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LUIGI OLIVERI

LA CONFERENZA DEI SERVIZI NEL PROGETTO DI LEGGE DI SEMPLIFICAZIONE

Profondi mutamenti si annunciano per l'istituto della conferenza dei servizi disciplinato dalla legge 241/90, nel testo del disegno di legge di semplificazione presentato di recente dal Governo.

La conferenza dei servizi, forse proprio perché è uno strumento alternativo allo schema del procedimento amministrativo, vive da sempre una situazione normativa in continua evoluzione, quasi magmatica.

Diverse le cause di questo fenomeno. Dalla diffidenza iniziale delle amministrazioni verso questo strumento, alla poca propensione all'utilizzo di un istituto che mira a superare le rigidità (e anche le rendite di posizione) derivanti dalle diverse fasi istruttorie che le varie amministrazioni devono svolgere, anche se nell'ambito di un iter unico, che tuttavia coinvolge a vario titolo più enti. Per finire alla poca chiarezza della normativa, all'incertezza dei termini e alla non definitività dell'esito della conferenza, causato dalla possibilità di sospenderne le deliberazioni da parte, rispettivamente, del Presidente del consiglio, del presidente della regione o del sindaco, a seconda delle competenze.

L'intento del disegno di legge governativo è evidentemente dettare una disciplina univoca, più chiara e spedita, dimostrato dall'abrogazione dei commi da 7 a 14 dell'articolo 7 della legge 109/94, dei commi da 1 a 4 dell'articolo 3 del Dpr 383/94 e del comma 2 dell'articolo 81 del Dpr 616/77, norme dettanti una disciplina <<concorrente>> a quella degli articoli 14 e seguenti della legge 241/90, che invece il Governo intende confermare come norma posta a regolamentare in linea generale i procedimenti amministrativi.

L'intento, almeno avendo riguardo all'attuale stesura del disegno di legge, sembra raggiunto solo in parte. Infatti, l'iter della conferenza appare poco fluido, risultando difficile determinare i termini iniziali della procedura, mentre quelli finali possono essere derogati o posticipati per diverse cause.

Il disegno di legge non riesce a superare, quindi, il vero problema che attanaglia le forme di consultazione tra amministrazioni finalizzate a superare il frazionamento del procedimento amministrativo in <<fasi>>: ovvero l'incapacità delle amministrazioni di dialogare tra loro, causata anche dalla non omogenea presenza di strumenti informatizzati, e, soprattutto, la mancata previsione di un termine finale della procedura di carattere perentorio, la cui violazione determina la responsabilità diretta a carico dell'amministrazione che per qualunque motivo non abbia contribuito in pieno alle statuizioni della conferenza.

Queste considerazioni possono essere meglio colte guardando il dettaglio della proposta di riforma.

CONFERENZA ISTRUTTORIA.

La dottrina, come è noto, nell'ambito dell'articolo 14 della legge 241/90 ha distinto la conferenza istruttoria, da quella decisoria. La prima ha lo scopo di esaminare gli interessi pubblici coinvolti nella procedura, acquisendo elementi di natura istruttoria direttamente dalle amministrazioni coinvolte. La conferenza istruttoria non conduce ad alcuna decisione o provvedimento, non avendo rilevanza ai fini della fase costitutiva del procedimento.

Si tratta, quindi, di uno strumento mirante ad indurre le amministrazioni ad utilizzare il metodo della conferenza, ovvero della programmazione delle attività da svolgere nell'ambito di un unico procedimento amministrativo.

L'articolo 8 del disegno di legge, nel modificare l'articolo 14 della legge 241/90, ne lascia immodificato il comma 1, che regola appunto la conferenza istruttoria.

L'istituto rimane, pertanto, intatto proprio perché la conferenza istruttoria non fa scaturire effetti giuridici costitutivi, modificativi o estintivi, ma consiste in una misura di coordinamento, strumentale alle fasi successive del procedimento.

CONFERENZA DECISORIA.

