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LUIGI OLIVERI

Considerazioni sulla vice dirigenza nel testo
del disegno di legge esitato dalla Camera

Vive ancora di luci ed ombre il disegno di legge sulla riforma della dirigenza pubblica, in particolare per quanto riguarda il sofferto istituto della vice dirigenza.

Pur trattandosi di una soluzione che ha il pregio evidente del corretto inquadramento dei funzionari che svolgono una funzione di direzione operativa in una specifica qualifica professionale, anche in funzione di possibili sviluppi successivi di carriera, sono ancora tanti gli elementi di difficoltà operativa che è auspicabile vengano risolti dal Senato.

Non sarà facile, non solo perché si tratta di un nuovo istituto che ha un'evidente valenza strategica nell'ambito della riforma della dirigenza, ma anche perché i sindacati confederali continuano ad erigere contro l'istituzione di una vera figura di "quadri" nella pubblica amministrazione quello stesso muro eretto fin dalla trattativa per il primo contratto collettivo di natura privatistica, che non ha mai permesso, sin qui, di introdurre la qualifica di quadro per via contrattuale, con la conseguente soluzione di compromesso, estremamente deludente alla prova dei fatti, rappresentata dall'area delle posizioni organizzative.

E' da valutare, allora, positivamente il fatto che la Camera abbia recuperato proprio alla stretta finale la figura della vice dirigenza, stralciata, invece, nell'esame delle commissioni proprio per l'ostracismo dei sindacati, da un lato, e dalla valutazione della commissione Finanze, contraria ad una possibile crescita della spesa pubblica conseguente all'introduzione e messa a regime dei vice dirigenti.

Evidentemente, però, le difficoltà affrontate dal legislatore per confermare un istituto così importante per valorizzare le professionalità presenti nella pubblica amministrazione e per delineare percorsi di carriera più trasparenti, hanno influito in maniera non del tutto positiva sulla chiarezza del testo approvato dalla Camera.

Delega. Un primo tema problematico riguarda l'esercizio del potere di delega da parte della dirigenza. Nella stesura originaria del disegno di legge, il potere di delega era strettamente connesso alla figura del vice dirigente, che poteva ottenere in via delegata la possibilità di esercitare parte delle funzioni dirigenziali specificate dall'articolo 17 del D.lgs 165/2001.

Il testo approvato dalla Camera contiene due distinte disposizioni, che confluiscono entrambe nel nuovo articolo 17-bis del citato D.lgs. 165/2001, il cui coordinamento appare alquanto complesso.

Da un lato, infatti, l'articolo 2 del disegno di legge introduce nell'articolo 17-bis un comma 1-bis, che permette ai dirigenti di delegare alcune delle competenze comprese nelle funzioni elencate nelle lettere b), d) ed e) dell'articolo 17 del testo unico sul pubblico impiego "a dipendenti che ricoprano le posizioni funzionali più elevate nell'ambito degli uffici ad essi affidati".

Dall'altro lato, l'articolo 7, comma 3, del disegno di legge introduce l'articolo 17-bis il cui comma 1 dispone che "i dirigenti possono delegare ai vice dirigenti parte delle competenze di cui all'articolo 17".

Ora, appare incontestabile che i dirigenti di seconda fascia possano delegare ai propri vicari parte delle funzioni previste dall'articolo 17, senza incontrare la limitazione all'elencazione di funzioni contenuta nel comma 1-bis. Il comma 1 dell'articolo 17-bis, infatti, sembra consentire ai dirigenti di delegare ai vicari anche parte delle competenze comprese nelle lettere a) e c) dell'articolo 17 medesimo. Anche se proprio la lettera c) appare problematica, in quanto consente ai dirigenti di seconda fascia di svolgere tutti i compiti ad essi delegati dai dirigenti di prima fascia. La delega di dette funzioni ai vice dirigenti determinerebbe un'ipotesi di sub-delega che per principio generale deve considerarsi non ammissibile, a meno che la legge non la consenta espressamente. Ebbene, l'attuale testo normativo non dispone esplicitamente la subdelega delle funzioni dirigenziali di prima fascia, anche se potrebbe ricavarsi l'autorizzazione a detta subdelega in via interpretativa: tuttavia, se questa è l'intenzione del legislatore sarebbe opportuno, visto che si è ancora in tempo, esplicitarla.

