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RICCARDO NOBILE

Norme d'azione e norme di relazione: una dicotomia da abbandonare

1. La contrapposizione in termini frontali fra norme d'azione e norme di relazione attiene oltre che alla teoria generale del diritto, all'individuazione del giudice avente giurisdizione ogniqualvolta un soggetto si lamenti leso dall'azione della pubblica amministrazione.

La problematica è di sicura rilevanza, in quanto l'individuazione del giudice innanzi al quale radicare il processo ha attinenza con il più generale principio del giudice naturale, sancito ordinamentalmente dall'art. 24 Cost.

La contrapposizione fra le due categorie di norme, dunque, è rilevante proprio per comprendere quale sia la connotazione dell'azione della pubblica amministrazione, anche se deve essere detto che oggi molte delle implicazioni che da ciò solevano essere tratte hanno perso parte della loro attualità.

Ciò è dovuto ad almeno due ordini di elementi.

In primo luogo, la risarcibilità della lesione degli interessi legittimi, ammessa ormai pacificamente dalla Corte di Cassazione nella sua composizione più autorevole (1).

In secondo luogo, dalla sempre più evidente tendenza del legislatore ad delineare il riparto di giurisdizione in funzione non della natura giuridica della posizione soggettiva asserita lesa dal privato inciso dall'azione dell'amministrazione pubblica, ma della materia complessivamente intesa di cui è oggetto del contendere.

In questo senso, il legislatore tende oggi a concentrare innanzi al giudice amministrativo intere materie, ampliando la sfera di incidenza della giurisdizione esclusiva, la quale ha finito col perdere la connotazione di eccezionalità che la dottrina classica ad essa ha sempre ascritto (2).

Cionondimeno, il problema del riparto di giurisdizione fra giudice amministrativo e giudice ordinario è sempre da effettuare in funzione della posizione asserita lesa nell'ambito della giurisdizione generale di legittimità.

Di qui l'importanza della sua delineazione in funzione di paradigmi corretti, ai quali non è estranea l'analisi condotta assumendo come rilevante il criterio che contrappone le norme d'azione e le norme di relazione ai fini dell'individuazione del giudice avente giurisdizione.

 

2. L'endiadi "norme d'azione - norme di relazione" è ben nota alla sistematica amministrativista, sia in ambito dottrinale, sia in seno alla giurisprudenza. Parimenti chiare sono sia le implicazioni che da essa si sogliono trarre, sia gli usi che a tale contrapposizione si assumono essere propri.

Scopo di questo lavoro è mostrare l'inconsistenza logica della contrapposizione fra norme d'azione e norme di relazione. Va da sé che, dalla dimostrazione di tale inconsistenza, si possono ulteriormente far discendere da essa ulteriori implicazioni.

Due, in particolare, sono le conseguenze che da tale dimostrazione si possono trarre.

In primo luogo, l'abbandono di uno dei criteri mediante i quali fondare ed affrontare il problema del riparto della giurisdizione fra giudice ordinario e giudice amministrativo; in secondo luogo, la privazione di fondamento logico-dogmatico alla teoria dell'illiceità dell'atto amministrativo.

 

3. Prima di affrontare ed enucleare gli argomenti a favore della tesi dell'inconsistenza della contrapposizione fra le due tipologie di norme, è bene ripercorrerne la storia, per evidenziare sia il momento in cui esse furono proposte all'attenzione degli studiosi, sia la ragione per la quale la teorica ad esse relativa fu elaborata (3).

La dottrina della contrapposizione delle norme di relazione alle norme di azione (4) fu teorizzata subito dopo che la Corte di Cassazione ed il Consiglio di Stato ebbero posto fine alla nota diatriba che, ai fini del riparto della giurisdizione fra giudice ordinario e giudice amministrativo, aveva contrapposto la teoria della causa petendi a quella del petitum. Era, in allora, del tutto evidente che il superamento del criterio del petitum a favore del più agevole paradigma del cosiddetto petitum sostanziale (tesi del contemperamento) non contemperasse alcunché, in quanto determinava, in buona sostanza, l'emergenza del solo criterio della causa petendi (5).

