabilità all’ordinamento locale del principio di attribuzione ai dirigenti delle competenze gestionali, rimangono più forti, persuasive e corrette.
In particolare, perché il D.lgs 267/2000, vigente al momento della pronuncia della sentenza 3717/2003, contiene due non secondarie disposizioni che lasciano pensare alla decisione come un percorso interpretativo destinato a rimanere isolato.
La sentenza non ha infatti considerato:
1) che a mente dell’articolo 88, comma 1, del D.lgs 267/2000 “all’ordinamento degli uffici e del personale degli enti locali, ivi compresi i dirigenti ed i segretari comunali, si applicano le disposizioni del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29”; l’immediata e diretta applicazione, allora, della separazione delle competenze dirigenziali da quelle degli organi politici discende senz’altro ope legis sia per le amministrazioni statali, sia per quelle locali, in quanto la fonte che la disciplina è la medesima ed essa opera direttamente nell’ordinamento locale per esplicita, chiara ed incontestabile previsione del medesimo ordinamento locale;
2) che a mente dell’articolo 45, comma 1, del D.lgs 80/1998, vigente all’epoca dell’emanazione degli atti oggetto della vertenza decisa dai giudici di Palazzo Spada, “a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto, le disposizioni previdenti che conferiscono agli organi di governo l’adozione di atti di gestione e di atti o provvedimenti amministrativi di cui all’articolo 3, comma 2, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, si intendono nel senso che la relativa competenza spetta ai dirigenti”.
In ogni caso, la diretta applicazione dell’articolo 51, commi
Al contrario, esse stabiliscono che “spetta” ai dirigenti la direzione degli uffici, così come “spettano” ai dirigenti tutti i compiti, compresa l’adozione di atti che impegnano l’amministrazione verso l’esterno, concernenti la gestione e l’attuazione degli obiettivi posti dagli organi di governo.
Si tratta non di meri principi, ma di disposizioni immediatamente precettive, che dettano già la regola concreta da adottare ed applicare.
D’altra parte, se così non fosse, non si capirebbe quale motivo avrebbe avuto il legislatore di emanare una norma (per altro assolutamente criticabile) come l’articolo 53, comma 23, della legge 388/2000 la quale consente nei comuni con meno di 5.000 abitanti di assegnare le funzioni gestionali agli organi di governo “in deroga […] all’articolo 107 del […] testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali”. Se la legge ha, dunque, stabilito che mediante le fonti normative secondarie è possibile derogare all’articolo 107 del testo unico, ciò significa che la stessa legge ha qualificato il testo unico come disposizione di generale ed immediata applicazione, che può essere disapplicato solo mediante deroga.
Ciò è esattamente all’opposto di quanto sostenuto dal Consiglio di stato nella sentenza 3717/2003, quando si afferma che l’articolo 51 della legge 142/1990, oggi articolo 107 del testo unico è una norma di carattere programmatico, sia pur vincolante, destinata ad essere recapita dall’ordinamento di ciascun ente.
Ma altri profili interpretativi lasciano ritenere la decisione 3717/2003 erronea. Seguendo l’avversata (anche da se stessa, come visto sopra) della Sezione V, il presunto recepimento sarebbe atto vincolato. Allora, l’inerzia dell’ente nel non “recepire” con lo statuto l’attribuzione ai dirigenti delle competenze gestionali non potrebbe risultare indifferente. Lo statuto per questa parte risulterebbe illegittimo. Il giudice, allora, dovrebbe accertare tale vizio e disporre comunque l’applicazione diretta del principio di separazione. Il ricorso ai principi è ammissibile in caso di carenza di disciplina espressa della materia, come afferma la Sezione Quinta con sentenza 2750/2003. Se la disciplina espressa della materia richiede e vincola alla produzione di due fonti, legge e statuto, di disciplina delle competenze dirigenziali, non appare corretto che il mancato esercizio obbligatorio del potere-dovere statutario resti privo di conseguenze. Sarebbe come ammettere che comuni sopra i 5.000 abitanti abbiano un regime sostanzialmente identico a quelli sotto i 5.000 abitanti. Entrambi potrebbero non applicare il principio della separazione: basterebbe non approvare mai la normativa statutaria necessaria allo scopo.
Questa conclusione appare oggettivamente aberrante e priva di ogni appiglio, come visto sopra, contraddetta dalle disposizioni normative, oltre che dalla giurisprudenza maturata precedentemente.
La sentenza 3717/2003, insomma, dopo l’evoluzione interpretativa successiva alla legge 127/1997, appare un passo indietro. Del quale non si sentiva il bisogno.
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Documenti correlati:
Cons. Stato, Sez. V, sentenza 23 giugno 2003, n. 3717.