Ma se ai vice dirigenti è, comunque, possibile delegare le funzioni dirigenziali di cui all'articolo 17, per effetto dell'articolo 17-bis, comma 1, a quali soggetti si rivolge la possibilità di delega prevista dal successivo comma 1-bis?

Sembra proprio che si tratti di dipendenti diversi dai vice dirigenti, altrimenti il comma 1-bis non avrebbe assolutamente alcuna utilità, visto che la delega per i vicari è consentita espressamente dal comma immediatamente precedente.

Per altro, il comma 1-bis si cura con molta cautela proprio di evitare in modo assoluto di menzionare i vice dirigenti, ammettendo la delega a dipendenti "che ricoprono le posizioni funzionali più elevate nell'ambito degli uffici ad essi affidati".

La formulazione del comma 1-bis sembra consentire ai dirigenti di estendere la possibilità di delega anche oltre la specifica soglia della qualifica di vice dirigente, permettendo di rivolgere la delega ai dipendenti di qualsiasi categoria, a patto che ricoprano la posizione più elevata nell'ufficio. La delega, dunque, a mente del comma 1-bis, può essere assegnata a tutti i dipendenti preposti alla direzione di un'unità organizzativa all'interno della struttura diretta dal dirigente, purchè ricorrano "comprovate ragioni di servizio".

Ora, il legislatore nel permettere espressamente di utilizzare l'istituto della delega può certamente anche fissare ambiti più o meno estesi per la sua applicazione, restando, d'altra parte, nella valutazione discrezionale e nella responsabilità di risultato del dirigente l'apprezzamento della sussistenza delle condizioni per delegare o meno le funzioni.

Pare, tuttavia, che la delega prevista dal comma 1-bis proprio perché motivata da specifiche e comprovate ragioni di servizio sia utile soprattutto ai fini della sostituzione del dirigente impedito da ragioni appunto di lavoro ad esercitare alcune funzioni.

A questo proposito, si possono allora formulare alcune osservazioni. In primo luogo, in via ordinaria una volta che sia introdotta la figura del vice dirigente appare del tutto naturale che sia il vicario investito del compito di svolgere le funzioni dirigenziali al posto del dirigente impedito. Ma in questo caso il vicario opererebbe non in virtù dell'esercizio della delega prevista dal comma 1, ma in via ordinaria applicando l'istituto della sostituzione, da tenere ben distinto da quello della delega. Questa, infatti, consente di esercitare in via mediata ed indiretta alcune competenze la cui titolarità immediata e diretta spetta al funzionario delegante che, però, con l'atto di delega rinuncia ad esercitarle, conferendo il potere e la responsabilità dell'esercizio al funzionario delegato.

L'istituto della sostituzione non prevede la traslazione del potere di esercizio della competenza dal titolare di un ufficio al titolare di altro ufficio; al contrario, sul presupposto che l'ufficio medesimo resti vacante per assenza o impedimento, permette al titolare di un diverso ufficio, a ciò legittimato dalla legge o dal regolamento (come nel caso dei vice segretari comunali) di divenire temporaneamente titolare anche dell'ufficio vacante e di esercitare, dunque, tutte le funzioni di questo, come fosse il titolare.

La funzione di sostituzione, tuttavia, è tipica ed insita nella figura del vicario. Anche sotto questo punto di vista, allora, la previsione della delega disciplinata dal comma 1-bis non sembra del tutto comprensibile e razionale.

A meno che non sia volta a consentire la sostituzione del dirigente non solo al vicario, ma anche ad altri soggetti. Ma se così stanno le cose, occorre allora chiedersi a cosa serva la figura del vicario e che senso abbia disciplinare la sostituzione come fosse una delega, prevedendo, per altro, dei limiti ben precisi all'esercizio delle funzioni dei soggetti delegati a mente del comma 1-bis, i quali possono esercitare solo le funzioni previste dalle lettere b), d) ed e), dell'articolo 17, per altro in parte.

Dall'esame degli atti parlamentari (vedi il resoconto stenografico d'aula in corso di seduta della seduta n. 85 del 23 gennaio 2002, disponibile sul sito www.dirpubblica.com) si riscontra che in realtà la delega prevista dal comma 1 dell'articolo 17-bis è cosa diversa ed in parte contrastante con quella prevista dal comma 1-bis.

