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RICCARDO NOBILE
(Segretario Generale
e Direttore Generale del Comune di Muggiò - MI)
Le potestà legislative dello Stato e delle Regioni ad autonomia ordinaria nel testo di riforma del titolo V, parte II, della Costituzione. Riflessioni in margine al nuovo testo dell’art. 117 Cost.
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1. Introduzione.
La legge costituzionale di modifica del titolo V della parte II della Costituzione di recente approvata ed assoggettata alla complessa procedura del referendum sospensivo di cui all’art. 138 Cost. contiene interessanti e sostanziali modificazioni dell’assetto e dell’allocazione delle potestà legislative dello Stato e delle Regioni, interessando soprattutto le Regioni a statuto ordinario, per le quali è stato previsto un sensibile ampliamento delle possibilità di adottare leggi, e quindi di innovare cogentemente l’ordinamento giuridico con fonti-atto.
Più in particolare, il legislatore della riforma, recependo le istanze sottese ai principi di sussidiarietà verticale già introdotti ordinamentalmente dalla legge 15/3/1997 n. 59, e nella presunzione che le Regioni siano maggiormente idonee a normare ambiti ratione materiae individuati in modo più soddisfacente di quanto possa fare lo Stato, ha sostanzialmente modificato il testo dell’art. 117 Cost., erodendo sensibilmente l’estensione delle potestà legislative dello Stato a tutto vantaggio delle Regioni, capovolgendo il principio della residualità della competenza e demandando di fatto alle seconde la potestà legislativa in tutte le materie non espressamente oggetto di specifica menzione, mediante l’introduzione di una vera e propria clausola generale esclusiva.
L’art. 117 Cost. nel nuovo testo, peraltro non attualmente vigente stante la pendenza della procedura referendaria primamente rammentata è quindi la disposizione normativa chiave per comprendere il modo, il verso e la direzione dei nuovi orientamenti autonomistici del legislatore della riforma.
La disposizione in commento, come cennato di passaggio, è di imprescindibile importanza poiché individua a regime gli elementi costitutivi ed essenziali della potestà legislativa delle Regioni ad autonomia ordinaria nel più complesso ordito costituzionale di cui è parte lo Stato.
La cosa non è di poco conto, poiché attraverso la disciplina specifica del modo dell’autonomia regionale, l’ordinamento concorre ad individuare cosa le Regioni ad autonomia ordinaria sono en e pour l’ordinamento stesso, almeno dal punto di vista dell’esplicazione delle loro attività istituzionale connesse alla capacità di essere attori di fatti di normazioni e quindi di compiere atti di produzione normativa, innovandolo con atti, o fonti-atto, aventi forza di legge.
Rispetto al testo precedente e tuttora in vigore dell’art. 117 Cost., la disposizione de qua è stata completamente riscritta; i suoi elementi di novità riguardano sia l’impostazione concettuale, sia l’estensione delle materie, sia, ovviamente, le conseguenze che da essa discendono.
Il modo di procedere del legislatore della riforma ha dato corpo ad un complesso reticolo nel quale le competenze legislative regionali vengono sostanzialmente bipartite, ad esse essendo immanente un duplice ordine di limiti, sia di natura spaziale, sia ratione materiae.
Così, è indiscutibile che alle Regioni è preclusa qualunque possibilità di innovazione dell’ordinamento giuridico con norme che esulino dalle materie indicate dall’art. 117 Cost., ovvero che, anche solo mediatamente, producano i loro effetti al di fuori del loro territorio, che, come è noto, costituisce il titolo, ma anche il limite, all’esplicazione delle relative potestà legislative.
Quanto al primo ordine di limiti, deve essere ricordato che, sia pure in presenza della clausola generale esclusiva contenuta nel nuovo testo dell’art. 117, comma 4 Cost., l’esplicazione della potestà legislativa regionale incontra precisi limiti interni di ordine sistematico.
Così, ad esempio, le Regioni, nella vigenza di questo primo ordine di limiti - e ciò vale anche per le Regioni ad autonomia speciale - non possono né legiferare in materia penale, perché ciò contrasta con l’art. 25, comma 2 Cost., né regolamentare rapporti di diritto privato, come più volte asserito dalla stessa Corte costituzionale.
In relazione al secondo ordine di limiti, non può essere sottaciuto che le Regioni non possono in modo alcuno normare fattispecie che sono connesse alla vita di relazione, differenziando regimi tariffari, ovvero limitando la libera circolazione delle cose o delle persone, come del resto previsto sia dall’art. 120 Cost., sia dalla doverosità dell’adempimento degli obblighi comunitari, i quali nella loro massima estensione fondano proprio un sistema imperniato sulla libera concorrenza e sul libero mercato.
2. Il regime delle potestà legislative delle Regioni ad autonomia ordinaria.
Il complesso reticolo normativo voluto dal legislatore della riforma enuclea due tipologie di competenze legislative regionali, la prima di natura concorrente, la seconda di tipo esclusivo.
Il disegno così delineato è completato dall’enunciazione generale che compare nel comma 1 dell’art. 117 Cost., secondo la quale la potestà legislativa è esercitata oltre che dallo Stato anche dalle Regioni, nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali, limiti estrinseci che derivano direttamente dal principio dell’unitarietà e dell’indivisibilità della Repubblica espressamente sancito dall’art. 5 Cost.
I limiti enucleati dal legislatore della riforma sono esplicitamente enunciati nel primo comma dell’art. 117 Cost. con l’evidente intento di delineare subito l’ambito dell’estensione e della stessa pensabilità ordinamentale della potestà legislativa regionale, la quale incontra, per effetto della modifica in esame, soli limiti di legittimità.
