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Articoli e note

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LUIGI OLIVERI

La circolare del Ministero dei LL.PP. 22 giugno 2000, n. 823/400/93 prot.
L'amministrazione di fatto ed il rispetto del diritto:
le circolari come mediazione tra le due fattispecie

Sembra ormai un dato acclarato nell'attuale sistema normativo che si sia, di fatto, modificato il valore della legge come norma generale ed astratta, per passare ad un valore di indirizzo generale, interpretabile ed attuabile in risposta a concreti problemi attuativi, superando all'occorrenza il disposto normativo, anche ricorrendo a sistemi di interpretazione non propriamente appartenenti ai canoni dell'interpretazione giuridica.

La "costituzione materiale" comincia a prevalere ogni giorno di più sulla "costituzione formale", anche come risposta al principio, desunto dalla più recenti riforme riguardanti l'amministrazione pubblica, secondo il quale la gestione deve mirare all'obiettivo sicchè il fine cui deve mirare l'azione amministrativa non è solo la conformità dell'atto alla norma, che è da considerare solo mezzo per cogliere gli obiettivi gestionali.

Ci si trova in una fase di evoluzione dell'amministrazione, tendente sempre più ad esaltarne l'azione in quanto soggetto gestore di diritto comune, non più posto in posizione di supremazia speciale rispetto al privato, sicchè i provvedimenti amministrativi perdono il carattere dell'unilateralità e divengono veri e propri atti negoziali.

E' un modello certamente più attento alle dinamiche dell'evoluzione sociale. Tuttavia, pare di poter dire che detto modello è uno schema perseguibilie per l'amministrazione concreta, ma quando lo si adotta anche per la funzione legislativa che deve dettare le regole generali, l'attuazione specifica delle norme potrebbe finire per dettare regole in via suppletiva che si sovrappongono alle disposizioni di legge, nel tentativo di superare, ricorrendo al "buon senso", determinati passaggi normativi ritenuti non congrui alla realtà. Col rischio di andare incontro ad una sorta di legislazione "per approssimazioni successive", nella quale la regola generale si limita ad avvicinarsi ad un obiettivo o a dettare i contorni di una disciplina, lasciando il completamento della stessa al prudente apprezzamento delle parti.

Quanto sta avvenendo sulla qualificazione delle imprese partecipanti alle gare d'appalto pubbliche sembra la dimostrazione di questa evoluzione. Il Dpr 34/2000 è a giudizio unanime una norma affrettata, incompleta ed in molte parti oscura. Oltre a questi indubbi difetti, impone anche a soggetti non preparati e non specializzati in via esclusiva ad attendere alla funzione della qualificazione, a supplire all'attività delle Soa, nel corso di una fase transitoria che già si preannuncia più lunga dell'auspicabile, giacchè a 4 mesi di distanza dall'entrata in vigore del citato Dpr 34/2000 ancora la strada perché entri a regime il sistema di qualificazione basato sugli organismi di attestazione appare senza sbocchi.

Dunque, alle difficoltà operative oggettivamente scaturenti da una norma non chiarissima, si aggiungono le difficoltà attuative di soggetti ai quali manca la specifica capacità operativa di valutare la qualificazione tecnico amministrative delle imprese. Per cui si propongono ogni giorno quesiti, problemi derivanti anche dalla prassi, cui si cerca di far fronte col solito sistema di circolari che più che interpretative appaiono costitutive di nuovo diritto.

Non sfugge a questa regola non scritta la recente circolare 22 giugno 2000, n. 823/400/93 prot. con la quale il Ministero dei lavori pubblici è tornato sull'argomento della qualificazione, cercando di chiarire alcuni dei punti ancora controversi della disciplina del Dpr 34/2000, giungendo, però, a risultati che non sempre – come è naturale – esauriscono dubbi ed incertezze.

Per quanto riguarda i lavori di importo inferiore ai 150.000 Euro, è da condividere l'assunto della circolare secondo il quale gli enti non possono chiedere alle imprese requisiti ulteriori e diversi rispetto a quelli previsti dall'articolo 28 del Dpr 34/2000.

Apprezzabile, inoltre, è l'opinione del ministero – in linea con quanto ha suggerito accorta dottrina (M. Miguidi, "L'adeguata attrezzatura tecnica negli appalti inferiori a 150.000 Euro (prime riflessioni applicative dopo la pubblicazione del Regolamento Bargone) secondo la quale è opportuno che le amministrazioni appaltanti stabiliscano nel bando di gara quale attrezzatura debba ritenersi adeguata alla specifica fattispecie dell'appalto che si intende realizzare, così da superare ogni problema rispetto all'interpretazione che del requisito dell'adeguatezza possa essere dato da amministrazione e ditte in assenza di una regola chiara a monte.