Infatti, quest'ultima era ricompresa in un articolo presentato dalle minoranze come alternativo all'articolo sulla vice dirigenza proposto dalla maggioranza. Il relatore di minoranza Gianclaudio Bressa a questo proposito afferma espressamente che la delega prevista appunto in quell'articolo alternativo "rappresenta esattamente l'idea che abbiamo del modello organizzativo della pubblica amministrazione. Tale modello, com'è facile comprendere, non prevede la figura della vice dirigenza o della predirigenza poiché riteniamo che queste figure creino appesantimento ed irrigidimento […]". Il relatore di minoranza continua spiegando, nella sostanza, che la valorizzazione delle figure professionali che pur non rivestendo la qualifica dirigenziale svolgono funzioni di estremo rilievo possa effettuarsi consentendo la delega delle competenze dirigenziali prescindendo, tuttavia, dall'istituzione di un'apposita qualifica professionale.

La maggioranza, per voce del ministro Franco Frattini, ha, invece, inteso coordinare le due modalità di delega, ritenendole non in contrasto. Nel suo intervento nel corso della seduta, il ministro per la Funzione pubblica ha esortato la minoranza ad introdurre appunto il solo stralcio della loro proposta alternativa alla vice dirigenza come uno dei criteri "per l'attribuzione di deleghe da parte dei dirigenti", considerando ciò come "coerente con la proposta dell'esecutivo, relativa alla vice dirigenza. Come i colleghi ricordano, infatti, il Governo propone che siano i vice dirigenti a regime coloro ai quali i dirigenti abbiano delegato funzioni. L'articolo aggiuntivo (un cui estratto è poi divenuto il comma 1-bis dell'articolo 17-bis, n.d.a.) dell'onorevole Bressa, dunque, segue, in qualche modo, il criterio per l'attribuzione delle deleghe da parte dei dirigenti a coloro che, ad avviso del Governo, potranno essere i neoistituiti vice dirigenti".

Stando, allora, ai lavori preparatori, la riduzione ad unità tra il modello di delega del comma 1 dell'articolo 17-bis e quello contenuto nel successivo comma 1-bis, consisterebbe nel considerare quest'ultimo applicabile sostanzialmente nella fase transitoria intercorrente tra l'entrata in vigore della legge di riforma della dirigenza e, dunque, della previsione della qualifica della vice dirigenza e l'effettiva istituzione dei dirigenti vicari, che avverrà in un successivo momento.

Il combinato disposto dei commi 1 e 3 dell'articolo 17-bis, infatti, prevede che l'attuazione della vice dirigenza sia subordinato alle seguenti condizioni:

- emanazione di un atto di indirizzo del Ministero per la funzione pubblica, rivolto all'Aran, col quale si invita l'agenzia a definire in via contrattuale l'istituzione della vice dirigenza a decorrere dal periodo contrattuale successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore del disegno di legge;

- stipulazione del contratto collettivo nazionale di lavoro che disciplini l'area della vice dirignza.

Pertanto, il comma 1-bis consentirebbe comunque il ricorso all'istituto della delega delle funzioni, anche in mancanza dei vice dirigenti e finchè la contrattazione collettiva non attui il disposto normativo.

Anzi, il ricorso all'istituto della delega diviene presupposto per l'effettivo accesso all'area della vice dirigenza, alla quale potranno accedere i dipendenti laureati con almeno cinque anni complessivi di anzianità nelle posizioni C2 o C3 o nelle corrispondenti qualifiche VIII e IX del precedente ordinamento del personale del comparto dello Stato e che abbia svolto funzioni delegate dai dirigenti.

Dette funzioni delegate, stando all'intervento del ministro Frattini saranno proprio quelle conferite a mente dell'articolo 17-bis, comma 1-bis, al personale inquadrato nelle precitate posizioni.

Riferimento temporale delle deleghe previste dal ddl. Analizzato con questa chiave di lettura, l'articolo 17-bis, comma 1, dunque non dovrebbe essere interpretato come una sorta di "sanatoria" delle deleghe conferite fin qui, prima dell'entrata in vigore del disegno di legge. Le funzioni delegate dai dirigenti di cui al comma 1 del citato articolo 17-bis non sono, quindi, quelle esercitate nel passato, bensì quelle che saranno conferite successivamente, in attuazione del comma 1-bis.

In tal modo si eviterebbe di precostituire posizioni di vantaggio per funzionari ai quali siano state sin qui delegate funzioni dirigenziali in modo discutibile, in quanto in mancanza di un'espressa disposizione normativa la delega, per principio generale largamente ammesso dalla dottrina e dalla giurisprudenza, non è legittima.