Le maggiori modifiche all'istituto, riguardano la conferenza decisoria, quella rivolta all'acquisizione nella sede della conferenza delle intese, concerti, nullaosta o assensi comunque denominate di altre amministrazioni pubbliche. La conferenza è definita decisoria, in quanto le determinazioni assunte in tale sede sostituiscono gli atti di assenso delle amministrazioni partecipanti, con piena efficacia giuridica.

Indizione. Una prima notevole differenza rispetto all'attuale disciplina, consiste nei presupposti per l'indizione della conferenza. L'articolo 14, comma 2, della legge 241/90 prevede attualmente che <<la conferenza può essere indetta anche quando l'amministrazione procedente debba acquisire intese, concerti, nullaosta o assensi comunque denominate di altre amministrazioni pubbliche […]>>. Dunque, nell'attuale sistema, la conferenza decisoria è solo facoltativa.

Il nuovo comma 2, nel testo approvato dal Governo, invece stabilisce che la conferenza <<è sempre indetta quando l'amministrazione procedente debba acquisire intese, concerti, nullaosta o assensi comunque denominate di altre amministrazioni pubbliche e non preveda di ottenerli, o comunque non li ottenga, entro 15 giorni dall'inizio del procedimento>>.

La conferenza, quindi, diviene un obbligo, sottoposto al verificarsi delle seguenti condizioni, ovvero ogni qualvolta il responsabile del procedimento:

  1. preveda di non ottenere gli atti di assenso entro 15 giorni dall'inizio del procedimento;
  2. non ottenga detti atti, sempre entro 15 giorni dall'inizio del procedimento.

Ricorrendo tali presupposti, l'amministrazione procedente ha l'obbligo, legislativamente previsto, di indire la conferenza dei servizi, tanto che la mancata indizione della conferenza potrebbe costituire vizio di legittimità per violazione della norma procedurale generale posta a regolamentare l'iter del procedimento.

C'è da osservare che la nuova disposizione porrebbe in capo al responsabile del procedimento un nuovo adempimento: l'analisi previsionale della possibilità di ottenere nel termine di 15 giorni gli atti di assenso necessari al procedimento. Il responsabile del procedimento deve valutare, quindi, in via preliminare l'effettiva possibilità di ottenere gli atti da parte delle altre amministrazioni nei tempi previsti.

D'altro lato, il nuovo testo della legge potrebbe essere letto come un indirizzo del legislatore inteso a fare sì che le amministrazioni in linea generale esprimano gli atti di loro competenza, indicati dall'articolo 14 della legge 241/90, entro termini molto brevi.

La conferenza di servizi è, quindi, vista dal legislatore come rimedio all'impossibilità di ottenere in termini molto accelerati gli atti di assenso da parte delle amministrazioni competenti.

Effetto decisorio. Nella nuova formulazione dell'articolo 14, comma 2, sparisce il periodo a mente del quale, esplicitamente la legge prevede che <<le determinazioni concordate nella conferenza sostituiscono a tutti gli effetti i concerti, le intese, i nullaosta e gli assensi richiesti>>. E' questo uno dei punti della riforma che appaiono maggiormente problematici e controversi.

Infatti, non si capisce perché eliminare questa previsione, che con buona chiarezza stabilisce:

  1. la conferenza deve esprimersi mediante determinazioni concordate tra i partecipanti;
  2. tali determinazioni sostituiscono gli atti di assenso, sicchè la loro acquisizione consente al responsabile del procedimento di dare legittimamente ulteriore corso all'iter procedimentale.

Il nuovo testo degli articoli 14 e seguenti della legge 241/90 non dispone da nessuna parte né come la conferenza si esprima, né quali siano gli effetti delle sue decisioni, che pertanto sono da ricavare per implicito. Si tratta di una carenza alla quale sarebbe opportuno porre rimedio nella fase di esame parlamentare, per eliminare qualsiasi rischio di controversie interpretative, che finirebbero per vanificare l'intento semplificatore del Governo.