A proposito dei limiti generali all’esplicazione della potestà legislativa regionale in genere deve essere segnalata la rimozione del cosiddetto "limite di merito" costituito dal rispetto dell’interesse dello Stato e delle altre Regioni, attualmente previsto dal combinato disposto degli art. 117, comma 1 e 127, comma 3 Cost.. Con riferimento ad esso, il legislatore della riforma ha tratto da ciò tutte le conseguenze giuridiche del caso, eliminando in modo del tutto conseguenziale ogni riferimento alla procedura contenziosa stabilita e delineata dall’art. 127, comma 3 Cost., che prevede il rinvio al Parlamento nazionale delle leggi assunte in asserito contrasto con gli interessi statali o di altre Regioni. Coerentemente, il testo dell’art. 127 Cost. è stato pertanto completamente sostituito, prevedendo solo procedure contenziose innanzi alla Corte costituzionale per conflitto di attribuzioni, con esclusione della possibilità di promuovere la relativa questione di legittimità innanzi al Parlamento.
L’art. 117, comma 1 Cost. nel nuovo testo riformulato esplica, come è ovvio, i propri effetti nell’esercizio di entrambe le fattispecie in cui le Regioni hanno potestà legislativa, e quindi sia nelle materie a competenza concorrente, sia in quelle a competenza esclusiva.
Ciò consente di concludere che nelle materie in cui le Regioni sono titolari di potestà legislativa concorrente, i limiti testuali al suo esercizio sono riconducibili al rispetto della Costituzione, al rispetto degli obblighi comunitari o derivanti dagli obblighi internazionali, nonché dei principi fondamentali riservati dalla legislazione dello Stato in relazione ad ogni singola materia, elemento, quest’ultimo, che nelle ipotesi di potestà legislativa esclusiva regionale non sussiste per ragioni logico-giuridiche, posto che le Regioni ad autonomia ordinaria operano in questo caso in modo sostanzialmente identico alle Regioni ad autonomia rafforzata o speciale.
3. L’assetto delle potestà legislative regionali a Costituzione invariata.
La corretta e compiuta comprensione della portata dell’innovazione legislativa è comprensibile solo se gli elementi di novità ad essa sottesi sono accostati al dato normativo vigente ed in predicato di modificazione. Ciò rende necessaria ed opportuna una breve disamina dell’assetto costituzionale ancora adesso in vigore, stante la pendenza del referendum sospensivo espressamente richiesto sull’intero corpo della legge costituzionale di riforma del titolo V della parte II della Costituzione.
Il testo dell’art. 117 Cost. attualmente vigente interessa le sole Regioni ad autonomia ordinaria, ed individua con criterio di tassatività le materie nelle quali esse sono titolari di potestà legislativa concorrente, circondandone l’esplicazione con una serie di limiti, che sono costituiti dal rispetto dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato, e dal rispetto dell’interesse nazionale e delle altre Regioni, limiti, il primo di legittimità, il secondo di merito. L’attuale ordinamento enuclea, pertanto, una specifica riserva di legge costituzionale per l’individuazione delle materie nelle quali le Regioni hanno potestà legislativa nei termini sopra visti.
L’elencazione individuata dall’art. 117 Cost. ancora oggi in vigore costituisce, quindi, la dotazione "genetica" minima delle materie nelle quali le Regioni sono legittimate a porre atti aventi forza di legge, fermo restando che l’elenco può essere incrementato solo con legge costituzionale, adottata nel rispetto di quanto previsto dall’art. 138 Cost.
Il comma 2 dell’art. 117 Cost., poi, consente alle leggi dello Stato di demandare alle Regioni la possibilità di adottare leggi regionali a contenuto meramente attuativo, nei limiti e nei modi in esse stesse contenuti, al fine di adeguare le norme dello Stato alle variegate esigenze delle singole comunità locali.
Nell’attuale assetto costituzionale, infine, solo le Regioni ad autonomia speciale e le Province autonome sono titolari di potestà legislative esclusive, le quali interessano le materie variamente determinate dai relativi statuti.
I suddetti enti, peraltro, incontrano specifici limiti all’esplicazione della loro potestà legislativa esclusiva, in quanto devono rispettare pur sempre la Costituzione, i principi generali dell’ordinamento dello Stato, gli interessi nazionali, gli interessi delle altre Regioni, gli obblighi internazionali e comunitari, nonché, nell’elaborazione datane della Corte costituzionale, le norme fondamentali delle grandi riforme economico-sociali, che rappresentano nell’ordinamento giuridico la concretizzazione delle esigenze di unitarietà che sono sottese dall’art. 5 Cost.
Per tutte le altre Regioni, la potestà legislativa riconosciuta dall’art. 117 Cost. è di tipo concorrente, altrimenti dello "ripartito", da esplicare solo in ambiti tassativamente determinati e quindi ratione materiae.
A questo proposito, deve essere rammentato che con l’art. 9 della legge 10/2/1953 n. 62 l’esercizio in concreto delle potestà legislative concorrenti o ripartite è stato considerato in un primo tempo subordinato all’emanazione da parte dello Stato di cosiddette "leggi-cornice" enuncianti i principi fondamentali da rispettare per poter validamente legiferare su talune delle materie indicate dall’art. 117, comma 1 Cost., non essendo prevista analoga procedura per alcune altre materie di tale elencazione, con ciò ponendo le Regioni a statuto ordinario nella possibilità di comunque adottare atti aventi forza di legge limitatamente ad esse.
L’art. 17 della legge 16/3/1970 n. 281 ha però eliminato l’obbligatorietà della previa adozione da parte dello Stato di leggi-cornice, con ciò consentendo alle Regioni ad autonomia ordinaria di legiferare senza attendere la mediazione della suddetta normazione statale, operando nel solo rispetto dei principi fondamentali comunque desunti dalle leggi dello Stato, salvo poi, in caso di disaccordo sull’estensione del suddetto limite, demandare alla Corte costituzionale la decisione in ordine alla identificazione in concreto dei principi da ritenere fondamentali a tale riguardo in sede di contenzioso per conflitto di attribuzioni.