Quindi, i funzionari statali inquadrati nelle posizioni C2 o C3, o posizioni equivalenti nell'ambito delle altre amministrazioni pubbliche, potranno acquisire le deleghe e, dunque, i titolo per accedere alla vice dirigenza nel periodo immediatamente successivo all'entrata in vigore della riforma e fino all'attuazione dell'istituto della vice dirigenza.

Tuttavia, la razionalità di questa impostazione potrebbe essere contraddetta dalla considerazione che il comma 1-bis dell'articolo 17-bis non limita la delega delle funzioni al personale che a mente del precedente comma 1 può accedere alla vice dirigenza, ma a tutti i dipendenti che ricoprano le posizioni funzionali più elevate nell'ambito degli uffici ad essi affidati. Se, pertanto, la posizione funzionale più elevata sia quella di un dipendente in C1, questo potrebbe essere destinatario della delega. E potrebbe concorrere alla vice dirigenza purchè quando la sua istituzione vada a regime con la tornata contrattuale successiva a quella in corso (dunque tra cinque anni) abbia ottenuto la progressione orizzontale nella posizione superiore ed abbia la necessaria anzianità di 5 anni nella posizione almeno C2.

Questo meccanismo appare fin troppo criptico nell'attuale testo e suscettibile di interpretazioni anche contrastanti, in quanto si potrebbe dare al riferimento alle funzioni delegate svolte dai funzionari una valenza retroattiva, sì da trasformarlo nella sanatoria delle deleghe cui si è accennato prima.

Sarebbe opportuno renderlo maggiormente esplicito, anche al fine di chiarire meglio i tempi dell'entrata a regime dell'istituto della vice dirigenza, lasciati fin troppo nel vago, in quanto non appare del tutto chiaro quale sia il periodo contrattuale successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore del disegno di legge. Se, infatti, fosse già stato stipulato il contratto per il quadriennio 2002-2005, indubbiamente il periodo successivo sarebbe il quadriennio 2006-2009. Ma in mancanza della stipulazione del contratto, il periodo contrattuale potrebbe ancora essere quello scaduto al 31.12.2001, dal momento che l'operatività dei contratti scaduti prosegue fino alla stipulazione di quelli nuovi. E' auspicabile che il Senato chiarisca anche questa fattispecie.

La via contrattuale alla vice dirigenza. Nel corso della discussione sul disegno di legge, sia in commissione sia in aula si è discusso molto sull'opportunità di introdurre la figura del vice dirigente direttamente mediante disposizione normativa, oppure attraverso un processo complesso di rinvio dalla legge alla contrattazione collettiva.

La scelta finale va nella seconda direzione. Si tratta, per altro, di una decisione alquanto originale, dal momento che la contrattazione collettiva viene, in sostanza, configurata come attuativa di una disposizione generale normativa.

In sostanza, il ddl qualifica l'istituzione della vice dirigenza come un indirizzo, rinviando ad un'altra fonte il compito di concretizzarlo, un po' come avviene nel rapporto tra disposizioni generali di fonte legislative e disposizioni regolamentari di attuazione.

La costruzione del rapporto tra legge e contrattazione collettiva lungo una linea indirizzo-attuazione appare indubbiamente insolita e, per certi versi, discutibile.

La scelta operata lascia un'impressione di incompiutezza. Infatti, se il legislatore ha ritenuto che la disciplina istitutiva della vice dirigenza appartiene alla potestà normativa, occorrerebbe capire in base a quali principi abbia deciso di demandare alla contrattazione collettiva la concreta operatività, rinunciando, dunque ad una sua potestà e portando sul piano contrattuale ciò che era stato ritenuto, invece, comunque appartenere all'ambito di libertà dei fini politici propri della legge.

Per altro verso, l'autonomia contrattuale collettiva risulterebbe comunque fortemente limitata da compiti attuativi di scelte operate dal legislatore. La legge deve indicare quali sono le materie nelle quali la contrattazione collettiva può intervenire. Ma se si predetermina il contenuto della contrattazione è evidente che l'autonomia delle parti viene fortemente compressa.