La tesi del contemperamento, infatti, non consentiva di porre un sicuro paradigma atto ad individuare il discrimine fra giurisdizione ordinaria ed amministrativa, in quanto metteva a capo di una tautologia. Poiché il titolo della domanda può essere o un diritto soggettivo o un interesse legittimo, e poiché la giurisdizione del giudice amministrativo v'è in quanto si sia in presenza della lesione di un interesse legittimo, segue, inevitabilmente, ma vuotamente, che v'è giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo quando v'è lesione di un interesse legittimo.

Come lo stesso Guicciardi affermava efficacemente, in base al criterio del contemperamento il giudice amministrativo poteva essere adito solo in materia di interessi - titolo della domanda -, determinando il completo assorbimento del criterio del petitum, posto che a quest'ultimo non può essere chiesto altro se non l'annullamento dell'atto illegittimo (6). Tale ricostruzione, pertanto, non consentiva di enunciare quando si fosse in presenza della lesione di tale posizione, in quanto, evidentemente dava per risolto il problema di cosa un interesse legittimo fosse.

All'individuazione dei tratti essenziali dell'interesse legittimo cercava di fornire una risposta proprio la dottrina in argomento, finendo, però, col negarne la natura sostanziale, per ricostruirlo quale proiezione processuale (7) del mancato conseguimento del pubblico interesse a seguito della violazione di norme che disciplinano il corretto esplicarsi delle potestà della pubblica amministrazione.

Implicita in quest'opzione dottrinale era, evidentemente, la distinzione fra tipologie di norme riferite, dall'ordinamento alla pubblica amministrazione, ed in particolare la differenziazione fra norme di relazione e norme d'azione.

Partendo dalla constatazione che se un interesse è tutelato dall'ordinamento in modo diretto, per ciò solo ha la consistenza di diritto soggettivo (8), alle norme di relazione veniva riconosciuto il fine di tutelare direttamente un interesse del cittadino, e di imporre, correlativamente, alla pubblica amministrazione l'obbligo di neminem laedere, mentre alle norme d'azione veniva ascritta la funzione di "disciplinare l'uso dei poteri spettanti alla pubblica amministrazione, per assicurare la conformità all'interesse pubblico" (9).

Insomma, mentre le prime "sono rivolte a stabilire i diritti e gli obblighi dei due soggetti del rapporto, (...) le seconde sono rivolte ad imporre (alla pubblica amministrazione) dei doveri giuridici per garantire il retto esercizio di quei poteri a tutela del pubblico interesse" (10).

 

4. Abbandonata la tesi secondo cui le norme di relazione hanno la funzione di delineare la rete degli obblighi della pubblica amministrazione a fronte dei diritti che il privato vanta nei suoi confronti, esse sono state, da ultimo, ricostruite dogmaticamente come insieme dei limiti all'esistenza dei poteri (11) della pubblica amministrazione stessa (12).

Le norme di relazione, secondo questo orientamento dottrinale, hanno la funzione di definire "i confini esterni dei poteri autoritativi della pubblica amministrazione" (13), di determinare "l'assetto dei rapporti specifici fra soggetti pubblici e soggetti privati (delimitando) le rispettive situazioni dei soggetti in gioco, (...) configurando la stessa capacità giuridica degli uni e degli altri" (14). Le norme di relazione, in altri termini, determinano il modo di essere della pubblica amministrazione, ed in particolare il suo modo di essere nei rapporti di cui è parte (15). Ma, se è così, allora, individuando quali siano in concreto i poteri della pubblica amministrazione, le norme di relazione finiscono col denotare cosa, nell'ordinamento e per l'ordinamento, quella data pubblica amministrazione sia. Talché, dicendo per metonimia ciò che essa può fare (quali sono i poteri di cui è titolare), le norme di relazione individuano i tratti costitutivi dell'esistenza di una data pubblica amministrazione. E ciò, si badi bene, in un sistema delle fonti nel quale tali tratti costitutivi debbono essere determinati dalla legge ex art. 97 Cost. (16).

Se questo è il risultato cui giunge la dottrina che si è formata sulle norme di relazione, è bene domandarsi subito se essa sia euristicamente valida, giacché, mentre chi la sostiene asserisce che una norma di relazione possa essere violata, non è immediatamente chiaro se una pubblica amministrazione (ovvero qualsiasi altro soggetto) possa, dal punto di vista logico, davvero violare tali norme.