Ma sul punto degli appalti inferiori ai 150.000 Euro, la circolare lascia aperte ancora molte perplessità. Infatti, da un lato esprime il condivisibile orientamento secondo il quale la stazione appaltante deve specificare nel bando le caratteristiche del lavoro richiesto, al fine di consentire la partecipazione anche di imprese che abbiano eseguito lavori diversi. Ma dall'altro lato dispone che detti lavori diversi "presentino tuttavia una correlazione tecnica oggettiva con i lavori da eseguire". 

Questa precisazione risponde ai quesiti posti da molte amministrazioni che paventano il rischio di affidare appalti a soggetti privi assolutamente della competenza specifica per i lavori della categoria richiesta. Non si può nascondere, tuttavia, come la correlazione tecnica oggettiva con i lavori da eseguire non sia affatto prevista dal Dpr 34/2000, che all'articolo 28 pare anzi consentire a tutte le imprese di partecipare agli appalti di importo inferiore ai 150.000 Euro, prescindendo dalla valutazione del tipo di lavori svolti in una logica di completa apertura del mercato degli appalti pubblici ed in considerazione del fatto che in realtà per i lavori rientranti nel detto importo non v'è vera e propria qualificazione. L'esclusione, allora, da appalti pubblici di imprese i cui precedenti lavori non abbiano connessione oggettiva con quelli posti in gara potrebbe dare luogo ad un contenzioso dagli esiti incerti.

La circolare introduce un'altra innovazione al contenuto del Dpr 34/2000 quando consente alle imprese di considerare anche i lavori eseguiti da altro soggetti sotto la responsabilità del direttore tecnico, aggiungendo che ciò possa valere anche per il computo del requisito del rapporto percentuale tra importo dei lavori eseguiti e costo del lavoro. Tra l'altro è facile immaginare che nessuna impresa rivendicherà la possibilità di avvalersi dei lavori eseguiti da altri sotto la direzione del proprio direttore tecnico, se ciò possa compromettere appunto il possesso del requisito previsto dall'articolo 28, comma 1, lettera b), del Dpr 34/2000.

Infine, tornando all'adeguatezza, non appare accettabile l'opinione espressa dalla circolare secondo la quale debba essere consentito alle imprese candidate non in possesso dell'attrezzatura tecnica specificata nel bando "di dimostrare con la produzione di idonea relazione tecnica l'equivalenza dell'attrezzatura posseduta rispetto a quella richiesta". Così facendo, infatti, si ritorna al problema dell'espressione di giudizi di valore (l'adeguatezza dell'attrezzatura, l'idoneità della relazione tecnica, l'equivalenza dell'attrezzatura posseduta) che non dovrebbero mai essere presi in considerazione in strumenti di valutazione di natura oggettiva, come quelli richiesti per la qualificazione delle imprese.

E' preferibile, allora, che sia sempre il bando di gara a definire quando vi sia equivalenza tra attrezzatura tecnica ed in che misura l'equivalenza consenta il rispetto dell'articolo 28, comma 1, lettera c), del Dpr 34/2000.

E', invece, da condividere l'interpretazione fornita dalla circolare riguardante l'equivalenza delle espressioni "contratto da stipulare" e "appalto da affidare", riferite rispettivamente al rapporto con i lavori realizzati nel caso degli appalti di importo inferiore ai 150.000 Euro ed al rapporto tra cifra d'affari per gli appalti d'importo superiore.

Sebbene, infatti, l'importo del contratto sia cosa diversa dall'importo dell'appalto, in quanto il primo esprime l'effettivo valore economico dell'appalto al netto del ribasso offerto, mentre l'importo dell'appalto è rappresentato dalla base di gara, anche per gli appalti di importo inferiore ai 150.000 Euro l'importo dei lavori eseguiti non può non riferirsi all'importo a base di gara, visto che l'importo del contratto da stipulare non è conoscibile al momento dell'effettuazione della qualificazione.

Per quanto riguarda il punto b), la circolare chiarisce efficacemente che la certificazione dell'allegato D è cosa assolutamente diversa dal collaudo: del resto, se così non fosse, il Dpr avrebbe fatto espresso riferimento appunto all'atto di collaudo ai fini dell'attestazione della regolarità dei lavori eseguiti.

Invece, la scelta del Ministero dei lavori pubblici si è rivolta ad una certificazione specifica, di competenza del responsabile del procedimento, diversa dal collaudo proprio perché i lavori da tenere in considerazione possono non essersi conclusi al momento della qualificazione dell'impresa.