Come già rammentato, l’esercizio della potestà legislativa concorrente ha sempre determinato momenti di criticità ordinamentale, stante la necessità, da un lato, di garantire in termini di effettività il principio di autonomia regionale, e, dall’altro, di assicurare comunque l’unità della Repubblica ai sensi dell’art. 5 Cost., norma in base alla quale sono stati escogitati i meccanismi di chiusura e coerentizzazione dell’ordinamento da parte del giudice delle leggi.
4. L’assetto delle potestà legislative regionali a Costituzione variata.
Completato il breve excursus di tipo storico-comparativo, è ora possibile cogliere appieno le novità sottese alla riforma costituzionale in esame.
L’art. 117 Cost. ora in esame, norma che propriamente riguarda le sole Regioni ad autonomia ordinaria per quel che attiene alle competenze, inserisce la produzione di atti di normazione regionale, ossia di "fonti-atto", che poi costituisce il modo più pregnante per sostanziare e declinare l’autonomia di cui le Regioni godono, nella più ampia trama del rispetto dei precetti desumibili dalla Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.
Con riferimento a questi ultimi, ciò significa che le Regioni - siano ad autonomia speciale, piuttosto che ad autonomia ordinaria - nelle materie in cui esercitano potestà legislativa in via esclusiva o concorrente non possono comunque introdurre nell’ordinamento norme giuridiche che pongano lo Stato inteso nella sua unità in condizione di infrazione nei confronti della normativa comunitaria ovvero degli obblighi internazionali. A questo proposito deve essere ricordato che per l’ordinamento internazionale, cui la Repubblica si conforma secondo quanto prevede l’art. 11 Cost., sono soggetti di diritto i soli Stati unitariamente considerati, e non le articolazioni autonomistiche che eventualmente essi si siano dati o che riconoscano. Ciò, in buona sostanza, significa che lo Stato, come soggetto di diritto internazionale, risponde della violazione dei trattati e degli obblighi relativi in quanto Stato, e quindi in quanto soggetto giuridico tout court di tale ordinamento.
In questo senso ha mostrato di muoversi l’ordinamento comunitario, del quale lo Stato italiano fa parte a seguito della stipulazione dei noti trattati di Roma del 1957 e delle loro successive rivisitazioni, in tutti i casi in cui è stata attivata una procedura di infrazione ovvero in tutte le ipotesi in cui è stato fatto caso del rispetto delle norme desumibili dai trattati costitutivi o dai prodotti della normazione degli organismi comunitari.
Nel comma 1 dell’art. 117 Cost., come cennato in nel punto 2, non appare più il riferimento ai "principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato" ed al "contrasto con l’interesse nazionale e con quello di altre Regioni", che, come più volte ricordato, costituiva il limite interno di merito all’esplicazione dell’autonomia legislativa regionale nella a formulazione dell’art. 117 Cost. comunque fino ad ora vigente.
Tale paradigma è stato sostituito con il più pregnante rispetto della Costituzione e degli obblighi che derivano dall’ordinamento comunitario ed internazionale nei termini sopravisti.
La differente formulazione dei limiti paradigmatici all’esplicazione della potestà normativa regionale riferiti all’ordinamento interno è una diretta conseguenza del diverso modo di atteggiarsi dell’autonomia legislativa regionale e dei relativi ambiti di competenza e legittimazione delineati dal legislatore della riforma.
I limiti de quibus rilevanti nei rapporti fra le articolazioni autonomistiche interne della Repubblica, infatti, derivano o dall’ampiezza delle sfere entro le quali le Regioni e lo Stato si possono legittimamente muovere, ovvero dai limiti espliciti posti dalla stessa Costituzione alla esplicazione dell’autonomia regionale nel senso sopra visto.
Così, dal secondo punto di vista, sono limiti comunque desunti dalla Costituzione i divieti posti dall’art. 120 Cost. del nuovo testo, che ha assorbito l’analoga enunciazione contenuta nella vecchia formulazione della corrispondente disposizione normativa, divieti poi rafforzati dalle procedure di sostituzione dello Stato in caso di inadempimenti regionali fermo sempre il principio di sussidiarietà e di leale collaborazione a garanzia dell’unitarietà della Repubblica.
Dal primo punto di vista, i limiti alle reciproche influenze fra Regioni e Stato, in quanto entrambi enti autonomi, sono strettamente connessi al nuovo modellamento delle competenze e degli ambiti di legittimazione, ossia agli spazi entro i quali ciascuno dei due enti - lo Stato e le Regioni - possono validamente porre norme giuridiche aventi forza di legge.
Il nuovo articolo 117 Cost. ha capovolto, in nome del principio di sussidiarietà verticale, l’estensione degli ambiti di legittimazione, tripartendoli ratione materiae ed affiancando ad ambiti di competenza esclusiva statale, ambiti di legislazione concorrente, salvo poi enunciare espressamente che in tutte le materie non espressamente menzionate dalle norme dello Stato (rectius: dalla Costituzione), la legittimazione all’adozione di atti aventi forza di legge spetta in via residuale alle Regioni, le quali devono rispettare i soli limiti generali previsti dal comma 1 della disposizione in esame, in attuazione di una norma che ha valore di clausola generale esclusiva.
Prima di analizzare quali sono le modalità attraverso le quali le Regioni possono innovare l’ordinamento giuridico immettendovi leggi nelle rispettive sfere di competenza, è bene rammentare che oltre a quelli visti, che sono limiti testuali contenuti dall’art. 117 Cost., l’ordinamento giuridico stesso conosce due ulteriori limiti di carattere generale all’esplicazione dell’autonomia regionale, espressamente enunciati per le Regioni a statuto speciale, ma valevoli a fortiori anche per le Regioni ad autonomia ordinaria.