L'effetto decisorio della conferenza di servizi, per come delineata dal disegno di legge, come detto si potrebbe ricavare per implicito da due distinte disposizioni. In primo luogo dall'articolo 14-ter, comma 3, della legge 241, come modificato dall'articolo 10 del disegno di legge, nel quale si parla espressamente di <<adozione della decisione conclusiva>>. Ciò rivela l'intenzione del legislatore di confermare la caratteristica della conferenza decisoria di assumere una determinazione che concluda la fase procedimentale mirante all'acquisizione degli atti di assenso.

Inoltre, l'articolo 14-ter, nella nuova formulazione proposta, al comma 2 stabilisce che <<se una o più amministrazioni hanno espresso il proprio dissenso sulla proposta dell'amministrazione procedente, quest'ultima, valutate le specifiche risultanze della conferenza, assume comunque la determinazione di conclusione del procedimento>>.

Dunque, la conferenza deve concludersi con una determinazione finale, che consenta all'amministrazione procedente di chiudere o proseguire il suo procedimento.

Tuttavia, sarebbe più opportuno ribadire esplicitamente l'effetto decisorio della conferenza, indicando anche il tipo di provvedimento conclusivo da adottare, nonché le modalità per conseguire la decisione finale.

Dall'accordo alla decisione. Si può, tuttavia, rilevare che il nuovo schema di conferenza di servizi miri a superare l'attuale configurazione della decisione finale come accordo amministrativo (1).

Come rilevato in precedenza, l'attuale testo dell'articolo 14, comma 2, parla di <<determinazioni concordate>>. Ciò ha fatto ritenere, correttamente, alla dottrina più accorta che la conferenza di servizi (con l'eccezione di quella prevista per la realizzazione di grandi opere pubbliche) non sia un organo collegiale, nell'ambito del quale opera il principio della maggioranza, sicchè adotta le decisioni sulle quale si sia espressa positivamente la maggioranza dei suoi componenti.

Il modello attuale di conferenza di servizi decisoria configura un istituto procedurale, nell'ambito del quale le amministrazioni coinvolte esprimono il proprio consenso unitariamente sulla proposta presentata dall'amministrazione procedente, in modo da sostituire in un'unica sede le varie frazioni di procedimento nelle quali, in sequenza, altrimenti si pronuncerebbero isolatamente. Il consenso sulla proposta, quindi, è il presupposto delle determinazioni finali della conferenza, che deve concludersi con un'approvazione collettiva. Non è più necessaria l'unanimità dei consensi – come nel precedente regime – ma occorre che vi sia un consenso che scaturisce in un accordo.

La nuova conferenza di servizi, al contrario, appare più simile ad un organo collegiale che si esprime a maggioranza dei votanti, talchè la decisione finale non consiste in un accordo, ma nella vera e propria approvazione di una proposta di provvedimento.

Infatti, oltre a sparire ogni accenno alla necessità di concordare le determinazioni, come già rilevato all'articolo 14-ter, comma 3, si parla di adozione della decisione conclusiva. Mentre il comma 1 del medesimo articolo stabilisce espressamente che la conferenza assume le determinazioni relative all'organizzazione dei lavori a maggioranza dei presenti.

Viene, quindi, introdotto il principio della maggioranza, con una disposizioni passibile di essere estesa anche al modo di formazione della decisione conclusiva.

Del resto, questa interpretazione è avvalorata dal comma 6 sempre del nuovo testo proposto dell'articolo 14-ter, ai sensi del quale ogni amministrazione partecipa alla conferenza attraverso un unico rappresentante.

Si sottolinea ancora, però, che questa ricostruzione andrebbe tradotta in norme positive, atte a configurare la conferenza come organo collegiale, il quale adotti le sue decisioni a maggioranza.

Procedura. La procedura ordinaria della conferenza di servizi è descritta dall'articolo 10 del disegno di legge, che modifica l'articolo 14-ter della legge 241/90.

La convocazione della conferenza deve pervenire alle amministrazioni interessate, anche per via telematica o informatica, almeno 7 giorni prima della data prevista.