Sembra evidente che il Parlamento abbia inteso demandare alla contrattazione collettiva l'attuazione della vice dirigenza come soluzione di compromesso, atta a far accettare la novità dai sindacati. Formalmente, del resto, l'indirizzo normativo, a mente dell'articolo 17-bis, comma 3, sarà rivolto all'Aran e non certo ai sindacati. Tuttavia, il comma 1 assegna alla contrattazione collettiva un vero e proprio obiettivo di natura cogente, ovvero l'istituzione della vice dirigenza, specificando perfino le modalità di accesso e il sistema di classificazione dei vice dirigenti, i quali dovranno essere inquadrati in una specifica area contrattuale. La contrattazione collettiva, quindi, rimarrebbe del tutto priva dell'autonomia decisionale di istituire e qualificare i vice dirigenti, potendo operare solo sul piano della determinazione del trattamento economico e sulla definizione degli istituti giuridici contrattuali.

A questo punto bisogna chiedersi perché l'istituzione della vice dirigenza sia rimessa alla contrattazione. Se l'indirizzo normativo viene considerato obbligatorio, sarebbe più lineare, al contrario, istituire la vice dirigenza direttamente per legge, stabilendo con chiarezza il termine della sua operatività a regime e lasciando alla contrattazione collettiva appunto i soli ambiti di dettaglio del trattamento economico e giuridico, senza coinvolgerla nella procedura istitutiva. Anche perché i sindacati potrebbero, come già dichiarato alla stampa, indirettamente rallentare il percorso per la fondazione della vice dirigenza, alla quale sono esplicitamente contrari, cercando di estendere il più possibile l'accesso, ripetendo quanto già avvenuto con l'area delle posizioni organizzative.

La soluzione che rimetta esclusivamente alla legge l'istituzione della vice dirigenza, sottraendo dunque alla contrattazione collettiva ogni potere in merito, non apparirebbe contraria ai principi di ripartizione delle materie tra legge e contrattazione. L'articolo 40 del D.lgs 165/2001 al comma 1 riserva alla contrattazione collettiva il compito di disciplinare tutte le materie relative al rapporto di lavoro ed alle relazione sindacali. Il comma 3 esplicita meglio il principio, chiarendo che la contrattazione disciplina la durata dei contratti collettivi, la struttura contrattuale, i rapporti tra i diversi livelli contrattuali. Non pare di ravvisare una riserva di individuazione delle qualifiche nelle quali ripartire il personale alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche. Non è, del resto, un caso che il D.lgs 165/2001 dedichi l'intera Sezione I del Capo II alla disciplina della dirigenza.

Per altro, l'articolo 2, comma 1 assegna alla legge o ad atti organizzativi basati sulla legge medesima il compito di dettare le linee fondamentali di organizzazione degli uffici. La creazione di un'area della vice dirigenza attiene con buona evidenza proprio alla funzione di organizzazione degli uffici.

Inoltre, si può osservare che a mente del comma 2 dell'articolo 2 i rapporti di lavoro oltre ad essere disciplinati dal capo I, titolo II, del libro V del codice civile e dalle leggi sui rapporti di lavoro, sono regolati dalle disposizioni del D.lgs 165/2001, che per altro prevalgono sulle norme incompatibili dell'ordinamento privatistico.

Proprio queste ultime considerazioni, per altro, potrebbero portare il legislatore verso una direzione che mantenga l'obiettivo di creare un'area contrattuale apposita nella quale inquadrare il personale preposto a funzioni non soltanto impiegatizie ma non completamente dirigenziali. Ma, se al rapporto di lavoro dei dipendenti dalle pubbliche amministrazioni si applica il capo I, titolo II, del libro V del codice civile, perché il legislatore non dispone espressamente l'applicazione dell'articolo 2095 del codice civile medesimo, il quale prevede la figura dei "quadri"?

Si tratterebbe di una soluzione certamente più razionale e lineare, per altro atta a determinare una concreta assimilazione del rapporto di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni col rapporto di lavoro privato e a non limitare l'area della pre-dirigenza necessariamente ad una funzione vicaria

Parecchie amministrazioni decentrate dello Stato potrebbero essere dirette da figure di quadri e, dunque, per utilizzare la disposizione di cui all'articolo 2, comma 1, della legge 190/1985 da prestatori di lavoro subordinato che, pur non appartenendo alla categoria dei dirigenti, svolgano funzioni con carattere continuativo di rilevante importanza ai fini dello sviluppo e dell'attuazione degli obiettivi dell'impresa. Lo stesso varrebbe per unità organizzative di particolare rilievo o di incarichi di rilevante importanza all'interno delle strutture centrali.