Il riferimento è, come ampiamente prevedibile, ai principi generali dell’ordinamento giuridico ed alle norme fondamentali delle riforme economico-sociali.
Quanto ai primi, ossia ai principi generali dell’ordinamento giuridico, non può essere sottaciuto che la loro ricostruzione in termini dogmatici non è agevole, e che proprio in ragione di ciò la Corte costituzionale ha cercato di far luce su si essi con una delle prime pronunce rese in subiecta materia. Con la sentenza 26/6/1956 n. 6, il giudice delle leggi ha accreditato una nozione sostanzialmente dinamica della presente categoria giuridica, evidenziando che essi si compendiano in direttive "a carattere fondamentale, che si possono desumere dalla connessione sistematica, dal coordinamento e dalla intima razionalità delle norme che concorrono a formare, in un dato momento storico, il tessuto dell’ordinamento giuridico". I principi generali di cui è caso, pongono quindi il problema della loro concretizzazione ed individuazione, situazioni delle quali, in ultima analisi, è arbitro solo la Corte costituzionale.
Nell’esplicazione della loro potestà legislativa esclusiva, le Regioni a statuto speciale non incontrano il limite del rispetto dei principi fondamentali delle materie, come accade per la differente potestà legislativa ripartita o concorrente. Con riferimento a quest’endiadi, però, è doveroso rammentarne la fluidità e la mancata precisione dei termini che la compongono, com’è dimostrato anche dalla recente giurisprudenza della Corte costituzionale che, accostando le due tipologie di principi, finisce sostanzialmente col degradare la potestà legislativa esclusiva ad una forma ibridata di potestà concorrente.
Di notevole importanza è poi il limite del rispetto delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali, secondo il quale l’esplicazione della potestà legislativa delle Regioni ad autonomia speciale - ma il discorso è pianamente riferibile anche ed a maggior ragione alle Regioni ad autonomia ordinaria - nelle materie in cui sussiste competenza piena non deve in alcun modo ostacolare l’attività riformatrice dello Stato, che si concretizza con la produzione di norme e misure in grado di incidere sull’assetto economico e sociale del paese. La ragione del limite de quo, che peraltro è espressamente, ancorché variamente, presente nei relativi statuti approvati con legge costituzionale, è probabilmente quella di evitare che il decentramento autonomistico regionale costituisca ragione ed opportunità di resistenza delle forze conservatrici locali nei confronti delle prospettive di rinnovamento enucleate dallo Stato, ad esempio, adottando piani e programmi, ovvero imprimendo all’assetto socio-economico del paese una direzione piuttosto che l’altra, come avvenne al tempo delle nazionalizzazioni della produzione elettrica.
In questo senso, la Corte costituzionale ha riconosciuto la presenza nel suddetto limite con sentenza 24/1/1964 n. 4 alla legge 4/2/1963 n. 129 relativa al piano generale degli acquedotti, e con successiva pronuncia 2/7/1968 n. 92 alla legge 28/7/1968 in materia di edilizia popolare.
Il limite in argomento, negli orientamenti della Corte costituzionale, riguarda a fortiori anche la potestà legislativa di tipo concorrente o ripartito delle Regioni a statuto ordinario, e quindi tutte le Regioni, indipendentemente dall’estensione dell’autonomia di cui godono nel complesso ordito delineato dalla Costituzione.
Qui interessa solo evidenziare che le norme fondamentali delle riforme economico-sociali sono, negli intendimenti del giudice delle leggi, una diretta conseguenza dell’unitarietà della Repubblica esplicitamente enunciato dall’art. 5 Cost., la quale se da un lato promuove le autonomie locali, e, pur adeguando i principi della legislazione nel suo complesso considerata, e quindi tenendo conto anche delle leggi regionali, alle esigenze dell’autonomia, dall’altro non può non riservare al Parlamento nazionale la potestà legislativa conformativa necessaria per ricondurre ad unitarietà proprio il complesso della legislazione regionale, ponendo limiti alla potestà normativa dei soggetti legittimati ad adottare leggi, che non siano lo Stato.
5. Le potestà legislative esclusive dello Stato.
Le materie nelle quali lo Stato ha competenza esclusiva, ossia quelle nelle quali le Regioni non hanno alcuna forma di autonomia, corrispondono pressoché testualmente a quelle individuate dall’art. 1, comma 3 della legge 15/3/1997 n. 59, e riguardano gli elementi costitutivi dello Stato, senza i quali tale soggetto neppure potrebbe esistere od essere pensato come tale nell’attuale momento storico. Le materie de quibus riguardano, come era del resto facilmente prevedibile, la politica estera, la giustizia, la politica monetaria, i servizi essenziali dello Stato, la difesa, la pubblica sicurezza e simili.
Più in dettaglio, le materie in esame possono essere raggruppate in una serie di sottoinsiemi, tutti desumibili direttamente dall’art. 117 Cost. nella sua nuova formulazione.
In primo luogo, quelle che attengono ai rapporti di diritto internazionale pubblico, che ricomprendono la politica estera e rapporti internazionali dello Stato, i rapporti dello Stato con l'Unione europea, il diritto di asilo e la condizione giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti all'Unione europea (lett. a)); i rapporti tra la Repubblica e le confessioni religiose (lett. c)).
In secondo luogo, quelle che afferiscono alla politica economica e monetaria, ossia alla moneta, alla tutela del risparmio e dei mercati finanziari, alla tutela della concorrenza, alla configurazione del sistema valutario, tributario e contabile dello Stato, nonché alla perequazione delle risorse finanziarie (lett. e)).