Il disegno concede alle amministrazioni convocate di chiedere, se impossibilitate a partecipare, che la riunione si svolga in data diversa, entro i successivi due giorni. Pare di capire che i due giorni debbono essere successivi a quello in cui sia pervenuta la convocazione. Questo breve termine lascia concludere per un disfavore del legislatore verso il sistema della raccomandata con avvisi di ricevimento, poiché è ben difficile per l'amministrazione procedente verificare che la richiesta di rinvio promani da un'amministrazione effettivamente entro il termine di due giorni, visto che la ricevuta di ritorno impiega generalmente un tempo ben più ampio.

Qualora pervenga tale richiesta di rinvio, l'amministrazione procedente concorda con la richiedente una nuova data, purchè entro i sette giorni dalla prima.

Si tratta di termini, comunque, privi di sanzioni, pertanto definibili ordinatori.

Già dalle modalità di convocazione si evince come la riforma della conferenza, così come disegnata, non riesca ad ottenere né lo sperato effetto semplificativo, né una maggiore efficacia. La previsione di una così vasta possibilità di chiedere un rinvio (nonostante la convocazione debba pervenire entro un lasso di tempo abbastanza ampio) rende l'arma della conferenza spuntata, ancora prima della sua attivazione.

Per altro, si nota come l'amministrazione procedente sia tenuta a concordare con quella (o quelle) convocate che ne abbiano fatto richiesta, la nuova data di convocazione, non potendo imporla, pur essendo sua l'iniziativa.

Come rilevato, la conferenza assume le determinazioni relative all'organizzazione dei lavori a maggioranza dei presenti. E' una disposizione un po' vaga, se interpretata dallo stretto punto di vista letterale, in quanto si limiterebbe il potere di decidere a maggioranza solo sull'ordine dei lavori e non sulla determinazione finale, che in fondo è l'obiettivo della conferenza.

Nella prima riunione le amministrazioni sono tenute a determinare il termine per l'adozione della decisione conclusiva. Trattandosi di materia attinente all'organizzazione dei lavori, è chiaro che tale determinazione viene assunta col voto favorevole della maggioranza dei componenti.

Tuttavia, tale fissazione del termine non è obbligatoria. Infatti, il comma 3 stabilisce che <<in assenza di tale determinazione, i lavori della conferenza non possono superare i novanta giorni, salvo quanto previsto dal comma 4. Decorsi inutilmente tali termini, l'amministrazione procedente provvede ai sensi dei commi 2 e seguenti dell'articolo 14-quater>>.

Dunque, la legge non fissa un termine perentorio per la conclusione dei lavori della conferenza, lasciando la decisione alla libera determinazione delle amministrazioni.

Anche questo appare, però, un punto debole della riforma, che non incentiva le amministrazioni a svolgere i propri compiti entro termini precisi e definiti. Infatti, il termine di 90 giorni stabilito in mancanza di diverse decisioni (già di per sé abbastanza lungo) può evidentemente essere aumentato nella prima riunione.

Inoltre, la legge consente implicitamente di sforare sia il termine fissato nella prima seduta, sia quello dei 90 giorni, sostanzialmente senza prevedere alcuna sanzione nei confronti delle amministrazioni.

In questo caso, ai sensi dei commi 2 e seguenti dell'articolo 14-quater nel testo proposto dal Governo, l'amministrazione procedente può comunque assumere la determinazione di conclusione del procedimento, analogamente a quanto accade in presenza del dissenso di una o più amministrazioni.

L'applicazione di queste disposizioni (che si descrivono più avanti in questo lavoro) fa sì, però, che la decisione invece di essere collettiva, ovvero imputabile all'insieme delle amministrazioni partecipanti alla conferenza, sia imputabile alla sola amministrazione procedente. Ciò, se da un lato è da valutare positivamente, in quanto consente all'amministrazione procedente di andare avanti nonostante l'impossibilità di concludere i lavori nel termine fissato, d'altro lato è però contrario allo spirito di collaborazione e concertazione tra amministrazione, alla base dell'istituto della conferenza medesima.