Ora, se si accetta la tesi secondo cui le norme di relazione sono norme di limite (17) all'esistenza del potere ascritto ad una pubblica amministrazione dalla legge, allora segue immediatamente che esse, delimitandone il potere, individuano quale sia l'ambito del potere stesso. E se questo, complessivamente inteso, è identificato dall'insieme delle norme di relazione riferite a quella data pubblica amministrazione, allora quest'ultima - l'ambito del potere di cui essa è titolare - può essere rappresentata come la classe di tutte le possibili norme di relazione che l'ordinamento ad essa riferisce.

Le norme di relazione, in definitiva, connotano e denotano in e per l'ordinamento ciò che quella data pubblica amministrazione è. In estrema sintesi, il risultato di questa rappresentazione topologica ed ontologica insieme finisce col connotare e denotare quale sia l'ambito della soggettività di quella data pubblica amministrazione in e pour l'ordinamento, ossia quali siano le sue condizioni di esistenza ordinamentale.

A questo punto, però, è immediatamente evidente che né una pubblica amministrazione può violare norme di relazione, né la categoria della norme di relazione è euristicamente valida.

La validità di queste due asserzioni può essere mostrata sia dal punto di vista logico, sia dal punto di vista propriamente giuridico.

Così, in primo luogo, per poter violare una norma che concorre a definire quali siano le sue condizioni di esistenza ordinamentale, quella data pubblica amministrazione dovrebbe essere nel contempo uguale e differente da sé stessa (prima aporia, od aporia logica). L'amministrazione agente, infatti, è connotata e denotata (18) in e per l'ordinamento dalle norme che ne definiscono le condizioni di esistenza.

In questo senso, essa è ciò che l'ordinamento vuole che essa sia. Per poter violare una norma di relazione, pertanto, essa dovrebbe poter ridisegnare un nuovo assetto di poteri senza mutare i termini della propria esistenza nell'ordinamento, tesi, questa, del tutto inconsistente.

In secondo luogo, inoltre, per ammettere che una norma di relazione possa essere violata sarebbe necessario sostenere che la pubblica amministrazione possa "legiferare autoriflessivamente" autoascrivendosi poteri che essa non ha; ma una tale eventualità violerebbe per ciò solo i principi di legalità e di separazione dei poteri (seconda aporia, od aporia dogmatica) (19).

In definitiva, ammettere la violabilità di una norma di relazione, e quindi che una pubblica amministrazione possa violare una norma che concorre a definire i suoi tratti di esistenza in e pour l'ordinamento è tesi inconsistente nello stesso modo in cui è tale chiedersi se, nel gioco degli scacchi, muovere ortogonalmente l'alfiere sia o meno viola zione delle regole di quel gioco: compiere tale movimento (20), infatti, non involge violazione delle regole del gioco, ma eo ipso giocare ad altro: "chi si conforma a regole diverse da quelle degli scacchi, gioca un altro gioco" (21) (22).

L'inviolabilità nell'ordinamento delle norme che costituiscono la soggettività, pertanto, determina una conseguenza ben precisa: l'entità agente non è soggetto in e per l'ordinamento in cui pretende di agire: essa altro non è, giacché propriamente è altro.

 

5. Traendo le conclusioni che emergono dalla precedente partizione, si può evidenziare che la tesi della violabilità delle norme di relazione non ha consistenza né logica, né dogmatica.

Se una data pubblica amministrazione potesse davvero violare norme di relazione, essa si presenterebbe sullo scenario giuridico in modo sostanzialmente diverso da ciò che essa giuridicamente è, con l'aggravante che una tale autoattribuzione di poteri sarebbe in insanabile contrasto con i principi di legalità e di separazione dei poteri.

Avendo proposto di definire la soggettività di ciascuna pubblica amministrazione in termini di luogo di convergenza di norme attributive di potere, è ora immediatamente evidente che trascendendo i limiti della propria soggettività essa agisce senza potere, anzi, che, a stretto rigore, non v'è neppure un soggetto rilevante in e per l'ordinamento.

Questa conclusione non è giuridicamente indifferente.

Infatti, posto che i centri del pubblico potere agiscono tramite provvedimenti, e che questi, nell'esplicazione dei rapporti di cui sono parte, non possono trascendere i confini della propria soggettività, si può concludere che è pseudoprovvedimento ogni manifestazione di volontà emessa in tali condizioni. Allo speudoprovvedimento non sono pertanto riferibili le predicazioni tipiche degli atti amministrativi, ed in particolare l'imperatività.