In terzo luogo, le materie che riguardano i rapporti fra persone, fra cui rientrano le materie relative all’immigrazione (lett. b)), alla cittadinanza, Stato civile e anagrafi (lett. i)),
In quarto luogo, le materie connesse agli organi dello Stato ed all’organizzazione della pubblica amministrazione, e quindi quelle relative agli organi dello Stato ed alle leggi elettorali, ai referendum statali, all’elezione del Parlamento europeo (lett. f)), all’ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali (lett. g)), ed alla legislazione elettorale, agli organi di governo ed alle funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane (lett. p)).
In quinto luogo, le materie inerenti alla difesa ed all’ordine pubblico, ossia la difesa e le Forze armate, la sicurezza dello Stato, le armi, munizioni ed esplosivi (lett.d)), l’ordine pubblico e sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa locale (lett. h)).
In sesto luogo, le materie che attengono alle prestazioni di carattere genericamente sociale a favore della collettività, e quindi la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale (lett. m)), le norme generali sull'istruzione (lett. n), nonché la materia della previdenza sociale (lett. o)).
In settimo luogo, la materia della giustizia, e quindi la giurisdizione e norme processuali, l’ordinamento civile e penale, e la giustizia amministrativa (lett. l)).
In ottavo luogo, la tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali (lett. s)).
In nono luogo, le materie non immediatamente raggruppabili in modo organico ed omogeneo, e quindi quelle afferenti alle dogane, alla protezione dei confini nazionali, alla profilassi internazionale (lett. q)), nonché quelle relative ai pesi, misure e determinazione del tempo, al coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell'amministrazione statale, regionale e locale, ed alle opere dell'ingegno (lett. r)).
6. Le Regioni ad autonomia ordinaria e la potestà legislativa ripartita o concorrente.
Accanto alle materie di competenza esclusiva dello Stato, il nuovo art. 117, comma 3 Cost. individua ambiti entro i quali lo Stato e le Regioni esplicano potestà legislativa concorrente, e nelle quali queste ultime legiferano dovendo rispettare i soli limiti dell’art. 117, comma 1 nonché i principi fondamentali di volta in volta rilevanti ratione materiae, la cui enucleazione è riservata alla legislazione statale in via esclusiva.
La previsione di una legislazione regionale concorrente con quella statale consente allo Stato, nelle materie di relativa pertinenza, solo di porre i principi fondamentali entro i quali la legislazione regionale può muoversi nell’esplicazione di un’ autonomia legislativa graduata o conformata, adottando la sola normazione di dettaglio.
Nell’esplicazione della potestà legislativa concorrente di cui è caso, si ripropongono i medesimi problemi già visti in sede di rivisitazione dell’assetto costituzionale attualmente vigente, e precisamente dell’art. 117, comma 1 Cost. nel testo attualmente vigente.
I limiti operanti in subiecta materia non possono che essere riferiti ai principi generali dell’ordinamento dello Stato nonché, nell’elaborazione datane della Corte costituzionale, alle norme fondamentali delle grandi riforme economico-sociali, osservando che i restanti limiti del rispetto della Costituzione e degli obblighi comunitari ed internazionali sono già desumibili dal comma 1 dall’art. 117 Cost..
La problematica sottesa alla presente tipologia di potestà legislativa è quella della necessità o meno di un’esplicita mediazione della legge dello Stato per rendere possibile l’adozione di leggi regionali nelle materie a legislazione concorrente o ripartita che dir si voglia.
Dal punto di vista storico, l’ordinamento giuridico è stato caratterizzato da differenti momenti, dal contenuto e dalla connotazione contrastanti. In un primo tempo il legislatore è intervenuto con leggi-cornice, al fine di assicurare l’unitarietà dell’ordinamento repubblicano, enucleando i principi uniformi della disciplina di settore, e quindi delle varie materie demandate alla normazione concorrente, al fine di cogliere in modo esplicito i profili funzionali destinati a connettere gli ambiti operativi assegnati alle fonti statali con quelli ascritti alle fonti regionali. La suggestione sottesa alla presente tecnica di produzione legislativa era, evidentemente, quella di far concorrere due distinti soggetti al perfezionamento del medesimo fatto di normazione, demandando allo Stato la delineazione dei principi fondamentali ratione materiae, e consentendo alle Regioni comunque connotate di introdurre solo norme di dettaglio per meglio adeguarli alle esigenze locali delle rispettive collettività.
I ritardi legislativi e le incertezze del Parlamento, che, inceppando il meccanismo di produzione normativa regionale, frustravano nei fatti l’autonomia delle Regioni stesse non consentendo loro di legiferare negli ambiti di competenza, hanno però condotto al superamento del principio, peraltro sancito dall’art. 9 della legge 10/2/1953 n. 62, concretizzatosi per tabulas con l’art. 17 della legge 16/3/1970 n. 281, che ha eliminato l’obbligatorietà della previa adozione da parte dello Stato di leggi-cornice ratione materiae. Ciò ha consentito alle Regioni in genere di legiferare senza attendere la mediazione della suddetta normazione statale, operando nel solo rispetto dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato comunque desunti od enucleati dall’ordinamento, salvo poi, in caso di disaccordo sull’estensione del suddetto limite, demandare alla Corte costituzionale la decisione in ordine alla identificazione in concreto dei principi da ritenere fondamentali a tale riguardo.
L’esercizio della potestà legislativa concorrente non è mai stato esente da elementi di problematicità, la cui disamina sfugge alle ragioni del presente lavoro.