Basterebbe, a questo punto, determinare i criteri al ricorrere dei quali il quadro possa essere incaricato anche della funzione vicaria della dirigenza, fermo restando che il quadro ricaverebbe comunque dalla legge, nonché dalla contrattazione, la titolarità immediata e diretta per l'esercizio di funzioni di natura dirigenziali anche senza necessità di delega, magari più limitate per materia e/o per valore rispetto a quelle proprie della dirigenza.

Vice dirigenti e posizioni organizzative. Il disegno di legge non lascia prefigurare in alcun modo le conseguenze derivanti dall'istituzione della vice dirigenza nei riguardi dei dipendenti inquadrati nell'area delle posizioni organizzative.

La logica vorrebbe che la vice dirigenza, ma soprattutto la più opportuna creazione dell'area quadri, soppiantasse le posizioni organizzative, soluzione di compromesso adottata nell'appena concluso quadriennio contrattuale 1998-2001 per superare le riottosità dei sindacati all'introduzione dei quadri nella pubblica amministrazione.

Le posizioni organizzative, pur definite, talvolta "quadri", in realtà tali non sono (1) e si sono dimostrate solo parzialmente una soluzione capace di creare una figura intermedia tra dirigenti ed impiegati.

Infatti, la contrattazione collettiva non è riuscita a delineare con compiutezza competenze e responsabilità delle posizioni organizzative, anche perché la legge non ha previsto esplicitamente la possibilità di delegare loro parte delle funzioni dirigenziali, privandole di una concreta utilità pratica.

Inoltre, la contrattazione collettiva non ha previsto criteri chiari per l'assegnazione degli incarichi, lasciata eccessivamente nel vago e, dunque, ad una discrezionalità ai limiti dell'arbitrarietà. Oltre tutto, non è stato richiesto alcun requisito specifico di professionalità (in primis la laurea) per l'accesso a detti incarichi, sicchè si è assistito all'assegnazione delle posizioni organizzative indiscriminatamente a molteplici figure di personale dipendente, senza regole chiare.

L'istituzione della vice dirigenza è l'occasione per rimediare a queste oggettive inefficienze. Anche in questo caso si auspica che in Senato si insista per la creazione di una vera e propria area quadri, nella quale individuare i vicari dei dirigenti e per il completamento dell'indirizzo contrattuale all'Aran nel senso dell'azzeramento delle posizioni organizzative.

La previsione transitoria contenuta nell'articolo 17-bis, comma 1, paragrafo secondo, può garantire ai dipendenti privi di laurea già inquadrati nelle posizioni organizzative di concorrere a loro volta per un incarico quale vice dirigente, sicchè professionalità eventualmente già riconosciute potrebbero essere ulteriormente valorizzate.

Incarichi. Un altro problema che il disegno di legge lascia irrisolto concerne le modalità di assegnazione degli incarichi di vice dirigente. Proprio questa carenza lascia aperto il fianco alle considerazioni di chi vede nell'istituzione della vice dirigenza di un elemento di rigidità organizzativa. Infatti, restando così le cose, appare all'esterno che i dipendenti assurti alla qualifica di vice dirigente acquisiscono una posizione sostanzialmente irremovibile, con una totale coincidenza tra rapporto di servizio e rapporto organico.

In sostanza, i vice dirigenti avrebbero un incarico fisso a differenza dai dirigenti, soggetti, invece, alle valutazioni ed a possibili modifiche degli incarichi dirigenziali.

Se il disegno di legge non verrà integrato dalla specificazione delle modalità di assegnazione dell'incarico vicario e dall'indicazione della durata dell'incarico stesso in analogia con le previsioni relative agli incarichi dirigenziali, potrebbe verificarsi un effetto perverso, quale la compressione della dirigenza tra il martello della potestà di nomina e revoca degli organi di governo, e l'incudine dei vice dirigenti che potrebbero "premere dal basso" per soppiantarli, sicuri della sostanziale inamovibilità del loro incarico, il che potrebbe renderli più propensi a raccordarsi con gli organi di governo medesimi, accrescendo la dialettica, quando non il contrasto, esistente tra dirigenti e soggetti politici quando si applica in modo patologico il principio di separazione delle funzioni dirigenziali da quelle politiche.