Sul punto c), relativo al noleggio dell'attrezzatura tecnica, invece, le conclusioni cui giunge la circolare destano parecchie perplessità.

Il Ministero, in sostanza, sostiene che non vi sia differenza tra il leasing ed il contratto di noleggio quando questo sia inteso come locazione di attrezzatura stabilmente connessa all'organizzazione aziendale. Pertanto, nel computo della dotazione stabile dell'attrezzatura richiesta dall'articolo 18, comma 8, del Dpr 34/2000 al fine di individuare la metà del valore del 2% della cifra d'affari in lavori sotto forma di ammortamenti, e canoni di locazione finanziaria e di noleggio, andrebbero compresi non solo gli ammortamenti ed i canoni di locazione finanziaria, cui si riferisce esclusivamente il citato comma 8, ma anche i canoni di noleggio, con l'eccezione di quelli finalizzati all'acquisizione temporanea di attrezzatura necessaria per l'esecuzione di uno specifico lavoro.

Ma in realtà il problema consiste proprio nel fatto che solo il leasing può essere oggettivamente considerato strumento contrattuale per l'utilizzo stabile di macchinari ed attrezzature. E' vero, come sottolinea la circolare, che il leasing non ha necessariamente l'obiettivo finale dell'acquisto, ma non è questo l'elemento che qualifica e differenzia il leasing rispetto al noleggio. La differenza tra i due contratti sta nel fatto che il leasing è uno strumento mirante ad acquisire la disponibilità di mezzi produttivi senza pagare in un'unica soluzione il loro prezzo, sicchè si configura come strumento di finanziamento per consentire la restituzione secondo un certo piano finanziario della somma corrispondente al valore dei beni acquisiti in disponibilità, somma spesso corrispondente al costo del bene comprensivo dell'ammortamento. Dunque, il canone di leasing non è il corrispettivo della locazione, ma una modalità di restituzione del finanziamento. Il bene acquisito in leasing, pertanto, rimane stabilmente, permanentemente, nella disponibilità dell'utilizzatore, come se fosse di sua proprietà e fa parte della sua dotazione organica sempre, anche se rimane fermo per mancato utilizzo.

Il noleggio, invece, è proprio lo strumento finalizzato a consentire agli imprenditori un utilizzo limitato nel tempo per una singola commessa o una singola parte di lavorazione, senza sopportare gli oneri del fermo macchine. Per questa ragione il bene noleggiato non può ritenersi propriamente come parte della dotazione stabile di macchinari.

Per altro, a dimostrazione che il leasing comporta un impiego continuativo a carico dell'utilizzatore, sta la circostanza che esso debba sopportare anche gli oneri della manutenzione, ciò che non avviene nel caso del noleggio.

Ancora, l'equivalenza tra leasing e noleggio è espressamente esclusa dall'articolo 7, comma 2, della Dpr 547/55 in materia di norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro.

Distinguere tra noleggi stabili e noleggi temporanei non appare utile al fine di includere i canoni dei noleggi "non temporanei" insieme con gli ammortamenti ed i canoni di leasing, in quanto il noleggio assolve comunque ad una funzione, ad una "causa" contrattuale del tutto differente.

Inoltre, apparirebbe estremamente difficile distinguere le locazioni relative ad attrezzature stabilmente connesse all'organizzazione aziendale: l'unico sistema per evidenziare sarebbe rifarsi alla solita autocertificazione (poi non verificabile) dell'appaltatore.

In merito al subappalto, la circolare pare aver tenuto conto dei rilievi di parte della dottrina rispetto al mancato coordinamento tra l'articolo 30 del Dpr 34/2000 e l'articolo 18 della legge 55/1990, quando specifica che detto articolo 30 esclude l'obbligo di indicare nel bando le parti di lavoro il cui importo sia inferiore al 10% di quello complessivo dell'appalto o di importo inferiore a 150.000 Euro. Ciò, indirettamente, significa che è consentito indicare nel bando quelle parti di lavoro ai fini del subappalto. La circolare chiarisce efficacemente, comunque, che l'appaltatore ha la facoltà di subappaltare il 30% delle lavorazioni della categoria prevalente, sottolineando che concorrono a definire tale limite anche le lavorazioni il cui valore sia inferiore ai limiti dell'articolo 30 citato, qualora non siano state indicate separatamente nel bando.