Quest'evento è stato ben delineato dalla dottrina, la quale da un lato ha mostrato che non vi è potere quando una pubblica amministrazione agisce al di fuori delle proprie attribuzioni (23), e dall'altro ha evidenziato che "quando un'amministrazione pone in essere un atto in attuazione di una potestà che non ha, vi è carenza di potere, e il suo atto non è provvedimento amministrativo, per cui non può esservi né imperatività, né estinzione di diritti" (24).

Un problema di sicuro interesse è l'individuazione delle condizioni che consentono di verificare se davvero l'Amministrazione" abbia agito alla stregua di un soggetto diverso da quello che l'ordinamento vuole che essa sia.

Non avendo posto il problema in termini di individuazione dei tratti di esistenza del soggetto pubblico, la dottrina e la giurisprudenza hanno enucleato il paradigma "esistenza del potere - cattivo uso del potere", salvo poi discutere se il termine dell'esistenza del potere dovesse essere valutato in astratto piuttosto che in concreto.

Qualunque cosa significhi "esistenza del potere", l'approccio sommariamente evocato non sembra corretto per almeno due ordini di ragioni.

In primo luogo, il potere è ascritto dalla norma, talché esso o v'è, o non v'è.

In secondo luogo, ogni data pubblica amministrazione è ciò che l'ordinamento vuole che essa sia, e la sua esistenza è definita in e per l'ordinamento proprio dall'insieme delle norme ascrittive di potere che ad esse sono riferite (25).

E' ovvio, peraltro, che mutuando i termini della dottrina e della giurisprudenza, l'accertamento dell'esistenza del potere debba essere effettuato in astratto, e non in concreto.

Così, tanto per riprendere i termini di uno degli esempi tradizionali, una data pubblica amministrazione o ha o non ha il potere di espropriare. Se l'ordinamento fa di essa un soggetto fra i cui tratti definitori figura il potere di espropriare, e questa eccede i termini entro cui emettere il decreto di espropriazione, si è in presenza di una scorretta utilizzazione del potere, e non già di un'ipotesi di carenza (26).

Sempre in quest'ordine di considerazioni, giova rimarcare che il problema delle modalità dell'accertamento del potere non è tema che pertenga a tutti gli atti della pubblica amministrazione: esso riguarda i soli atti ablatorii, e non gli atti ampliativi, ancorché vincolati. In questi casi l'oggetto del contendere non sarebbe comunque la carenza di potere di rifiutare l'emissione dell'atto, ma il non corretto esercizio del potere ascritto dalla norma (27), la cui attribuzione è data ex hipotesi.

Al termine della breve digressione resta da verificare quali siano le conseguenze dell'adozione di un provvedimento adottato senza potere. In una situazione di "carenza di potere" (rectius, di assenza di soggetto), i comportamenti attuativi dello pseudoprovvedimento sono puramente e semplicemente illeciti, e quindi contra ius e non iure, in quanto l'azione della pubblica amministrazione non è supportata da un atto che la legittimi. E poiché l'effetto dell'azione illecita è la lesione di un diritto soggettivo, esso dovrà essere risarcito ex art. 2043 c.c. (28) secondo quanto da sempre sostenuto dalla Corte di Cassazione.

La dimostrazione logico-giuridica dell'inconsistenza della dottrina delle norme di relazione ha, come evidenziato in sede introduttiva, un riflesso sulla tesi dell'illiceità dell'atto amministrativo. Ciò che viene emesso da una "pubblica amministrazione" (29) che trascende i limiti della propria soggettività è una mera parvenza d'atto, talché ad esso, essendo tamquam non esset, non è riferibile alcun predicato, per la fin troppo ovvia ragione che manca il termine cui riferire una predicazione purchessia.

 

 

Note

1) C. Cass. S.U. 26/3/1999 n. 500, con la quale il giudice delle leggi ha ammesso la risarcibilità della lesione degli interessi legittimi oppositivi e pretensivi, argomentando a partire del fato che l’elemento paradigmatico della tutela risarcitoria ex art. 2043 c.c. è rappresentato puramente e semplicemente dall’aver subito un danno ingiusto.