Nell'ambito della conferenza, ogni amministrazione convocata partecipa con un unico rappresentante, legittimato ad esprimere il voto. Questo rappresentante ricava la sua legittimazione in base ad una deliberazione degli organi – anche collegiali – istituzionalmente competenti, che gli conferisca il potere di esprimere in modo definitivo e vincolante la volontà dell'amministrazione. Affinchè il rappresentante non sia costretto all'amministrazione di appartenenza continue direttive, la deliberazione in argomento deve rilasciare il più ampio possibile margine di discrezionalità e manovra.

Nell'ambito della conferenza dei servizi, potranno essere richiesti ai proponenti dell'istanza chiarimenti o ulteriore documentazione solo per una volta. La mancata presentazione dei chiarimenti o documentazione, determina una sospensione del termine finale della conferenza, fino alla loro ricezione.

Dissensi. Uno o più rappresentanti delle amministrazioni può manifestare il proprio dissenso sulle proposte esaminate nella conferenza di servizi, purchè ricorrano i seguenti presupposti:

  1. il dissenso va espresso, a pena d'inammissibilità, da un rappresentante di amministrazione regolarmente convocata;
  2. va manifestato nell'ambito della conferenza dei servizi medesima;
  3. deve essere congruamente motivato;
  4. va riferito esclusivamente a questioni che costituiscono oggetto della conferenza;
  5. deve indicare le modifiche necessarie ai fini dell'assenso.

Come si nota, la nuova disciplina è più rigorosa dell'attuale, in quanto impone dei limiti ben precisi alla possibilità di esprimere il proprio dissenso alle amministrazioni convocate, molto più ampi del solo <<motivato dissenso>> cui fa attualmente riferimento l'articolo 14, comma 3-bis, della legge 241/90.

Sparisce la previsione, di conseguenza, contenuta nel comma 3 dell'articolo 14, secondo la quale s considera acquisito l'assenso dell'amministrazione la quale, pur convocata, non abbia partecipato alla conferenza o vi abbia partecipato tramite rappresentanti privi della competenza ad esprimerne la volontà, salvo che detta amministrazione non comunichi a quella procedente il proprio motivato dissenso entro 20 giorni dalla conclusione della conferenza stessa.

In presenza del dissenso di una o più amministrazione, quella procedente può comunque assumere la determinazione di conclusione del procedimento.

Se positiva, va data comunicazione:

  1. al Presidente del consiglio dei ministri, ove l'amministrazione procedente o dissenziente sia statale;
  2. al presidente della regione, ove l'amministrazione procedente o dissenziente sia la regione;
  3. al sindaco, ove l'amministrazione procedente o dissenziente sia comunale.

Il Presidente del consiglio dei ministri, previa delibera del consiglio medesimo, entro trenta giorni dalla comunicazione può disporre la sospensione della determinazione adottata dalla conferenza. Trascorsi detti 30 giorni senza che intervenga il provvedimento di sospensione, la determinazione diviene esecutiva.

Qualora sia disposta la sospensione, la conferenza può pervenire ad una nuova decisione tenendo conto delle osservazioni contenute nel provvedimento medesimo entro trenta giorni, è da credere, dalla data del provvedimento di sospensione medesimo.

Analoga procedura va svolta nel caso la competenza sia del presidente della regione o del sindaco.

Qualora il dissenso sia espresso da un'amministrazione preposta alla tutela ambientale, paesaggistica e territoriale, alla tutela del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute, il procedimento della conferenza si intende concluso in senso negativo. A meno che l'amministrazione procedente non richieda, nei successivi trenta giorni, la determinazione di conclusione del procedimento rispettivamente al Presidente del consiglio, al presidente della regione ed al sindaco, in base alla loro competenza. In questo caso, quindi, la decisione finale non sarà più di competenza della conferenza di servizi.