Sembrerebbe del tutto logico e razionale che l'accesso alla vice dirigenza sia da consentire mediante procedure selettive, dalle quali derivi l'inquadramento giuridico e la potenzialità all'assegnazione di un incarico da "quadro". Ma detto incarico dovrebbe essere assegnato in base a criteri di valutazione delle attitudini professionali, in tutto simili a quelli previsti per l'assegnazione degli incarichi dirigenziali. Allo stesso modo, i quadri o vice dirigenti dovrebbero essere sottoposti alle valutazioni del risultato del loro operato, ai fini della riconferma o della revoca o, soprattutto, dei possibili ulteriori sviluppi di carriera.

Ma allora, l'assegnazione degli incarichi e le segnalazioni per le valutazioni eventualmente negative dovrebbero essere di competenza dei dirigenti di seconda fascia, così da connettere l'incarico dei vice dirigenti con quello dei dirigenti che li abbiano nominati. Esattamente come avviene nel rapporto tra dirigenti di prima fascia e dirigenti di seconda fascia.

Qualora la riforma non preveda meccanismi analoghi a quelli sopra descritti i rischi di rigidità e di inefficienza sarebbero effettivi e non trascurabili.

Estendibilità della riforma alle regioni ed agli enti locali. Le considerazioni svolte sopra in merito alla più corretta qualificazione dei vice dirigenti come "quadri" valgono in particolare per il mondo delle autonomie locali e, soprattutto, per i comuni privi di qualifiche dirigenziali.

L'istituzione di un'area quadri, intesa come area effettivamente predirigenziale titolare per legge del potere di svolgere le funzioni dirigenziali sarebbe un'opportunità importantissima per consentire anche agli enti di piccole dimensioni di applicare senza troppe difficoltà il principio di separazione e valorizzare in termini concreti le professionalità esistenti.

Occorre tenere presente che sebbene negli enti privi di dirigenza l'area delle posizioni organizzative ha svolto in modo abbastanza efficiente il compito proprio della qualifica di quadro, l'esercizio delle funzioni dirigenziali (presupposto per l'inquadramento nell'area delle posizioni organizzative) rimane subordinato all'assegnazione dell'incarico di responsabile di servizio da parte del sindaco.

Per altro, per effetto della discutibile norma contenuta nell'articolo 53, comma 23, della legge 388/2000, come modificato dall'articolo 29, comma 4, della legge 448/2001, il 72% dei comuni italiani, quelli, ovvero, con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti (pari a circa 5.855 enti su 8132) possono disapplicare il principio di separazione ed assegnare alla giunta l'adozione degli atti amministrativi, oltre che quelli di governo.

L'introduzione della qualifica dei quadri potrebbe rappresentare un argine a questa contraddizione del sistema, giacchè il quadro di per sé deve poter svolgere compiti gestionali di rilievo nell'ambito dell'organizzazione alla quale appartiene in via immediata e diretta. Non occorrerebbe, dunque, più un provvedimento mediato di assegnazione della responsabilità degli uffici da parte del sindaco.

Soprattutto per gli enti locali, dunque, precisare che la vice dirigenza è un'area quadri sarebbe, quindi, determinante. Anche perché, se il problema è rappresentato in gran parte dalla stragrande maggioranza di enti privi di dirigenti, è chiaro che l'istituzione della vice dirigenza non darebbe alcun beneficio a quegli enti che essendo privi della qualifica dirigenziale non potrebbero certo istituire quella vice dirigenziale.

Il testo del disegno di legge non lascia, però, attualmente spazi per queste considerazioni. Al contrario, il comma 2 dell'articolo 17-bis stabilisce da un lato che le disposizioni della riforma si applicano alle amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del D.lgs 165/2001 in quanto compatibili; dall'altro, fa salve le competenze delle regioni e degli enti locali secondo la disciplina contenuta nell'articolo 27 sempre del D.lgs 165/2001.

Non è chi non veda, comunque, la problematicità della questione dell'applicazione della riforma della dirigenza alle autonomie locali.

Il disegno di legge, come si nota, non prende posizione ed anzi permette agli enti locali di non applicarlo qualora valutino un'incompatibilità tra il proprio ordinamento ed il contenuto della riforma. Il che permetterebbe proprio ai comuni con meno di 5.000 abitanti di non applicare né la vice dirigenza, né l'inquadramento nei quadri, ove eventualmente previsto.

Ma qui si pone un primo problema. Se la legge demanda alla contrattazione collettiva l'istituzione della vice dirigenza o dei quadri ed effettivamente i contratti collettivi attueranno la previsione anche per il comparto enti locali, risulterebbe difficile conciliare la presenza di una qualifica pre dirigenziale con una normativa speciale che, in ogni caso, legittimerebbe i comuni di piccole dimensioni a farne a meno.