2) Il progressivo ampliamento della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo è stato portato a compimento con la legge 21/7/2000 n. 205 in materia di giustizia amministrativa, che l' ha espressamente prevista per le materie più importanti nelle quali si esplica l'azione della pubblica amministrazione.

3) Si vedano, di Guicciardi, i seguenti lavori, ora contenuti nella silloge Studi di giustizia amministrativa, Cedam, Padova, 1974: "Causa petendi" e "petitum" nei rapporti fra giurisdizione ordinaria e amministrativa, 24; "Causa petendi" e "petitum": verso una soluzione della crisi?, 29; Diritto interesse e doppia tutela, 34; Norme di relazione e norme d'azione: giudice ordinario e giudice amministrativo, 59; nonché Una svolta decisiva, 67.

4) Volutamente non si è parlato di "mossa", giacché tale termine è propriamente riferito a spostamenti spazio-temporali dei pezzi del gioco in conformità alle regole del gioco stesso. Di conserva, è bene evidenziare che lo stesso termine "pezzo" è plurivoco, in quanto ad esso è propria una definizione in termini fattuali, e quindi neutra ed una definizione che a buon diritto può dirsi "istituzionale".

Nel primo senso, esso è puramente e semplicemente un oggetto definito dai suoi confini fisici. Nel secondo senso, esso è il luogo delle regole che ne definiscono le potenzialità in e per il gioco. Su tutto ciò si veda Mazzarese, Antinomie, paradossi, logica deontica, in "R. Int. Fil. Dir.", 1987, 438; Conte (A.G.), Konstitutive Regeln und Deontik, in Morsher e Stanzinger (ed.), Etik. Akten des funfter internazionalen Wittgenstein-Symposium, Wien, 1981; Conte (A.G.), Paradigmi d'analisi della regola in Wittgenstein, loc.cit.. A differenza delle entità ludiche, per la pubblica amministrazione non è rinvenibile alcuna definizione neutra. Per essa può solo essere proposta una definizione in termini istituzionali.

5) La tematica delle regole costitutive, della loro genesi, delle loro differenze tipologiche, nonché delle loro strettissime relazioni con le problematiche legati ai giochi sono magistralmente trattate da Conte (A.G.), Codici deontici, in Intorno al codice, La Nuova Italia, Firenze, 1970, 13-25; Paradigmi dell'analisi della regola in Wittgenstein, in Egidi (ed.), Wittgenstein. Momenti di una critica del sapere, Guida, Napoli, 1982, 37-82; Regola costitutiva, condizione, antinomia, in Scarpelli (ed.), La teoria generale del diritto. Problemi e tendenze attuali. Studi dedicati a Norberto Bobbio., Milano, Comunità, 1983, 21-39; Conte (A.G.), Materiali per una tipologia delle regole, in "Materiali per una storia della cultura giuridica", 15, 1985, 345-368.

6) In questo caso, si sarebbe, per giunta, in presenza di un vistoso caso di straripamento di potere. Sullo straripamento di potere si veda l'interessante studio di Bassi, Lo straripamento di potere (profilo storico), in "R.T.D.P.", 1964, 245.

7) Romano (Alb.), La disapplicazione del provvedimento da parte del giudice civile, cit., 35.

8) Romano (Alb.), ult.nota cit..35

9) Romano (Alb), ult.not.cit., 35.

10) La tematica della connotazione e della denotazione in seno alla teoria analitica del linguaggio prende le mosse da Frege, Uber Sinn und Bedeutung, trad. it. Senso e significato, in Mangione (ed.), Aritmetica e logica, Milano, 1970. Ai fini che qui interessano, le nozioni sono presenti in Conte, Studio per una teoria della validità, "Riv. int. fil. dir.", 1970, 3-4, 331-354, riedito in Guastini (ed.), Problemi di teoria del diritto, Il Mulino, Bologna, 1980, 325.

11) Sandulli, Manuale di diritto amministrativo, Jovene, Napoli, 1984, 648, e, prima ancora in Precisazioni in tema di mancanza di potere ed inesistenza dell'atto amministrativo, in "F.A.", 1964, II, 200, nonché I limiti di esistenza dell'atto amministrativo, in "Rass. D.P.", 1949, 126.

12) Giannini-Piras, Giurisdizione amministrativa e giurisdizione ordinaria nei confronti della pubblica amministrazione, in E.d.D., XIX, 1970, 288, nonché Discorso generale sulla giustizia amministrativa, in "R.T.D.P.C.", 1963, 531.