Se la decisione del Presidente del consiglio, del presidente della regione o del sindaco fosse positiva, va assunta previa delibera rispettivamente del consiglio dei ministri, del consiglio regionale o del consiglio comunale.

In sostanza, viene allargata la disciplina attualmente contenuta nell'articolo 14, comma 4, della legge 241/90 a tutte le ipotesi di dissenso delle amministrazioni procedenti.

Conferenza di servizi su istanze o progetti preliminari. L'articolo 14-bis, come riformato nel progetto di legge, descrive la conferenza di servizi nelle procedure di realizzazione delle opere pubbliche. La conferenza potrà indicare a progettisti e responsabili unici del procedimento di realizzazione delle opere pubbliche i contenuti del progetto definitivo.

Il disegno di legge modifica le disposizioni contenute nella legge 241/90, regolamentando la conferenza di servizi per renderla uno strumento maggiormente rispondente alle necessità della procedura delle opere pubbliche. In particolare, la conferenza è stata riformata in modo da garantire il corretto fluire della procedura di progettazione, così da permettere ai progettisti di conoscere in via preventiva, dalle amministrazioni competenti, gli atti ed autorizzazioni necessari per giungere alla corretta predisposizione del progetto definitivo.

L'avvio della fase di analisi della conferenza di servizio deriva dall'approvazione del progetto preliminare. Sulla base di questo, il responsabile unico del procedimento, accogliendo la richiesta del progettista, convoca la conferenza perché questa si esprima sul progetto preliminare. Ciò allo scopo di <<indicare quali siano le condizioni per ottenere sul progetto definitivo, le intese, i pareri, le concessioni, le autorizzazioni, la licenze, i nullaosta e gli assensi, comunque denominati richiesti dalla normativa vigente>>.

In sostanza, le amministrazioni coinvolte negli atti di assensi, dalla Sovrintendenza ai beni architettonici al Genio Civile, esaminato il progetto preliminare e sulla base degli atti che lo compongono, indicano con precisione gli atti ulteriori che dovranno essere acquisiti per la redazione e consegna del progetto definitivo, in modo che esso possa essere pienamente operativo per ottenere i fini che gli sono propri: in particolare, la richiesta della concessione del mutuo alla Cassa Depositi e Prestiti e la dichiarazione di pubblica utilità ai fini dell'eventuale esproprio.

Nella conferenza di servizi valutativa del progetto preliminare le amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistitco-territoriale, del patrimonio storico-artistico e della salute, entrano nel merito delle soluzioni progettuali descritte nel progetto medesimo, al fine di disporre eventuali prescrizioni per la corretta progettazione.

Nel caso in cui non emergano difficoltà, le medesime amministrazioni entro trenta giorni (è da ritenere dalla convocazione) indicano le condizioni per ottenere gli atti di consenso in sede di presentazione del progetto definitivo.

Le specificazioni sul progetto, fornite dalle amministrazioni tenute ad esprimere gli atti di consenso, potranno essere modificate, al momento della concreta stesura del progetto definitivo, solo in presenza di elementi di novità emersi nel corso della successiva progettazione di dettaglio, o in seguito ad eventuali osservazioni presentate dai privati sul progetto definitivo. Quest'ultima ipotesi, evidentemente, è legata all'eventualità dell'esproprio e conferma che la procedura di deposito del progetto, descritta dalla legge 865/71, scatta con l'approvazione del progetto definitivo.

Una volta che questo sia stato predisposto in base alle indicazioni emerse dalla conferenza di servizio sul preliminare, ed approvato dall'ente, il responsabile unico del procedimento lo trasmette alle amministrazioni che debbono esprimere atti di assenso, e convoca la conferenza tra il trentesimo ed il sessantesimo giorno successivo alla trasmissione, in modo da consentire agli enti lo studio approfondito del progetto.

Le amministrazioni si pronunceranno sul progetto entro il termine ordinario previsto dall'articolo 14-ter, ovvero quello stabilito dalle amministrazioni oppure quello di 90 giorni dalla convocazione, tranne nell'ipotesi in cui occorra effettuare sull'opera la valutazione d'impatto ambientale.

