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LUIGI OLIVERI

A proposito dell’obbligatorietà dei controlli

L’intervento di L. Bellagamba "L'obbligatorietà relativa ed assoluta del controllo sulle autocertificazioni", merita un approfondimento.

Appare del tutto pacifico che il testo unico sulla documentazione amministrativa non ha fatto, purtroppo, piena luce su una serie di problemi riguardanti le dichiarazioni sostitutive, in particolare nelle procedure d’appalto.

In sede interpretativa, comunque, appare necessario analizzare i canoni alla base della lettura delle norme, in modo non contraddittorio e da consentire, nei limiti del possibile, un’applicazione conforme al dettato normativo.

Allora, appare improprio parlare di un’obbligatorietà assoluta rispetto ad un’obbligatorietà relativa. L’ultima parte di questa formula, infatti, sembra un ossimoro: citando Parmenide, ciò che è obbligatorio o lo è effettivamente, altrimenti è qualcosa d’altro. Un’obbligatorietà non piena non è obbligatorietà, semmai tensione verso un comportamento o risultato, raggiungibili o non raggiungibili in base a parametri di comportamento soggettivamente realizzabili, anche se magari disciplinati da una serie di "regole dell’arte".

Se si sostiene che il controllo è eventuale, allora esso non è obbligatorio. Ma allora non si capisce perché il Dpr 445/2000 dispone che le amministrazioni sono tenute ad effettuare i controlli.

Se, invece, come correttamente la dottrina citata ha fatto, si sostiene che il controllo a campione è una modalità di controllo, allora il quadro appare più chiaro, e a giudizio di chi scrive è il seguente.

Proprio perché il Dpr 445/2000 tratta e regola le di dichiarazioni definitivamente sostitutive, il controllo è obbligatorio, in quanto è mirato a garantire che non si abusi fraudolentemente della buona fede che l’amministrazione pubblica deve riconoscere alle dichiarazioni medesime. Il controllo obbligatorio ha, quindi, una chiara funzione di deterrente.

Pertanto, non è obbligatorio solo quando si manifestino fondati dubbi sulla veridicità delle dichiarazioni. La sottolineatura contenuta a questo proposito nell’articolo 71 mira a responsabilizzare il pubblico funzionario, il quale non può omettere il controllo proprio in quella fattispecie. In sostanza, non può applicare la modalità del controllo a campione, laddove ritenga verosimile che la dichiarazione sia falsa.

Sarebbe, comunque, da considerare non pienamente rispondente alle finalità deterrenti della norma una regola interna che stabilisse di procedere a controlli obbligatoriamente solo in presenza di dubbi e che, sempre in linea generale, fissasse come regola l’utilizzo della metodologia a campione su percentuali estremamente basse di dichiarazioni.

In questo caso non si sarebbe, probabilmente, in presenza di illegittimità procedurali, ma di possibili responsabilità amministrative del funzionario agente, perché si potrebbero manifestare riserve sul rispetto del principio del buon andamento dell’amministrazione.

Sembra più conforme alla norma, allora, concludere che il controllo è un dovere d’ufficio obbligatorio, espletabile secondo modalità flessibili, con la tecnica della campionatura applicata, però, in modo da non sfuggire appunto al principio dell’obbligatorietà. Evitando, quindi, di trasformare un deterrente in una sorta di "ostracismo" mirato esclusivamente su una risicata minoranza di procedimenti amministrativi, nei quali incappano pochi "sfortunati".

Quanto alla questione dell’autocertificabilità definitiva sull’assenza di precedenti penali, resta pur sempre in piedi il problema della sua concreta utilizzabilità. Visto che alla persona interessata non è consentito conoscere, dal Casellario, se sia passata in giudicato sentenza di condanna, né può trovare menzionata nel certificato relativo l’applicazione della pena su richiesta, la dichiarazione sostitutiva risulta sì legittima, ma del tutto inutile.

Infatti, è possibile presentare, ai sensi dell’articolo 46, lettera aa) del Dpr 445/2000 la dichiarazione sostitutiva a di non aver riportato condanne penali e di non essere destinatario di provvedimenti che riguardano l’applicazione di misure di prevenzione, di decisioni civili e di provvedimenti amministrativi iscritti nel casellario giudiziale ai sensi della vigente normativa. Ma poichè il dichiarante può non sapere se i provvedimenti previsti dalla lettera c) dell’articolo 75, comma 1, del Dpr 554/1999, come sostituito dall’articolo 2 del Dpr 412/2000, siano iscritti, qualora soggetti al beneficio della non menzione (cosa che avviene sempre per il caso di applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell’articolo 445 del codice di procedura penale), a cosa serve la dichiarazione? Quale certificato sostituisce in via definitiva, o meglio, quale contenuto del certificato può sostituire, se esso non è conoscibile al dichiarante?

Perché, in analogia a quanto prevede l’articolo 688, comma 3, del codice penale, a mente del quale "nei certificati spediti per ragioni di elettorato non si fa menzione delle condanne e di altri provvedimenti che non hanno influenza sul diritto elettorale", non si dispone una norma speculare, che preveda con assoluta chiarezza il rilascio all’interessato che intenda partecipare ad una gara d’appalto di un certificato del casellario giudiziale, soggetto a segreto d’ufficio per i componenti della commissione e sottratto all’accesso per gli altri partecipanti alla gara, che faccia espressa menzione di tutti i provvedimenti incidenti sulla moralità professionale del concorrente?


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