Qui, per ragioni di natura sistematica, è però doveroso rammentare che il legislatore nazionale è stato legittimato più volte dalla Corte costituzionale a dettare oltre che norme di principio anche norme di dettaglio, peraltro dotate di una specifica cedevolezza una volta sopraggiunta la specifica normativa regionale, all’interno di un modus operandi che rinviene la propria specifica copertura costituzionale nell’art. 5 Cost.. Ciò ha fatto parlare di "preferenza regionale", piuttosto che di specifica competenza, con ciò volendo forse intendere che gli eventuali ritardi delle Regioni ad adottare le normative di competenza non devono andare a detrimento della completezza dell’ordinamento e della conseguenziale necessità di normazione del singolo fatto concreto, con ciò legittimando lo Stato ad intervenire con proprie norme anche anticipatamente, salvo poi vederle de iure caducate una volta completata la relativa disciplina da parte della Regione.
Del pari è stato conclusivamente sostenuto, sempre invocando l’art. 5 Cost., che la normativa regionale di dettaglio è immediatamente abrogata per effetto della sopravvenienza di nuove norme statali che pongono principi fondamentali, come, del resto, espressamente stabilito dall’art. 10 della legge 10/2/1953 n. 62. L’effetto pratico di quest’orientamento è quello di considerare la normativa di dettaglio di fonte statale in uno stato di quiescenza, pronta a riprendere forza e carattere di vincolatività per effetto dell’abrogazione della normativa regionale di dettaglio, a sua volta travolta dagli effetti abrogativi a causa della sopravvenienza di nuovi principi fondamentali ratione materiae comunque desumibili dalla legge dello Stato.
Quanto all’individuazione delle materie nelle quali le Regioni hanno potestà legislativa concorrente o ripartita, è sufficiente rifarsi all’elencazione fornita dall’art. 117, comma 3 Cost. nella sua nuova formulazione. Essa, pertanto, riguarda: i rapporti internazionali e con l'Unione europea delle Regioni, il commercio con l'estero; la tutela e la sicurezza del lavoro; l’istruzione, salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale; le professioni; le ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all'innovazione per i settori produttivi; la tutela della salute; l’alimentazione; l’ordinamento sportivo; la protezione civile; il governo del territorio; i porti e aeroporti civili; le grandi reti di trasporto e di navigazione; l’ ordinamento della comunicazione; la produzione, il trasporto e la distribuzione nazionale dell'energia; la previdenza complementare e integrativa; l’ armonizzazione dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; la valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali; le casse di risparmio, le casse rurali, le aziende di credito a carattere regionale; gli enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale.
7. Le Regioni e la potestà legislativa esclusiva
Accanto alle due fattispecie di competenze legislative ascritte in termini espliciti alle Regioni, il comma 4 dell’art. 117 Cost. a contrariis riserva alla competenza legislativa esclusiva regionale tutte le materie non espressamente riservate alla legislazione dello Stato.
L’ordinamento costituzionale ha operato qui prevedendo una norma generale esclusiva, il cui effetto in termini giuridici è l’introduzione di un principio di residualità della competenza a favore delle Regioni, le quali divengono titolari di una potestà legislativa generale, diretta ed immediata in tutte le materie che non siano espressamente riservate allo Stato, rispetto alle quali la Costituzione dà corpo ad un vero e proprio effetto devolutivo complessivo, totale ed incomprimibile, ancorché conformato.
Quanto ai limiti che le Regioni incontrano nell’esercizio della presente forma di potestà legislativa, non può non essere evidenziato che essi sono più sfumati rispetto a quelli incontrati nell’esplicazione della potestà legislativa concorrente. I soli limiti rilevanti in subiecta materia sono quelli desumibili o dagli espressi divieti previsti dalla Costituzione, come ad esempio accade con riferimento all’art. 120, o dal limite territoriale, ovvero ancora dal riferimento contenuto nell’art. 117, comma 1 nel suo nuovo testo.
Ulteriori limiti di carattere generale sono poi dati dalle norme fondamentali delle riforme economico-sociali e dal rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico, nel senso sopra visto.
8. La verifica del rispetto dei limiti all’esercizio delle potestà legislative regionali.
A presidio del corretto modo di esercitare l’autonomia normativa da parte dello Stato e delle Regioni, l’ordinamento costituzionale ha mantenuto la possibilità di adire la Corte costituzionale mediante giudizio di conflitto di attribuzioni, da esperire ed esercitare nei modi e nei termini di cui al nuovo testo dell’art. 127 Cost..
Nel rispetto delle procedure de quibus il Governo, qualora ritenga che una legge regionale ecceda la competenza della Regione ovvero travalichi i limiti comunque desumibili dall’ordinamento giuridico nel senso sopra visto, può promuovere la relativa questione di legittimità dinanzi alla Corte costituzionale entro sessanta giorni dalla sua pubblicazione della legge regionale. Ed analoga possibilità, del tutto simmetrica alla precedente è riconosciuta a ciascuna Regione, la quale, quando ritenga che una legge o un atto avente valore di legge dello Stato o di un'altra Regione leda la propria sfera di competenza, può sempre promuovere la questione di legittimità costituzionale dinanzi al giudice dei conflitti di attribuzione entro sessanta giorni dalla pubblicazione della legge o dell'atto avente valore di legge.
9. Le potestà legislative regionali ed il rispetto degli obblighi internazionali e comunitari.
Nella nuova versione dell’art. 117 Cost. il legislatore della riforma ha mostrato una particolare sensibilità per il mantenimento e l’instaurazione i corretti rapporti istituzionali con gli organismi internazionali in genere, e con quelli comunitari in particolare anche in considerazione dell’interpretazione dell’art. 11 Cost. fornita dalla Corte costituzionale e dal modo ormai consolidato in cui la Corte di giustizia dell’Unione europea intende i rapporti fra ordinamento comunitario ed ordinamento di ciascuno degli Stati membri.