Si pone, inoltre, un altro e più grave problema: la contrattazione collettiva nazionale sarebbe, comunque, in grado di vincolare i comuni. E, inoltre: le indicazioni della legge 488/2001 e della riforma della dirigenza (una volta approvata) sarebbero vincolanti per le regioni?

A ben vedere, la riforma della Costituzione priva del tutto la legge dello Stato del potere di disciplinare l'organizzazione del personale non appartenente alle amministrazioni dello Stato medesimo ed agli enti pubblici nazionali. E se la legge 3/2001 consente alla legge dello Stato di determinare le competenze degli organi di governo degli enti locali (2), più complesso è sostenere che la fissazione di dette competenze possa comunque incidere sul principio di separazione delle competenze degli organi di governo da quelle degli organi burocratici, soprattutto se detto principio venga visto come attuazione delle disposizioni di cui agli articoli 97 e 98 della Costituzione (3).

Dunque, una disposizione normativa che introduca l'area quadri negli enti locali, senza limitazioni demografiche, andrebbe in urto con l'articolo 53, comma 23, della legge 388/2000 ma si mostrerebbe meglio aderente al principio di imparzialità degli organi gestionali, ricavabile dalla Costituzione.

Il Parlamento, tuttavia, come rilevato sopra, non ha preso posizione ed ha lasciato alle regioni ed agli enti locali il compito di stabilire se adeguare o meno i propri ordinamenti alla riforma.

Ma questo modo di ricostruire i rapporti tra legge generale dello Stato ed ordinamento di regioni ed enti locali non è più corretto, alla luce della legge 3/2001.

In realtà le regioni sono oggi nelle condizioni di adottare una loro norma relativa all'area quadri o alla vice dirigenza e di disciplinare anche l'organizzazione locale che, non essendo prevista in capo alle competenze rientranti nella potestà legislativa dello stato, rientra, allora, in quella delle regioni.

Quindi, non si tratta di consentire alle regioni un "adeguamento" alle disposizioni della riforma sull'ordinamento della dirigenza. Le regioni, invece, possono senz'altro adottare una propria legge in merito.

Ancora una volta, si rileva che la mancanza di un organo di concertazione tra regioni e tra queste e lo Stato potrebbe determinare un'applicazione frastagliata di una riforma da considerare, tuttavia, di notevole rilievo, come quella della vice dirigenza.

Dirigenti a disposizione. Un'ultima brevissima considerazione va fatta in merito al disegno di legge e riguarda il corretto modo di impostare l'istituzione della vice dirigenza. Si è notato sopra che se i vice dirigenti non saranno incaricati dai dirigenti e che se il loro incarico non seguirà percorsi di valutazione analoghi a quelli dei dirigenti, potrebbe rivelarsi un elemento di rigidità organizzativa, del quale ne farebbero le spese proprio i dirigenti.

Sin da subito, comunque, si pone il problema del rapporto tra vice dirigenti e dirigenti a disposizione del ruolo unico. Creare dei funzionari dotati, anche se solo in via delegata, delle competenze dirigenziali e, nel frattempo, lasciare congelati i dirigenti nel ruolo unico privi di incarico non appare del tutto razionale. Né si vuole pensare che la figura del vice dirigente sia prevista proprio per compensare la deprivazione di incarichi dirigenziali con l'assegnazione di funzioni a nuovi soggetti, allo scopo di fidelizzarli ai propri obiettivi politici.

Certamente, la vice dirigenza deve essere un sistema per aumentare l'efficienza e la funzionalità della pubblica amministrazione, non il cavallo di Troia per coprire incarichi dirigenziali lasciati scoperti per qualsiasi causa, mantenendo comunque a carico dell'erario i costi sia dei dirigenti "a disposizione", sia dei vicari.

 

 

(1) Vedasi in proposito L. Oliveri, La pinacoteca vuota, in www.giust.it

(2) V. in tal senso, argutamente, R. Nobile, Piccoli comuni e responsabili dei servizi tra mostri giuridici ed innovazioni legislative: repetita non iuvant, in www.lexitalia.it.

(3) V. tal senso, vedasi tra le altre sentenze, Tar Sardegna, 12 giugno 2001, n. 692, che si richiama a Corte Cost. 26/9, 15 ottobre 1990, n. 453.


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