Se la conferenza non si esprime nel termine previsto, in ogni caso l'amministrazione procedente assume la determinazione di conclusione del procedimento.

Anche per questa particolare conferenza di servizi si applicano le disposizioni in tema di dissenso sulla proposta progettuale, analizzate sopra.

Valutazione d'impatto ambientale. Qualora sia richiesta la valutazione d'impatto ambientale, la conferenza si esprime entro trenta giorni dalla conclusione della fase preliminare di definizione dei contenuti dello studio d'impatto ambientale. Si nota come in presenza della V.I.A., pertanto, i termini finali della conferenza, si allunghino di molto.

Il Governo, proprio per rimediare a ciò, ha stabilito che qualora la fase preliminare non si concluda entro 90 giorni dalla richiesta dell'interessato, la conferenza debba comunque pronunciarsi entro i successivi 30 giorni.

Nell'ambito della conferenza, particolare rilievo assumono le decisioni dell'autorità competente alla V.I.A., la quale oltre a valutare nel merito lo studio d'impatto ambientale, può anche esaminare le alternative al progetto, compresa anche l'alternativa zero, contraria, cioè, al progetto.

Da sottolineare che nel caso di V.I.A., il dissenso delle autorità determina la conclusione della conferenza con una determinazione negativa, ferma restando la possibilità per il Presidente del consiglio dei ministri di deferire al Consiglio dei Ministri, ai fini di una complessiva valutazione ed armonizzazione degli interessi pubblici coinvolti, la decisione di questioni sulle quali siano emerse valutazioni contrastanti tra amministrazioni a diverso titolo competenti in ordine alla definizione di atti e provvedimenti, prevista dall'articolo 12, comma 2, del D.lgs 303/99.

Iniziativa del privato. Va sottolineata la novità introdotta col comma 4 del nuovo testo dell'articolo 14, che consente ai privati di chiedere l'indizione della conferenza dei servizi all'amministrazione procedente, quando l'attività del cittadino sia subordinata ad atti di consenso di competenza di più amministrazioni pubbliche.

Anche la conferenza, quindi, potrà essere il frutto di un'attività in qualche modo negoziale tra privato ed amministrazione, a differenza dell'attuale regime, nel quale l'iniziativa della convocazione è esclusivamente pubblica.

Varie. Il comma 5 dell'articolo 14 proposto dal Governo chiarisce che nel caso di concessione di opera pubblica, il soggetto competente a indire la conferenza non è il concessionario, bensì il concedente.

Il successivo comma 6 estende la disciplina della conferenza anche alle procedure di localizzazione delle opere di interesse statale. In tal caso, può essere convocata prima o durante l'accertamento di conformità previsto dall'articolo 2 del Dpr 383/94, a mente del quale l'accertamento della conformità alle prescrizioni delle norme e dei piani urbanistici ed edilizi, salvo che per le opere destinate alla difesa militare, è fatto dallo Stato di intesa con la regione interessata, entro sessanta giorni dalla richiesta da parte dell'amministrazione statale competente.

Qualora l'accertamento abbia esito positivo, la conferenza approva i progetti entro trenta giorni dalla data di convocazione. L'accertamento, quindi, appare un presupposto per la stessa convocazione della conferenza.

In caso di accertamento negativo, la determinazione conclusiva della conferenza vale come variante ai piani urbanistici del comune nel territorio del quale è localizzata l'opera statale.

Ai sensi dell'articolo 14-quater, coma 5, del progetto di legge, qualora la regione nella conferenza esprima il proprio dissenso, l'amministrazione statale procedente ha la facoltà di chiedere al Presidente del consiglio dei ministri, previa deliberazione del consiglio medesimo, una determinazione di conclusione del procedimento al posto della conferenza.

LUIGI OLIVERI

 

(1) G. Morbidelli in Diritto Amministrativo, ed. Munduzzi, 1998, pag 1330.


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