Sulla licitazione privata semplificata il suggerimento di non procedere ad una qualificazione generalizzata delle imprese che rispondano al bando, per privilegiare la qualificazione a campione in ciascuna singola gara, spinge le amministrazioni ad una valutazione di opportunità. La qualificazione generalizzata semplifica di molto gli appalti dell'anno finanziario successivo, ma rappresenta certamente un gravoso impegno. Saranno i singoli enti a dover scegliere anche in rapporto all'effettivo impegno amministrativo.

Infine, per quanto riguarda i documenti che le ditte debbono presentare per la verifica a campione, la circolare non riesce a trovare un'adeguata soluzione al problema della documentazione a comprova, certosinamente prevista dal Dpr 34/2000.

Il problema delle dichiarazioni fiscali che l'amministrazione finanziaria non rilascia in copia autentica dovrebbe, infatti, essere risolto solo imponendo a detta amministrazione di compiere un dovere d'ufficio. Solo con espresse disposizioni di legge si possono superare ostacoli gestionali, rispetto ai quali soluzioni "di buon senso" non possono però portare a risultati definitivi. Se n'è accorto, per esempio, il Governo che ha stabilito di prevedere la nullità degli atti rilasciati da amministrazioni diverse da quelle comunali relativamente a procedure rientranti nello sportello unico delle imprese.

Sulla stessa linea, occorrerebbe imporre all'amministrazione finanziaria il rilascio delle copie delle dichiarazioni fiscali. Accettare, come suggerisce la circolare, la copia fotostatica delle dichiarazioni con, a corredo, una dichiarazione impegnativa di conformità da parte del concorrente, significa introdurre un'ipotesi di autentica di copia non prevista né dalla legge 15/68, né dal Dpr 403/1998, le fonti che disciplinano la materia. Inoltre, detta copia fotostatica con annessa la dichiarazione non è, evidentemente, un documento a comprova, ma un'ulteriore dichiarazione che a sua volta deve essere controllata, come in un circolo vizioso, senza uscita.

E' vero che ai sensi dell'articolo 18 della legge 241/1990 le amministrazioni provvedono d'ufficio all'acquisizione di documenti comprovanti fatti, stati e qualità dichiarati dall'interessato anche quando essi siano depositati presso altre amministrazioni. L'acquisizione delle dichiarazioni fiscali depositate presso l'amministrazione finanziaria è opera impervia almeno quanto ottenere il rilascio della copia autentica delle medesime dichiarazioni. Rimettere, allora, all'acquisizione d'ufficio dei documenti fiscali la qualificazione delle ditte, comporta un enorme allungamento delle procedure di gara, a meno che non vi sia una disposizione che obblighi le altre amministrazioni a rispondere entro brevissimo tempo, stabilendo le connesse sanzioni in caso di inadempimento.

In merito, infine, alla considerazione dell'inderogabilità del disposto dell'articolo 18, comma 2, della legge 241/1990 occorre sottolineare che la deroga è espressamente disposta dallo stesso Dpr 34/2000, che all'articolo 18 richiedendo esplicitamente "a comprova" la documentazione, indirettamente ne pretende l'esibizione in originale o in copia autenticata al momento della qualificazione. Non si vede quali "gravi conseguenze sanzionatorie" possano essere applicate ad una stazione appaltante che attui il disposto del Dpr 34/2000, che è norma speciale certamente essa stessa derogatoria del sistema previsto dall'articolo 18, comma 2, della lege 241/1990.

E, inoltre, non si vede ancora di quale utilità sia la conclusione ai fini della gestione dell'appalto, sempre suggerita dalla circolare, secondo cui la procedura di verifica si possa esaurire sulla base delle autocertificazioni della ditta (che di per sé non possono comprovare il possesso dei requisiti), visto che comunque in caso di falsità accertata successivamente la stazione appaltante potrà procedere alla denunzia all'autorità giudiziaria. 

La qualificazione delle imprese non serve come atto inquisitorio e d'indagine sulla veridicità delle dichiarazioni delle ditte, ma come verifica del possesso dei requisiti per eseguire opere pubbliche. Occorre chiedersi a cosa serve, per la stazione appaltante, affidare un lavoro ad una ditta, per poi scoprirne la mancanza di qualificazione: ci sarà una denuncia in più all'autorità giudiziaria, ma l'intera procedura di gara rischia di rimanere compromessa, per effetto del sistema di esclusione automatica delle offerte anomale, almeno negli appalti sotto soglia. E, comunque, anche se non si debba rifare la procedura di gara, la rescissione del contratto ed il subentro di altro concorrente non sono operazioni né indolori, né immediate, sicchè a soffrirne, in ultima analisi, è la realizzazione del programma delle opere pubbliche di un ente.


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