L’art. 11 Cost. è stato infatti inteso, sia dalla dottrina, sia dalla giurisprudenza della Corte costituzionale a partire dalla sentenza 7/31964 n. 14 alla stregua dell’unico ancoraggio costituzionalmente rilevante e certo per consentire l’integrazione del diritto comunitario nell’ordinamento interno, non avendo l’Italia, a differenza di altri stati aderenti alla Comunità, provveduto alle necessarie modificazioni della propria costituzione, necessarie per assicurare al recepimento dei relativi Trattati istitutivi un’esplicita indicazione testuale.
Il riferimento, come è facilmente intuibile, è all’attuazione degli accordi di diritto internazionale ed al recepimento delle direttive comunitarie, materia, quest’ultima, sulla quale l’orientamento dottrinale e giurisprudenziale formatosi e consolidatosi era ed è tuttora sostanzialmente d’accordo nel ritenere che le Regioni ad autonomia speciale possano recepire autonomamente le direttive non self-executing emesse dagli organismi comunitari, salva sempre l’attivazione dei poteri sostitutivi da parte dello Stato in caso di inerzia, dal momento che la responsabilità delle eventuali infrazioni in sede comunitaria sono contestabili solo e soltanto allo Stato e non mai agli enti territoriali in cui esso si articola, ancorché dotati di autonomia legislativa.
Il complesso rapporto fra legislazione comunitaria e legislazione italiana è stato definitivamente risolto dalla Corte costituzionale a partire dalla nota sentenza 27/12/1973 n. 183, la quale ha tratto dal principio della separazione dei due ordinamenti giuridici le conclusioni favorevoli alla prevalenza della prima rispetto alla seconda. Sulla base dell’assunto secondo cui i due ordinamenti sono separati, ancorché connessi, la Corte costituzionale è poi intervenuta in subiecta materia con le successive sentenze 30/10/1975 n. 232, 25/3/1985 n. 113 e 11/7/1989 n. 389 per sostenere che "l’applicazione della normativa comunitaria direttamente efficace all’interno dell’ordinamento italiano non dà luogo ad ipotesi di abrogazione o di deroga, né a forme di caducazione o di annullamento per invalidità della norma interna incompatibile, ma produce un effetto di disapplicazione di quest’ultima, seppure nei limiti di tempo e nell’ambito materiale entro cui le competenze comunitarie sono legittimate a svolgersi".
In modo del tutto conseguenziale, poi, è stato espressamente sostenuto che siano direttamente applicabili nell’ordinamento interno, per effetto della clausola generale di autolimitazione di cui all’art. 11 Cost., i regolamenti comunitari secondo quanto dispone l’art. 249 del Trattato CE e delle direttive cosiddette "self-executing", come ripetutamente insegnato e costantemente ribadito dalla Corte di giustizia, ad esempio con le sentenze 19/11/1991, 5/3/1996 e 10/7/1997.
L’orientamento del legislatore della novella costituzionale è del tutto in linea con il tenore della legislazione ordinaria attualmente vigente.
Una parziale apertura a favore delle Regioni ad autonomia speciale non è cosa nuova per l’ordinamento. Già l’art. 13 della legge 16/4/1987 n 183, poi riprodotto per tabulas nella legge 9/3/1989 n. 86 (legge La Pergola), infatti, prevedeva che le Regioni a statuto speciale potessero dare autonomamente attuazione alle raccomandazioni ed alle direttive comunitarie afferenti alle materie ascritte alla loro competenza esclusiva, fermo restando che se fosse sopravvenuta una legge dello Stato a porre principi non derogabili dalla legislazione regionale, le Regioni de quibus sarebbero comunque state tenute ad adeguarsi a tali disposizioni sopravvenute.
Per ragioni di completezza sistematica, deve essere evidenziato che, a normativa attualmente vigente, le Regioni ad autonomia ordinaria non sono affatto escluse dalla possibilità di intervenire nell’attuazione della normativa comunitaria nelle materie di competenza concorrente ed attribuita dallo Stato, poiché ciò è stato reso possibile dall’art. 9 della legge 9/3/1989 n. 86. Resta inteso che per le Regioni ad autonomia ordinaria lo Stato può sempre intervenire, ai sensi dell’art. 3 della legge 9/3/1989 n. 86, indicando disposizioni di principio non derogabili, con la conseguenza che nelle materie di competenza concorrente, le disposizioni nazionali prevalgono su quelle regionali, determinandone l’abrogazione.
Nel solco dell’orientamento ricordato per ragioni di inquadramento storico-sistematico, l’art. 117 Cost. nella sua nuova formulazione ha previsto in termini espliciti che le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, nelle materie di loro competenza, provvedono all'attuazione ed all'esecuzione diretta degli accordi internazionali e degli atti dell'Unione europea, nel rispetto delle norme di procedura stabilite da legge dello Stato, fermo restando che solo quest’ultima può disciplinare le modalità dell’esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza in attuazione del principio di leale collaborazione, anch’esso assurto a specifica dignità costituzionale.
Da questo particolare punto di vista, tutte le Regioni, indipendentemente dalla loro collocazione nell’ordinamento costituzionale, nonché le Province autonome di Trento e Bolzano, possono autonomamente dare attuazione ed esecuzione alle norme comunitarie che interessano il proprio territorio. Ovviamente, il modo in cui tale attuazione può prendere corpo è variabile dipendente della materia cui la singola Regione esplica la propria attività attuativa.
La norma, come è facilmente intuibile, dovrà subire i necessari adattamenti e le opportune estensioni applicative con riferimento alle materie nelle quali le Regioni ad autonomia ordinaria hanno potestà legislativa esclusiva, come accade per tutte le materie nelle quali tale potestà o non è espressamente ascritta allo Stato, ovvero non è di natura concorrente. Nei casi di competenza esclusiva delle Regioni ad autonomia ordinaria, è infatti ragionevole ritenere che queste possano direttamente dare attuazione alla normativa comunitaria, dovendo solo rispettare i limiti generali all’esplicazione della loro potestà legislativa espressamente enunciati dall’art. 117, comma 1 Cost. nella sua nuova formulazione, nonché le restanti limitazioni di ordine sistematico così come precedentemente evidenziate.