13) Romano (Alb), Diritto soggettivo, interesse legittimo e assetto costituzionale, cit. 261.

14) Questo approccio è stato condotto da Romano (Alb), Giurisdizione amministrativa e limiti della giurisdizione ordinaria, Giuffrè, Milano, 1975, e via via perfezionato in Diritto soggettivo, interesse legittimo e assetto costituzionale, in "F.I.", 1980, V, 258 ed in La disapplicazione del provvedimento amministrativo da parte del giudice ordinario, in "R.P.A.", 1983, 32.

15) Wittgenstein, § 320 di Zettel, Basil Blackwell, Oxford, 1967.

16) In questo senso, Greco, L'accertamento autonomo del rapporto nel giudizio amministrativo, Giuffrè, Milano, 1980, il quale evidenzia, peraltro senza prendere posizione, che "le norme di relazione possono essere considerate come norme condizionanti l'esistenza del potere e correlate così a diritti soggettivi", 118.

17) Tali norme possono a buon titolo essere definite "eidetico-costitutive", giacché sono condizione di pensabilità del soggetto in e per l'ordinamento.

18) Critici nei confronti dell'accertamento in concreto sono sempre stati Giannini in tutte le proprie opere in subiecta materia, nonché Nigro, Giustizia amministrativa, Il Mulino, Bologna, 1976, 165, nonché Greco, L'accertamento autonomo del rapporto nel giudizio amministrativo, cit., 131-132.

19) A stretto rigore, comunque, non pare possa farsi questione di diritti per l'evidente ragione che almeno nei procedimenti concessorii il diritto è posto in capo al privato proprio dall'atto. Diverso è il caso dei provvedimenti autorizzatorii, il cui fine è quello di rimuovere limiti all'esplicazione di diritti dei quali il privato ha la titolarità. Su tutto ciò, Greco, op. cit., 129.

20) Guicciardi, Concetti tradizionali e principii ricostruttivi nella giustizia amministrativa, in "Arch.dir.pubbl.", 1937, 56.

21) Sulla contrapposizione delle norme di relazione alle norme di azione, nonché sulla sua analisi storica, si veda l'interessante studio di Falcon, Norme di relazione e norme di azione (tradizione e vicende della giustizia amministrativa nella dottrina di Enrico Guicciardi), in "Dir.soc.", 1974, 378.

22) Guicciardi, "Causa petendi" e "petitum" nei rapporti fra giurisdizione ordinaria e amministrativa, cit. 25.

23) Guicciardi, Interesse personale, diretto ed attuale, in Studi di giustizia amministrativa, cit, 83.

24) Guicciardi, Diritto, interesse e doppia tutela, loc. cit., 47,

25) Guicciardi, Norme di relazione e norme d'azione: giudice ordinario e giudice amministrativo, loc. cit., 59.

26) Guicciardi, Diritto, interesse e doppia tutela, cit., 47-48. Le norme di relazione venivano così poste a presidio dell'interesse generale. La critica contro questa costruzione era peraltro agevole. Essa non spiegava perché il privato, che nel momento della reazione giudiziale diveniva occasione della tutela dell'interesse generale alla legalità dell'azione amministrativa fosse dominus dell'azione e se ne potesse servire secondo i propri personali interessi. In questo senso, si vedano le osservazioni di Cannada Bartoli, Il diritto soggettivo come presupposto dell'interesse legittimo, , in "R.T.D.P.", 1953, 345.

27) In questo senso si è espresso da ultimo lo stesso Guicciardi, Tutela concorrente e autonomia dei giudizi, in Studi di giustizia amministrativa, cit., 73, il quale parla proprio di carenza del potere nell'azione della pubblica amministrazione.

28) E' evidente che quanto racchiuso fra virgolette non è parte di un discorso assertivo: in questi casi, infatti una pubblica amministrazione che agisca come tale non v'è.

29) Sembra di poter dire che la conseguenza del risarcimento del danno sia, fra l'altro, casualmente connessa al fatto che un dato soggetto dell'ordinamento, in un determinato momento delle proprie vicende giuridiche, si autoascriva poteri che la norma non gli attribuisce, con ciò alterando gli equilibri delineati dal legislatore.


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