Nelle materie di competenza concorrente, per contro, l’attività di attuazione deve comunque rispettare i principi fondamentali in materia comunque desunti dalla legislazione dello Stato, in modo sostanzialmente analogo a quel che accade per l’esercizio della potestà legislativa concorrente in genere.
Per ragioni sostanzialmente analoghe, deve essere rammentato che, per effetto della riforma costituzionale in argomento, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, nelle materie di loro competenza, partecipano ai processi decisionali diretti alla formazione degli atti normativi comunitari. Ciò risponde all’esigenza di garantire che la relativa normazione ultranazionale, che, come è noto, prevale su quella degli stati membri, non menomi quell’autonomia che la Costituzione riconosce oggi in modo particolarmente pregnante proprio alle Regioni.
10. Le regioni ad autonomia ordinaria e le potestà legislative in ambito sub-primario.
L’art. 117, comma 6 Cost. nel suo nuovo testo, dopo aver enucleato i paradigmi dell’autonomia legislativa delle Regioni ed i relativi rapporti con l’analoga autonomia dello Stato, disciplina quella che si potrebbe definire in termini di autonomia sub-primaria, ossia la potestà regolamentare, che viene riconosciuta tanto alle prime, quanto, ovviamente, al secondo.
La Costituzione non si preoccupa affatto, in questo ambito, di delineare i limiti della potestà regolamentare dello Stato nelle materie di propria competenza, materia ben strutturata e delineata dalla legge 23/8/1988 n. 400. L’art. 117, comma 6 Cost., per contro, ribadisce che nelle materie di competenza esclusiva statale, spetta allo Stato la potestà regolamentare salva sempre la possibilità di costituire rapporti di delegazione intersoggettiva con le Regioni.
Per contro, la potestà regolamentare spetta alle Regioni in ogni altra materia, ossia nelle materie a legislazione concorrente ed esclusiva. E ciò ben si comprende, giacché in questi ambiti la normazione sostanziale di tipo primario è sempre e comunque di spettanza regionale, sia pure con i limiti precedentemente illustrati, soprattutto con riferimento alla doverosità del rispetto dei principi fondamentali ratione materiae.
Un’analoga potestà regolamentare è riconosciuta dall’art. 117, comma 6 Cost. ai Comuni, alle Province e alle Città metropolitane limitatamente alla disciplina dell'organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite, posizione del tutto comprensibile, per le ragioni enunciate in riferimento alla potestà regolamentare delle Regioni.
11. Le Regioni ad autonomia ordinaria e gli accordi interregionali
L’art. 117, comma 9 Cost. nel suo nuovo testo riconosce alle Regioni, nelle materie di loro competenza, la possibilità di concludere accordi con Stati e intese con Enti territoriali interni ad altro Stato, nei casi e con le forme disciplinati da leggi della Repubblica.
La ragione di una tale previsione costituzionale è quella di rendere possibile l’effettiva esplicazione dell’autonomia regionale nelle materie in cui le Regioni hanno potestà legislativa concorrente e, a maggior ragione, esclusiva. Ovviamente tali accordi, che presumibilmente riguardano il miglior modo di attualizzare l’autonomia regionale mediante la gestione delle relative funzioni amministrative trattenute, non possono andare a detrimento dell’unità della Repubblica. E’ per questa ragione che la norma costituzionale, riconosciuta la legittimazione alla conclusione degli accordi de quibus, ne circoscrive i limiti al rispetto delle leggi dello Stato, dal punto di vista sia formale, sia sostanziale.
Per ragioni analoghe, le Regioni possono sempre concludere intese con altre amministrazioni regionali per garantire standards più elevati nell’esercizio delle funzioni trattenute. In ragione di ciò, l’art. 117, comma 8 Cost. nel testo novellato prevede che tali intese siano assoggettate a ratifica con legge regionale. Le intese cui fa riferimento la norma in esame sono quelle che riguardano la gestione delle funzioni amministrative regionali, per le quali viene implicitamente riconosciuta la possibilità di giungere alla gestione associata, con l’individuazione di organi comuni, in modo da rendere unitari ed uniformi i processi decisionali.
In questo modo, il legislatore della riforma ha mostrato di aver recepito a livello costituzionale il principio, peraltro già espresso ad esempio dall’art. 3, comma 2 del D.Lgs. 31/3/1998 n. 112, dell’ottimalità d’ambito, nell’ottica del conseguimento di effettive economie di scala di tipo sia economico, sia operativo-gestionale; tutto ciò nel convincimento che un tal modo di procedere sia sintomatico dell’attuazione del principio del buon andamento della pubblica amministrazione sancito dall’art. 97, comma 1 Cost., di cui sono esplicazione i principi di efficacia ed efficienza qui implicitamente evocati.
Ovviamente, la possibilità di concludere intese od accordi interregionali non deve e non può andare a detrimento dell’unitarietà e dell’indivisibilità della Repubblica, principio espressamente sancito dall’art. 5 Cost. Ciò che il legislatore costituzionale non vuole, infatti, è che vengano di fatto create zone di artificiosa iperautonomia ordinamentale, magari fondate sulla medesimezza del contesto geografico.
Per queste ragioni, l’ordinamento ha previsto la necessità di un’esplicita ratifica con legge regionale delle intese o degli accordi raggiunti, rispetto alla quale il governo può sempre attivare il giudizio per conflitto di attribuzioni innanzi alla Corte Costituzionale ai sensi dell’art. 127 Cost.